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Marco Bava è un economista, consulente finanziario e spesso attivo nel panorama italiano come esperto di economia e finanza. È noto per le sue opinioni critiche su temi come la gestione della finanza pubblica italiana, le banche e la situazione economica generale del Paese. Inoltre, in passato è stato coinvolto in varie iniziative politiche e civiche, dove ha cercato di sensibilizzare l'opinione pubblica su questioni legate alla trasparenza economica e alla gestione del debito pubblico.

 

Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19
“In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». 
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». 
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».”

 

La gangster
che si fece
suora

pierangelo sapegno
Le due vite di Angela Corradi sono finite adesso. Quella della donna gangster con la svastica tatuata sulla schiena e della suora laica che ha dedicato la sua vita ai disperati e agli sconfitti. La notizia l'ha data su Facebook Tino Stefanini, uno degli ultimi superstiti della famigerata mala della Comasina: «Resterai per sempre nei nostri cuori». Ma di Angela Corradi, morta a 73 anni, resta qualcosa di più anche per tutti noi, il mistero della vita e dei suoi peccati, la sottile linea di demarcazione che può dividere il bene dal male sulle strade del dolore. Tutto quello che non possiamo vedere e facciamo fatica a capire. Una volta le chiesero come aveva fatto a scoprire Dio. «Perché ho sentito la sua voce», aveva risposto. «Mi disse "Io ci sono". Mi disse solo questo». Era una sera che Angela Corradi aveva un mitra in mano e una pistola infilata nei calzoni e stava uscendo dalla sua casa di via Osculati ad Affori per andare a uccidere qualcuno. Ma qualche anno dopo, aveva il velo e degli occhiali a goccia che nascondevano uno sguardo che levigava il tempo e anche le sue ferite, perché non si vive la sua vita senza perdere pezzi e portarne le cicatrici. Allora le chiesero come faceva a essere così sicura che fosse la voce di Dio. «Lo so e basta», disse con tono di nuovo duro. Il fatto è che pure quando sposò Dio e si fece terziaria francescana non perse mai la forza del suo carattere. Era scritta nei suoi occhi, quella forza. Era la pupa del gangster, la «pupa della banda Vallanzasca», come titolavano i giornali, la compagna inseparabile di Vito Pesce, il braccio destro del bel René, che la chiamava «la sorellina» e di lei diceva che non era solo bella e coraggiosa: «Angelina è stata la donna che in quanto a palle dava dei punti e tanti maschietti cazzuti. Una forza della natura. Fondamentalmente, era una femmina da sballo. Bella, intelligente, simpatica, capace di essere dolcissima. Ma quando c'era da dimostrare il suo carattere, persino il suo uomo faceva bene a non contraddirla».
Era un giorno di luglio del 1978 quando venne folgorata da Cristo, mentre doveva andare a vendicare «uno sgarro fatto ai miei compagni in carcere». Lo raccontò cinque anni dopo esatti, al meeting di Cl a Rimini: «Io posso solo tentare di farvi vedere una scena. Sono in casa, sono armata fino ai denti e quando varcherò quella porta so che l'unica cosa che devo fare è uccidere qualcuno. E sono molto determinata a farlo. È in quel momento che mi si è presentato il Signore. Non Lui, io mento se dico Lui. Ma la sua voce. E l'ho sentita benissimo. Ha solo detto "ci sono". Non ha detto altro. E io mi sono terrorizzata. Non avevo mai avuto paura di niente. Ma quella volta sì». Prima di cambiare la sua vita, Angela era stata tutto quello che poteva essere una nata come lei nella nebbia dell'anonimato ai margini della metropoli. Era stata commessa, e poi modella prima di approdare nella banda di Vallanzasca per un «atto di ribellione». Si era tatuata sulla schiena una svastica e su un dito la «N» di nazista con una croce sovrapposta. Diventò una protagonista di quegli anni di violenza e finì anche in carcere, cinque anni a San Vittore. Era una donna bellissima, hanno sempre ripetuto quelli che l'avevano conosciuta. I suoi lavoravano nel circo. Il padre faceva il giro della morte in motocicletta. Poi un gravissimo incidente l'aveva paralizzato e da allora anche la madre, Bruna, acrobata, lasciò il tendone. I suoi cercarono di avviarla agli studi, ma non ci fu verso. Angela voleva scappare, andare via da quella prigione di case grigie e uguali, dalle pene della sua famiglia. A sedici anni fuggì di casa e dopo poco tempo si legò ai ragazzi della mala che in quegli anni stavano scalando le gerarchie di Milano a mitra spianati, lasciando una scia di morte dietro di loro. Diventò la compagna di Vito pesce, uno degli uomini più spietati della banda Vallanzasca. I giornali, raccontando i corpi senza vita sparsi sulle strade, tutte quelle esplosioni di violenza e le sparatorie, li chiamavano «i killer drogati. La più feroce gang del Dopoguerra». In quegli anni morì suo padre, mentre lei veniva arrestata. Di San Vittore ricordò la vita vuota e arida dietro a quelle sbarre.
La conversione avvenne all'improvviso, quando era già una suora laica, la sua auto, una A112, venne crivellata di colpi in piena notte e lei rimase quasi in fin vita con ferite sul volto. «Gesù, Gesù aiutami...», ripeteva ai medici del Niguarda. Sua madre Bruna raccontò che «era uscita per andare a portare aiuto ai bisognosi». In realtà, quell'episodio rimase un mistero senza risposta.
Un po' come il suo viso, conservato negli archivi della cronaca nera e nelle foto che la immortalarono col velo. Non aveva più i capelli tinti di biondo e lo sguardo sprezzante. Ma gli occhi sono lo specchio dell'anima. E non sono cambiati. Erano troppo duri, quand'era ragazzina, ma anche adesso erano gli occhi di una che aveva sempre dovuto combattere nella sua vita, farsi largo tra le infinite e irrisolte violenze delle periferie, fra quegli edifici nudi che nascondevano tutti le stesse miserie e le stesse rabbie, in quelle ripetizioni di facciate sempre uguali e in quel piatto e uniforme plurale di una sconfitta comune, dove ogni finestra apparteneva solo alle nebbie della disperazione, un disegno senza altri colori che non fossero quelli dei sogni di chi vuole scappare. Alla fine però Angela Corradi è tornata qui e ci è rimasta fino alla sua morte, a 73 anni, per dedicarsi alle anime perse dei drogati, dei detenuti, dei più deboli, di tutti quelli rimasti senza speranze nella battaglia della vita. È ritornata da dov'era partita, nella terra di mezzo, nei luoghi di tutti quelli che continuano a perdere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TO.11.07.24

 

Intervento fatto al Collegio Carlo Alberto di Torino sulla censura assembleare dell’art.11 del Decreto Capitali

  • E’ sempre positiva una analisi storica democratica.
  • Qui in p.za Arbarello a TORINO c'era la Facolta' di Economia ed ho imparato l’ economia industriale  dal prof Goss Pietro.
  • Che dai 25 anni ho potuto applicare concretamente direttamente con Gianni Agnelli.
  • L’invidia dei docenti di Economia di TORINO per questa mia esperienza  formativa , mi e’ costata 16 anni di blocco per la laurea in Economia a Torino , ottenuta poi in 16 mesi a Novara, a cui e’ seguita una 2^ laurea in giurisprudenza a Torino per riabilitarmi con il prof.Dezzani di Economia e Commercio a Torino. Altri 20 anni mi blocca Economia e Commercio di Torino per l'esame da dottore Commercialista  che poi supero a Roma.
  • A 30 anni proposi a Gianni Agnelli  superFIAT, LA FUSIONE IFI FIAT , che mi chiese di portare a Cuccia, e che Gabetti e Galateri , con cui collaboravo, ed a cui chiesi un aiuto, mi bloccarono.
  • Umberto Agnelli attraverso Boschetti mi propose di rifare la Stilo, ma Morchio si oppose .
  • Muoiono Edoardo Agnelli  Gianni Agnelli  e Umberto Agnelli ,  Gabetti ,attraverso donna Marella e Yaky sceglie Marchionne  che privo di conoscenze automobilistiche, ha lasciato a  Yaky la sola scelta di VENDERE la Fiat che sta progressivamente riducendo la produzione negli stabilimenti italiani.
  • A cui Cirio Urso e Pichetto rispondono rifiutando l’esame del mio PROGETTO H2 PER AUTOTRAZIONE. Lo trovate sul mio sito www.marcobava.it. Mentre DENORA ne REALIZZA uno suo IN LOMBARDIA programmando il più importante stabilimento europeo di elettrolizzatori per produrre H2 , affiancata da  SNAM dopo che se ne parlato nell’assemblea aperta di Snam 1 mese fa, in cui viene convita del futuro della produzione dell’H2 con elettrolizzatori che fara’ appunto con Denora in Lombardia. Ed io prevedo che seguira’ la produzione  delle auto ad H2 in Lombadia invece che in Piemonte , che forse saranno finanziate da Unicredito e S.PAOLO. Queste sono visioni strategiche.
  • Tutto cio’ mentre a Torino ed in Italia il presidente del S.PAOLO ispirando l’art.11 fascista del Decreto capitali, censura, in Italia, unica nel mondo, la democrazia nelle assemblee, pero’ non applicata da Snam che forse non e’ un importante cliente di S.PAOLO.
  • Prof Goss Pietro E’ COSCIENTE dei danni che questa sua censura democratica sta provocando e provocherà rispetto alla storia del paese che avete illustrato ?
  • Perche’ lo sta facendo viste le conseguenze di impoverimento regionale e nazionale ?
  • Qual’e’ il fine ?  il POTERE FINE A SE STESSO come mi risposte anni fa Grande Stevens ?
  • La stessa decadenza si manifesta anche attraverso le assemblee Juventus in cui, anche se non sono state mai chiuse ,  sono stato aggredito 2 volte dallo staff. Tutto cio’ non puo’ che portare alla vendita della Juve come e’ successo per Fiat portando sempre piu’ il Piemonte verso la deriva democratica ed economica.
  • Senza democrazia in economia non ci può essere sviluppo. Siete d’accordo ?                                       Mb

Per confermare quale fosse il grado di conoscenza che avevo con GA che mi ha insegnato dare il 5 posso aggiungere che :

  1. soffriva di insonnia per cui leggeva ed alle 12 aveva sonnolenza
  2. amava la boxe
  3. quando aveva una influenza si curava con la penicellina

Sul prof.GP posso invece ricordare:

  1. che ho concordato l'appoggio alla sua prima nomina a presidente di Intesa S.PAOLO con il prof.Bazoli in cambio di una sua presidenza onoraria con partecipazione alle decisioni strategiche;
  2. che gli ho proposto una fusione di Unicredito in Intesa S.Paolo

 

 

 

TO.03.02.23

 

Ill.mo Signor Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera

Ill.mo Capo dello Stato Sergio Mattarella

Ill.mo Presidente del Senato

Ill.mo Presidente della Camera

Ill.ma Presidente del Consiglio

 

In questi giorni e’ in approvazione l’atto della Camera: n.1515 , Senato n.674. - "Interventi a sostegno della competitività dei capitali e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in materia di mercati dei capitali recate dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e delle disposizioni in materia di società di capitali contenute nel codice civile applicabili anche agli emittenti" (approvato dal Senato) (1515) .

L’articolo 11 (Svolgimento delle assemblee delle società per azioni quotate) modificato al Senato, consente, ove sia contemplato nello statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società. In tale ipotesi, non è consentita la presentazione di proposte di deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato unicamente prima dell’assemblea. Per effetto delle modifiche apportate al Senato, la predetta facoltà statutaria si applica anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione; inoltre, sempre per effetto delle predette modifiche, sono prorogate al 31 dicembre 2024 le misure previste per lo svolgimento delle assemblee societarie disposte con riferimento all’emergenza Covid-19 dal decreto-legge n. 18 del 2020, in particolare per quanto attiene l’uso di mezzi telematici. L’articolo 11 introduce un nuovo articolo 135-undecies.1 nel TUF – Testo Unico Finanziario (D. Lgs. n. 58 del 1998) il quale consente, ove sia contemplato nello statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il rappresentante pagato e designato dalla società. Le disposizioni in commento rendono permanente, nelle sue linee essenziali, e a condizione che lo statuto preveda tale possibilità, quanto previsto dall’articolo 106, commi 4 e 5 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, che ha introdotto specifiche disposizioni sullo svolgimento delle assemblee societarie ordinarie e straordinarie, allo scopo di contemperare il diritto degli azionisti alla partecipazione e al voto in assemblea con le misure di sicurezza imposte in relazione all’epidemia da COVID-19. Il Governo, nella Relazione illustrativa, fa presente che la possibilità di continuare a svolgere l’assemblea esclusivamente tramite il rappresentante designato tiene conto dell’evoluzione, da tempo in corso, del modello decisionale dei soci, che si articola, sostanzialmente, in tre momenti: la presentazione da parte del consiglio di amministrazione delle proposte di delibera dell’assemblea; la messa a disposizione del pubblico delle relazioni e della documentazione pertinente; l’espressione del voto del socio sulle proposte del consiglio di amministrazione. In questo contesto, viene fatta una affermazione falsa e priva di ogni fondamento giuridico: che  l’assemblea ha perso la sua funzione informativa, di dibattito e di confronto essenziale al fine della definizione della decisione di voto da esprimere. Per cui non e’ vero che la partecipazione all’assemblea si riduca, in particolar modo, per gli investitori istituzionali e i gestori di attività, nell’esercizio del diritto di voto in una direzione definita ben prima dell’evento assembleare, all’esito delle procedure adottate in attuazione della funzione di stewardship e tenendo conto delle occasioni di incontro diretto, chiuse ai risparmiatori,  con il management della società in applicazione delle politiche di engagement.

Per cui in questo contesto, si verrebbe ad applicare una norma di esclusione dal diritto di partecipazione alle assemblee degli azionisti da parte di chi viene tutelato, anche attraverso il diritto  alla partecipazione alle assemblee dall’art.47 della Costituzione oltre che dall’art.3 della stessa per una oggettiva differenza di diritti fra cittadini azionisti privati investitori che non possso piu’ partecipare alle assemblee e ed azionisti istituzionali che invece godono di incontri diretti privati e riservati con il management della società in applicazione delle politiche di engagement.

Il che crea una palese ed illegittima asimmetria informativa legalizzata in Italia rispetto al contesto internazionale in cui questo divieto di partecipazione non sussiste. Anzi gli orientamenti europei vanno da anni nella direzione opposta che la 6 commissione presieduta dal sen.Gravaglia volutamente dimostra di voler ignorare.

Viene da chiedersi perche’ la maggioranza ed il Pd abbiano approvato questo restringimento dei diritti costituzionali ?

Tutto cio’ mentre Elon Musk ha subito una delle più grandi perdite legali nella storia degli Stati Uniti questa settimana, quando l'amministratore delegato di Tesla è stato privato del suo pacchetto retributivo di 56 miliardi di dollari in una causa intentata da Richard Tornetta che ha fatto causa a Musk nel 2018, quando il residente della Pennsylvania possedeva solo nove azioni di Tesla. Il caso è arrivato al processo alla fine del 2022 e martedì un giudice si è schierato con Tornetta, annullando l'enorme accordo retributivo perché ingiusto nei suoi confronti e nei confronti di tutti i suoi colleghi azionisti di Tesla.

La giurisprudenza societaria del Delaware è piena di casi che portano i nomi di singoli investitori con partecipazioni minuscole che hanno finito per plasmare il diritto societario americano.

Molti studi legali che rappresentano gli azionisti hanno una scuderia di investitori con cui possono lavorare per intentare cause, afferma Eric Talley, che insegna diritto societario alla Columbia Law School. Potrebbe trattarsi di fondi pensione con un'ampia gamma di partecipazioni azionarie, ma spesso si tratta anche di individui come Tornetta.

Il querelante firma i documenti per intentare la causa e poi generalmente si toglie di mezzo, dice Talley. Gli investitori non pagano lo studio legale, che accetta il caso su base contingente, come hanno fatto gli avvocati nel caso Musk.

Tornetta beneficia della vittoria della causa nello stesso modo in cui ne beneficiano gli altri azionisti di Tesla: risparmiando all'azienda i miliardi di dollari che un consiglio di amministrazione asservito pagava a Musk.

Gli esperti hanno detto che persone come Tornetta sono fondamentali per controllare i consigli di amministrazione. I legislatori e i giudici desiderano da tempo che siano le grandi società di investimento a condurre queste controversie aziendali, poiché sono meglio attrezzate per tenere d'occhio le tattiche dei loro avvocati. Ma gli esperti hanno detto che i gestori di fondi non vogliono mettere a repentaglio i rapporti con Wall Street.

Quindi è toccato a Tornetta affrontare Musk.

"Il suo nome è ora impresso negli annali del diritto societario", ha detto Talley. "I miei studenti leggeranno Tornetta contro Musk per i prossimi 10 anni". Questa e’ democrazia e trasparenza vera non quella votata da maggioranza e Pd.

Infatti da 1 anno avevo chiesto di essere udito dal Senato che mi ignorato nella totale indifferenza della 6 commissione . Mentre lo sono stati sia il recordman professionale dei rappresentanti pagati degli azionisti , l’avv.Trevisan , sia altri ispiratori e sostenitori della modifica normativa proposta. Per cui mi e’ stata preclusa ogni osservazione non in linea con la proposta della 6 commissione del Senato che ha esaminato ed emendato il provvedimento e questo viola i principi di indipendenza e trasparenza delle camera e senato: dov’e’ interesse pubblico a vietare le assemblee agli azionisti per ragioni pandemiche nel 2024 ?

La prova più consistente che tale articolo non ha alcuna ragione palese per essere presentato e’ che sono state di fatto rese permanenti le misure introdotte in via temporanea per l’emergenza Covid-19 In sintesi, il menzionato articolo 106, commi 4 e 5 - la cui efficacia è stata prorogata nel tempo e, da ultimo, fino al 31 luglio 2023 dall’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228 - prevede che le società quotate possano designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante designato, previsto dall'articolo 135-undecies TUF, anche ove lo statuto preveda diversamente; inoltre, la medesima disposizione consente alle società di prevedere nell’avviso di convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale potevano essere conferite deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF. L'articolo 135-undecies del TUF dispone che, salvo diversa previsione statutaria, le società con azioni quotate in mercati regolamentati designano per ciascuna assemblea un soggetto al quale i soci possono conferire, entro la fine del secondo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l'assemblea, anche in convocazione successiva alla prima, una delega con istruzioni di voto su tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno. La delega ha effetto per le sole proposte in relazione alle quali siano conferite istruzioni di voto, è sempre revocabile (così come le istruzioni di voto) ed è conferita, senza spese per il socio, mediante la sottoscrizione di un modulo il cui contenuto è disciplinato dalla Consob con regolamento. Il conferimento della delega non comporta spese per il socio. Le azioni per le quali è stata conferita la delega, anche parziale, sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea mentre con specifico riferimento alle proposte per le quali non siano state conferite istruzioni di voto, le azioni non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione delle delibere. Il soggetto designato e pagato come rappresentante è tenuto a comunicare eventuali interessi che, per conto proprio o di terzi, abbia rispetto alle proposte di delibera all’ordine del giorno. Mantiene altresì la riservatezza sul contenuto delle istruzioni di voto ricevute fino all'inizio dello scrutinio, salva la possibilità di comunicare tali informazioni ai propri dipendenti e ausiliari, i quali sono soggetti al medesimo dovere di riservatezza. In forza della delega contenuta nei commi 2 e 5 dell'articolo 135-undecies del TUF la Consob ha disciplinato con regolamento alcuni elementi attuativi della disciplina appena descritta. In particolare, l'articolo 134 del regolamento Consob n. 11971/1999 ("regolamento emittenti") stabilisce le informazioni minime da indicare nel modulo e consente al rappresentante che non si trovi in alcuna delle condizioni di conflitto di interessi previste nell'articolo 135-decies del TUF, ove espressamente autorizzato dal delegante, di esprimere un voto difforme da quello indicato nelle istruzioni nel caso si verifichino circostanze di rilievo, ignote all'atto del rilascio della delega e che non possono essere comunicate al delegante, tali da ARTICOLO 11 42 far ragionevolmente ritenere che questi, se le avesse conosciute, avrebbe dato la sua approvazione, ovvero in caso di modifiche o integrazioni delle proposte di deliberazione sottoposte all'assemblea. Più in dettaglio, per effetto del comma 4 dell'articolo 106, le società con azioni quotate in mercati regolamentati possono designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante al quale i soci possono conferire deleghe con istruzioni di voto su tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno, anche ove lo statuto disponga diversamente. Le medesime società possono altresì prevedere, nell’avviso di convocazione, che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF, che detta le regole generali (e meno stringenti) applicabili alla rappresentanza in assemblea, in deroga all’articolo 135-undecies, comma 4, del TUF che, invece, in ragione della specifica condizione del rappresentante designato dalla società, esclude la possibilità di potergli conferire deleghe se non nel rispetto della più rigorosa disciplina prevista dall'articolo 135-undecies stesso. Per effetto del comma 5, le disposizioni di cui al comma 4 sono applicabili anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione e alle società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante. Le disposizioni in materia di assemblea introdotte dalle norme in esame non sono state approvate dal M5S il cui presidente , avv.Conte, aveva introdotto tali norme esclusivamente per il periodo Covid. Per cui l’articolo 11 in esame, come anticipato, introduce un nuovo articolo 135- undecies.1 nel Testo Unico Finanziario, ai sensi del quale (comma 1) lo statuto di una società quotata può prevedere che l’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di voto avvengano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società, ai sensi del già illustrato supra articolo 135-undecies. A tale rappresentante possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi dell'articolo 135-novies, in deroga all'articolo 135-undecies, comma 4. La relativa vigilanza è esercitata, secondo le competenze, dalla Consob (articolo 62, comma 3 TUF e regolamenti attuativi) o dall’Autorità europea dei mercati finanziari – ESMA.

L’ESMA non e’ stata mai sentita dal sen.Gravaglia su questo articolo mentre la Consob ha espresso parere contrario che sempre lo stesso ha ignorato. Ma i soprusi non finiscono qui : il comma 3 del nuovo articolo 135-undecies.1 chiarisce che, nel caso previsto dalle norme in esame. il diritto di porre domande (di cui all’articolo 127-ter del TUF) è esercitato unicamente prima dell’assemblea. La società fornisce almeno tre giorni prima dell’assemblea le risposte alle domande pervenute. In sintesi, ai sensi dell’articolo 127-ter, coloro ai quali spetta il diritto di voto possono porre domande sulle materie all'ordine del giorno anche prima dell'assemblea. Alle domande pervenute prima dell'assemblea è data risposta al più tardi durante la stessa. La società può fornire una risposta unitaria alle domande aventi lo stesso contenuto. L’avviso di convocazione indica il termine entro il quale le domande poste prima dell'assemblea devono pervenire alla società. Non è dovuta una risposta, neppure in assemblea, alle domande poste prima della stessa, quando le informazioni richieste s

 

iano già disponibili in formato "domanda e risposta" nella sezione del sito Internet della società ovvero quando la risposta sia stata pubblicatma 7, del TUF relativo allo svolgimento delle assemblee di società ed enti. Per effetto delle norme introdotte, al di là delle disposizioni contenute nell’articolo in esame che vengono rese permanenti (v. supra), sono prorogate al 31 dicembre 2024 tutte le altre misure in materia di svolgimento delle assemblee societarie – dunque non solo quelle relative alle società quotate – previste nel corso dell’emergenza Covid-19. Questo che e’ un capolavoro di capziosità di un emendamento della sen.Cristina Tajani PD , ricercatrice e docente universitaria, di indifferenziazione parlamentare negli obiettivi : dal momento che le misure previste dall’art.11 in oggetto prevedono per essere applicabili il loro recepimento statutario, lo stesso viene ottenuto nel 2024 per ragioni di Covid,  con il rappresentante pagato , che ovviamente non porrà alcuna opposizione neppure verbale.

Illustri Presidenti se questa non e’ una negazione degli art.47 e 3 della Costituzione,  contro la democrazia e trasparenza societaria , cos’e ?

Al termine di questa mia riflessione vorrei capire se in questo nostro paese esiste ancora uno spazio di rispettosa discussione democratica o di tutela giuridica nei confronti di una decisione arbitraria di una classe dirigente qui’ palesemente opaca.

Confido in una vs risposta costruttiva di rispetto della libertà progressista di un paese evoluto ma stabile e garante nei diritti delle minoranze . Anche perché quello che ho anticipato con Edoardo Agnelli sul futuro della Fiat dal 1998 in poi si e’ tristemente avverato, e solo oggi, forse,  e’ diventato di coscienza comune ,  anche se a me e’ costato pesanti ritorsioni personali da parte degli organi di polizia e giustizia torinese e della Facolta’ di Economia Commercio di Torino . Ed ad Edoardo Agnelli la morte. Non e’ impedendomi di partecipare alle assemblee che Fiat & C ritorneranno in Italia, perché nel frattempo non esistono più a causa anche di chi a Torino e Roma gli ha concesso di fare tutto quello che di insensato hanno fatto dal 1998 in poi anche contro se stessi oltre che i suoi lavoratori ed azionisti, calpestando brutalmente chi osava denunciarlo pubblicamente nel tentativo, silenziato, di fermare la distruzione di un orgoglio e una risorsa nazionale. Giugiaro racconta che quando la Volkswagen gli chiese di fare la Golf gli presento’ la Fiat 128 come esempio inarrivabile. Oggi Tavares si presenta in Italia come il nuovo Napoleone , legittimato da Yaky e scortato dalla DIGOS per difenderlo da Marco BAVA che vorrebbe solo documentargli che l’industria automobilistica italiana ha una storia che gli errori di 3 persone non debbono poter cancellare. Anche se la storia finora ha premiato chi ha consentito il restringimento dei diritti in questo paese la frana del futuro travolgerà tutti.

Basta chiederlo a Montezemolo che tutto questo lo sa e lo ha vissuto direttamente.

 

UNA ATTUALIZZAZIONE DEL:

DISCORSO DEL 30.05.1924
Giacomo Matteotti
Matteotti: «Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel 1919».
Voci: «Non è vero! Non è vero! » .
Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno: «Michele Bianchi! Proprio lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi! » .
Matteotti: «Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero, sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essi rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori, interruzioni)».
Finzi: «Non è così! » .
Matteotti: «Porterò i giornali vostri che lo attestano».
Finzi: «Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei! L'onorevole Merlin cristianamente deporrà».
Matteotti: «L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui nell'assemblea? (Rumori a destra)».
Teruzzi: «È ora di finirla con queste falsità».
Matteotti: «L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)».
Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".
Matteotti: «Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8 giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato. (Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni deputati che siedono all'estrema sinistra)».
Presidente: «Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia breve, e concluda».
Matteotti: «L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per improvvisazione, e che mi limito...».
Voci: «Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti! » .
Gonzales: «I fatti non sono improvvisati! » .
Matteotti: «Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu impedita... (Oh, oh! – Rumori)».
Voci da destra: «Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete d'accordo tutti! » .
Matteotti: «Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta elasticità! » .
Greco: «Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti».
Matteotti: «L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di corpi armati, i quali intervennero in città.. .».
Presutti: «Dica bande armate, non corpi armati! » .
Matteotti: «Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare liberamente nella loro circoscrizione!» .
Voci di destra: «Per paura! Per paura! (Rumori – Commenti)».
Farinacci: «Vi abbiamo invitati telegraficamente! » .
Matteotti: «Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate! (Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)».
Voci da destra: «L'avete studiato bene! » .
Pedrazzi: «Come siete pratici di queste cose, voi! » .
Presidente: «Onorevole Pedrazzi! » .
Matteotti: «Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di circolare nelle loro circoscrizioni! » .
Voci a destra: «Avevano paura! » .
Turati Filippo: «Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a sinistra)».
Una voce: «Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato rispettato».
Turati Filippo: «Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi a sinistra, rumori a destra)».
Presidente: «Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti! » .
Matteotti: «Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! » (Approvazioni a sinistra – Rumori prolungati)
Presidente: «Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole Rossi...».
Matteotti: «Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)».
Casertano, presidente della Giunta delle elezioni: «Chiedo di parlare».
Presidente: «Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta».
Matteotti: «Onorevole Presidente! . ..».
Presidente: «Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di continuare, ma prudentemente».
Matteotti: «Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente! » .
Presidente: «Parli, parli».
Matteotti: «I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori. Interruzioni)».
Presidente: «Facciano silenzio! Lascino parlare! » .
Matteotti: «Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)».
Una voce "Erano disoccupati! ".
Matteotti: «No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li boicottate».
Voci da destra: «E quando li boicottate voi? » .
Farinacci: «Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco! » .
Matteotti: «Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)».
Voci: «E Berta? Berta!».
Matteotti: «Conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe – stato per essere il destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati – voi avete ragione di urlarmi, onorevoli colleghi – i candidati devono sopportare la sorte della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi – anche in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal Governo e dal partito dominante – risultarono composti quasi totalmente di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile, l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare. Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo, l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo – e l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere – fu data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma, strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza – con questa conseguenza però, che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni».
Una voce a destra: «Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti! » .
Matteotti: «Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito, secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo, danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi (Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto. In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di Rovigo, questo metodo risultò eccellente».
Finzi: «Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato! » .
Matteotti: «Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato».
Finzi: «Lo provi».
Matteotti: «In queste regioni tutti gli elettori».
Ciarlantini: «Lei ha un trattato, perché non lo pubblica? » .
Matteotti: «Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate o diffidate di pubblicare le nostre cose. Nella massima parte dei casi però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia, la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)».
Suardo: «L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori – Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini, sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)».
Teruzzi: «L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on. Matteotti». (Rumori all'estrema sinistra).
Presidente: «Facciano silenzio! Onorevole Matteotti, concluda! » .
Matteotti: «lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto, riuscirono ad impedirlo».
Torre Edoardo: «Basta, la finisca! (Rumori, commenti). Che cosa stiamo a fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori – Alcuni deputati scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il Parlamento! (Commenti – Rumori)».
Voci: «Vada in Russia! »
Presidente: «Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda! » .
Matteotti: «Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori)... per queste ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di maggioranza. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni».
Terminato così il suo intervento, Matteotti dice ai suoi compagni di partito: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me». —

 

 

 

LO SFASCIO DI JAKY-MARCHIONNE:

 

https://www.la7.it/100minuti/rivedila7/100-minuti-autostop-30-04-2024-539867

 

Cara Giovanna Boursier

Ho visto il suo ottimo servizio ben documentato e non di parte .

La storia della targa della Ferrari Testarossa  grigia cabrio di GA che stava nel garage di Frescot entrando sulla destra e' che io come azionista Ifi l'avevo trovata nelle immobilizzazioni, chiesi a GA che ci stava a fare e lui la fece reimatricolare a suo nome con quella targa. Non la usava perche' mi disse che la trovava scomoda e preferiva le Fiat. L'uso' Giovanni Alberto Agnelli che ebbe un'incidente sulla Torino-Milano. Così mi disse Edoardo a cui il padre non la fece mai guidare. Edoardo aveva le Ferrari  in uso direttamente da Enzo Ferrari.

Chi sta chiudendo la Marelli e'  KKR che vorrebbe comprare la rete Tim pagandola 6 volte il suo valore come Enimont quando fu venduta da Gardini ad Eni.

A Carlo De Benedetti avevo proposto di acquisire la Fiat prima che arrivasse Marchionne, mi ha riso al TELEFONO.

Bianca Carretto forse dimentica che prima della Peugeot la Fiat fu offerta da Jaky a Renault a cui l'ho fatta saltare grazie a Nissan. Infatti poi i rapporti fra Nissan e Renault sono cambiati.

Poi Peugeot ha pagato la Fiat 2,9 miliardi rispetto ai 5 richiesti perché non c'era nessuno che volesse comprare FIAT.

Non e' vero che Marchionne ha saputo gestire la Fiat. Non capiva nulla di auto. Infatti non ha investito su LANCIA , come invece sta facendo Tavares. Maserati in 5 anni non poteva fare concorrenza a Porsche  che investe da 50 anni ! 

Marchionne non ha mai saputo scegliere un 'auto nelle presentazioni, chiedeva di farlo a chi lo avrebbe dovuto assistere !

La chimera del progetto fabbrica italiana ve la siete dimenticata tutti ?

Come le condanne per atteggiamento antisindacale a cui è stato condannato piu' volte Marchionne ?

Come De Benedetti non ne capisce nulla di computer visto che aveva il padre del Surface con Quaderno e ne' lui ne' Passera lo hanno capito.

Infatti il progetto della 500 elettrica e' sbagliato e voluto da Marchionne e realizzato da Jaky  investendo tanti soldi .

Proposte d'investimento agli Agnelli e De Benedetti vengono fatte da sempre da chi guadagna le commissioni, per cui quello che fa Jaky lo facevano anche Gabetti ed altri a NY con IFINT.

Inoltre i rapporti diretti internazionali sono tantissimo. Io in un we a Garavicchio a casa di Carlo Caracciolo mi sono trovato in piscina ed a tavola con il marito di Margherita, Giovanni Alberto, Edoardo e Carlo Caracciolo che mi ha chiesto come poteva difendersi da Carlo De Bebedetti. Io gli suggerii di entrare in Cofide e lui lo fece. 3 mesi dopo GA, dandomi il 5,  mi soprannominò in pubblico Mark Spitz,  per comunicarmi che sapeva tutto .

Il patrimonio di Gianni Agnelli io lo stimo in 100 miliardi , con dei parametri approvati da Grande Stevens, per cui a MARGHERITA hanno dato l'1%.

Il patrimonio di G.A lo gestivano Gabetti e Bormida.

Margherita e' come sua madre , prende tempo per allargarsi . Edoardo no infatti e' stato ucciso perche' non voleva rinunciare ai suoi diritto ereditari sulla Dicembre, a cui il Pm di Mondovi, Bausone non credeva , quando glielo dissi 2 giorni dopo l'omicidio di Edoardo.

L'ex Bertone finirà come Termoli.

IL RESTO glielo allego come anticipazione di un libro che forse uscira'.

La proposta del Marocco e' stata fatta ai fornitori gia' a Torino all'Hotel Ambasciatori nelle stesse ore in cui a 200 metri all'Hotel Concorde c'era il ministro Pichetto, a cui l'ho detto senza ricevere alcuna risposta, come per la mia proposta del progetto dell'H2 per autotrazione che rilancerebbe l'intera economia nazionale, produzione auto compresa che allego.

Tenete conto che dietro ogni persona c'e' un uomo nero, quello di Jaky per me e' a voi noto :Griva.

Resto a Sua disposizione per ogni chiarimento e documentazione,

Buon lavoro.

Marco BAVA

 

"L'Avvocato voleva adottare John Il controllo della Dicembre non cambia"
Jennifer Clark
"

Il libro
Così su La Stampa
Un rapporto difficile, quello dei tre fratelli Elkann con la madre Margherita, un problema «nato ben prima che lo scontro arrivasse nelle aule dei tribunali». Jennifer Clark, giornalista, già caporedattrice per l'Italia di Dow Jones dopo le esperienze a Bloomberg e Reuters, ha seguito per anni le vicende degli Agnelli. Recentemente ha pubblicato per Solferino "L'ultima dinastia" sulla loro saga famigliare.
Clark, in una intervista ad Avvenire John Elkann parla per la prima volta di "un clima di violenza fisica e psicologica" subìto da lui e dagli altri due fratelli Elkann da parte della madre. Da dove nasce, secondo lei, quella tensione?
«Per scrivere il libro ho parlato a lungo con gli esponenti della famiglia, a partire da John. Il problema dei figli Elkann con la madre viene da lontano perché, in un certo senso, è la conseguenza dei problemi di Margherita ed Edoardo con i genitori, in particolare con il padre, l'Avvocato».
Lei scrive che Gianni Agnelli era un padre poco affettuoso. Che rapporto c'è tra questo e lo scontro di Margherita con i tre figli Elkann?
«Lo squilibrio diviene palese quando Margherita divorzia da Alain Elkann e si risposa con Serge de Phalen. Due mondi quasi opposti: dallo scrittore parigino bohemien al nobile russo che sogna il ritorno della grande Russia dei Romanov. Margherita si converte alla religione ortodossa. Inizia a dipingere icone. E vorrebbe che diventassero ortodossi anche John, Lapo e Ginevra. Li costringe a dire le preghiere e a partecipare ai campi estivi dei nostalgici zaristi in Francia che ogni mattina li fanno assistere all'alza bandiera con lo stendardo imperiale dell'aquila a due teste. I figli del secondo matrimonio sono russi a tutti gli effetti e vivono a loro agio in quel mondo. I figli Elkann no. A questo punto intervengono i nonni».
In che modo?
«Chiamando sempre più spesso i tre nipoti a trascorrere lunghi periodi con loro. Per sottrarli a quel mondo estraneo. Per questo John dice oggi che è stata decisiva per lui e i fratelli la protezione dei nonni. Ma questo ha finito per rendere i rapporti tra Margherita e i suoi genitori ancora più difficili».
Il nonno aveva dato ai nipoti l'affetto che era mancato alla figlia come se l'affettività avesse saltato una generazione?
«Esattamente. Il rapporto tra i nipoti e il nonno è diventato sempre più stretto al punto che un giorno l'Avvocato accarezzò l'idea di adottare John. Come si sa poi non se ne fece nulla».
Se i rapporti erano tanto tesi perché allora, alla morte dell'Avvocato, Margherita accettò di rinunciare alle quote della Dicembre in cambio di denaro?
«Lei ha sempre sostenuto di averlo fatto nel tentativo di riportare la pace in famiglia. È anche vero che conosceva l'atto notarile con cui l'Avvocato, fin dal 1999, consegnava a John la gestione della Dicembre e quindi deve avere pensato che, persa la partita per il potere, tanto valeva giocarsi quella del denaro. Del resto, quell'atto del '99 era stato firmato da tutti i familiari, anche da lei».

NON E' VERO : EDOARDO NON LO HA MAI FIRMATO. PER QUESTO LO HANNO UCCISO. Mb
Lei ha poi tentato, e lo sta facendo ancora oggi, di rimettere in discussione quella scelta…
«Certo e questo è uno dei nodi delle cause legali. Ma la scelta di non partecipare alla Dicembre ha finito per isolare ancora di più Margherita. Si diceva che avesse confidato a Lupo Rattazzi le sue perplessità su futuro della Fiat: "Rischia di fare la fine della Parmalat". Erano gli anni in cui il fallimento della Parmalat aveva fatto molto rumore. Come se lei avesse scelto di scendere dalla nave nel momento di massima difficoltà dell'azienda. Già nel 2004, al matrimonio di John e Lavinia, la presenza di Margherita era stata incerta fino all'ultimo».
Da allora in poi la frattura si è andata allargando. Le battaglie in tribunale contro la madre Marella e ora contro i figli Elkann hanno aggravato la situazione. Quali conseguenze potranno avere secondo lei?
«Dal punto di vista della governance della Dicembre, la società che controlla la Giovanni Agnelli e, per il tramite di questa, Exor non credo che ci potranno essere conseguenze. L'atto notarile del 1999 non lascia scampo. Diverso è il discorso se passiamo dalla governance alle quote. È in teoria possibile che, se venisse accolta la tesi dei legali di Margherita, si riconosca il diritto della figlia di Gianni Agnelli ad avere la sua quota di legittima e dunque un pacchetto di azioni della Dicembre. Ma non credo proprio che questo impedirebbe a John di governare come fa oggi».

Si perché perderebbe il controllo in quanto il 75% passerebbe a Margherita ed il 25% Jaky 20% . Mb

 

 

 

 

 

TAVARES E  JAKY NEL 23

 

Un compenso da 36,5 milioni è adeguato per il ceo di una società capace di generare 18,6 miliardi di profitti e di versare ai soci quasi 8 miliardi? Per i proxy advisor […] no. In vista dell’assemblea del 16 aprile, […] Glass Lewis e Iss hanno raccomandato agli azionisti di Stellantis di votare contro gli stipendi percepiti […] dai manager del gruppo.



A loro giudizio, la paga del ceo Carlos Tavares è «eccessiva»: vale 518 volte il salario medio dei dipendenti di Stellantis che, intanto, sta attuando massicci piani di esuberi […].



[…] Iss ha criticato anche il benefit da 430 mila euro accordato al presidente John Elkann che ha potuto utilizzare l’aereo aziendale per scopi personali. I suggerimenti dei proxy sono di norma accolti dai fondi internazionali. Se al loro si aggiungesse il «no» del governo francese, socio di Stellantis al 9,9%, la relazione sui compensi potrebbe incorrere in una sfiducia. Dal valore consultivo, è vero; ma fortemente simbolico.

 

 

IL 10.12.23 PROGRAMMA TELEVISIVO SU L'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI SU  PIAZZA LIBERTA', il programma di informazione condotto da Armando Manocchia,  su BYOBLU CANALE 262 DT CANALE

https://www.byoblu.com/2023/12/10/piazza-liberta-di-armando-manocchia-puntata-87/

https://youtu.be/_DJONMxixO8?si=rKoapPc2-8JtHha8

https://youtu.be/B05tTBK-w0E?si=O5XxvZFIr61tYU7w

https://www.youtube.com/watch?v=t0OrCSg1IZc

https://www.youtube.com/watch?v=Mhi-IY_dfr4

 

https://www.youtube.com/watch?v=ej0LPowV9YI

 

OSSERVAZIONI

  1. IL GRANDE AMICO DI EDOARDO CON CUI FECE VIAGGI ERA LUCA GAETANI
  2. EA NON FECE MAI NESSUNA CESSIONE DEI SUOI DIRITTI EREDITARI
  3. NE' EBBE ALCUN DISSIDIO CON GIOVANNI ALBERTO AGNELLI, DA CUI SOGGIORNAVA ANDANDO E TORNANDO DA GARAVICCHIO.
  4. INFATTI QUANDO CI FU L'EPISODIO DEL KENIA FU GIOVANNI ALBERTO AGNELLI AD ANDARLO A TROVARE.
  5. I LEGAMI CON LA SORELLA MARGHERITA NON EERANO STRETTI COME QUELLI CON I CUGINI LUPO RATTAZZI ED EDUARDO TEODORANI FABBRI. INFATTI NON ESISTONO LETTERE FRA EDOARDO E MARGHERITA .
  6. DEL CAMBIO DELLA SUCCESSIONE DA GIOVANNI ALBERTO A JAKY EA LO HA SAPUTO DALLA MADRE CHE NE HA CONVITO GIANNI PER NON PERDERE I PRIVILEGI DELLA PRESIDENZA FIAT,
  7. L'INTERVISTA AL MANIFESTO FU PROPOSTA DA UN GIORNALISTA DI REPUBBLICA PERCHE' LUI L'AVREBBE VOLUTA FARE MA NON GLIELO PERMETTEVANO.
  8. NON CI SONO PROVE CHE EA FOSSE DEPRESSO,
  9. LA PATENTE DI EA LA TENEVA LA SCORTA E NON ERA SUL CRUSCOTTO MA NEL CASSETTO DELLA CROMA EX DELL'AVVOCATO CON MOTORE VOLVO E CAMBIO AUTOMATICO, NON BLINDATA.
  10. LE INDAGINI SULL'OMICIDIO DI EA SONO TUTT'ORA APERTE PRESSO LA PROCURA DI CUNEO.

 

 

GRIVA QUANDO ENTRA IN SCENA ?

L’IMPERO DI FAMIGLIA: ECCO PERCHÉ ADESSO RISCHIA DI CROLLARE TUTTO

Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per “il Fatto quotidiano”

È l’attacco al cuore di un mito: quello degli Agnelli. E a pagarne le conseguenze più dure potrebbe essere lui, l’erede che non porta più quel cognome, John Elkann.
A rischio di veder messo in ballo il ruolo che suo nonno gli aveva assegnato: la guida dei tesori di famiglia. Tutto passa per la Svizzera, dove Marella Caracciolo, vedova dell’avvocato, ha sempre dichiarato di avere la residenza sin dagli anni 70.
E con la cui legge successoria ha poi regolato i conti con la figlia: per escludere Margherita dalla propria eredità e, soprattutto, permettere al nipote di diventare il nuovo capo della dinastia.
[…] quella residenza […] ora piomba nell’inchiesta per frode fiscale della Procura di Torino. E i pm hanno poteri di accertamento rapidi e quasi immediati […]. Vediamo, punto per punto, che cosa c’è e che cosa indica quel documento e come potrebbe segnare i clamorosi sviluppi delle indagini.



1) La residenza svizzera. È decisiva: per stabilire se sono validi sia l’accordo e il patto firmati da Marella con la figlia a Ginevra nel 2004, sulla successione dell’avvocato e sulla sua, sia il testamento e le due aggiunte con i quali ha indicato come eredi i nipoti John, Lapo e Ginevra.
E infine per accertare la possibile evasione fiscale sul suo patrimonio. Trevisan spiega che la vedova dell’avvocato, dal 2003 sino alla morte nel 2019, non ha mai vissuto in Svizzera i 180 giorni all’anno necessari per poter mantenere quel diritto. “Ha trascorso ogni anno, in media, oltre 189 giorni in Italia, 94 in Marocco e solo circa 68 in Svizzera”. Se tutto saltasse, Margherita tornerebbe in campo nel controllo dell’impero Agnelli.



2) Gli “espedienti” sulla residenza. Il legale indica anche le presunte mosse per mascherare la permanenza di Marella in Italia. […] “Occorreva non far risultare intestate a Marella Caracciolo le utenze degli immobili in Italia e i relativi rapporti di lavoro... Un appunto del commercialista Gianluca Ferrero suggeriva che non fossero a lei riconducibili né dipendenti né animali, facendo risultare che i domestici fossero alle dipendenze di Elkann […]”.



3) Il personale delle ville. La ricostruzione di Trevisan […] sembrerebbe confermare i “consigli” di Ferrero. I magistrati […] stanno […] ascoltando le testimonianze di chi gestiva le residenze di famiglia. Il legale di Margherita ha contato oltre 30 dipendenti […]. I contratti erano intestati formalmente a Elkann, ma loro erano sempre al servizio della nonna.

4) I testamenti, veri o falsi. Nell’esposto, Trevisan affida alla Procura […] il compito di esaminare l’autenticità del testamento di Marella Caracciolo e delle due “aggiunte”, redatti dal notaio svizzero Urs von Grunigen. […] il legale aveva già sostenuto che, secondo due diverse perizie grafiche, almeno nella seconda “aggiunta” la firma della signora “appare apocrifa, con elevata probabilità”. Giovedì pomeriggio, la Guardia di Finanza si è presentata alla Fondazione Agnelli, proprio per acquisire vecchi documenti firmati da Marella e confrontare le firme.



5) Le fiduciarie di famiglia. Le Fiamme Gialle hanno anche prelevato migliaia e migliaia di pagine e documenti legati a quattro diverse fiduciarie, tutte citate nell’esposto di Trevisan. Due di esse, la Simon Fiduciaria e la Gabriel Fiduciaria facevano riferimento, un tempo, all’avvocato Franzo Grande Stevens e oggi sono state assorbite nella Nomen Fiduciaria della famiglia Giubergia e nella banca privata Pictet di Ginevra.
Che cosa può nascondersi in quegli “scrigni” votati alla riservatezza? Due cose, entrambe importanti. La prima […] riguarda il fatto se in esse sia potuto transitare denaro proveniente da 16 società offshore delle Isole Vergini britanniche, tutte intestate o a Marella Agnelli o a “membri della famiglia”, come la “Budeena Consulting Inc.” che, da sola, aveva in cassa 900 milioni dollari.
La seconda riguarda la possibilità che gli inquirenti possano trovare le tracce degli scambi azionari, tra la nonna e i nipoti, della “Dicembre”, la società semplice creata dall’avvocato nel 1984 per custodire il tesoro di famiglia e che oggi consente a John Elkann di gestire, a cascata, i 25,5 miliardi di patrimonio della holding Exor.


2. INCHIESTA ELKANN: LA GDF A CACCIA DI SOCIETÀ OFFSHORE

Estratto dell’articolo di Marco Grasso per “il Fatto quotidiano”

IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME

Margherita Agnelli […] dà la caccia ai capitali offshore di famiglia, che le sarebbero stati occultati nell’accordo sull’eredità. La Procura di Torino cerca i redditi, potenzialmente enormi, che sarebbero stati occultati al Fisco, attraverso fiduciarie collegate a paradisi fiscali.

Questi due interessi potrebbero convergere se cadesse il baluardo che finora ha protetto la successione della dinastia più potente d’Italia: la presunta residenza elvetica di Marella Caracciolo, moglie di Gianni e madre di Margherita. Se saltasse questo cardine, le autorità italiane potrebbero contestare reati tributari e sanzioni fiscali agli Elkann, e questa storia, come una valanga, potrebbe travolgere anche i contenziosi civili sull ’eredità, aperti in Svizzera e in Italia.

Sono tre gli indagati nell’in chiesta condotta dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Giulia Marchetti: Gianluca Ferrero, commercialista della famiglia Agnelli e presidente della Juventus; Robert von Groueningen, amministratore dell’eredità di Marella Agnelli (morta nel 2019); John Elkann, nipote di Marella, presidente di Stellantis ed editore del gruppo Gedi.

L’ipotesi è di concorso in frode fiscale e in particolare di dichiarazione infedele al Fisco per gli anni 2018-2019. In base all’intesa sulla successione di Gianni Agnelli nel 2004 […] Margherita accetta l’estromissione dalle società di famiglia in cambio di 1,2 miliardi; ottiene l’usufrutto su vari beni immobiliari e si impegna a versare alla madre Marella un vitalizio mensile da 500 mila euro. Di questi soldi non c’è traccia nei 730, da cui mancano in altre parole 8 milioni di euro (3,8 milioni di tasse).

Il perché gli investigatori si concentrino su quel biennio è presto detto: per chi indaga Marella Caracciolo, malata di Parkinson, era curata in Italia. La Procura ritiene che passasse gran parte del tempo a Villa Frescot, a Torino, oltre 183 giorni l’anno, la soglia dopo la quale il Fisco ritiene probabile che una residenza estera sia fasulla. Per questo ieri il Nucleo di polizia economico finanziaria di Torino […] ha sentito sei testimoni vicini alla famiglia: personale che di fatto lavorava al servizio di Marella, ma che era stato assunto dopo la morte del nonno da John Elkann o da società a lui riconducibili, un artificio che avrebbe rafforzato la tesi della residenza estera della nonna.

Questo è l’anello che mette nei guai l’erede della casata. Per i pm il commercialista Ferrero avrebbe disposto le dichiarazioni dei redditi infedeli, mentre l’esecutore testamentario svizzero le avrebbe controfirmate.

Ci sono inoltre le indagini commissionate da Margherita Agnelli all’investigatore privato Andrea Galli, confluite in un esposto in mano alla Procura. Lo 007 ha ricostruito le spese nella farmacia di Lauenen, villaggio nel cantone di Berna in cui sulla carta viveva Marella Caracciolo: dalle fatture fra il 2015 e il 2018 emergerebbe che le spese mediche coprivano il solo mese di agosto. […]

GLI INQUIRENTI cercano di ricostruire il flusso di redditi, la riconducibilità dei patrimoni e documenti originali in grado di verificare la validità delle firme sui testamenti. Se dovesse essere rimessa in discussione la residenza di Marella, si aprirebbe un nuovo scenario: il Fisco potrebbe battere cassa e contestare mancati introiti milionari per Irpef, Iva, successione e Ivafe (tassa sui beni esteri). Gli Elkann sono pronti a difendersi dalle accuse, e hanno sempre contestato la ricostruzione di Margherita.

 

 

DOPO 25 ANNI MARGHERITA HA PENSATO AI FRATELLI DI YAKY, LAPO E GINEVRA , COME GLI AVEVA DETTO EDOARDO:

Margherita Agnelli vuole costringere per via giudiziaria i suoi tre figli Elkann a restituire i beni delle eredità di Gianni Agnelli (morto nel 2003) e Marella Caracciolo (2019).

Un’ordinanza della Cassazione pubblicata a gennaio mette in fila, sintetizzando i «Fatti in causa», le pretese della madre di John Elkann nella sua offensiva legale. Il punto d’arrivo è molto in alto nel sistema di potere dei figli: l’assetto della Dicembre, la cassaforte (60% John e 20% ciascuno Lapo e Ginevra Elkann) azionista di riferimento dell’impero Exor, Stellantis, Ferrari, Juventus, Cnh ecc. (35 miliardi).


[…] La Corte suprema nella sua ordinanza si occupa di una questione tecnica laterale, annullando parzialmente […] la decisione del tribunale di Torino di sospendere i lavori in attesa dei giudici svizzeri. […] la Cassazione […] sintetizza in modo neutrale le richieste di Margherita e cioè, innanzitutto, «che sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia del testamento della madre».



E dunque «che sia aperta la successione legittima, sia accertata in capo all’attrice (Margherita ndr) la sua qualità di unica erede legittima della madre, sia accertata la quota della quale la madre poteva disporre e […] sia accertata la lesione della quota di riserva a essa spettante». A questo punto ci deve essere «la conseguente reintegra della quota mediante riduzione delle donazioni, anche dirette e dissimulate, e condanna dei convenuti (gli Elkann, ndr) alle restituzioni».

Il tema delle donazioni è fondamentale perché potrebbero essere i «mattoni» con cui si è costruita la governance a trazione John nella Dicembre. Margherita «in ogni caso ha chiesto la dichiarazione della sua qualità di erede del padre (...) e la condanna dei convenuti a restituire i beni dell’eredità del padre».



La manovra legale è dunque tesa ad azzerare tutto, proiettando Margherita nel ruolo di unica erede legittima della madre. E nell’eventuale riconteggio dell’eredità materna entrerebbero le donazioni anche «indirette e dissimulate».



JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON LAVINIA BORROMEO
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON LAVINIA BORROMEO

Nella costruzione dell’attuale assetto della Dicembre con John al comando sono state decisive alcune transazioni con la nonna Marella dopo la morte (2003) di Gianni Agnelli. Secondo i figli de Pahlen, […] per il calcolo della quota legittima, nel perimetro ereditario della nonna Marella dovrebbe entrare anche il «75% della Dicembre, per il caso in cui si accertasse la simulazione degli atti di compravendita, il cui valore è stimato in euro 3 miliardi». Sostengono anzi che la nonna abbia «effettuato donazioni delle partecipazioni della Dicembre al nipote John per (...) circa 3 miliardi».



John Elkann e la madre Margherita entrano nella cassaforte come soci nel 1996, con Gianni Agnelli al comando. Nel ’99 l’Avvocato modifica lo statuto e detta il futuro: «se manco o sono impedito — è il senso — tutti i poteri vanno a John» che, alla morte del nonno, sale al 58%.
L’anno dopo (2004) Margherita vende per 105 milioni il 33% alla madre ed esce dalla Dicembre sulla base del patto successorio. Subito dopo la nonna cede tutto ai nipoti, tenendo l’usufrutto: John si consolida al 60%, una leadership che nel suo entourage giudicano «inattaccabile», a Lapo e Ginevra il resto. È l’assetto attuale di cui però s’è avuta notizia ufficiale nel 2021, dopo 17 anni di carte, transazioni e patti tenuti nascosti. Un bug temporale a dir poco anomalo per una delle più influenti società in Europa, inspiegabilmente tollerato per anni dalla Camera di Commercio di Torino. Anche su questo fa leva la strategia di Margherita per «scalare» il sancta sanctorum degli Elkann.

 

«La costruzione di una residenza estera fittizia» in Svizzera di Marella Caracciolo «ha avuto una duplice e concorrente finalità: da un lato, sotto il profilo fiscale, evitare l’assoggettamento a tassazione in Italia di ingenti cespiti patrimoniali e redditi derivanti da tali disponibilità; dall’altro, sotto il profilo ereditario, sottrarre la successione» della vedova dell’Avvocato «all’ordinamento italiano»: lo scrivono i magistrati di Torino nel decreto di sequestro che ha portato al blitz di ieri (7 marzo) della guardia di finanza, nell’ambito dell’inchiesta sull’eredità Agnelli e sulle presunte «dichiarazioni fraudolente» dei redditi di Marella Caracciolo. Per questo, è scattata anche una nuova ipotesi di reato: «truffa aggravata ai danni dello Stato e di ente pubblico (Agenzia delle entrate)».

Eredità Agnelli, i 734 milioni di euro lasciati da Marella e l'appunto sulla residenza svizzera: «Una vita di spostamenti»
CRONACA
Eredità Agnelli, i pm e gli appunti della segretaria di Marella Agnelli: «Sono la prova che non viveva in Svizzera»
Tra i beni in questione - secondo il Procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Marchetti - ci sarebbero 734.190.717 euro, «derivanti dall’eredità di Marella Caracciolo».

Per la truffa aggravata sono indagati i tre fratelli Elkann, John, Ginevra e Lapo, lo storico commercialista della famiglia Gianluca Ferrero e Urs Robert von Gruenigen, il notaio svizzero che curò la successione testamentaria.
Gli investigatori - emerge dal decreto - hanno messo le mani anche su un documento di quattro pagine «riepilogante in forma schematica i giorni di effettiva presenza in Italia di Marella Caracciolo»: morale, nel 2015 la moglie di Gianni Agnelli dimorò «in Svizzera meno di due mesi», contro i 298 giorni passati in Italia. Nel 2018 il conto è di 227 giorni in Italia e 138 all’estero. Significativa anche la denominazione dell’ultima pagina del documento: «Una vita di spostamenti».

 

Un secondo "round" si è combattuto ieri davanti al tribunale del riesame di Torino tra la Procura subalpina e lo staff di avvocati che difendono i fratelli Elkann, indagati per truffa ai danni dello Stato per non aver pagato la tassa di successione su una porzione di eredità della nonna, pari a 734 milioni di euro.



I penalisti hanno impugnato il decreto con cui i pm il 6 marzo hanno disposto un nuovo sequestro dei documenti […] già acquisiti dai finanzieri durante le perquisizioni del 7 febbraio. E gli inquirenti hanno risposto depositando ai giudici materiale investigativo finora inedito, tra cui delle intercettazioni e soprattutto i tredici verbali del personale al "servizio" di Marella Caracciolo.



La tesi accusatoria - secondo cui John Elkann avrebbe fatto figurare che domestici e infermiere lavoravano per lui, «al fine di non compromettere la possibilità che la defunta nonna fosse effettivamente residente in Svizzera» - «appare largamente confermato dalle dichiarazioni» degli ex dipendenti sentiti come testimoni in Procura. In sostanza, quasi tutti hanno confermato che prestavano assistenza alla signora Agnelli quando lei risiedeva nelle dimore torinesi, ossia per la maggior parte dell'anno.

Nel locale caldaie dell'abitazione del pupillo di Gianni Agnelli, […] i militari del nucleo economico finanziario di Torino hanno trovato una ventina di faldoni con i documenti di «domestici, cuochi, autisti, governante, guardarobiera, maggiordomi». Per realizzare quella che i pm ritengono esser una «strategia evasiva», ossia non pagare le tasse sull'eredità in Italia, John avrebbe assunto formalmente il personale delle residenze di Villa Frescot, Villa To e Villar Perosa che «assisteva di fatto Marella Caracciolo».


A sommarie informazioni è stata sentita anche Carla Cantamessa, che si occupava della gestione amministrativa delle abitazioni riconducibili alla famiglia Angelli-Elkann. […] «al momento della perquisizione (del 7 febbraio, ndr) contattava immediatamente Gianluca Ferrero (il commercialista di famiglia indagato, ndr), avvisandolo dell'arrivo della Finanza e mostrando timore e preoccupazione per documenti che avrebbe dovuto "nascondere"».



In quel momento, però, i finanzieri stavano bussando anche alla porta del commercialista, che quindi ha subito riagganciato il telefono. Tra il materiale che le è stato sequestrato ci sono anche documenti sui «giardinieri dismessi dal 2020», ossia successivamente alla morte di Marella. La "prova del nove" è che quasi tutti i dipendenti assunti da John sono stati licenziati dopo che sua nonna, il 23 febbraio 2019, è deceduta.


Secondo i legali degli Elkann non esistono gli estremi del reato di truffa ai danni dello Stato nel caso di mancato pagamento della tassa di successione. Avvalendosi anche di un parere del professore Andrea Perini, docente di diritto penale tributario, hanno specificato […] che al massimo si tratta di un illecito amministrativo. Per i pm, invece, gli «artifizi e i raggiri» previsti dal reato di truffa si sono concretizzati proprio nel trucco della residenza in Svizzera di Marella, con il quale i tre nipoti avrebbero «indotto in errore» l'Agenzia delle entrate […], e così facendo avrebbero tratto «l'ingiusto profitto» di risparmiare tra i 42 e i 63 milioni di euro di tasse.



Tra l'altro, la «strategia evasiva» è esplicitata nel cosiddetto «vademecum della truffa» redatto da Ferrero, in cui si consiglia a chiare lettere «di non sovraccaricare la posizione italiana di Marella Caracciolo», facendo assumere i suoi dipendenti al nipote maggiore. L'altro punto su cui insistono le difese è il «ne bis in idem», il principio in base al quale non si può essere giudicati due volte per lo stesso fatto.

Ma la truffa ai danni dello Stato era già stata ipotizzata dalla Procura torinese prima che venisse eseguito il secondo sequestro, ora impugnato dagli Elkann e da Ferrero. I giudici, dopo quasi quattro ore di udienza, si sono riservati di decidere entro sabato prossimo. […]

EREDITÀ AGNELLI, 'I QUADRI SONO CUSTODITI AL LINGOTTO'

Francesca Brunati e Igor Greganti per l’ANSA

Sarebbero tutte rintracciate e rintracciabili, e donate dalla nonna ai nipoti Elkann, le 13 opere d'arte, parte del tesoro lasciato da Gianni Agnelli, e che un tempo arredavano Villa Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma, e ora reclamate dalla figlia Margherita, unica erede dei beni immobili dopo la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale ne aveva l'usufrutto.



E' quanto risulta in sintesi da una relazione depositata alla Procura di Milano dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf nell'inchiesta che ha portato il gip Lidia Castellucci ad archiviare la posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore accusati di ricettazione e a disporre, su suggerimento di Margherita nella sua opposizione alla richiesta di archiviazione, ulteriori accertamenti.

L'informativa delle Fiamme Gialle è stata redatta in base alle testimonianze, riportate nell'atto, di Paola Montalto e Tiziana Russi, persone di fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari dei beni ereditati. Le due donne, sentite come una terza persona al servizio della moglie dell'Avvocato, hanno ricostruito che quelle tele di artisti del calibro di Monet, Picasso, Balla e De Chirico erano alle pareti dell'appartamento romano a Palazzo Albertini-Carandini, di cui Margherita ha la nuda proprietà, e che furono poi donate ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra dalla nonna.

Dichiarazioni, queste, a cui è stato trovato riscontro: come è emerso successivamente alle tre deposizioni, quasi tutte le opere d'arte sono state trovate al Lingotto durante una ispezione della Guardia di Finanza, delegata dalla Procura torinese nell'indagine principale sull'eredità. Una invece sarebbe in una casa a St. Moritz e una sua copia nella pinacoteca di via Nizza.

Dalle consultazioni di una serie di banche dati "competenti", in particolare quelle del ministero della Cultura e la piattaforma S.u.e. (Sistema uffici esportazione) è stato appurato che non ci sono state movimentazioni illecite né esistono particolari vincoli sui quadri e che il Monet, che si sospettava fosse falso, è stato sottoposto a una perizia che ne ha acclarato l'autenticità.



Visto gli esiti delle nuove indagini, i pm milanesi coordineranno con i colleghi di Torino, ai quali, non si esclude potrebbero trasmettere gli atti per competenza. Sul caso fonti vicine a Margherita chiariscono che "i quadri oggetto di denuncia nel procedimento di Milano (che prosegue) non possono essere stati donati, in quanto Marella non ne aveva la proprietà.



Peraltro, non risulta ad oggi formalizzato alcun documento di donazione. Comunque, qualora le indiscrezioni fossero confermate, vi sarebbero atti invalidi e verrebbe richiesta l'immediata restituzione delle opere che sono e restano di proprietà di Margherita Agnelli". Una questione, quella della proprietà, che potrà sciogliere solo la magistratura.


FAIDA EREDITÀ AGNELLI: IL GIALLO DEI 13 QUADRI E DEGLI ORIGINALI SPARITI

Estratto dell’articolo di Ettore Boffano e Manuele Bonaccorsi per “il Fatto quotidiano”



Diventa un giallo milionario […] la verità sulle opere della Collezione Agnelli finite nell'inchiesta penale sull'eredità della vedova dell’avvocato, Marella Caracciolo.



Secondo un’annotazione della Guardia di Finanza di Milano, consegnata al procuratore aggiunto milanese Luca Fusco, 13 di quei quadri non sarebbero infatti scomparsi dalle dimore italiane della dinastia (come ha denunciato la figlia di Gianni Agnelli, Margherita), ma sarebbero state donate dalla nonna Marella ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra Elkann e ora sarebbero “rintracciati e rintracciabili” in un caveau della Fiat Security al Lingotto e in Svizzera.

Molto diverso, invece, ciò che emergerebbe dalle indagini che stanno svolgendo la Procura e la Gdf di Torino, dopo un esposto di Margherita contro i tre figli. Un fascicolo, al quale nei prossimi giorni sarà allegato quello di Milano, che ha portato i pm torinesi a indagare i tre Elkann per i “raggiri e gli artifizi” messi in opera per costruire una “inesistente residenza svizzera” della nonna.



Nei sequestri effettuati lo scorso 8 febbraio, i finanzieri avevano visitato anche un caveau nella palazzina storica Fiat del Lingotto, dove erano conservati arredi di valore un tempo presenti nelle residenze dell’avvocato di Villar Perosa, di Villa Frescot a Torino e nell’appartamento di Palazzo Albertini davanti al Quirinale.



Il Fatto Quotidiano e Report […] hanno ricostruito però che gli inquirenti torinesi hanno rinvenuto al Lingotto solo due originali, La Chambre di Balthus e il Pho Xai di Gérome, e invece tre copie di modesto valore di altri tre capolavori: il Glacons effect blanc di Monet, La scala degli addii di Balla e il Mistero e malinconia di una strada di De Chirico.
Ma dove sono gli originali? Secondo gli Elkann, […] sarebbero sempre stati a Sankt Moritz, nella villa Chesa Alkyon dell’avvocato. Per il momento, la Procura torinese sta approfondendo soprattutto le vicende legate alla residenza svizzera di Marella e agli eventuali resti fiscali. Ma è probabile che in un secondo tempo, […] i pm ordinino una perizia per accertare l’esatta datazione delle copie.



Se emergesse, infatti, che esse sono state realizzate dopo il 24 gennaio 2003, giorno della morte di Gianni Agnelli, allora le indagini potrebbero estendersi a verificare quando e come gli originali hanno lasciato l’italia per la Svizzera e sostituiti con le copie. Se fosse mai dimostrato che i tre quadri si trovavano in Italia, allora potrebbe trattarsi di un reato. E anche piuttosto grave: esportazione illecita di opere d’arte, punito dal Codice dei beni culturali con una pena dai 2 a 8 anni di reclusione.
Tutto potrebbe essere prescritto: ciò che invece non si prescriverà mai è il diritto da parte dello Stato di rivendicare il rientro delle opere in Italia, con un sequestro. A sostegno delle tesi degli Elkann, secondo la Gdf di Milano, ci sarebbero anche le testimonianze di due segretarie di Marella, Paola Montaldo e Tiziana Russi, e di un altro domestico che avrebbero confermato come la nonna avesse donato quei quadri ai nipoti.

Qualcosa che contraddice l’elenco delle opere acquisito dal procuratore aggiunto Fusco nel 2009, in un’altra inchiesta sull’eredità Agnelli, e di cui Report e il Fatto Quotidiano sono entrati in possesso. Una lista ritenuta veritiera da due personaggi chiave: colui che l’ha redatta, Stuart Thorton, storico maggiordomo inglese di Agnelli, ed Emmanuele Gamna, ex avvocato di Margherita che trattò la suddivisione delle opere tra madre e figlia nel 2004.



Il documento riporta quotazione (assai al ribasso) e collocazione delle opere. Il De Chirico si trovava a Roma: valore 7 milioni. Il Balla anch’esso era nella Capitale: 2 milioni. C’era infine il Monet che risultava essere a Villa Frescot: 8 milioni. L’originale non si sa dove si trovi.



I quadri di Roma […] erano lì almeno fino al 2018, quando un trasportatore, il torinese Giorgio Ghilardini, li prelevò: la bolla del trasporto è stata sequestrata dai pm torinesi. Infine, il professor Lorenzo Canova, direttore scientifico della fondazione De Chirico, ricorda che il suo maestro, l’insigne storico dell’arte Mauro Calvesi, aveva visto l’originale di Mistero e melanconia di una strada nell’appartamento romano dell’avvocato.

“Me lo presterebbe per una mostra”, chiese il critico ad Agnelli. “Preferirei di no, i quadri a volte voglio scambiarli, questo non voglio sia notificato al ministero”, avrebbe risposto il “signor Fiat”.

[…] Margherita Agnelli ritiene […]che le opere le siano state sottratte dall’eredità della madre Marella e, comunque, chiederà la nullità della presunta donazione ai figli. Ma il punto non è questo. Quelle opere, a chiunque spettino, devono rimanere in Italia. Così almeno dice la legge […]
 

 

 

 

 

LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA FORZA  E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e meteriologiche  imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.

Che lo Spirito Santo porti buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !

CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !  Mb 05.04.12; 29.03.13;

 

 

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Marco Bava ABELE: pennarello di DIO, abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista responsabile.

Sono quello che voi pensate io sia (20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)

La giustizia non esiste se mi mettessero sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni all'auto.

(12.02.16)

TO.05.03.09

IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI  IL PANE E LA ACQUA QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO, IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.

TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .

SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A TE.

Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile "d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale per questa ragione (12.02.16)

Non prendo la vita di punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)

La vita e' fatta da cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si vorrebbero fare.(20.01.16)

Il mondo sta diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per irresponsabilità politica (16.02.16)

I cervelli possono viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e' soggettivo. (19.02.17)

L'auto del futuro non sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono . Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno , e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto. INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone possono essere confrontate con i prototipi del prossimo salone.(18.06.17)

La siccità e le alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che invece che utilizzare risorse per cercare  inutilmente nuovi pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo, dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui rischiano di estinguersi . (31.10.!7)

L'Italia e' una Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)

La prepotenza della FIAT non ha limiti . (05.11.17)

I mussulmani ci comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)

In Italia mancano i controlli sostanziali . (09.11.17)

Gli alimenti per animali sono senza controllo, probabilmente dannosi,  vengono utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza alcun rispetto ai loro veri bisogni  alimentari. (20.11.17)

Ho conosciuto l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)

L'elicottero di Jaky e' targato I-TAIF. (20.11.17)

La Coop ha le agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato. (20.11.17)

Sono 40 anni che :

1 ) vedo bilanci diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?

2) faccio esposti e solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al Parlamento e' andato avanti ?

 (21.11.17)

La Fornero ha firmato una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)

Si puo' cambiare il modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)

La FIAT-FERRARI-EXOR si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la residenza fiscale in Sw (21.11.17)

La prova che e' il femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si sono rotte ossa, (21.11.17)

Carlo DE BENEDETTI un grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993 aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori CARENA-FIGINI. (21.11.17)

Quando si dira' basta anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)

Per i consiglieri indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo (11.12.17)

La maturita' del mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione dei bitcoin (18/12/17)

Chi risponde civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)

Non e' la FIAT filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI (13.02.18).

Infatti quando si comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella scissione

Tesi si laurea sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e' diventato il padrone :

https://1drv.ms/b/s!AlFGwCmLP76phBPq4SNNgwMGrRS4

 

Prima di educare i figli occorre educare i genitori (13.03.18)

Che senso ha credere in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito  Gesu' che e' il figlio di DIO come provato  per ragioni storiche da almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani  declassano Gesu' da figlio di DIO  a profeta perché riconoscono implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio di DIO. E tutti gli usi mussulmani  rappresentano una palese involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne (19.03/18)

Il valore aggiunto per i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)

I medici lavorerebbero gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi per pagarle ? (26.03.18 )

lo sfregio delle auto di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio alla polizia  con i loro autisti (19.03.18)

Se non si tassa il lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)

Quanto poco conti l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).

Credo che la lotta alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare tangenti (27/04/2018)

Non riusciamo neppure piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i mirtilli....(27/04/2018)

Abbiamo un capitalismo sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e degli operai (27.04.18)

Le imprese dell'acqua e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente (29.05.18)

Nel 2004 Umberto Agnelli, come presidente della FIAT,  chiese a Boschetti come amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang che avrebbe dovuto  essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128 che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO  venne licenziato da Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO ! Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI, molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)

(   vedi :  https://1drv.ms/w/s!AlFGwCmLP76pg3LqWzaM8pmCWS9j ).

La differenza fra ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.

FATTI NON PAROLE E FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA DIRETTA.  Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI GABETTI (04.06.18).

Piero ANGELA : un disinformatore scientifico moderno in buona fede  su auto elettrica. auto killer ed inceneritore  (29.07.18)

Puoi anche prendere il potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto (01.08.18)

Ho provato la BMW i8 ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete ! (20.08.18)

LA Philip Morris ha molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso, aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari. Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67 milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio 2018 ). E PROSSIMAMENTE  un'uomo Philip Morris uccidera' anche la FERRARI .   (20.08.18) (25.08.18)

verbali assemblee italiane azionisti EXOR :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pg3Y3JmiDAW4z2DWx

verbali assemblee italiane azionisti FIAT :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76phApzYBZTNpkGlRkq

 

Prodi e' il peccato originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla FIAT) ad oggi (25.08.18)

L'indipendenza della Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)

Ho sempre vissuto solo con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed oggettive. (28.08.18)

Buono e cattivo fuori dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza che i bambini non hanno (20.10.18) 

Ma la TAV serve ai cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri soldi ? PERCHE' ?

Un ruolo presidenziale divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una Repubblica Presidenziale (11.11.2018)

La storia occorre vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e' finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)

I SITAV dopo la marcia a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)

La storia politica di Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della lungimiranza di Fassino , (18.12.18)

Perche' sono investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione non vanno bene ? (27.12.18)

Le auto si dividono in auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di valore (28.12.18)

Fumare non e' un diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)

Questo mondo e troppo cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)

Le ONG non hanno altro da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli scafisti ? (11.02.19)

La giunta FASSINO era inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)

Quello che l'Appendino chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)

La spesa pubblica finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari  (19.07.19)

AMAZON e FACEBOOK di fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il Governo Americano ?

(09.08.19)

LA GRANDE MORIA DI STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)

Il computer nella progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed innovazione. (17.08.19)

L' uomo deve gestire i computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non annullarle  (18.08.19)

LA FIAT a Torino ha fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO ! Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo di saperlo ! (13.09.19)

Non potro' mai essere un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)

L'arretratezza produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a dx.sx, che costa molto (09.10.19)

IL CSM tutela i Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI  e Davide Rossi ? (10.10.19).

Le notizie false servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole (12.10.19)

L'illusione startup brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie al alto valore aggiunto (15.10.19)

Gli esseri umani soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)

Non e' logico che l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di lavoro. (22.10.19)

L'intelligenza artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori  (24.11.19)

Quando ci fanno domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)

La prova che la qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^ si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere (27.11.19)

Per combattere l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e nel pagamento (29.11.19)

La famiglia e' come una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti (25.12.19)

Le tasse sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa e sa non importa (25.12.19)

Il calcio e l'oppio dei popoli (25.12.19)

La religione nasce come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)

L'auto a guida autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini

Il vero potere della burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per crearli.  Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)

Gli immigrati tengono fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le etnie piu' queste  divideranno l'Italia sovrastando gli italiani imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio. (05.01.20)

La sinistra e la lotta alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere come ragione di vita (07.01.20)

Credo di avere la risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no a mangiare la mela ?  Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti. (07.01.20)

Le sardine rappresenta l'evoluzione del buonismo Democristiano  e la sintesi fra Prodi e Renzi,  fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta  (08.01.20)

Un cavallo di razza corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)

PD e M5S 2 stampelle non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)

non riconoscere i propri errori significa sbagliare per sempre (12.04.20)

la vera ricchezza dei ricchi sono i figli dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai genitori che credono di non avere nulla da perdere  ! (03.11.21)

GLI YESMEN SERVONO PER CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)

DALL'INTOLLERANZA NASCE LA GUERRA (30.06.22)

L'ITALIA E' TERRA DI CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)

La dimostrazione che non esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)

Cara Meloni nulla giustifica una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)

I politici che non rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)

Di chi sono Ambrosetti e Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb

Piero Angela ha valutato che lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ? (30.12.22)

Le leggi razziali = al Green Pass  (30.03.23)

Dopo 60 anni il danno del Vaiont dimostra il pericolo delle scelte scientifiche come il nucleare, giustificato solo dalle tangenti (10.10.23)

 

 

 

LA mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA  e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,  perche' DIO ESISTE,  ANCHE SOLO per assurdo.

IL MONDO HA BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO' CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !

PER QUESTO IL MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !

LA VIOLENZA DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI che potrebbe stare dietro a Berlusconi. 

IL GOVERNO DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI,  IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO perche' vetusto obsoleto e compromesso !

E' UN GIOCO AL MASSACRO dell'arroganza !

SE NON CI FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !

TU SEI UN SOLDATO ?

COMUNICAMI cio' pensi !

email

 

 

Riflessioni ....

Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo vincere  .Mb  15.05.13

Torino 08.04.13

Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria economica del valore che definisce

1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:

Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.

2) liberalizzazione dei taxi collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i cittadini.

3) tre sono gli obiettivi principali della politica : istruzione, sanita', cultura.

4) per la sanità occorre un centro acquisti nazionale  ed abolizione giorni pre-ricovero.

vedi PRESA DIRETTA 24.03.13

chi e' interessato mi scriva .

Suo. MARCO BAVA

 

I rapporti umani, sono tutti unici e temporanei:

  1. LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO E RISPARMIO.(02.02.10)
  2. Se non hai via di uscita, fermati..e dormici su. 
  3. E' PIU'  DIFFICILE  SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
  4. Ciascun uomo vale in funzione delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
  5. Vorrei ricordare gli uomini piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto fare !
  6. LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA  MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
  7. PIU' I MEZZI SONO POVERI X RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
  8. L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA MORTE.
  9. MEGLIO NON ILLUDERE CHE DELUDERE.
  10. L'ITALIA , PER COLPA DI BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
  11. IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3 VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU' POVERI ALMENO 2 VOLTE.
  12. LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',  QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ'  CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE  E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL 10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE CHIESE)
  13. la vita eterna non puo' che esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
  14. SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA VERAMENTE UNA STRADA.
  15. QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
  16. L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
  17. IL PRESENTE E' FIGLIO DEL PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
  18. L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
  19. L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
  20. BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
  21. GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
  22. IL DISASTRO DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
  23. Quante testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
  24. I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI  PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)

  25. L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne' temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la cruna di un ago ..."

  26. sapere x capire (15.10.11)

  27. la patrimoniale e' una 3^ tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)

  28. SE LE FORZE DELL'ORDINE INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117  PER UN PROBLEMA BANALE MI HA RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)

  29. GRAN PARTE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI ( DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)

  30. Spesso chi compera auto FIAT lo fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)

  31. Gli immigrati per protesta nei centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli  affinché  li redistruggono? (18.10.20)

  32. Abbiamo più rispetto per le cose che per le persone .29.08.21

  33. Le ragioni  per cui Caino ha ucciso Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)

  34. Quelli che vogliono l'intelligenza artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche telefoniche? (24.11.22)

L'obiettivo di questo sito e una critica costruttiva  PER migliorare IL Mondo .

  1. PACE NEL MONDO
  2. BENESSERE SOCIALE
  3. COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI.
  4. LA DEMOCRAZIA AZIENDALE

 

L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI GESU'. 15.06.09

 

DIO CON I PESI CI DA ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)

 

IL BAVAGLIO della Fiat nei miei confronti:

 

IN DATA ODIERNA HO RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi amministratori. Fatte salve iniziative autonome anche davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora, veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per tutelare le quali mi riservo iniziative esclusive dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09

 

TEMI SUL TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:

 

IL TRIBUNALE DI  TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE

Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto come e quando vuole, basta leggere la sentenza SENT.FIAT Mb

 

08.03.16

 

TEMI STORICI :

 

VIDEO DELLA TRASMISSIONE TV
Storie italiane
Puntata del 19/11/2019

SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI

https://www.raiplay.it/video/2019/11/storie-italiane-504278c4-8e8c-4b79-becc-87d5c7a67be6.html

 

10° Convegno
 
La grafopatologia in ambito giudiziario
L’applicazione della grafologia in criminologia, nelle malattie neurologiche e psichiatriche nel contesto giudiziario
 
Roma, 7 Dicembre 2019
 
Auditorium Facoltà Teologica “S. Bonaventura”
Via del Serafico 1 - Roma

 
alle ore 17,50
 
Vincenzo Tarantino
Gino Saladini
 
Elio Carlos Tarantino Mendoza Garofani
Grafologo giudiziario, esperto in fotografia forenseGiornalista, Criminologo
 
Il “suicidio” di Edoardo Agnelli: aspetti medico-legali criminologici e grafopatologici.

 

Edoardo Agnelli è stato ucciso?" - Guarda il video

I VIDEO DELLE PRESENTAZIONI GIA' FATTE LI TROVI SOTTO

LA PARTE DEDICATA AD EDOARDO AGNELLI SU QUESTO SITO

 PERCHE' TORINO HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?

Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI.  Gli feci presente che dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo delle indagini.

A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del "suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.

Mb

02.04.17

 

 

grazie a Dio , non certo a Jaky,  continua la ricerca della verità sull'omicidio di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il servizio de LA 7, e gli articoli di Visto,  ora il Corriere e Rai 2 , infine OGGI  , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10

 

LIBRI SULL’OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI

www.detsortelam.dk

www.facebook.com/people/Magnus-Erik-Scherman/716268208

 

ANTONIO PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-

 

CRONACA | giovedì 10 novembre 2011, 18:00

Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".

Il giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di curiosità ed informazioni inedite

 Per dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli, precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano, sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare autopsia.

Anonime “fonti investigative” tentarono in più occasioni di screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia fu mai fatta.

Ora  Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante, pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa settimana presenta.

Perché la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo destinato a ereditare il più grande capitale industriale italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici però che riguardano la famiglia Agnelli.

Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi, Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che, nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano assai più di politici e governanti.

Il volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più importante d’Italia.

 

 

Mondo AGNELLI :

Cari amici,

Grazie mille per vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )

http://www.youtube.com/watch?v=QLnbFthE5l0

Thanks again,

Jennifer

Un libro che riporta palesi falsita' sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta. Intanto anche grazie a queste falsita' il prezzo del libro passa da 15 a 19 euro! www.marcobava.it

 

17.12.23

Il Sole 24 Ore:
 

La Giovanni Agnelli Bv ha deciso di rivedere anche il sistema di governance. Le nuove disposizioni, […] identificano tre interlocutori chiave tra gli azionisti: il Gruppo Giovanni Agnelli, il Gruppo Agnelli e il Gruppo Nasi. Si tratta di tre blocchi che raggruppano a loro volta gli undici rami famigliari storici. Il primo quello della Giovanni Agnelli coincide con la Dicembre e dunque pesa per il 40%. Segue il gruppo Agnelli con il 30% e il gruppo Nasi a cui fa capo il 20%. I componenti del cda della GA BV sono espressione proprio di questi tre “macro” gruppi famigliari della dinastia torinese.
Ognuno di loro esprime due rappresentanti nel board della Giovanni Agnelli Bv e uno nel board di Exor. Oggi il Gruppo Giovanni Agnelli ha indicato nel board della società olandese Andrea Agnelli e Alexander Von Fürstenberg. E questo nonostante Andrea Agnelli, che nel frattempo vive stabilmente ad Amsterdam, di fatto faccia parte di un altro blocco, quello del Gruppo Agnelli.
Per quest’ultimo i due membri del board sono Benedetto della Chiesa e Filippo Scognamiglio. Infine, per il gruppo Nasi Luca Ferrero Ventimiglia e Niccolò Camerana. I consiglieri del Cda della Bv sono nominati ogni 3 anni e decadono automaticamente al compimento di 75 anni. Ogni gruppo inoltre esprime un proprio rappresentante nel Cda di Exor che oggi sono Ginevra Elkann (Gruppo Giovanni Agnelli), Tiberto Ruy Brandolini D’Adda (Gruppo Agnelli) e Alessandro Nasi (Gruppo Nasi). Accanto al cda dell Bv resta in vita il Consiglio di famiglia, organo non deliberativo ma consultivo e formato da 32 membri.


Questa la nuova struttura societaria della
Giovanni Agnelli Bv per quote di possesso.

Dicembre (John Elkann , Lapo e Ginevra): 39,7%

Ramo Maria Sole Agnelli: 11,2%

Ramo Agnelli (Andrea Agnelli e Anna Agnelli): 8,9%

Ramo Giovanni Nasi: 8,7%

Ramo Laura Nasi-Camerana: 6%

Ramo Cristiana Agnelli: 5,05%

Ramo Susanna Agnelli: 4,7%

Ramo Clara Nasi-Ferrero di Ventimiglia: 3,4%

Ramo Emanuele Nasi: 2,5%

Ramo Clara Agnelli: 0,28%

Azioni proprie: 8,2%

 

Dovranno andare avanti le indagini della Procura di Milano con al centro il tesoro di Giovanni Agnelli, 13 opere d'arte che arredavano Villa
Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma, sparite anni fa e ora reclamate dalla figlia Margherita unica erede dopo
la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale aveva l'usufrutto dei beni.
Mentre riprenderà a Torino la battaglià giudiziaria sull' eredità lasciata dall'Avvocato, il gip milanese Lidia Castellucci, accogliendo in parte
i suggerimenti messi nero su bianco da Margherita nell'opposizione alla richiesta di archiviazione dell'inchiesta, ha indicato al pm Cristian
Barilli e al procuratore aggiunto Eugenio Fusco di raccogliere le testimonianze di Paola Montalto e Tiziana Russi, entrambe persone di
fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari dei beni ereditati, e di consultare tutte le banche dati «competenti»
comprese quelle del Ministero della Cultura e la piattaforma S.U.E.
(Sistema Uffici Esportazione).
Secondo il giudice, che invece ha archiviato la posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore indagati per ricettazione in base
alla deposizione di un investigatore privato a cui non sono stati trovati riscontri (secondo lo 007 avrebbero custodito in un caveau a Chiasso il
patrimonio artistico), gli ulteriori accertamenti potrebbero essere utili per identificare chi avrebbe fatto sparire la collezione composta da
quadri di Monet, Picasso, Balla, De Chirico, Balthus, Gérome, Sargent, Indiana e Mathieu.
Collezione di cui Margherita ha denunciato a più riprese la scomparsa, gettando ombre anche sui tre figli del primo matrimonio: John, Lapo e
Ginevra Elkann, e in particolare sul primogenito.
I quali «della sorte o delle ubicazioni di tali opere», hanno saputo «riferire alcunché».
E poiché ora lo scopo è recuperarle dopo che, per via dei vari traslochi, si sono volatilizzate, «appare utile procedere all'escussione» delle due
donne che «si sono occupate degli inventari degli immobili» e che, quindi, «potrebbero essere a conoscenza di informazioni rilevanti» in
merito agli spostamenti dei quadri e alla «eventuale presenza di inventari cartacei da esse redatti».
E poi per «verificare le movimentazioni di tali opere, appare opportuno» compiere accertamenti sulle banche dati comprese quelle del
ministero.
Infine, per effetto di un provvedimento della Cassazione, torna ad essere discusso in Tribunale a Torino il procedimento penale, promosso da
Margherita nei confronti dei figli John, Lapo e Ginevra Elkann per una questione legata all'; eredità di suo padre.
Il processo era stato sospeso in attesa dell'esito di due cause in Svizzera, ma ieri la Suprema Corte ha respinto il ricorso degli Elkann, come
hanno fatto sapere fonti legali vicine alla loro madre, e ha stabilito essere «pienamente sussistente la giurisdizione italiana», annullando l'ordinanza torinese.
«Nella verifica che tali giudici saranno chiamati ad effettuare - sottolineano gli avvocati - si dovrà tener conto anche della residenza abituale
di Marella Caracciolo», che a loro dire era in Italia, «e della opponibilità dell'accordo transattivo del 2004 nella successione Agnelli, con
possibili rilevanti ripercussioni sugli assetti proprietari della Dicembre», la società che fa capo agli eredi.

 

 

Fiat Nuova 500 Cabrio
Briosa e chic en plein air

Piacevole da guidare, la Fiat Nuova 500 Cabrio è una citycar elettrica dallo stile elegante e ricercato. Comoda solo davanti, ha una discreta autonomia e molti aiuti alla guida. Ma dietro si vede poco o nulla.

Quando lo dicevo io a Marchionne lui mi sfotteva dicendo che ci avrebbe fatto un buco. Ecco come ha distrutto l'industria automobilistica italiana grazie al potentissimo Fassino, grazie ai suoi elettori da 40 anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ULTIMO AGGIORNAMENTO 20/11/2024 02.53.42

 

 

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11,47-54

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: "Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno", perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l'avete impedito».
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca

 

 

PUTIN ENTRA DEFINITIVAMENTE ALL'INFERNO E    Alexei Navalny IN PARADISO 

https://twitter.com/i/status/1763518366122168632

 

In linea con l'omicidio di Gesu' Israele continua ad uccidere e dal patto con DIO e' passata a quello con satana.


Il termine Palestina venne adoperato per la prima volta da Erodoto, ma soltanto per riferirsi alle zone costiere dell’antico insediamento filisteo.
Successivamente, nel 135 d.C., venne nuovamente adottato dall’Imperatore Adriano con l’obiettivo di cancellare il carattere ebraico della Terra d’Israele.

A quei tempi l’area abitata dagli ebrei veniva definita Giudea, come attestano Plutarco, Tacito e Svetonio all’inizio del II secolo.
Il termine “palestinese” non è presente nell’antichità e ancora Gerolamo, nel V secolo, si dimostra consapevole dell’uso del termine Giudea, tanto da scrivere: “Judaea quae nunc appellatur Palaestina”.
La terra d’Israele è stata rappresentata “geograficamente” sin dai tempi di Rashi, ovvero Rabbi Shlomo Yitzhaki (1040-1105): alcuni suoi scritti contengono infatti mappe schematiche ispirate ai racconti biblici.
Sarà tuttavia il sionismo a imprimere una svolta importante agli studi geografici della Terra d’Israele: tra i primi cartografi che possiamo far rientrare in questo filone troviamo Eliezer ben Yehudah.
Nel 1833 scrisse un volume, “Sefer Eretz Israel”, in cui descriveva nei dettagli gli aspetti naturali, il clima, la flora e la Inoltre, nel 1919 vide la luce la carta “Repubblica della Terra d’Israele”.
Il 2 novembre di due anni prima aveva visto la luce la “dichiarazione Balfour”.
Si tratta di un documento ufficiale, anche se sotto forma di lettera, inviato dal ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rotschild,rappresentante della comunità ebraica e del movimento sionista, con il quale il governo britannico esprimeva la volontà di creare un
“focolare nazionale per il popolo ebraico” in Palestina, nel rispetto dei diritti civili e religiosi di tutti i residenti.
Al termine della Prima guerra mondiale la Gran Bretagna ottiene dalla Società delle Nazioni il “Mandato sulla Palestina” e subito riconosce la linea di demarcazione del 1906 quale confine tra la Palestina britannica e l’Egitto.
Nel 1921 stabilisce una suddivisione tra est e ovest, facendo così nascere nel 1922 la Transgiordania palestinese a est del fiume Giordano e della valle dell’Aravà.
Nonostante ancora nel 1925 la Commissione Permanente per i Mandati della Società delle Nazioni avesse ribadito che uno dei motivi per cui era stato conferito il Mandato per la Palestina era quello di “portare avanti i princìpi essenziali contenuti nel Mandato” e, quindi, anche la creazione di uno Stato ebraico, gli inglesi negli anni cruciali tra il 1937 e il 1947 imposero notevoli restrizioni all’immigrazione ebraica.
Tuttavia, nonostante la disillusione dovuta al “tradimento” inglese, nel 1947 i leader sionisti furono pronti ad accettare un’ulteriore spartizione territoriale di ciò che restava della Palestina mandataria: quella della Risoluzione 181 dell’Assemblea generale dell’Onu.
Mentre i leader ebrei accettano, la Lega araba rifiuta e – dopo iniziali scontri sul campo tra ebrei e arabi – gli eserciti di Siria, Libano,Transgiordania, Iraq ed Egitto scatenano una vera e propria guerra, a otto ore dalla nascita d’Israele il 14 maggio 1948.
Guerra con cui verrà di fatto sancita l’abolizione del piano di spartizione e la nascita di nuovi confini: l’Egitto conquista e occupa quella porzione di territorio che verrà successivamente chiamato Striscia di Gaza e lo mantiene sotto il suo controllo sino al 1967, mentre la Giordania conquista, occupa e annette la Cisgiordania e la parte orientale di Gerusalemme, compresa la Città Vecchia e il quartiere ebraico che, da quel momento e sempre sino al 1967, diventano luoghi inaccessibili agli ebrei.
In questi anni né Egitto né Giordania si preoccupano di favorire la nascita dello Stato palestinese sui territori da loro conquistati.
Le linee armistiziali derivanti dalla fine dei combattimenti vengono segnate sulla carta da un pennarello verde, da qui il nome di “lineaverde”.
Non si tratta pertanto di confini, ma di linee che demarcano il punto in cui si trovavano gli eserciti il giorno in cui è stato accettato il cessate il fuoco.
Linee che avrebbero dovuto essere temporanee, in attesa dei trattati di pace che le avrebbero modificate seguendo opportune considerazioni geografiche e le esigenze delle popolazioni locali.
Così, di guerra in guerra, di armistizio in armistizio, le linee di demarcazione tra i contendenti sono continuate a mutare nel corso degli anni.
In tutto ciò come hanno reagito i palestinesi?
Pur senza una forte leadership, gli arabi palestinesi avevano fatto sentire la loro voce all’interno della Lega araba, quando era stato deciso il rifiuto alla spartizione del territorio e, ancor prima del 1967 – momento a partire dal quale la Striscia di Gaza e la Cisgiordania passano sotto
amministrazione israeliana – i palestinesi avevano dato vita all’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) sotto la guida di Yasser Arafat, allo scopo di eliminare la presenza dello Stato d’Israele dall’area.
Soltanto a partire dal 1967 i palestinesi sembrano ritrovarsi attorno all’ideale di creare uno Stato palestinese indipendente, secondo le linee armistiziali del 1949.

*Queste noterelle sono debitrici di alcuni scritti di Daniela Santus, docente di Geografia culturale all’Università di Torino, pubblicati sul Foglio.

 

PROPOSTA AI PARTITI DI COSTITUIRE IL FRONTE ANTIFASCISTA GIACOMO MATTEOTTI PER LA TRIOLOGIA DELLA PACE:

  1. PACE NEL MONDO
  2. BENESSERE SOCIALE
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LA VERITA' SULLA FIAT E LA FAMIGLIA AGNELLI,  PERCHÉ QUELLA CHE FINORA E' STATA PRESENTATA NON E' LA VERITA':

  1. GABETTI, GRANDE STEVENS, DONNA MARELLA, MARCHIONNE E JAKY HANNO SFASCIATO TUTTO.

  2. L'AVVOCATO ED UMBERTO NON HANNO CAPITO I DANNI CHE POTEVANO CAUSARE ED HANNO CAUSATO GABETTI GRANDE STEVENS E DONNA MARELLA.

  3. GABETTI CON MARCHIONNE e DONNA MARELLA CON JAKY hanno danneggiato  la FIAT.

  4. GIANNI AGNELLI FREQUENTAVA BOBBIO , YAKY ELON MUSK.

  5. CARO YAKY GESU' AVEVA AUTOREVOLEZZA NON AUTORITA' ed il fatto che citi piu' spesso Marchionne che tuo nonno dimostra quanto poco avevate in comune.

 

LE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI

BOSSI PRODI DE BENEDETI GIANNI AGNELLI SCALFARI 1 SCALFARI 2 PANELLA GIANNI AGNELLI 2

ORIGINALI CUSTODITI DALLA BIBLIOTECA DI SETTIMO TORINESE  LETTERA SETT.T

SE VUOI AVERE UNA COPIA  DELLE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI  :

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COMODATO EA COMODATO D'USO DI VILLA SOLE DOVE VIVEVA EDOARDO AGNELLI

DOCUMENTi SULLA DICEMBRE SOCIETA' SEMPLICE CHE CONTROLLA JUVE, FERRARI, STELLANTIS

 

DICEMBRE 2021

DICEMBRE 1984

 

RINVIO GIUDIZIO TRIBUNALE ROMA DI ANDREA AGNELLI 2024

RINVIO AA 24

 

 

il mio libro sui Piani INDUSTRIALI  FIAT.  OLIVETTI, PININFARINA, BUZZI...

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LA MIA TESI DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA SUL PROCESSO AL SENATORE AGNELLI  PER AGIOTAGGIO

CON SENTENZA NEL 1912

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VEDETE  COME LAVORA UIBM   CHE MI HA BLOCCATO OGNI ATTIVITA' MENTRE CON EUIPO RIESCO A LA LAVORARE NORMALMENTE  

CACAO&MIELE\7228-REG-1547819845775-rapp di ricerca.pdf

 

Presentazione del libro “JUVENTUS SEGRETA”, autore Gigi MONCALVO

Martedì 5 marzo, alle ore 18, nella Sala Musica del Circolo dei Lettori di Torino

VIDEO:

https://youtu.be/jfPFSm35_W0

ALTRI VIDEO SULL'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI :

 

https://www.byoblu.com/2023/12/10/piazza-liberta-di-armando-manocchia-puntata-87/

https://youtu.be/_DJONMxixO8?si=rKoapPc2-8JtHha8

https://youtu.be/B05tTBK-w0E?si=O5XxvZFIr61tYU7w

https://www.youtube.com/watch?v=t0OrCSg1IZc

https://www.youtube.com/watch?v=Mhi-IY_dfr4

 

Dongfeng a TORINO : credo sia bipolare promuovere la produzione cinese a TORINO se si vuole mantenere anche quella della Fiat che invece appena arriveranno i cinesi scaricherà su di loro i lavoratori. 
Intanto Urso , che e' scappato quando gli ho chiesto perché dei cinesi , Cirio e Tronzano che da 1 anno non rispondono alla mia proposta di BMW e Toyota per fare entro il 2028 l'auto ad H2 e la rete H2, DIMENTICANO LA PRODUZIONE CINESE DEL COVID SU PROGETTO USA E CHE LA CINA E' ALLEATO DELLA RUSSIA NEI BRICS.

 

LA FIAT NON VOLEVA FARE LAVORARE GIUGIARO MA 

La Hyundai celebra il traguardo dei 100 milioni di veicoli prodotti con una cerimonia presso la fabbrica coreana di Ulsan. La Casa coreana, che solo nel 2013 ha festeggiato le 50 milioni di unità, ha ottenuto questo risultato in 57 anni di carriera, alcuni dei quali trascorsi prima di entrare nei principali mercati internazionali. La vettura numero 100.000.001 è una Ioniq 5, a testimonianza dell'impegno verso l'elettrificazione.

 

La Pony del 1975. La fabbrica di Ulsan è uno degli elementi chiave del successo della Hyundai: inaugurata nel 1968, ha dato il via alla vera crescita del marchio a partire dal 1975, quando è iniziata la produzione della prima generazione della Pony disegnata da Giorgetto Giugiaro. La Pony era la prima auto coreana prodotta in serie, non derivata da modelli esteri ed è stata celebrata dalla Hyundai nel 2023 con la rinascita della Concept Coupé del 1974.

 

 

 

19.11.24
  1. Estratto dell’articolo di Francesco Tortora e Milena Gabanelli per il “Corriere della Sera”


    «Abbiamo più oro liquido, petrolio e gas, di qualsiasi altro Paese al mondo. Più dell’Arabia Saudita. Più della Russia». Con queste parole Donald Trump ha ribadito che gli Stati Uniti torneranno a puntare sui combustibili fossili. Mentre gli eventi estremi diventano sempre più frequenti e devastanti (Valencia e Filippine sono solo gli ultimi di una lunga serie), crescono le pressioni per rallentare la transizione energetica.



    E crescono anche in Europa, il primo continente ad aver indicato le tappe per la riduzione delle emissioni di CO2. […] Dall’analisi di PwC vediamo come sta andando il mercato.


    Il processo di decarbonizzazione prevede la messa in campo di tutte le tecnologie efficaci per raggiungere l’obiettivo: neutralità al 2050. Sul mercato ci sono 3 tipologie di auto elettriche: 1) Le ibride tradizionali: hanno un doppio motore, ma quello elettrico non ha la spina perché la batteria si ricarica decelerando e frenando. In città, viaggiando sotto i 50 km/h, resta in modalità elettrica (autonomia media di 22-23 km per full hybrid ), quindi si riducono i consumi e le emissioni di polveri sottili. Nei primi nove mesi dell’anno le vendite nell’Ue hanno registrato un +20%.

    2) Plug-in: doppio motore, ma la batteria di quello elettrico si ricarica dalle colonnine, e viaggiando in città sotto i 50 km/h ha un’autonomia di 100 km. Ma anche fuori città il motore elettrico continua ad alimentare la motricità. A settembre le vendite sull’anno sono calate dell’8%.


    3) Le 100% elettriche hanno un solo motore alimentato da batterie agli ioni di litio e si ricaricano collegando l’auto a una presa o una colonnina. […] In via generale un’utilitaria può percorrere 250-300 km con una ricarica completa, mentre un’auto di fascia alta arriva fino a 500 km. I tempi di ricarica dipendono […] Dopo un’iniziale crescita delle auto di fascia alta, dove la quota di mercato è passata in due anni dal 9,1% al 14,6%, quest’anno a fine settembre siamo al 13,1%. Un calo netto rispetto all’atteso 20%.

    Dai dati dell’Associazione Costruttori automobilistici europei, a parte la Norvegia (fuori dalla Ue), dove il 90,5% delle auto acquistate quest’anno sono full electric, anche perché avendo molte rinnovabili il costo dell’energia resta basso, e altri pochi Paesi come Svezia (33%), Olanda (32%) e Belgio (27%) le cose non vanno bene.

    In Germania, il Paese della Ue dove si vende il maggior numero di auto 100% elettriche, tre anni fa la quota di mercato era all’11,7%. In due anni le immatricolazioni hanno raggiunto il 18,4%, ma nel 2024 il governo ha bloccato anticipatamente i sussidi e nei primi nove mesi si è scesi al 13,1%. Va un po’ meglio la Francia dove la quota di mercato è passata dall’8,5% del 2021 al 16,8%. Ma da quest’anno sono stati ridotti gli incentivi e bloccato l’esperimento del «leasing sociale», programma di sovvenzioni rivolto ai ceti meno abbienti […]. Ora la quota di mercato è al 17,1%. Il Sud Europa è indietro.

  2. In Italia le full electric non si muovono dal 4% del totale. Negli ultimi anni sono stati modificati più volte gli incentivi (che non sono mai stati mirati solo all’elettrico), e la situazione non migliorerà visto che per l’anno prossimo sono stati tagliati i 4,6 miliardi del Fondo Automotive.



    Ma a cosa è dovuta questa tendenza al calo? La Ue ha fatto le leggi, ma non ha sviluppato una politica industriale e di sovvenzioni coordinata per approcciare un cambio epocale, perché ogni Paese ha preferito andare per conto suo. E ogni Paese ha un problema diverso. Si è puntato sulla produzione di fascia alta perché la domanda arriva dai più abbienti, mentre le auto di piccola e media dimensione restano troppo costose, in media il 20% in più rispetto agli equivalenti modelli a benzina. Poi è arrivata la crisi economica e la conseguente incertezza sui tempi della transizione.

    IN CINA Nei primi nove mesi del 2024 sono stati messi in commercio 4,2 milioni di veicoli full electric con una quota di mercato del 24,7 %. I prezzi sono ormai più bassi rispetto alle auto a benzina e tecnologicamente Pechino è una generazione avanti. E così i modelli cinesi hanno conquistato quote di mercato europeo: erano il 5% nel 2018, l’anno scorso hanno raggiunto il 15%.


    Con l’accusa di dumping commerciale Bruxelles a fine ottobre ha introdotto dazi sui veicoli prodotti in Cina in proporzione alle sovvenzioni che ogni singola casa automobilistica ha ricevuto dallo Stato […]

    Ma come ha fatto la Cina a diventare leader dei veicoli elettrici? Lo descrive in modo preciso lo studio del Center for Strategic and International Studies : a partire dal 2009 il governo comunista ha finanziato l’intera filiera con 230,8 miliardi di dollari distribuiti su programmi di ricerca tecnologica, investimenti in infrastrutture, sconti sull’acquisto di auto ed esenzioni d’imposta. Oggi le multinazionali CATL e BYD controllano oltre il 50% del mercato delle batterie elettriche che esportano in tutto il pianeta, mentre l’Europa ha pochissime gigafactory.

    Sebbene resti il Paese che inquina di più (31,2% di emissioni di CO2 globali), nel 2023 è diventato anche il Paese leader per energia rinnovabile[…]

    Cosa fanno gli Usa


    Quest’anno sono state vendute 901 mila auto 100% elettriche, con una quota di mercato di solo il 7,7%. Però negli ultimi due anni l’amministrazione Biden ha investito 126,3 miliardi nello sviluppo dell’auto elettrica creando 108 mila posti di lavoro. Inoltre, gli Usa possono vantare Tesla, l’azienda più innovativa del mondo che anche quest’anno ha piazzato un suo veicolo, la Model Y, al primo posto delle vendite nei mercati americano, cinese ed europeo.



    Chi si ferma è perduto

    Acea, l’associazione dei 15 maggiori produttori automobilistici europei, a settembre ha invitato le istituzioni Ue a rivedere l’intero processo di decarbonizzazione che fissa al 2025 un nuovo limite alle emissioni di CO2 (93,6 grammi per chilometro). Vuol dire che se le aziende non si adeguano, producendo più auto ibride ed elettriche per compensare le emissioni della produzione endotermica, dovranno pagare multe milionarie.


    In alternativa è concesso comprare crediti green da Tesla. Secondo un’indagine di Dataforce solo pochi costruttori sarebbero in grado di rispettare il parametro, per questo l’associazione chiede di posticipare il limite al 2027. Insieme ai produttori di fossili, pur riconoscendo che il mondo ormai sta andando in quella direzione e non si tornerà indietro, chiedono anche di posticipare lo stop al motore endotermico «perché è stata una scelta ideologica».
     

 

 

18.11.24
  1. "L'Occidente vive un declino culturale La politica impari da Mattarella"
    Gianfranco Ravasi
    "
    Torino
    «Le forze politiche italiane puntano a identità e forza, senza più dare sostanza al concetto di bene comune». Trump? «Mi preoccupa la semplificazione dannosa che applica su ogni tema». Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura, parla a La Stampa nel Duomo di Torino, prima di tenere una lectio magistralis per celebrare il centenario dell'Opera diocesana Pellegrinaggi.
    Lei, fondatore del "Cortile dei Gentili", è considerato un simbolo del dialogo, in particolare tra credenti e non credenti. Questa distinzione ha ancora senso oggi, o viviamo in un'epoca in cui tutto è più sfumato, individualista?
    «È la domanda fondamentale. Ed è paradossale per me, che ho dedicato gran parte della mia vita pubblica al tema del dialogo, inteso nel senso rigoroso del termine: un incrocio tra due logoi, due discorsi seri e qualificati. Nel passato - indicativamente prima della caduta del muro di Berlino - era più semplice e meno aggressivo: due visioni con valori propri si incontravano e, pur mantenendo le differenze e affrontandosi talvolta duramente, riuscivano ad ascoltarsi. Era l'essenza stessa della parola "incontro": da una parte l'avvicinamento (in-), dall'altra la marcatura delle identità (contro). Oggi la situazione è diversa».
    Come la descrive?
    «Citando la sottolineatura di Paul Ricoeur: siamo in un'epoca in cui alla "bulimia dei mezzi" corrisponde un'"anoressia dei fini". Abbiamo tecnologie potenti, ma ci mancano le grandi tensioni ideali. La superficialità e l'omogeneità dominano, avvolgendo tutto in una sorta di nebbia culturale. Questo fenomeno rende il dialogo vero sempre più difficile, specialmente nei contesti comuni, dove manca la profondità necessaria per affrontare temi complessi».
    Lei parla di un «grigiore» che sembra permeare ogni ambito. E le chiese?
    «Charles Taylor evidenzia un aspetto cruciale della secolarizzazione: Cristo stesso, se apparisse oggi proclamando le beatitudini, non scuoterebbe le coscienze come un tempo. Al massimo, un poliziotto gli chiederebbe i documenti. Questo è il livello di appiattimento che viviamo: una società incapace di accogliere messaggi forti, proprio perché priva di valori radicati. Tutta la cultura sembra spingerci verso questo grigiore, una sorta di abbassamento generale degli standard. Anche alcune chiese, in particolare alcune protestanti, hanno tentato di abbassare il livello delle loro idee, esigenze etiche e morali per attrarre più persone. Ma il risultato non è stato il ripopolamento dei luoghi di culto».
    Qual è una via d'uscita?
    «Essere una spina nel fianco di questa tendenza, come fa papa Francesco. La soluzione è tornare a proporre il Vangelo nella sua forma forte. È questo che può ancora scuotere le coscienze e suscitare una reazione autentica. E in generale, per il futuro delle società è essenziale proporre grandi valori culturali».
    La politica italiana sembra più interessata al consenso che ai problemi reali. È d'accordo?
    «Purtroppo sì. Manca quella autorevolezza rappresentata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Le forze politiche puntano solo a identità e forza, senza più dare sostanza al concetto di bene comune. Certo, il consenso è sempre stato necessario, ma non dovrebbe essere l'unico obiettivo. In passato i leader politici si impegnavano anche a proporre visioni a lungo termine, a costruire. Oggi, invece, l'azione dei partiti si riduce spesso alla ricerca immediata del potere, sostenuta da mezzi di comunicazione che privilegiano la retorica e gli slogan, hanno sostituito i vecchi comizi e i dibattiti di spessore, riducendo la possibilità di approfondire questioni importanti».
    Quali prospettive intravede negli Stati Uniti dopo la vittoria di Donald Trump?
    «Gli Usa, e non la Cina, rappresentano ancora il modello culturale e politico fondamentale per l'Occidente. Tuttavia, mi preoccupa la semplificazione che Trump applica su ogni argomento: questo modo di agire esclude la complessità della realtà per ottenere risposte emotive. È un approccio che tende a emarginare questioni rilevanti, generando polarizzazioni dannose. Anche nel panorama culturale americano si nota un declino. In passato, scrittori come Philip Roth o Saul Bellow rappresentavano una cultura capace di guidare e ispirare. Oggi, pur con qualche eccezione, manca una classe intellettuale di pari statura. Questo impoverimento culturale riflette un problema più ampio: la società americana, come molte altre, sembra avere perso la capacità di elaborare visioni profonde e condivise».
    Lei fuggirà da X, il social network di Elon Musk, l'uomo forte della prossima amministrazione Usa a firma Tycoon?
    «Anche se la tentazione di abbandonare c'è, preferisco fare come Cristo: stare in cattiva compagnia (sorride, ndr.)»
    In un contesto internazionale segnato da guerre e tensioni, ha senso avere speranza in un futuro migliore?
    «Oggi rischiamo di cadere in due estremi: l'utopia illusoria, che promette senza fondamento, o il realismo cinico, che rinuncia a sperare. Per affrontare le sfide del nostro tempo dobbiamo ritrovare un equilibrio, riscoprendo la speranza come forza capace di alimentare scelte e mosse concrete e ideali più alti. E concilianti». —
  2. La Russia bombarda città e infrastrutture: almeno 10 morti. "La notte più infernale", Kiev al buio Il presidente Usa autorizza l'uso degli Atacms in territorio russo . Zelensky: "Parleranno le armi"
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    Andriy Sybiga
    Ucraina, l'attacco più duro E Biden dà il via libera ai missili a lungo raggio
    giuseppe agliastro
    mosca
    Civili uccisi, case danneggiate, gravi blackout in vaste regioni del Paese: le autorità ucraine accusano le truppe di Putin di aver preso di mira città e villaggi in una «infernale notte» di bombardamenti. Uno dei raid più massicci, il più pesante degli ultimi tre mesi, denuncia Kiev, secondo cui ieri l'esercito del Cremlino ha lanciato circa 120 missili e 90 droni ancor prima che albeggiasse, uccidendo almeno dieci civili innocenti e mettendo pericolosamente in ginocchio la rete elettrica ucraina con l'inverno ormai alle porte. Fonti di Reuters, Washington Post e New York Times intanto sostengono che Biden avrebbe dato all'Ucraina l'autorizzazione a colpire in Russia con i missili a lunga gittata Atacms. Si tratterebbe – affermano – di una risposta al Cremlino, accusato da Usa, Ucraina e Corea del Sud di aver dispiegato 10.000 soldati nordcoreani per farli combattere nella regione russa di Kursk, dove alcuni territori sono controllati dalle truppe di Kiev dopo un'offensiva lanciata a sorpresa ad agosto. «Uno dei punti del Victory Plan - il commento di Zelensky - è la capacità a lungo raggio per il nostro esercito. Si parla molto sui media del fatto che riceviamo il permesso per tali azioni. Ma gli attacchi non si eseguono a parole. Queste cose non vengono annunciate. I missili parleranno da soli».
    Se la notizia dovesse essere confermata, si tratterebbe di una netta inversione da parte dell'attuale amministrazione americana, che però tra due mesi dovrà lasciare il posto a un nuovo team guidato da Trump. I missili, capaci di colpire a 300 chilometri di distanza, dovrebbero essere utilizzati inizialmente solo nella regione di Kursk, ma Biden potrebbe poi autorizzarne l'uso anche altrove, sostengono le stesse fonti, secondo le quali Trump potrebbe però revocare questa mossa una volta al potere.
    Il Cremlino – che ha già più volte agitato il terribile spettro delle armi atomiche – in passato ha risposto con parole durissime alla possibilità che gli Usa consentano all'Ucraina di colpire in territorio russo con le armi a lungo raggio da loro fornite. E secondo molti esperti, l'annuncio di Putin di voler modificare la dottrina nucleare russa e considerare come «un attacco congiunto» alla Russia anche un'eventuale «aggressione da parte di uno Stato non nucleare ma con il sostegno di uno Stato nucleare», sarebbe stato di fatto un modo per tentare di impedire questa eventualità.
    In Ucraina, gli allarmi antiaerei sono andati avanti per ore e i raid sembrano non aver risparmiato nessun angolo del Paese: le autorità denunciano bombe sulla regione di Mykolaiv, nel Sud, come su quella di Kiev, nel Nord, a Nikopol, nel Sud-Est, come nell'oblast di Leopoli, nell'Ovest del Paese. Le forze ucraine sostengono di aver abbattuto 144 ordigni su oltre 210. E secondo Zelensky tra i razzi lanciati dalle truppe russe ci sarebbero anche missili ipersonici come i Kinzhal e gli Zirkon. La Polonia per sicurezza ha fatto decollare i suoi caccia. Mentre Mosca da parte sua accusa Kiev di raid di droni che avrebbero provocato la morte di un civile vicino Belgorod e di una reporter nella zona di Kursk.
    L'attacco contro l'Ucraina ha provocato interruzioni delle forniture elettriche in almeno quattro regioni, compresa quella della capitale Kiev, fa sapere la società energetica Dtek: una situazione che preoccupa perché, con l'arrivo dell'inverno, si teme che si ripeta la drammatica situazione degli anni passati, con i soldati russi accusati di aver lasciato milioni di ucraini al buio, al gelo e senza acqua nelle case.
    «Ancora una volta tentano di intimidirci con il freddo e i blackout», tuona Zelensky. Secondo il presidente ucraino, in quasi tre anni di guerra è stata distrutta circa metà della capacità di produzione elettrica del Paese. Ma altri osservatori danno un quadro ancora più fosco, e parlano di danni al 65% delle infrastrutture dell'Ucraina, che intanto annuncia restrizioni energetiche da oggi ammettendo nuovi danni a una rete elettrica già messa a dura prova.
    «Questa è la vera risposta del criminale di guerra Putin a tutti coloro che gli hanno telefonato e gli hanno fatto visita recentemente», è stato il commento del ministro degli Esteri ucraino. «Abbiamo bisogno di una pace attraverso la forza, non di un appeasement», ha poi dichiarato Andriy Sybiga, di fatto ribadendo il messaggio lanciato il giorno prima da Zelensky, che ha auspicato il raggiungimento della pace attraverso la diplomazia ma con un'Ucraina "forte". Sono parole che arrivano dopo la vittoria di Trump alle presidenziali Usa e la conseguente incertezza su cosa succederà con lui alla Casa Bianca. Il tycoon ha promesso di mettere fine alla guerra "in 24 ore", ma Kiev teme che faccia leva su una possibile riduzione delle forniture di armi americane per spingere verso un congelamento del conflitto che consenta di fatto a Mosca di controllare i territori occupati. «Staremo al fianco dell'Ucraina fino a quando servirà» ha detto da parte sua la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, mentre il cancelliere tedesco Scholz – criticato da Zelensky per aver chiamato Putin venerdì – afferma che Kiev "può contare" sulla Germania e che "nessuna decisione sarà presa alle spalle dell'Ucraina". Nonostante alcune aperture al dialogo, la strada verso la pace pare purtroppo ancora in salita.
  3. Giuseppe Busia
    "Sbagliato eliminare l'abuso d'ufficio Così controlli sempre più a rischio"
    Inchiesta a Roma
    Subappalti a cascata
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    Combattere la corruzione è anche questione di cultura. Ne è convinto Giuseppe Busia, presidente dell'Anac, Autorità nazionale anti corruzione. E lo dice chiaramente: la battaglia contro gli illeciti negli appalti «richiede un clima culturale che ne evidenzi gli enormi danni». La riflessione su leggi sempre più deboli e indagini in tutta Italia arriva dopo l'inchiesta della procura di Roma su un giro di tangenti negli appalti del Giubileo, nata anche dopo alcune segnalazioni da Anac sulle imprese oggi indagate.
    Il governo ha eliminato l'abuso d'ufficio: non certo un aiuto per limitare la corruzione.
    «È stata una decisione sbagliata, che lascia vuoti di tutela importanti, creando anche disarmonie nell'ordinamento, con conseguenti dubbi di legittimità costituzionale».
    Può farci degli esempi?
    «Adesso non è più penalmente rilevante se un commissario di concorso fa vincere il candidato che gli è simpatico, oppure se un funzionario affida direttamente un appalto ad un'impresa amica, omettendo di fare la gara. Ciò, purché questi non ricevano qualcosa in cambio».
    Anche la Corte dei Conti si avvia ad essere profondamente ridimensionata nel suo ruolo?
    «La Corte dei conti svolge un ruolo fondamentale per evitare lo spreco di risorse pubbliche: può essere utile aumentare i controlli preventivi e collaborativi, quali quelli che anche noi facciamo, ma senza snaturarne il ruolo e purché si doti di mezzi adeguati. Altrimenti si finisce per eliminare i controlli, che invece sono essenziali».
    Quali anticorpi contro la corruzione mancano al nostro Paese?
    «In modo totalmente inaspettato, pur dopo un percorso di proficua collaborazione, l'ultimo disegno di legge ha eliminato dal codice il rating reputazionale delle imprese. Affidato all'Anac, prevedeva una valutazione dell'impresa sulla base di dati oggettivi, legati anche all'esperienza».
    Un report sulla qualità?
    «Che, ad esempio nel caso di Roma, avrebbe da subito segnalato il sorgere di tante Srl senza alcuna competenza ed esperienza. Le stazioni appaltanti devono scegliere chi ha una storia buona ed è affidabile. Serviva semplificarlo, ma eliminarlo è un errore».
    Perché è stato fatto?
    «È stato sostituito da un meccanismo parziale e poco efficace, affidato al Ministero invece che ad un'autorità indipendente. Spero si torni indietro. Senza chiudere il mercato, bisogna scoraggiare il proliferare d'imprese che sorgono dal nulla: nel migliore dei casi serve ad eludere il fisco, nel peggiore a nascondere attività fraudolente come quelle che abbiamo visto».
    Al centro dell'inchiesta sugli appalti nella Capitale c'era un imprenditore con una galassia di imprese. Come tutelarci?
    «Ad esempio, con l'obbligo di indicare il titolare effettivo. Altra cosa che come Anac abbiamo richiesto ed inspiegabilmente non viene inserita nel codice. In questo caso, come in molti altri, c'erano tutte imprese riconducibili ad un'unica persona».
    Con i subappalti a cascata le cose si complicano. Ma è la normativa europea a consentirli.
    «Bisogna comunque scoraggiarne l'abuso, in ogni caso sottoponendoli a controlli e verifiche puntuali. Di fatto, penalizzano tutti: i subappaltori onesti, che devono devolvere parte del guadagno a chi li precede nella catena, i lavoratori, esposti a rischi crescenti e condizioni deteriori, e tutta la comunità, perché inevitabilmente la qualità delle prestazioni si riduce. C'è poi un altro limite del codice, sul quale spero si intervenga».
    Quale?
    «Il conflitto d'interessi. Con il nuovo codice, le regole che lo riguardano sono state molto ammorbidite».
    Altra questione sono gli affidamenti diretti. Cito le sue parole: «Per compensare all'urgenza, si penalizza la trasparenza». Ci crede ancora?
    «Quando vi è un'urgenza, è giusto che si applichino procedure acceleratorie, e noi stessi abbiamo in generale proposto semplificazioni. Ma perché, per i casi ordinari, in cui l'amministrazione non ha fretta, si prevede che si possano spendere fino a 140 mila euro di soldi pubblici senza neanche confrontare due preventivi per servizi, come le consulenze, o per acquistare beni? Tutto questo, quando oggi bastano pochi minuti sul web per comparare i costi della maggior parte dei beni e ciascuno di noi lo fa per cifre ben inferiori».
  4. Il Tfr nei fondi pensione Sei mesi per decidere
    Anna maria angelone
    Per capire come finirà la partita del Tfr nei fondi pensione bisognerà attendere, probabilmente, mercoledì prossimo quando sarà definita la lista degli emendamenti alla manovra da votare. Ma, grazie a tre "correttivi" riammessi dalla commissione Bilancio, la maggioranza ha riacciuffato in extremis l'idea di un semestre di silenzio-assenso per destinare il trattamento di fine rapporto dei lavoratori alla pensione complementare. Il primo ritocco, a firma della leghista Tiziana Nisini, chiede l'introduzione di una finestra dal 1° aprile al 30 settembre 2025 mentre Walter Rizzetto (Fratelli d'Italia) propone di far partire il semestre il 1° gennaio.
    Il semestre di silenzio-assenso
    Che cosa accadrà, se approvato? Durante questi sei mesi, tutti i lavoratori saranno chiamati a esplicitare se lasciare in azienda il proprio Tfr. In caso di "non scelta", scatterà automatico il versamento del Tfr alle forme di pensione integrativa e non si potrà più tornare indietro (le norme attuali consentono di cambiare idea solo a chi lo accantona). Il datore di lavoro, dunque, si troverà nella condizione di trasferire il Tfr maturando degli assunti ai fondi pensionistici di categoria dei contratti collettivi o territoriali o al fondo con le maggiori adesioni dei dipendenti. Altrimenti, a Cometa (il fondo dei metalmeccanici).
    Il primo tentativo nel 2007
    Il meccanismo del "silenzio-assenso" fu sperimentato una prima volta nel 2007. Il numero di iscritti alla previdenza complementare salì da poco più di 3 milioni a 4,5. Tuttavia, le adesioni coinvolsero meno del 30% dei lavoratori totali. Il provvedimento odierno, inizialmente proposto dal ministro del Lavoro Marina Calderone, aveva sul tavolo due ipotesi. La prima: obbligo di versamento del 25% del Tfr per tutti i lavoratori o solo per i neoassunti. In alternativa, un sistema su base volontaria con un semestre di silenzio-assenso (opzione più gradita ai sindacati). Sulla carta, l'obiettivo è rafforzare la previdenza integrativa soprattutto per i giovani, i più penalizzati dal sistema contributivo. Se finora un lavoratore poteva contare su un assegno pensionistico pari all'80% della sua ultima busta paga, per chi si affaccia al mondo del lavoro oggi la previsione – a parità di anni lavorati - è un magro 50-60%. Ma le variabili da valutare sono molte.
    Addio alla "buonuscita"?
    Tecnicamente, il trattamento di fine rapporto è una retribuzione differita accantonata dal lavoratore durante la sua carriera. Si tratta di una sorta di liquidazione percepita in caso di perdita del posto di lavoro o pensionamento. In modo diverso, esiste in altri paesi europei (sebbene nella maggioranza dei casi, la cosiddetta "severance pay" è prevista come compensazione per i licenziamenti di natura economica). A tutti gli effetti, dunque, il Tfr è una forma di risparmio "forzoso" che può tornare molto utile se si resta senza occupazione o si ha bisogno di liquidità immediata per imprevisti o spese di una certa entità.

 

 

17.11.24
  1. La rabbia di Israele sul Papa "Genocidio quello del 7 ottobre"
    FRANCESCA DEL VECCHIO
    MILANO
    «Il 7 ottobre è stato un genocidio: Israele ha diritto di difendersi». Passano diverse ore prima che l'ambasciata di Tel Aviv presso la Santa Sede prenda posizione – con estrema nettezza – nei confronti delle parole del Papa che, in un'anticipazione pubblicata ieri su La Stampa, suggeriva la necessità di «indagare con attenzione per determinare se (quello che accade a Gaza, ndr) s'inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali» di "genocidio". Francesco lo scrive nelle pagine del suo libro, La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore, che uscirà domani in Italia, Spagna e America Latina (a seguire negli altri Paesi) in occasione del Giubileo 2025 per Piemme. Ma la dichiarazione è talmente dirompente che in poche ore fa il giro dei quotidiani di tutto il mondo, dall'agenzia Reuters al Times of Israel, dai quotidiani statunitensi a quelli asiatici.
    Le parole del Papa arrivano proprio alla vigilia della presentazione all'Onu dal rapporto del Comitato speciale delle Nazioni Unite che, per la prima volta, mette nero su bianco le sue accuse: le pratiche israeliane nella Striscia di Gaza «corrispondono alle caratteristiche di un genocidio». E ancora, Israele «provoca intenzionalmente morte, fame e lesioni gravi».
    La reazione da parte dell'ambasciata è certamente quella che tutti si aspettano: contrarietà. Le frasi vengono stigmatizzate dalla diplomazia israeliana presso la Santa Sede che non solo ricorda come il «il 7 ottobre c'è stato un massacro genocida» ma sottolinea che «qualsiasi tentativo di chiamare questa autodifesa con qualsiasi altro nome significa isolare lo Stato ebraico». Non ci si poteva aspettare posizione diversa, d'altronde. E così, le due più grandi comunità ebraiche italiane, Roma e Milano, scegliendo il riserbo, mostrano di fatto la loro scelta di campo. A partire dai vertici più alti: i rabbini Riccardo Di Segni e Alfonso Arbib, il presidente della comunità milanese Walker Meghnagi. Il suo silenzio, invece, quello della senatrice a vita Liliana Segre, non sorprende: non ha mai voluto schierarsi in questo dibattito.
    A distanza di mesi, furono anticipatrici le dichiarazioni del rabbino capo di Roma Di Segni dopo lo «Stop al genocidio» chiesto da Ghali a Sanremo: «Le sue parole passano come un messaggio di pace. Che invece mescola le carte in tavola, e sovverte la Storia». Parole ancor più significative se lette ora che a parlare di "genocidio" è il Papa.
    «Trovo le accuse di genocidio "certamente infondate", per citare il Dipartimento di Stato americano», commenta invece Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica di Milano. «L'esercito israeliano – aggiunge – è l'unico ad avvisare i civili palestinesi prima di bombardare obiettivi militari, il solo a fornire aiuti umanitari ai civili mentre combatte i terroristi e a vaccinare la popolazione palestinese contro la poliomelite durante la guerra. Tutte queste operazioni, insieme a molte altre, rendono le ipotesi di genocidio infondate».
    Tra le reazioni più dure, poi, c'è quella del consigliere comunale milanese Daniele Nahum, già vice presidente della Comunità ebraica locale e fuoriuscito dal Pd in protesta proprio per l'uso della parola "genocidio", che si dice «stupito dal Santo Padre». A suo dire, «far passare le vittime di ieri come i carnefici di oggi sta portando a una ondata di antisemitismo». E aggiunge: «Evidentemente al Papa è sfuggito il rapporto dell'Onu che ridimensiona il numero di morti a Gaza. Massacro è un termine diverso». Infine, parla di «accendere gli animi contro Israele e gli ebrei» l'associazione Setteottobre, fondata tra gli altri da Stefano Parisi (ex numero uno di Fastweb che nel 2016 si candidò per il centrodestra contro Beppe Sala al comune di Milano). «Siamo oggi tutti preoccupati per questo drammatico rigurgito antisemita. L'enorme responsabilità morale del Papa dovrebbe suggerire una maggiore cautela», scrivono in una nota.
    Da parte della comunità palestinese, invece, arriva il ringraziamento a Jorge Mario Bergoglio «ancora una volta, per il riconoscimento del diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione e alla creazione del suo stato libero e indipendente».
    D'altronde, non è la prima volta che il Papa usa la parola "genocidio" per quanto accade nella Striscia. Lo avevano riferito i familiari dei palestinesi di Gaza incontrati dal Pontefice il 22 novembre 2023. All'epoca, arrivò subito la smentita da parte del portavoce vaticano Matteo Bruni. All'epoca, si trattava di un colloquio. Questa volta, "genocidio" è scritto nero su bianco

 

 

 

 

 

16.11.24
  1. Critico anche sui decreti omnibus che i governi usano per inserire norme non omogenee tra loro
    Dal decreto anti-rave a quello sull'Albania Ecco le norme finite nel mirino del Quirinale
    roma
    L'innesco politico arriva dopo le 17 quando il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha già affrontato la platea degli studenti (e non solo) parlando di informazione digitale, della minaccia delle fake news e delle sfide che pone l'intelligenza artificiale. Poi, sul finire, ecco il quarto giovane in fila per le domande. Si chiama Tommaso Pasquali e frequenta il quinto anno dell'Istituto don Bosco di Padova. Il giovane per cambiare ritmo alla giornata chiede con rispetto al Capo dello Stato se in questi anni si sia mai sentito di parte o se abbiano provato a farlo sentire tale. Mattarella non si tira indietro. Ricorda i suoi «venticinque anni in Parlamento» e nella sua analisi, senza citare particolari e nemmeno i come e i quando, ricorda le volte che rispetto «a leggi e decreti» ha avuto «opinioni diverse» nel merito rispetto a quelle che erano state proposte. Aggiunge, non casualmente, in tutti questi «quasi miei dieci anni» al Quirinale: come a sottolineare che ciò è accaduto con tutti i governi che in questa fase si sono succeduti. Non elenca i provvedimenti, ma certo non occorre per farli riapparire alla memoria. A cominciare dal primo governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte riguardo ai provvedimenti sui migranti fino a uno degli ultimi, il decreto Albania, che Sergio Mattarella ha atteso giorni per promulgare e solo dopo un'attenta analisi personale e degli uffici. Non sono mancate segnalazioni, richieste di modifiche, e magari discussioni tra quirinalizi e palazzi governativi ma niente che trapelasse ufficialmente, se non la tempistica dilatata, che di per sé è stata assai più chiara di mille parole.
    Nel mezzo, di provvedimenti poco "graditi" al Colle ce ne sono stati anche altri. Forse troppi, certamente il primo, varato dal governo Meloni: quello sui rave party. A anche lì, nonostante molti sostenessero che Mattarella non dovesse firmarlo, il capo dello Stato lo ha fatto, forse anche come segnale per il decreto varato da un governo appena eletto. Poi è stata la volta dei decreti omnibus. E anche in quei casi, il Presidente non ha celato il fastidio per la disomogeneità di troppi e diversi temi infilati nottetempo nelle maglie di commi e articoli. E così avanti con la legge sull'autonomia differenziata. Anche lì, la firma seguendo – come ha ribadito oggi più in generale – la grammatica costituzionale perché «non palesemente incostituzionale» forse prevedendo (chissà? ) come poi è accaduto, che ci avrebbe pensato la Corte Costituzionale a chiarire la portata e la validità di quella legge. Già, perché per il Presidente «ciascun potere e organo dello Stato – ha sottolineato – deve sapere che ha limiti da rispettare perché le funzioni di ciascuno non sono fortilizi contrapposti per strappare potere l'uno all'altro ma elementi della Costituzione chiamati a collaborare, ciascuno con il suo compito e rispettando quello altrui». Insomma, riaffermando il principio del cosiddetto «check and balance», sottolinea Mattarella che attiene al Colle ma anche ai poteri legislativo ed esecutivo. Una lezione di educazione civica, come l'ha definita Andrea Ceccherini, presidente dell'Osservatorio permanente dei Giovani Editori conclusa tra gli applausi, che non ha rinviato il discorso oltre l'orizzonte dialettico della legge sull'autonomia differenziata (mai citata peraltro dal Capo dello Stato). Chissà, forse la volta prossima sarà interessante chiedere cosa pensa, ad esempio, della legge di riforma costituzionale sul premierato. Vedremo la risposta. Anche se, forse, è anche inutile chiederlo.

 

 

 

15.11.24
  1. Castelli, ville, parchi Aperte al pubblico
    46 dimore storiche
    giulietta de luca
    Il patrimonio piemontese si fa ancora più ricco e apre al pubblico le porte di 46 dimore private di grande interesse storico e culturale, di cui 18 in provincia di Torino.
    E' quanto prevede il protocollo firmato ieri dall'Associazione dimore storiche italiane di Piemonte e Valle d'Aosta (Adsi) e dalla Federazione italiana associazioni imprese di viaggi e turismo (Favet), che d'ora in avanti garantirà la messa in mostra di castelli, ville e dei loro splendidi parchi, che potranno essere visitati su prenotazione.
    La proposta era arrivata dall'Adsi, in sinergia con la Regione Piemonte e il Consiglio regionale. L'obiettivo è non solo ampliare l'offerta turistica, ma anche portare avanti un'azione di restituzione al territorio di quelle che sono le bellezze e le tradizioni che lo contraddistinguono e lo rendono una tra le mete più ambite d'Italia.
    «Questi luoghi rappresentano la nostra identità profonda, raccontano la storia delle famiglie che hanno contribuito a rendere più bello il nostro territorio» dichiara l'assessora regionale alla Cultura, Marina Chiarelli.
    Aggiunge: «Valorizzare queste dimore e i tesori che vi si trovano all'interno non significa solo promuovere il turismo, ma anche preservare un patrimonio culturale che appartiene a tutti noi. Ogni visita diventa un'occasione per riscoprire il legame con le nostre radici».
    Inoltre, come ha ricordato il vicepresidente Adsi Alessandro Gosztonyi, «sebbene siano spesso ritenute beni di lusso, le dimore storiche contribuiscono a tenere in vita mestieri e professioni in via di estinzione».

 

 

14.11.24
  1. Le mani
    sul GIUBILEO
    irene famà
    roma
    Il «cartello dell'asfalto» che prometteva di fare Roma più accogliente in vista del Giubileo, in realtà lucrava sulla grande bellezza. Con un imprenditore spregiudicato e funzionari e poliziotti corrotti. E un giro d'affari di oltre cento milioni di euro. Parla di questo l'indagine della Guardia di Finanza, con 18 persone finite nei guai e perquisizioni sino in Campidoglio.
    Figura centrale è l'imprenditore romano Mirko Pellegrini, classe '78, nome già noto alla magistratura per una storia, a Reggio Calabria, di appalti truccati sulle autostrade. Un vero e proprio «dominus», così lo definiscono gli inquirenti negli atti. Tramite prestanome di professione, i più con alle spalle reati per evasione e frode, gestiva una galassia di piccole società. Così poteva «partecipare a numerose gare per lavori di asfaltatura e rifacimento del manto stradale». Ai bandi si presentavano società diverse, è vero. Ma, è scritto nelle carte d'inchiesta, «erano governate da un unico centro decisionale». Non solo. Il suo «impero», stando ai primi accertamenti, Mirko Pellegrini lo manteneva con continui pagamenti di mazzette. Oppure assicurando posti di lavoro ai figli di chi faceva affari con lui.
    Indagati anche quattro funzionari del Comune, un geometra di Astral, società partecipata al 100% della Regione Lazio, e due agenti della Polizia stradale. Accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, frode in pubbliche forniture, turbata libertà d'incanti, riciclaggio ed autoriciclaggio. E sono proprio i reati contestati a fornire il quadro di questa vicenda. Dove imprenditori spavaldi cercano di insinuarsi nei proficui affari della Capitale, interessata da una marea di cantieri, assieme a funzionari compiacenti. Tirarsi indietro? Impossibile. Come dimostra una delle tante intercettazioni telefoniche finite nel fascicolo. Pellegrini è con uno dei «suoi uomini». Parlano di un funzionario, a loro libro paga: «Vagli a dire a quello, che se continua a rompere gli chiediamo indietro i diecimila euro che gli abbiamo dato».
    Una volta ottenuto il contratto, poi, si andava al risparmio. In particolare, sostengono gli inquirenti coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Cascini e dal pubblico ministero Lorenzo Del Giudice, per quanto riguarda «lo spessore del manto di asfalto e le quantità di materiale impiegato» . Insomma: lo strato di asfalto veniva realizzato molto più sottile di quanto stabilito nel capitolato. Grazie ai funzionari «amici», i controlli erano facilmente raggirabili. Compresi quelli sui camion delle imprese che superavano i limiti di peso previsti per il trasporto di materiali edili.
    Coinvolto pure un direttore della «Blu Banca spa» di Frascati: secondo la procura, sapeva che dietro 170 conti correnti c'erano dei prestanome eppure non avrebbe mai segnalato alcunché. Gli investigatori del Nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Roma hanno eseguito una serie di perquisizioni e sequestri, alcuni dei quali negli uffici del dipartimento del Comune di Roma in via Petroselli. Al vaglio una quarantina di cantieri, tra cui quelli legati ai bandi indetti da Astral (Azienda strade Lazio spa) in previsione del torneo di golf Ryder Cup. A dare il via alle indagini, sono state alcune vicissitudini della Fenice srl. Da lì, gli inquirenti hanno ricostruito «la rete di persone e società» che pare facessero capo a Pellegrini. Stando agli accertamenti in corso, «La Fenice srl» è mandante di una serie di lavori su alcuni dei principali ponti della Capitale, da ponte Milvio a Testaccio. Perlopiù opere di manutenzione e abbellimento i cui interventi sono in parte finanziati con i soldi del Giubileo. E altre società si sarebbero occupate di marciapiedi.
    La Città ha avviato un'indagine interna ed è stata costituita una commissione tecnica. «Dalle prime risultanze sono emersi affidamenti, tutti effettuati attraverso le procedure di legge, compresi alcuni interventi giubilari: ogni elemento sarà messo a disposizione degli inquirenti», si legge in una nota. E il sindaco Roberto Gualtieri si dice «indignato per la possibilità che qualcuno abbia commesso irregolarità che non devono sporcare il lavoro per il rilancio di Roma».

 

 

 

13.11.24
  1. "Dossieraggi, l'Antimafia sapeva dal 2020" La rabbia di De Raho: "Fango contro di me"
    irene famà
    inviata a perugia
    L'atteggiamento del tenente Pasquale Striano non l'aveva «mai convinto». Si comportava «da super investigatore». Il magistrato Giovanni Russo, oggi a capo del Dap, quattro anni fa era procuratore aggiunto alla Direzione nazionale antimafia. E quel finanziere, ora accusato con il collega Antonio Laudati di aver scaricato e divulgato informazioni riservate dai sistemi informatici in uso alle forze dell'ordine e dalla banca dati della Dnaa, lo conosceva bene. «Svolgeva servizio anche presso il Valutario, cosa che a mio parere creava problemi di riservatezza». I suoi sospetti, Giovanni Russo li avrebbe condivisi durante l'audizione in Commissione antimafia. E li avrebbe ribaditi il 6 novembre, sentito dai magistrati della procura di Perugia come persona informata sui fatti riguardo al dossieraggio.
    Non solo. Delle «anomalie» nell'attività del finanziere Striano pare avesse informato già nel 2020 i vertici della Procura nazionale antimafia, guidata in quella fase dal magistrato Cafiero De Raho, oggi deputato M5S e vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia. Aveva scritto lettere dove faceva notare la libertà con cui il tenente aveva accesso ad informazioni riservatissime. E la spavalderia con cui si intrometteva nelle faccende degli altri gruppi di lavoro. Su quelle «interferenze», Giovanni Russo aveva pure preparato una relazione che però non sarebbe mai stata né firmata né ufficializzata. E a quel documento non sarebbe stato dato seguito. Almeno sino alla ricognizione interna alla Dnaa sulle attività del tenente Striano voluta dal procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo.
    Il racconto sarebbe racchiuso nella nuova documentazione presentata dalla procura di Perugia, diretta da Raffaele Cantone, ai giudici del Riesame. Per i due indagati, i magistrati hanno chiesto gli arresti domiciliari. Le difese - gli avvocati Massimo Clemente e Tommaso Fusillo di Roma e Andrea Castaldo di Napoli - hanno sollevato alcune eccezioni. La prima è sulla competenza territoriale: «Ad occuparsi della questione dev'essere la procura di Roma». La seconda riguarda la posizione di Laudati: «La sua iscrizione nel registro degli indagati è stata tardiva. Ne chiediamo la retrodatazione». Questioni procedurali, su cui decideranno i giudici a dicembre.
    Sullo sfondo restano attacchi e sospetti di questa vicenda intricata. «Non ho mai ricevuto relazioni o segnalazioni di Giovanni Russo riguardanti Pasquale Striano», dichiara Federico Cafiero De Raho. «In passato, presso la Dna, quando sono stati accertati comportamenti anomali o irregolari di appartenenti al Gruppo ricerche si è provveduto all'allontanamento e, in un caso, anche alla denuncia. Il dossieraggio lo sto subendo io». L'ex magistrato non nasconde irritazione: «Mi trovo al centro di una macchinazione, in cui vengono fuori atti inesistenti o comunque mai portati alla mia attenzione, che tendono a ledere la mia persona». Sceglie il termine «calunnie. È gravissimo quello che sta avvenendo. Ciascuno si permette di inventare storie per evitare le proprie responsabilità».
    La polemica esplode in Commissione antimafia. E se dal Movimento 5 Stelle arriva solidarietà a De Raho, i parlamentari di Forza Italia esprimono «profondo sconcerto».
    La vicenda ruota intorno ad accessi abusivi ai sistemi informatici e alla divulgazione di informazioni riservate. Dossieraggio. Che, con i dovuti distinguo, ricorda l'inchiesta di Milano, dove i magistrati hanno scoperto Equalize, agenzia di investigazioni privata che in realtà illegalmente raccoglieva e vendeva informazioni. Tra gli spiati anche Leonardo La Russa, figlio del presidente del Senato accusato di violenza sessuale. Sul suo conto, le ricerche sarebbero avvenute il giorno successivo il presunto abuso. «La spiegazione fornita da un indagato su ricerche svolte per un test o per semplice curiosità non è credibile», dicono fonti vicine al presidente del Senato. «Ben venga ogni accertamento su questa vicenda».
  2. Amsterdam, inviato del Tg1 aggredito dai pro-Pal
    Roma
    Il conflitto israelo-palestinese coinvolge anche la Rai con un'aggressione all'inviato del Tg1 ad Amsterdam da parte di un gruppo di filopalestinesi e, sul fronte opposto, una mail di minacce a Report. «Ieri sera un nostro giornalista, Marco Bariletti, ad Amsterdam è stato circondato e aggredito da personaggi filopalestinesi», ha raccontato il direttore Gian Marco Chiocci durante un'audizione in Commissione Segre al Senato. «Gli è stato sequestrato il telefono, è stato spintonato. Ha vissuto momenti di grande terrore e alla fine gli è stato chiesto, mentre era filmato da questi signori, di urlare "free Palestine"». Coinvolto nell'aggressione anche l'operatore Bartolo Mercadante. Su istruzioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani, l'ambasciatore d'Italia nei Paesi Bassi Giorgio Novello ha chiesto alle autorità olandesi informazioni, sottolineando che avviene «nel contesto particolarmente grave che ha visto aggressioni a tifosi israeliani in una fase di rigurgito di antisemitismo». Solidarietà al giornalista è stata espressa dal presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha definito l'aggressione «grave e trova la mia ferma condanna». Identici i toni da parte del presidente della Camera, Lorenzo Fontana. Vicinanza dagli esponenti di Fratelli d'Italia in Vigilanza. La Rai ha assicurato che continuerà a svolgere il suo ruolo: «Non saranno certo episodi come quello di cui è stato vittima Bariletti a impedire ai giornalisti del servizio pubblico di continuare a informare i cittadini con completezza e rigore». Solidarietà a Bariletti e Mercadante è arrivata anche da Victor Fadlun, presidente della comunità ebraica di Roma. «Un episodio che conferma ancora una volta il pesante clima di intimidazione e violenza antisemita», scrive su Facebook aggiungendo che «è fondamentale continuare a denunciare l'odio antiebraico, tenere alta la guardia e non rassegnarsi a una deriva che evoca tempi bui della nostra storia. Il silenzio è connivenza».
    Sul fronte opposto ieri mattina il conduttore di Report Sigfrido Ranucci aveva denunciato le «agghiaccianti minacce» arrivate alla redazione dopo il servizio sul conflitto tra Israele e Palestina realizzato da Giorgio Mottola e andato in onda nella puntata di domenica scorsa. «Vi dovreste vergognare per l'ignobile servizio anti Israele della scorsa settimana. Pulizia etnica da parte dell'esercito israeliano a Gaza!? La meriteresti Voi, stile redazione di Charlie Hebdo», si legge nella mail, acquisita anche dalla questura di Roma. A Report è arrivata la solidarietà di esponenti del centrosinistra, dal Pd a Avs, oltre che da M5s. «Esprimo piena e totale solidarietà per le inaccettabili e vergognose minacce subite - afferma Barbara Floridia, presidente della Commissione Vigilanza.
  3. Aumenti di stipendi ai dirigenti Scontro M5S-Pd sulla "moralità"
    giulia ricci
    Il Comune dà l'aumento ai dirigenti e scoppia la polemica. Andrea Russi del M5S: «Immorale che decidere di gravare ancora sulle finanze pubbliche». Ma da Palazzo Civico si difendono: «Attacco fuorviante».
    Pietra dello scandalo la "determinazione dirigenziale" di lunedì, che impegna 217 mila euro per tre anni fino al 2026 per 7 dirigenti a tempo determinato, entrati in Comune con il sindaco e che scadranno a fine mandato. In realtà l'aumento riguarda anche quelli a tempo indeterminato, ma il capitolo di spesa è diverso. Nel documento ci sono quattro tipi di importo corrisposti. I primi tre ("Indennità ed altri compensi, esclusi i rimborsi spesa documentati per missione", "contributi obbligatori per il personale", "indennità di fine rapporto") dipendono dal Contratto collettivo nazionale dei dirigenti, modificato a luglio. Il quarto (le "voci stipendiali") dipende dal Comune, in seguito alla riorganizzazione del personale messa in campo dal sindaco Lo Russo. Si parla di Valentina Campana (capa di Gabinetto), Bruno Digrazia (Protezione civile), Christian Amadeo (Tributi e Catasto), Luca Giovanni Faccenda (Lavoro), Roberto Crova (Infrastrutture), Dario Destefanis (Cultura), Claudio Spadon (Pnrr). Gli aumenti variano da 5.800 a 38mila euro nei tre anni.
    A sollevare la polemica il capogruppo M5S Russi: «Se il buon esempio parte dal vertice, è evidente che in questo caso siamo ben lontani da un modello di giustizia sociale ed economica. A chi serve un aumento di stipendio in un Comune che sta diminuendo il proprio organico? Ai superdirigenti ex art. 110, nominati da Lo Russo, premiati con lauti aumenti di stipendio. Dopo la direttrice generale Cimadom (+30mila € l'anno), ora è il turno degli altri, tra i quali l'ex responsabile della sua campagna elettorale, Campana». Ma il Comune ribatte: «È del tutto fuorviante l'idea di un rilevante aumento stipendiale a favore dei dirigenti del Comune. L'aumento di cui si parla – circa 2500 euro lordi annui in media – è meramente ragguagliato alla sottoscrizione definitiva del nuovo Contratto nazionale, mentre nessun incremento che non sia ricollegato a nuove funzioni associate alla riorganizzazione operativa dal maggio 2024 è stato riconosciuto ai dirigenti».
  4. "Dai giudici di pace udienze fissate al 2030 Così ai cittadini viene negata la giustizia"
    ludovica lopetti
    La paralisi in cui versano gli uffici del Giudice di Pace a Torino ha fatto registrare un nuovo record: una prima udienza di trattazione fissata al 2030. Lo ha denunciato pochi giorni fa un avvocato civilista in una missiva inviata all'Ordine degli avvocati subalpino, in cui si parla di «contesto tragico e kafkiano» e si polemizza contro il disinteresse del Pnrr verso la «giustizia di prossimità». Anche per questo ieri un centinaio di toghe si è radunata davanti all'ingresso delle ex Carceri Nuove, in corso Vittorio Emanuele 127, e ha marciato verso l'ingresso del Palagiustizia per la seconda volta nell'arco di pochi mesi. L'obiettivo è portare all'attenzione del legislatore nazionale una situazione che va oltre le proverbiali lungaggini della giustizia. Torino, è ormai noto, vanta il primato negativo: è la prima città italiana per carenza di organico dei giudici di pace, con una scopertura del 94% (13 addetti su una pianta organica di 134). Così per recuperare un credito sotto i 10mila euro (sopra quella soglia è competente il Tribunale) possono volerci fino a cinque anni, così come per ottenere il risarcimento del danno causato da un comune testacoda.
    Claudio Strata, segretario del Consiglio dell'Ordine, ha citato un caso emblematico registrato in questi giorni: l'udienza di opposizione a un decreto ingiuntivo depositato nel 2023 è stata fissata al 2028. «Un fatto simile è inaccettabile, grida vendetta - ha commentato -. Stiamo curando un dossier con tutte le segnalazioni che ci arrivano, la situazione è sempre più drammatica. La competenza del giudice di pace verrà addirittura ampliata e a quel punto la carenza di organico manderà letteralmente in tilt il sistema. Dal ministero devono ascoltarci». Gli ha fatto eco il presidente della Camera penale Roberto Capra: «Questa è denegata giustizia. Bisogna avviare iniziative forti e prolungate per sollecitare un intervento. È una battaglia troppo importante per i diritti delle persone» ha dichiarato. Gli avvocati chiedono di ripristinare il rito ordinario con citazione (scalzato dal ricorso introdotto con la riforma Cartabia) e rinforzare gli uffici con nuove risorse amministrative.
    Alla marcia ha partecipato anche una delegazione di carrozzieri che attendono da anni la definizione delle cause intentate contro le compagnie assicurative per recuperare crediti da centinaia di migliaia di euro. «I liquidatori non ci pagano i sinistri contando sul fatto che la giustizia è lenta, così ci spingono a rinunciare al credito», spiega Antonino Merendino, carrozziere di 57 anni titolare di un'officina in via Lera. «Facciamo interventi per una certa somma e i liquidatori ci propongono di chiudere al ribasso, a meno 300 o 400 euro su ciascuna auto, lesinando anche sulla manodopera. Ma noi abbiamo costi fissi: operai, materiali. In questo modo io avanzo 200mila euro da una compagnia e devo ancora recuperare crediti da sinistri del 2017. Facciamo almeno dieci cause all'anno». Il rapporto costi-benefici suggerirebbe di rinunciare. «Non possiamo più aspettare, rivogliamo i nostri soldi»

 

12.11.24
  1. Sono già 25 mila i posti di lavoro a rischio In Italia nel settore dell’auto e a breve, se non aumentano i livelli produttivi, diventeranno almeno 50 mila. Questa la cruda analisi di Alix Partners per il tavolo dell’automotive presso il ministero delle Imprese.



    Il 2024 si chiuderà con meno di 500 mila veicoli prodotti in tutto. È l’effetto combinato di due fattori: lo stop al motore a scoppio dal 2035 (deciso dalla maggioranza dei Paesi Ue) e la spietata concorrenza cinese. Circostanze che però si innestano in un Paese dove la produzione è in calo dagli anni ‘90 e che quest’anno registrerà il peggiore risultato dal 1956.


    Volenti o nolenti, Stellantis continua ad avere un ruolo chiave perché in Italia è l’unico grande produttore. E perché è difficile attirare nuove case in una fase in cui la domanda in Europa sta drammaticamente scendendo.



    Il ministro Adolfo Urso ha cercato di «convincere» Stellantis a produrre nel nostro Paese un milione di veicoli nel 2024, quota minima per difendere l’occupazione nella filiera. Ci ha provato con le buone (950 milioni di incentivi nel 2023) e con le cattive (il gruppo è stato costretto a cambiare nome alla Alfa Romeo Milano prodotta in Polonia e a togliere il tricolore dalle carrozzerie delle Topolino assemblate in Marocco).



    Ma non è servito a niente, come a nulla serve chiedere di restituire almeno in parte quello che il Paese ha dato al gruppo, perché Stellantis risponde così: «Fiat era un’altra realtà e oggi la famiglia Agnelli-Elkann è solo uno degli azionisti, la società non è più italiana, andiamo a produrre dove costa meno, punto».


    Intanto mentre in Europa si litigava sul passaggio all’elettrico, la Cina ha sovvenzionato le sue aziende che ora sono una generazione più avanti in termini di tecnologia (tempo di ricarica delle batterie, infrastrutture di ricarica, software, user experience, tempo di sviluppo dei nuovi prodotti).



    La conseguenza è lo sbarco di auto elettriche made in China sul mercato europeo a costi competitivi (meno 20%). La reazione è stata quella dei dazi: dal 17 al 35% per i prossimi 5 anni. […]



    Secondo i dati del rapporto Draghi, nei prossimi cinque anni la capacità produttiva dell’automotive europeo rischia di ridursi ogni anno del 10%. Ma se in Italia la produzione è in calo da trent’anni un motivo ci sarà. E da lì bisogna ripartire.


    Cominciamo a vedere il costo del lavoro nei Paesi europei dove Stellantis ha gli stabilimenti. Non è vero che l’Italia sia la più cara: per l’azienda il costo orario di un operaio metalmeccanico è di 29 euro, in Francia sale a 35 e in Germania a 44. Certo, in Polonia si scende a 12 euro e in Serbia a 7.



    Ma il confronto più interessante è con la Spagna, dove Stellantis ha già prodotto nel 2023 il milione di veicoli a cui noi aspiravamo. Qui il costo-azienda è di 25 euro l’ora. Confrontando gli stabilimenti di Melfi e Mirafiori con quelli di Saragozza e Madrid, secondo Stellantis, la differenza sul costo del lavoro è del 22% in più in Italia perché in Spagna c’è un grande utilizzo di personale interinale, mentre la produttività da noi è del 38% più bassa.

    Le ragioni sarebbero imputabili a un maggiore assenteismo rispetto alla Spagna […] e più personale con ridotte capacità lavorative per motivi di età o sanitari. A Melfi e Mirafiori, però, la produttività è più bassa soprattutto perché i due stabilimenti italiani non viaggiano a pieno regime, e questo non dipende certo dai lavoratori. Inoltre, la produttività e il suo mantenimento dipende anche dagli investimenti (fatti o mancati).



    Va rimarcato che negli ultimi tre anni Stellantis ha incentivato il 20% del suo personale ad andarsene e a cogliere l’occasione sono spesso stati i più giovani. Oggi a Mirafiori l’età media dei dipendenti è di 57 anni. Con questo tipo di politiche del personale è difficile che la produttività cresca.



    […] È certamente improponibile pensare di recuperare competitività sulle retribuzioni in un Paese che ha visto

    I costi di un assemblatore di automobili sono dovuti circa per il 10% al personale, un altro 12% dipende dall’energia. La comparazione fra i paesi europei dove Stellantis ha i sui stabilimenti mostra che l’Italia ha in assoluto il prezzo più alto: 103 euro al MWh, contro i 49,3 della Francia, i 71,4 della Germania, 92,1 della Polonia, 91,5 della Serbia e i 53,7 della Spagna.



    […] Una strada la mostra il professor Massimo Beccarello, direttore del Centro di ricerca in economia e regolazione, dei servizi, dell’industria e del settore pubblico (Cesisp): «Nell’immediato una leva per rendere competitivi i settori strategici per il Paese possono essere le energie rinnovabili, vuol dire che innanzitutto il governo deve accelerare la produzione di eolico e fotovoltaico per raggiungere gli obiettivi che si è dato entro il 2030, contemporaneamente va affrontato il problema del prezzo.


    I costi di produzione delle rinnovabili sono più bassi, incluso quel 23% di energia prodotta da idroelettrico, ma poi viene tutta venduta allo stesso prezzo del gas. Bisognerebbe disaccoppiare i prezzi e destinare una parte di questa energia da rinnovabili ai settori a rischio delocalizzazione». […]


    Secondo i dati forniti dalle imprese della componentistica al ministero delle Imprese e Made in Italy, il costo della logistica in Italia è allineato a quello spagnolo, mentre Stellantis segnala che nei suoi siti produttivi in Italia (come Atessa, Cassino, Melfi e Pomigliano), i costi sono ancora «significativamente» più elevati rispetto agli altri Paesi europei.

    Un problema legato «a ritardi nei potenziamenti delle reti di trasporto e intermodalità insufficiente, che aumentano i costi di spedizione e rallentano il flusso logistico». Per quanto riguarda […]



    Dall’indagine di Alix Partners emerge poi che le nostre imprese della componentistica sono troppo piccole per la competizione globale: hanno un fatturato medio inferiore del 20% rispetto a quelle francesi e del 50% rispetto alle tedesche. Il settore, inoltre, dovrebbe investire di più in ricerca e sviluppo, anche in considerazione del fatto che il costo di un ingegnere in Italia è addirittura più basso che in Cina.


    Tornando al nostro unico maggior produttore: è vero che Fiat ha ricevuto dal Paese più di quanto ha dato, ma è altrettanto vero che i governi che si sono succeduti negli ultimi 50 anni non hanno fatto quello che era necessario per avere un rapporto alla pari. Al gruppo partecipato dalla famiglia Agnelli è stato concesso di non avere concorrenti nel Paese (basti pensare alla mancata vendita di Alfa Romeo a Ford), mentre in Spagna i produttori sono diventati cinque.



    Quando era il momento propizio, poi, lo Stato italiano non ha nemmeno cercato di diventare azionista. Era il 2002 quando Fiat, in estrema difficoltà, si rivolse al governo. Il ceo, Paolo Fresco, fu ricevuto dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non a palazzo Chigi ma ad Arcore. Lo Stato decise di non investire sul gruppo. E il consiglio di Berlusconi fu quello di fare un restyling dei modelli Fiat e cambiare il marchio mettendo Ferrari.

    Ora dobbiamo scegliere se continuare a lamentarci per le scelte sbagliate del passato e dell’ingratitudine di Stellantis o se cambiare passo. Al momento il rapporto con il governo è ai minimi storici e ad andarci di mezzo sono anche le aziende della componentistica. L’idea di politica industriale nel nostro Paese sta nell’ultima legge di Bilancio: i 4,6 miliardi stanziati dall’esecutivo Draghi per il settore automotive da spendere entro il 2030 sono stati cancellati con un tratto di penna.

 

 

 

 

11.11.24
  1. Magistrati
    nelle correnti
    Francesco Grignetti
    Roma
    Ai tempi della Prima Repubblica, quando governava la Dc, ed esisteva il mitico Manuale Cencelli per la spartizione delle cariche, la poltrona di procuratore capo di Roma valeva quanto due ministeri. Questo per dire che il potere politico non ha mai, proprio mai, perso di vista il potere giudiziario, temendone la forza. Ma all'epoca i poteri andavano a braccetto. E infatti la suddetta procura di Roma si era meritata il nomignolo di "Porto delle nebbie". Un ufficio dove le inchieste che facevano male ai politici si perdevano fatalmente.
    Il peso delle toghe rosse
    Altri tempi. Oggi, come durante tutto il ventennio berlusconiano, i due poteri si guardano in cagnesco. O meglio, il centrodestra si sente sotto attacco. Per dirla con le parole del ministro Carlo Nordio, che ha il dente avvelenato con gli ex colleghi, la magistratura "ha esondato" e sarebbe ora che facesse un passo indietro. A volte però, le apparenze ingannano. E se si va a ben guardare il tanto mitizzato peso delle "toghe rosse", ci si accorgerà che pesano molto meno di un tempo.
    Qualche numero dunque, per capire dove batte il cuore della magistratura italiana. Nel Consiglio superiore della magistratura ci sono 20 membri togati, eletti dai colleghi. Il gruppo di maggioranza relativa è Magistratura Indipendente, con 7 rappresentanti. È la corrente dei conservatori, accusata a mezza bocca dagli altri di "collateralismo" con il governo di Giorgia Meloni, tanto più che Alfredo Mantovano, potente sottosegretario alla Presidenza, è un magistrato prestato alla politica ed è stato un pilastro di MI. Seguono i progressisti di Area con 6 rappresentanti; i centristi di Unicost con 4; Magistratura democratica ha 1 solo rappresentante; e poi ci sono due indipendenti. Tra qualche mese, a gennaio, si voterà per il rinnovo dei vertici dell'Associazione nazionale magistrati e si vedrà se ci sono movimenti, ma allo stato il quadro pende per il conservatorismo in toga.
    La componente laica
    Sempre al Csm c'è anche una forte maggioranza di membri laici, quelli eletti dal Parlamento, espressione del centrodestra. Anche il vicepresidente, l'avvocato Fabio Pinelli, viene da lì. Comunque Pinelli è un uomo dalle relazioni trasversali: è stato indicato in particolare dalla Lega, ma aveva buoni rapporti con Matteo Renzi ed era stimato da Luciano Violante.
    Questa geografia politica tra togati e laici nel primo anno di attività ha causato non poche frizioni perché si è visto spesso un asse tra i 7 rappresentanti di MI, i laici di centrodestra, Pinelli che non ha disdegnato di votare in alcune occasioni cruciali, con ciò rompendo una tradizione di astensioni, e qualche volta anche i membri di diritto, cioè Primo presidente di Cassazione e procuratore generale di Cassazione, che sono confluiti su nomi di magistrati conservatori. Anche la prima presidente di Cassazione Margherita Cassano è stata una figura di spicco di Magistratura Indipendente.
    Il caso Spiezia
    È quanto successe nel luglio 2023 per la nomina del procuratore capo di Firenze, Filippo Spiezia, di rientro dall'esperienza di Eurojust, che ha superato per un filo il candidato dei progressisti Ettore Squillace Greco, già procuratore di Livorno. Quella volta, di fronte a una parità perfetta, il vicepresidente Pinelli scese in campo, giustificando la decisione per la "importanza" della nomina. Ora, siccome Matteo Renzi era in rotta con la procura di Firenze, e Pinelli era stato avvocato per la fondazione renziana Open, la storia non passò liscia. Da allora, il procuratore Spiezia governa con pugno di ferro la procura. È nemico innanzitutto delle fughe di notizie, in senso molto lato. Nei giorni scorsi c'è stata una protesta dei giornalisti fiorentini perché il procuratore ha nascosto per tre giorni la notizia di un incidente mortale sul lavoro occorso a un operaio di origini marocchine, investito sul cantiere autostradale dove lavorava; ma già qualche settimana prima, come raccontato dal sito Professionereporter, c'erano stati "una violenza sessuale, un accoltellamento, un'aggressione, due rapine. Tutto a Firenze, nel giro di tre notti. Senza nessuna comunicazione da parte della Procura e delle Forze dell'ordine. Divieto di cronaca nella città degli Uffizi".
    Il ruolo delle procure
    È un fatto, comunque, che le maggiori procure italiane siano rette da magistrati di grande valore, ma anche di conclamata prudenza e provenienti da correnti conservatrici. Certo non dei "descamisados". Così è per Roma, dove il procuratore capo è Francesco Lo Voi, già capo a Palermo per 8 anni, vicino a Magistratura Indipendente, che si insediò nel gennaio 2022 dopo aspra contesa con il facente funzioni Giuseppe Prestipino e Marcello Viola, che era procuratore aggiunto di Firenze.
    Lo stesso è per Milano, dove i tempi d'oro e l'armonia tra i sostituti procuratori sono un lontano ricordo. Dopo la delusione romana, Marcello Viola è procuratore nel capoluogo lombardo dall'aprile del 2022 (nomina appena confermata dal Consiglio di Stato). E anche Viola, come Lo Voi, proviene da Magistratura Indipendente.
    A Napoli, poi, governa il notissimo Nicola Gratteri, già procuratore capo di Reggio Calabria. L'uomo è vulcanico e sarebbe totalmente sbagliato collegarlo a una corrente. Però è un fatto che sulla sua nomina, conservatori e progressisti hanno litigato di brutto e anche nel suo caso pesò la convergenza tra Magistratura Indipendente e i laici di centrodestra, cui si aggiunse il vicepresidente Pinelli. Accadeva nel settembre 2023. Quella volta, i progressisti di Area, sconfitti, scrissero un comunicato di fuoco.
    Le principali procure d'Italia, insomma, sono rette da uomini di Magistratura Indipendente se si eccettuano Palermo (dove c'è Maurizio De Lucia) o Catania (il Csm ha scelto Francesco Curcio per sostituire Carmelo Zuccaro, ma poi il ministro Nordio ha tardato mesi a controfirmare la nomina). Da ultimo, c'è da dire, il Csm lavora con meno spaccature. La nomina del nuovo procuratore di Torino, Giovanni Bombardieri, proposto all'unanimità dalla V Commissione, vicino alla corrente centrista Unicost, ne è un segno. E presto ci sarà la nomina per il procuratore capo di Bologna dove sono in lizza altri pregevoli nomi. —

 

 

 

 

10.11.24
  1. MATTARELLA IN CINA PER STABILIMENTI CINESI IN ITALIA: UN ERRORE.   l ministro degli Esteri: si va nella direzione giusta perché l'Ue riveda le tariffe sui veicoli elettrici cinesi L'ipotesi del compromesso con Bruxelles: trovare un prezzo minimo e uno massimo sulle importazioni
    Tajani ottimista sullo stop ai dazi "Ci sono le basi per un'intesa" La Cina valuta di investire in Italia
    Lorenzo Lamperti
    Pechino
    «Si va nella direzione giusta». L'Italia accelera verso le auto elettriche cinesi. Ad ammetterlo Antonio Tajani, che accompagna Sergio Mattarella nella sua visita in Cina. Sei giorni fitti di incontri, da cui il nostro Paese sta provando a uscire con qualcosa di concreto. In particolare, il ministro degli Esteri conferma che si potrebbe presto arrivare a un accordo di compromesso tra Unione Europea e governo cinese sui dazi aggiuntivi ai veicoli elettrici di Pechino. «L'ipotesi potrebbe essere quella di trovare un prezzo minimo e uno massimo», dice Tajani all'Ansa dopo l'incontro con il premier cinese Li Qiang. «Sono stati fatti dei passi in avanti, aspettiamo», rimarca.
    Le possibilità di trovare un'intesa parevano quasi nulle solamente fino a qualche giorno fa, quando Pechino aveva molto criticato la postura poco malleabile di Bruxelles, presentando ricorso all'Organizzazione mondiale del commercio. E minacciando poi ritorsioni sulle importazioni di una serie di prodotti europei, tra cui le auto a grossa cilindrata. Ora il clima sembra almeno in parte cambiato. Come mai? Sui media cinesi c'è chi suggerisce un possibile legame con la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Il concreto scenario di un aggressivo rilancio delle tariffe, sia contro la Cina sia contro (in misura minore) i partner del Vecchio Continente, potrebbe convincere l'UE ad adottare una posizione meno intransigente. «Non si possono permettere due guerre commerciali con le prime due economie mondiali», si dice a Pechino, che punta moltissimo sulle sue cosiddette «nuove forze produttive» per rilanciare l'economia.
    L'Italia non si è opposta ai dazi aggiuntivi alle e-car cinesi, come ha fatto invece la Germania, ma ha sempre auspicato il raggiungimento di un accordo a metà strada. Il governo Meloni guarda infatti con estremo interesse all'industria tecnologica verde cinese. La MingYang Smart Energy, gigante delle turbine eoliche, costruirà una fabbrica in Italia tramite una newco con la società Renexia del Gruppo Toto. E già da diversi mesi è in corso una trattativa con Chery, la più grande casa automobilistica cinese per esportazioni, e con altre realtà come Dongfeng Motor per potenziali investimenti. In molti erano convinti che già durante la visita della premier, lo scorso luglio, potesse essere annunciata l'intesa per l'apertura in Italia di un impianto di produzione di uno dei colossi cinesi delle auto elettriche. Così non è stato. Nei mesi successivi, peraltro, il ministero del Commercio di Pechino avrebbe chiesto alle case automobilistiche di interrompere i grandi investimenti nei Paesi europei che sostengono le tariffe aggiuntive, dunque anche l'Italia. Anche con questo, si spiega la grande insistenza di Mattarella e Tajani nell'esaltare i «mercati aperti» e respingere la possibilità di una «nuova stazione di protezionismo». Serve convincere la Cina che l'Italia non chiude le porte al libero scambio, aspettandosi però in cambio la rimozione delle barriere su alcuni prodotti di eccellenza come le carni suine e i salumi, ma anche un riequilibrio della bilancia commerciale con un aumento significativo delle esportazioni sul mercato del gigante asiatico.
    Tajani è convinto che, se davvero si raggiungesse un compromesso tra Ue e Italia, i discorsi sull'impianto di produzione di auto elettriche cinesi potrebbero riprendere rapidamente quota. «Senz'altro c'è un netto interesse da parte italiana ad attrarre investimenti cinesi nel settore», dice a La Stampa Lorenzo Riccardi, presidente della Camera di Commercio Italiana in Cina. «Pechino vede la possibilità di buon occhio visto che l'Italia ha una filiera più avanzata rispetto ad altri Paesi europei e competenze molto specializzate». Dall'altro lato, dice, «è necessario vedere quali saranno i prossimi passi concreti nelle relazioni politiche. Da qui scaturiranno le conseguenze economiche. La Cina richiede un'intesa che sia di medio-lungo periodo per progetti che hanno tempistiche lunghe di investimento», aggiunge Riccardi. La doppia visita a stretto giro di Meloni e Mattarella, con il nuovo piano d'azione triennale di rafforzamento del partenariato strategico firmato a luglio, sembrano un buon viatico.

 

 

 

 

 

 

09.11.24
  1. Basilicata, Bardi a giudizio Nei guai il senatore Rosa (FdI)
    Con l'accusa di concorso in induzione a dare o promettere utilità, il presidente della Giunta regionale della Basilicata, Vito Bardi (Forza Italia) è stato rinviato a giudizio nell'ambito di un'inchiesta del 2022 sulla sanità lucana. A processo – la prima udienza è stata fissata per il 20 gennaio 2025 – anche altri quattro esponenti politici lucani di primo piano, all'epoca dei fatti assessori della giunta di centrodestra: si tratta del senatore Gianni Rosa (Fratelli d'Italia), dell'assessore regionale alle Attività produttive, Francesco Cupparo (Forza Italia), e dei consiglieri regionali Francesco Fanelli (Lega) e Rocco Leone (Fratelli d'Italia). Eletto per la prima volta nel 2019 e poi riconfermato nell'aprile scorso con il 56,6%, Bardi, fino a ieri sera, non ha voluto commentare la decisione del gup Francesco Valente
  2. La svolta sull'omicidio del 2010. I camorristi dicevano: "Questo porto lo gestiamo noi"
    La rabbia nel paese del sindaco Vassallo "Cagnazzo era sospettato già 14 anni fa"
    irene famà
    inviata a pollica (salerno)
    «Cosa c'è di nuovo? Cosa emerge?». Al bar al centro di Acciaroli, davanti al porto del Cilento, non si parla d'altro. Il sindaco Angelo Vassallo è stato ammazzato nel 2010. E ora in quattro sono finiti in carcere su misura cautelare, tra cui il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo. «Emerge quello che noi dicevamo quattordici anni fa. L'hanno fatto fuori per la droga ed erano coinvolti tutti». La svolta nelle indagini non coglie di sorpresa chi da quelle parti vive e lavora. Primo tra tutti il sindaco Stefano Pisano, che di Vassallo è stato amico e vice e braccio destro. «La figura di Cagnazzo ci ha sempre lasciati perplessi. Dopo la morte di Angelo c'era chi parlava, lo tirava in ballo. Ma non è stato creduto».
    Uno tra i tanti? Pierluca Cillo. Agente immobiliare chiacchierato, questo è vero. Con una vita turbolenta, raccontano, non proprio specchiata. Nell'ultimo periodo, il sindaco-pescatore trascorreva con lui molto tempo. «Indagava su chi portava la cocaina in paese. Era una sorta di sua fonte», dicono i ben informati. Dopo l'esecuzione, Cillo, che di cose ne sapeva, si era confidato un po' con tutti. Amministratori, amici, parenti. «Bisogna stare attenti ai colletti bianchi», diceva. Puntava il dito contro il colonnello Cagnazzo: «È coinvolto nell'omicidio. Lui e quell'altro carabiniere. Da queste parti c'è una base per la droga, a Torre Caleo. Stoccano lo stupefacente. Di mezzo c'è Cagnazzo e altri imprenditori». E il riferimento era ai fratelli Palladino che lì intorno gestivano discoteche, residence, lidi.
    Acciaroli, quell'estate, era diventata il centro della movida cilentina. Turisti, molti giovani. «Lo vedi questo porto? Mo lo gestiamo noi. Mettiamo la pompa di benzina qua. E tutto il resto», dicevano esponenti dei clan di camorra. E il resto era la cocaina. In quel paese, loro immaginavano affari.
    Al sindaco Vassallo, però, «non gli stava bene e non era corruttibile». Anzi, su quei carichi di droga si era messo ad indagare in prima persona. E secondo gli inquirenti della procura di Salerno, era riuscito a risalire ai protagonisti del traffico. Così è stato ucciso.
    «Ha organizzato tutto Cagnazzo», si legge nelle testimonianze raccolte negli atti d'indagine. E dopo l'omicidio, «aveva fatto in modo che l'altro carabiniere sparisse completamente dalla circolazione, lasciando a sé il compito di depistare le indagini». Spietato nel costruirsi un alibi, la sera del delitto, almeno secondo i Ros di Roma, si era presentato a cena "Da Claudio", ristorante gestito dal fratello di Vassallo dove lavorava anche la moglie.
    E pure Romolo Ridosso, volto noto della camorra poi collaboratore di giustizia, era rimasto colpito «dalla professionalità con cui quel colonnello dei carabinieri aveva organizzato l'omicidio» del sindaco – pescatore. Era rimasto «strabiliato», così aveva raccontato al compagno di cella, della cura «dell'esecuzione nei minimi particolari». —

 

 

 

08.11.24
  1. Il dramma nel Pinerolese, il ragazzino è ora ricoverato in gravi condizioni al Regina Margherita L'adolescente, che frequenta la terza media, ha lasciato un biglietto dove spiega il suo gesto
    Prende brutti voti a scuola a 13 anni si getta dalla finestra
    gianni giacomino
    Un 13enne residente nella zona del Pinerolese sta lottando per rimanere aggrappato alla vita in un lettino del reparto di rianimazione del Regina Margherita. L'altro pomeriggio si è gettato dal quarto piano del palazzo in cui abita. All'origine del suo gesto disperato ci sarebbero i brutti voti a scuola.
    L'adolescente, che frequenta la terza media, avrebbe lasciato un biglietto per i genitori sulla scrivania della sua cameretta dove spiegava, in poche righe, come all'origine della sua decisione ci sarebbe proprio il rendimento scolastico insufficiente.
    Ieri è già stato sottoposto ad un intervento chirurgico durato diverse ore nel quale gli ortopedici del Regina Margherita hanno stabilizzato le fratture che l'adolescente ha riportato in diverse parti del corpo. Al momento resta in prognosi riservata. Il quadro clinico resta molto complicato anche a causa di un trauma toracico e, solo nelle prossime ore, verrà rivalutata la situazione. Per fortuna sembra che il ragazzino non si sia procurato lesioni alla testa.
    L'allarme lo hanno lanciato alcuni passanti che, l'altra sera intorno alle 17,30, quando era già buio, hanno visto il ragazzino piombare nel vuoto da una decina di metri. L'impatto al suolo è stato devastante. «Ho avvertito il rumore di un tonfo - racconta un commerciante con l'attività proprio davanti alla palazzina dalla quale si i gettato lo studente - ho capito subito che era successo qualcosa di grave. Sono uscito e ho visto una scena davvero straziante. Speriamo che quel ragazzo ce la faccia».
    Pochi minuti più tardi lo studente è stato soccorso dai medici e dagli infermieri del 118 che lo hanno stabilizzato e poi lo hanno trasportato in ambulanza all'ospedale di Pinerolo. Da dove, qualche ora dopo, vista la gravità delle sue condizioni a causa dei traumi, è stato trasferito in elicottero al Regina Margherita.
    Sull'ennesimo tentativo di suicidio che vede protagonista un adolescente ora indagano i carabinieri della Compagnia di Pinerolo che, l'altro pomeriggio, sono intervenuti con diverse pattuglie del nucleo radiomobile. In queste ore gli investigatori stanno cercando di ricostruire cosa sia successo nelle ultime ore, o negli ultimi giorni, per spingere il ragazzo a un gesto così atroce. Forse il 13enne - che probabilmente era solo in casa - temeva di non arrivare preparato all'esame, forse un rimprovero di troppo, forse una pressione scolastica eccessiva.
  2. Militari corrotti, depistaggi, omertà "Il pescatore l'abbiamo sistemato"
    Romolo Ridosso Ex capo clan oggi pentito
    Annamaria Ferraiolo Giudice indagini preliminari
    Grazia Longo
    Roma
    Dalle 404 pagine dell'ordinanza non emerge l'esecutore materiale per la morte del sindaco-pescatore Angelo Vassallo. Ma il quadro è ugualmente inquietante perché si delinea il sospetto di carabinieri corrotti - in particolare il colonnello Fabio Cagnazzo, 54 anni - al punto da organizzare un delitto. E cosi se l'imprenditore Giuseppe Cipriano, 56 anni, è accusato, oltre che di concorso in omicidio, di aver gestito il traffico di droga ad Acciaroli, zona di movida nel Cilento, l'alto ufficiale dell'Arma è stato arrestato non solo per aver coperto quel traffico in cambio di mazzette, ma addirittura per aver contribuito anch'egli all'omicidio di Vassallo e per aver depistato le indagini.
    Oltre che a Cipriano e Cagnazzo sono finiti in carcere anche l'ex brigadiere dei carabinieri Lazzaro Cioffi, 62 anni, e Romolo Ridosso, 63 anni, ritenuto esponente del clan camorristico Ridosso-Loreto. E scorrendo l'ordinanza della gip del Tribunale di Salerno Annamaria Ferraiolo si legge come i quattro uomini fossero legati a doppio filo: «Nel corso dell'interrogatorio dell'8 giugno 2022 Romolo Ridosso riferiva che Giuseppe Cipriano affidava l'organizzazione dell'omicidio del sindaco Vassallo a Lazzaro Cioffi e alla "sua squadra", della quale faceva parte anche il colonnello Cagnazzo il quale, in particolare, avrebbe fornito copertura dopo il delitto».
    Ridosso assicura: «Giuseppe Cipriano è convinto e straconvinto che tutti i carabinieri che lui conosce, il maggiore Cagnazzo, Lazzaro Cioffi stavano dalla sua parte. Nel senso che lo coprivano e lo avrebbero coperto, che erano amici suoi». Alla domanda sul perché Cagnazzo copriva Cipriano, Ridosso spiega «perché si pigliava i soldi tramite Lazzaro. Cagnazzo era il primo personaggio, qualsiasi cosa si faceva si doveva riferire a Cagnazzo».
    In merito al delitto si scopre, poi, che Ridosso precisava di avere appreso direttamente da Giuseppe Cipriano della sua volontà di uccidere Vassallo. Ridosso a verbale dichiara: «Il 3 settembre 2010 durante l'ultimo viaggio Cipriamo mi disse chiaramente della sua volontà di uccidere il sindaco Vassallo. Mi disse che con Vassallo "se la sarebbe vista lui"». Si legge poi che Ridosso, secondo quanto riferito da Eugenio D'Atri, ex compagno di cella di Ridosso, aggiungeva «in maniera precisa e dettagliata di aver appreso che l'omicidio del sindaco era stato organizzato da alcuni carabinieri in particolare Lorenzo Cioffi e il colonnello Cagnazzo coinvolti in un'attività di traffico di stupefacenti che il sindaco aveva scoperto e intendeva denunciare».
    D'Atri riferisce che Ridosso sosteneva che «il delitto era stato organizzato da Cagnazzo nei minimi particolari, dalla fase esecutiva sino al depistaggio». Ridosso, sempre secondo quanto afferma D'Atri, definisce Cagnazzo «un dittatore capace di gestire i suoi uomini fidati. Per Cagnazzo era insopportabile che Vassallo denunciasse il traffico di droga, non solo nella prospettiva di una carcerazione ma per la perdita dell'onore».
    Molti sono, inoltre, i dettagli sull'attività di depistaggio che avrebbe messo in campo Cagnazzo: si era anche avvicinato alla famiglia della vittima che lo definiva «il nostro salvatore». Ma per gli inquirenti quel rapporto di amicizia instaurato dopo la tragedia, altro non era, che «un tassello di non trascurabile rilievo della sua attività di depistaggio». L'ufficiale dell'Arma avrebbe dirottato le indagini su uno spacciatore della zona, Bruno Humberto Damiani, incriminato e poi scagionato. Prima del delitto Ridosso, Cioffi e D'Atri sarebbero andati sul luogo del delitto per accertarsi che non ci fossero telecamere.
    Interessanti, poi, quei 23 minuti di buco nell'alibi del colonnello Cagnazzo che la sera del delitto si trovava ad Acciaroli. Era invitato al ristorante da alcuni amici ma si assentò per 23 minuti. Dai tabulati telefonici si scopre che alcuni dei suoi amici lo cercarono al cellulare per capire dove fosse. Scrive a proposito la gip: «A circa 4 metri dall'auto nella quale si trovava il cadavere di Vassallo veniva rinvenuta una sigaretta con il Dna di Cagnazzo». Il colonnello disse che in quei 23 minuti forse era andato a incontrare la figlia. Ma è stato smentito dall'ex moglie : «Quella sera io e mia figlia eravamo a Napoli».
    Sempre dall'ordinanza si evince, infine, la spietatezza in occasione dell'assassinio di Vassallo, noto come il sindaco-pescatore. «Pure il pescatore lo abbiamo messo a posto» sono le parole con cui Romolo Ridosso «salutò» la notizia dell'avvenuta uccisione del sindaco. Proprio a casa di Ridosso si sarebbe tenuto un incontro successivo all'omicidio, secondo quanto riferito agli investigatori dall'allora sua convivente, già testimone di giustizia, considerata attendibile dagli investigatori della Dda di Salerno che, per oltre un decennio, hanno cercato di far luce sull'omicidio.
    La donna racconta agli investigatori di un incontro tra Cioffi, Cipriano e Ridosso nell'abitazione di quest'ultimo a Lettere (Napoli). I due ospiti arrivano sul posto a bordo di un Suv nero e sono accolti da Ridosso, che intrattiene con loro una conversazione privata. Al suo rientro in casa, parlando a voce alta da solo, Ridosso afferma: «Pure il pescatore lo abbiamo messo a posto».
  3. Agenti perquisiti per associazione a delinquere, peculato e truffa: in orario di lavoro ristrutturavano case private usando i loro mezzi di servizio
    La doppia vita dei poliziotti imbianchini sette indagati al reparto mobile di via Veglia
    giuseppe legato
    caterina stamin
    Poliziotti sì e anche esperti. Con funzioni di ordine pubblico perché in forza a un reparto – il V° Mobile - deputato alla sicurezza dei cittadini nei grandi eventi e nelle manifestazioni. Ma anche giardinieri, artigiani, muratori e finanche imbianchini. Magari in orario di lavoro e con mezzi e strumenti che appartengono alla polizia utilizzati per fini privati. La doppia vita di sette agenti in forza alla caserma di via Veglia, al confine tra Torino e Grugliasco, è finita in un'inchiesta del pm Giovanni Caspani e dall'Aggiunto Enrica Gabetta che coordina il pool che indaga sui reati contro la pubblica amministrazione. Ieri mattina sono scattate – e durate fino al pomeriggio - le perquisizioni a casa degli indagati. Con accuse pesanti formalizzate in un decreto lungo tre pagine: associazione a delinquere finalizzata al peculato e alla truffa ai danni dell'amministrazione di appartenenza. E invasioni di edifici.
    Da settembre del 2022 e fino a pochi giorni fa dicevano di essere in servizio, ma – forse anche per arrotondare lo stipendio - andavano a lavorare per conto di privati (dietro pagamenti ovviamente non tracciati). Dopo mesi di articolate indagini gli investigatori della polizia giudiziaria (Polizia di Stato) in forza alla procura li hanno incastrati. Con video eloquenti girati durante appostamenti mentre a bordo di un Ducato e un Turbo Daily scaricavano detriti da ristrutturazioni edili finanche in locali di competenza del reparto Mobile come - ad esempio - l'ex falegnameria che non solo erano utilizzati indebitamente, ma anche chiusi a chiave rendendoli di fatto indisponibili alla polizia stessa. Erano dunque dei magazzini si apprende dagli investigatori.
    Dentro, erano custodite anche le attrezzature utilizzate per svolgere i cantieri presso privati procacciati grazie alle segnalazioni di amici e colleghi. Opere a volte importanti, altre di piccola manutenzione. Nelle carte dell'inchiesta sono finite così le foto di elettrodomestici tra cui frigoriferi, macerie da demolizione di interni, conferiti in diverse discariche per ingombranti e inerti gestite dall'Amiat in città. Tutto – secondo l'accusa – sarebbe avvenuto anche in orario di servizio. E da qui la contestazione degli inquirenti «di un ingiusto profitto - si legge nel titolo di reato notificato ai sette - pari all'importo lordo corrispondente allo stipendio e ai contributi pensionistici ottenuto grazie ad artifici e raggiri». Migliaia di euro secondo i primi conteggi. Al momento non sono noti eventuali provvedimenti di sospensione dal servizio che vanno comunque adottati dall'amministrazione di appartenenza che è comunque individuata dai pm come parte offesa, ma si apprende che sarebbero state loro ritirate le armi di servizio in via cautelare. Forse solo un primo passo.
  4. Carabiniera nasconde decine di denunce Il pm chiede un anno e mezzo di carcere
    Se si indossa la divisa da carabiniere, è lecito accumulare in un armadietto decine di denunce senza trasmettere le rispettive notizie di reato alla Procura? E si può invocare a propria discolpa la carenza di organico? Sono queste le domande a cui dovrà rispondere il Tribunale di Torino nel processo a carico di Roberta D'Ambrosio, carabiniera fino al 2021 in servizio presso la caserma di Chieri. Il pm Paolo Toso l'accusa di rifiuto di atti d'ufficio per aver lasciato per anni un plico con decine di verbali di denuncia dentro un armadietto. A ritrovarli, nel 2022, è stato un militare che ne ha preso possesso dopo che la collega era andata a lavorare altrove.
    L'imputata (difesa dall'avvocato Roberto Beretta) avrebbe riferito che quelle custodite nell'armadietto erano pratiche vecchie da archiviare. In realtà per il pm, che ieri ha chiesto 1 anno e mezzo, dovevano essere trasmessi «senza ritardo».l.lop
  5. Pene fino a 8 anni per gli imputati che avevano preso il controllo della cooperativa Liberamensa
    'Ndrangheta nel bar del Tribunale Condannati boss e colletti bianchi

    ludovica lopetti
    Si è concluso con sette condanne e un'assoluzione in primo grado il filone con rito abbreviato del processo nato dall'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia che ha scoperto gli interessi della ‘ndrangheta nella gestione del bar del Palazzo di Giustizia. I pm Francesco Saverio Pelosi e Paolo Toso hanno ricostruito la ragnatela che ha permesso a Rocco Pronestì, Rocco Cambrea e Crescenzo D'Alterio di acquisire il controllo della cooperativa Liberamensa, che si era aggiudicata l'appalto del Comune per gestire la caffetteria anche impiegando detenuti nello staff. Il primo è uno storico appartenente alla criminalità organizzata del Piemonte e da anni legato ai maggiori esponenti della 'ndrangheta locale, il secondo è già stato condannato in via definitiva per 416 bis, il terzo è considerato uomo molto vicino a Pronestì. Ieri il gup ha inflitto 8 anni e 5 mesi a quest'ultimo, 7 anni a Cambrea e 6 anni e 2 mesi a D'Alterio. Gli imputati (difesi tra gli altri da Rocco Femia e Stefano Castrale) rispondevano a vario titolo di usura, estorsione, associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori e intestazione fittizia di beni. Silvana Perrone, ex presidente del cda di Liberamensa, è stata condannata a 10 mesi e 20 giorni per trasferimento fraudolento di valori, mentre è caduta l'aggravante di aver agevolato la mafia. Al commercialista Gianmaria Gallarato sono stati inflitti 13 mesi: per la Procura con la sua expertise ha aiutato Pronestì, Cambrea e D'Alterio a eludere le misure di prevenzione che impedivano loro di possedere imprese e quote societarie. Il gup ha condannato anche due soggetti indicati come "teste di legno" dagli investigatori: Raffaele Macchia, coinvolto anche in episodi di estorsione (5 anni e 10 mesi), e Mauro Amoroso (10 mesi e 20 giorni).
    Nelle carte si parla di appalti e colletti bianchi, ma anche di prestiti a usura ed estorsioni messe a segno con i metodi "classici" come minacce, pressioni e intimidazioni. Nell'ambito dell'inchiesta, a luglio 2023, gli investigatori hanno messo i sigilli al bar interno al Palagiustizia e nel registro degli indagati è finita anche Silvana Perrone, ex presidente del cda della coop liquidata dopo il Covid: subentrata nella compagine societaria durante il pre-dissesto, a settembre 2020 ha concertato con D'Alterio il subentro di due prestanome nel cda. In seguito, secondo gli inquirenti, D'Alterio sarebbe rimasto "il regista occulto" e avrebbe usato la coop per offrire lavoro a persone vicine alle ‘ndrine, all'occorrenza. Il controllo era talmente saldo da far dire a Pronestì, intercettato: «È società nostra». Per questo la "signora dei migranti" doveva rispondere di un aggravante mafiosa non riconosciuta al momento dai giudici di primo grado.

 

 

07.11.24
  1. MUSK IL CAPO DI TRUMP:   Quando Giorgia Meloni arriva nello stadio di Budapest l'operazione per ricollocare l'Italia dopo la vittoria di Donald Trump è già ampiamente in atto. La premier non si è schierata apertamente con il nuovo presidente durante la campagna elettorale e ha chiarissimi i rischi della transizione dei poteri. Ma con i suoi collaboratori, arrivando al vertice della Comunità politica europea ospitato dall'eurotrumpiano Viktor Orban, crede che l'equilibrio mostrato in questi mesi abbia pagato, come dimostra la telefonata con Trump di mercoledì sera. Politico, la testata più letta a Bruxelles, lo dice chiaramente: Meloni e Orban sono i «veri vincitori delle elezioni americane». Così, ora si tratta di gestire questa fase. Se il leader ungherese non maschera l'entusiasmo e racconta dei suoi brindisi con la vodka per festeggiare il trionfo dell'alleato americano, la presidente del Consiglio italiana resta più coperta, ma con una certa convinzione di poter aprire una fase nuova. Il paragone con la situazione dei governi dei principali Paesi Ue giustifica questo ottimismo, Francia, Germania e Spagna, per motivi diversi vivono momenti complessi.
    Dopodiché, spiegano fonti di governo, l'Italia soprattutto sulle politiche commerciali, i temutissimi dazi, sarebbe pronta ad aprire negoziati bilaterali con Washington. Scenari ancora prematuri, perché l'imprevedibilità di Trump non consente fughe in avanti. Nella cena al Parlamento ungherese sul Danubio che chiude la giornata, la premier consegna un messaggio ai partner europei: «Non bisogna avere paura di Trump». Secondo Meloni, infatti, in questa fase l'Ue deve pensare alla sua autonomia strategica, senza aspettare con panico le probabili azioni ostili della nuova amministrazione Usa. E oggi a Budapest la premier si troverà accanto il suo predecessore Mario Draghi, che discuterà con i leader dei 27 gli obiettivi del futuro dell'Unione europea, contenuti nel suo rapporto. Draghi e Meloni oggi parleranno con la stampa praticamente in contemporanea. La coincidenza ha suscitato qualche malizia: la prima convocazione arrivata ai giornalisti è quella dell'ex presidente della Bce, «poco prima delle 10». Passano meno di dieci minuti e Palazzo Chigi annuncia le dichiarazioni della premier «alle 9.30».
    I movimenti post elezioni iniziano quasi all'alba: prima delle otto del mattino la premier, non senza enfasi, comunica sui propri profili social di aver avuto una conversazione con Elon Musk. Di per sé non è una novità, il magnate è un interlocutore ormai fisso della presidente del Consiglio, ma dopo il 4 novembre, questo colloquio assume un'altra dimensione. Tanto più che il magnate non tenero con gli altri europei, e ieri in un tweet ha definito Scholz uno «stupido». «Sono convinta – scrive la presidente del Consiglio nel post – che il suo impegno e la sua visione potranno rappresentare un'importante risorsa per gli Stati Uniti e per l'Italia, in uno spirito di collaborazione volto ad affrontare le sfide future». Musk, ormai in maniera plastica è, fra le varie cose, l'azionista di maggioranza della Casa Bianca e non si può più prescindere da questo aspetto. Meloni in questa fase è attenta a non mischiare i piani, c'è l'aspetto tecnologico e degli investimenti e quello direttamente politico, «la telefonata con Elon non c'entra con la strategia della politica estera», spiega parlando con i suoi alleati. Eppure è proprio dal mondo di Musk che si creano delle connessioni: «L'Italia può e deve ritagliarsi un ruolo da protagonista nei settori del futuro – dice Andrea Stroppa, il braccio destro del proprietario di X -. Diventare il partner europeo privilegiato deve essere l'obiettivo». Parole chiare, che si presentano però a una doppia lettura. La politica c'è ma resta sullo sfondo. Negli ultimi mesi ci sono state trattative fra il governo e Tesla per la produzione in Italia di camion e furgoni elettrici. Nel governo c'è, poi, la speranza concreta che si concluda presto l'accordo con Starlink, la costellazione di satelliti di SpaceX per fornire servizi internet a banda larga nelle aree scarsamente servite da altre reti. Un appalto finito al centro di un'inchiesta per corruzione in cui è spuntato il nome dello stesso Stroppa.
    A Budapest, è inevitabile, si è parlato anche di migranti. Orban che si vanta di essere «l'unico leader sopravvissuto» all'ondata di profughi del 2015 manda un assist a Meloni. Secondo il premier ungherese per affrontare l'immigrazione irregolare bisogna «uscire dalla trappola costituita dall'attivismo dei giudici». E nell'argomentare Orban aggiunge: «È la stessa situazione che si sta verificando in Italia: i governi prendono decisioni, poi una Corte a livello europeo decide negativamente». Accanto a lui annuisce Edi Rama, il capo del governo albanese che ospita i centri per migranti.
  2. Guerra in libano
    Quattro soldati dell'Unifil feriti in un raid

    Un raid israeliano vicino alla città di Sidone ha colpito un autobus e ha provocato la morte di tre persone, oltre al ferimento di tre soldati libanesi e quattro membri del contingente di peacekeeping delle Nazioni Unite. In una fotografia l'autobus con i contrassegni dell'Unifil appare con il vetro alla guida crivellato di colpi. Secondo quanto riferito dall'esercito libanese, l'attacco aereo è stato compiuto da Israele nei pressi di un posto di blocco all'altezza del fiume Awwali. I quattro caschi blu feriti sono malesi. L'Unifil ha precisato che i peacekeeper sono stati curati sul posto. Nelle scorse settimane gli avamposti dell'Unifil sono stati colpiti più volte dai raid israeliani e da razzi di Hezbollah finiti fuori bersaglio. —

 

 

06.11.24
  1. critiche da calenda
    Maserati, Tavares a Modena. Fiom: il governo ci aiuti
    Il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, ha visitato ieri la Maserati a Modena con il nuovo ceo del Tridente, Santo Ficili, il management team e i sindacati. L'obiettivo dell'incontro, spiega Stellantis, è sviluppare una crescita redditizia per l'unico marchio di lusso del gruppo. Davanti ai cancelli si è presentato anche il leader di Azione Carlo Calenda, che ha polemizzato con Tavares che non ha potuto incontrarlo. «Siamo spiacenti di non aver potuto accogliere il senatore a causa di vincoli di agenda» spiega Daniela Poggio (Stellantis Italia) sottolineando che «saremmo lieti di ospitarlo, trovando insieme la data migliore». Critici i sindacati. Per la Fiom «non ci sono risposte, intervenga il governo». E la Fim conclude: «Va rilanciata con nuovi modelli». —
  2. Poirino, protestano i dipendenti di Denso e Teksid: "È uno scandalo: paghiamo per un servizio che non ci viene dato"
    L'autobus non va a prendere gli operai "Lasciati di notte davanti alla fabbrica"
    erika nicchiosini
    A piedi dopo il turno di lavoro. Costretti, quando possibile, a chiedere passaggi a colleghi o colleghe o ricorrere ad un parente per tornare a casa. Un problema che si è ripetuto in alcune occasioni nelle ultime settimane per gli operai della Denso di Poirino e la Teksid di Carmagnola, che utilizano i mezzi pubblici di «Chiesa Viaggi» per raggiungere il posto di lavoro.
    Un drappello di persone - «variamo dai 3 ai 5 agli 11 lavoratori a turnare al pomeriggio» raccontano - utilizzano il bus che percorre la tratta Carmagnola-Poirino. «Paghiamo regolarmente un abbonamento settimanale di 13,50 euro, in parte coperto dall'Agenzia per la Mobilità, ciò nonostante in alcune occasioni non ci è stato fornito il mezzo per tornare a casa – sostengono i lavoratori, soprattutto donne - Succede soprattutto con il turno del pomeriggio che termina alle 22. La scorsa settimana, mercoledì, quando una collega ha scoperto di essere rimasta a piedi, abbiamo chiesto agli impiegati in guardiola e anche provato a telefonare in azienda per chiedere spiegazioni, ma ci è stato detto che per poche persone il pullman non si muove».
    Il problema è diventato più pressante da quando la Denso di Poirino, specializzata nella produzione di sistemi di condizionamento per automobili, ha annunciato la cassa integrazione. «Ma alcuni episodi si sono verificati già prima delle ferie estive, e in un'occasione anche al termine del turno del mattino, alle 14 – ripercorrono -. Per noi avere un mezzo che ci aspetta a fine turno è indispensabile perché alcuni di noi non hanno l'auto o semplicemente serve ai familiari. Non viaggiamo in bus per divertimento, ma per andare a lavorare».
    I pullman che servono i lavoratori impiegati nelle aziende, sono due, spiegano ancora le lavoratrici, «uno messo a disposizione dalla Denso e che percorre la tratta Carignano, La Loggia e Vinovo e quella che utilizziamo noi. Purtroppo con la cassa integrazione i turni di molti sono stati spostati al mattino, ma per esigenze di lavoro l'azienda può chiedere di fare anche il pomeriggio. Siamo in pochi. Alcuni hanno rinunciato a prendere il bus e cominciato a organizzarsi diversamente. Ma chi resta cosa deve fare?». Cosa chiedete? «Rassicurazioni sul servizio».
    La Chiesa Viaggi, a Carmagnola, è un'istituzione e non si occupa solo di trasporto pubblico locale, ma anche di noleggio autobus e gran turismo. I titolari, non ci stanno: «Abbiamo avuto un colloquio con l'Agenzia della mobilità, che contribuisce al servizio, dove abbiamo rappresentato le difficoltà che come ditta stiamo affrontando. Chiederemo un incontro alla Denso, per chiedere la rimodulazione dei turni di cassa integrazione spostandoli preferibilmente al mattino. Così che sia più semplice anche per noi garantire un servizio che è costoso. La mia è una ditta con 60 anni di esperienza, faccio questo tipo di trasporto da 25. Sì, è successo due volte di aver lasciato la persona a piedi al termine del turno pomeridiano, ma era comunque stata avvisata per via telefonica, ma come posso spostare un pullman e un autista, che sono già pochi, per una sola persona? Viviamo di abbonamenti, siamo in crisi anche noi».
  3. TRUFFA ALLO STATO DI 6,7 MILIONI, GDF IN BANCA PROGETTO


    (ANSA) - Per un prestito di 6,7 milioni di fondi garantiti dallo Stato ottenuti da Banca Progetto tramite documentazione falsa sono in corso tre misure cautelari, di cui due arresti, in una indagine della procura di Brescia, parallela ad una della procura di Monza per la quale anche sono in corso di esecuzione provvedimenti, tra cui misure cautelari.



    Tra le accuse contestate ci sono la truffa aggravata, la bancarotta e l'autoriciclaggio. Inoltre la Gdf sta effettuando una serie di perquisizioni, anche nella sede della banca indagata, dove sta acquisendo i modelli organizzativi in base alle legge sulla responsabilità amministrativa degli enti.



    TRUFFA ALLO STATO, ARRESTATO IL FRATELLO DI UN PM ANTIMAFIA4

    (ANSA) - Il promotore finanziario che lavorava per conto di Banca progetto arrestato a Brescia nell'ambito di un'inchiesta per truffa è Marco Savio, fratello del magistrato della direzione nazionale antimafia Paolo Savio. Quest'ultimo è completamente estraneo alle indagini. Ai domiciliari anche il braccio destro del promotore finanziario, Diego Galli, 56 anni, mentre è stato disposto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di Federica Burzio, 34enne ritenuta dagli inquirenti la factotum del gruppo.



    BANCA PROGETTO, SIAMO PARTE LESA NELL'INDAGINE PM BRESCIA

    ISTITUTO CONFERMA LA VOLONTÀ DI COLLABORARE CON I MAGISTRATI

    (ANSA) - Banca Progetto Spa, in relazione a notizie di stampa diffuse in data odierna relative a indagini della Guardia di Finanza di Brescia precisa di essere parte lesa nella vicenda" e dunque di non essere indagata. Lo precisa in una nota l'Istituto in merito all'indagine della procura di Brescia. "La Banca - prosegue la nota - conferma la propria volontà di collaborare con la GDF e le autorità competenti" e "si riserva di assumere ogni più opportuna iniziativa, anche in relazione alla diffusione di notizie false e diffamatorie per i danni che potrebbero arrecare all'Istituto

 

 

 

 

 

05.11.24
  1. come funziona la macchina elettorale
    1
    Il voto indiretto per scegliere presidente e vice
    2
    I grandi elettori e il meccanismo distorsivo
    Gli Swing States saranno l'ago della bilancia
    3
    Gli statunitensi non eleggono direttamente presidente e vice, ma scelgono i cosiddetti grandi elettori. Nel Paese vige infatti il sistema del collegio elettorale: gli elettori eleggono a livello statale i grandi elettori, i quali a loro volta si riuniscono nel Collegio elettorale che elegge il presidente e il vicepresidente. I grandi elettori sono eletti su base statale e il loro numero è 538, pari alla somma dei senatori (100, due per ogni Stato), dei deputati (435, assegnati proporzionalmente al numero di abitanti) e dei 3 rappresentanti del Distretto di Columbia, in cui si trova la capitale Washington. Il ticket (presidente e vice) vincente in uno Stato ottiene tutti i voti di quello Stato, tranne in Maine e in Nebraska, dove la distribuzione è proporzionale. —
  2. 'analisi
    L'errore fatale di uno Stato che libera i boss della mafia
    palermo
    Sono trascorsi più di trent'anni dalla terribile stagione delle stragi di mafia che misero in ginocchio l'Italia e resero fragile la nostra giovane democrazia. Una ferita profonda, tanto violenta da far temere addirittura per la tenuta del Paese che, però, resse l'urto soprattutto grazie alla decisa reazione delle istituzioni che impiegarono le migliori risorse per fermare lo strapotere mafioso. Lo Stato si dimostrò all'altezza e, per una volta, usò la forza necessaria per combattere un nemico mostruoso in passato galvanizzato da sottovalutazioni e inerzie istituzionali. Cosa nostra, insomma, fu "normalizzata" fino a diventare debole come raramente la si era vista. I boss furono strappati alle loro latitanze dorate, molti beni illegali finirono nelle casse dello Stato, picciotti e boss impararono a conoscere il carcere senza gli sconti e la benevolenza in passato riservati ai mammasantissima abituati a vivere in cella come al Grand'Hotel.
    A quel punto magistrati come Falcone e Borsellino avrebbero consigliato di insistere nel ridimensionare ulteriormente l'associazione mafiosa, anche per non cadere nel fatale e ricorrente errore di far riprendere fiato al mostro. La storia passata lo ha dimostrato: Cosa nostra non muore facilmente ed è capace di una ripresa rapida e incontrollabile.
    E invece il "fatale errore" si ripresenta: una controproducente ricerca di "ritorno alla normalità" (dopo anni di fruttuosa emergenza) induce l'apparato repressivo a seguire le sirene di una politica poco attenta. Così accade quello che in passato si è sempre dimostrato un "regalo" alla mafia: abbassare la guardia e guardare alle organizzazioni criminali come a fenomeni "normali".
    Ed ecco le recenti scarcerazioni di boss e gregari di Cosa nostra, alcuni stragisti con condanne definitive, anche ergastolani, oggi liberi, o semiliberi o gratificati con permessi speciali, per aver usufruito dei benefici riservati a "detenuti modello". Altri tornati fuori dalle sbarre per decorrenza dei termini o, comunque, per "inadempienza della giustizia" qual è, per esempio, il ritardo nel redigere le motivazioni delle sentenze, senza le quali viene meno una delle possibilità di ricorso degli imputati.
    Ma entrambi i motivi di questo allentamento delle difese istituzionali sono spie di un atteggiamento pericoloso da parte della macchina preposta alla repressione mafiosa, perché tradiscono una sottovalutazione del fenomeno. La presenza di agguerrite organizzazioni criminali in una vastissima porzione di territorio nazionale dovrebbe far riflettere sulla scelta di adoperare strumenti giuridici condivisibili per "normali realtà criminali". Il recupero del detenuto, per esempio, è obiettivo che nessuna persona ragionevole potrebbe mettere in dubbio se vivessimo, specialmente al Sud, una normale dialettica tra bene e male. Ma cosa c'è stato di normale nella tragica nostra recente storia?
    Sappiamo che il carcere è uno dei temi cruciali dell'essenza mafiosa. Dice un vecchio adagio siciliano che "L'uomo d'onore è nato per soffrire" e dunque mette nel conto un po' di anni di carcere. Tre, quattro, anche di più, ma non il carcere vero. Quello no, quello devono farlo i poveracci, i boss sanno di avere quasi diritto a un trattamento più docile. Così funzionava prima: Masino Buscetta, prima di pentirsi, scontava la sua pena nell'infermeria del carcere dell'Ucciardone. E quando decise di evadere cosa fece? Convinse i giudici di sorveglianza di essere un "altro uomo" rispetto alla persona di prima, detenuto modello lo era e dunque ottenne la semilibertà. Ovviamente dalla semilibertà passò alla libertà totale in latitanza, in Brasile. I vari Galatolo, Alfano, Pullarà, assassini e stragisti come quel Formoso condannato per la strage di Milano e oggi semilibero, sono redenti? Nessuno di loro ha mai dato prova di conversione visto che durante gli interrogatori non hanno aperto bocca se non per declinare nome e cognome e basta. Ma sono detenuti modello. Giusto, sopportano il carcere, proprio come deve fare ogni uomo d'onore degno di questo nome. Il saper stare agli arresti non sempre è sintomo di cambiamento, qualche volta addirittura potrebbe essere affermazione di mafiosità. Chiedetelo a chi sta rinchiuso da decenni senza mai essere sfiorato dal dubbio di poter collaborare con lo Stato. —

 

 

 

04.11.24
  1. Caterina Soffici
    Iran, la studentessa sfida la polizia morale Protesta senza vestiti dopo un'aggressione
    Quando il corpo diventa uno strumento di protesta. E un'immagine diventa un simbolo di libertà. Per ricordare al mondo che le giovani donne iraniane lottano ancora ogni giorno per i propri diritti e vengono picchiate e muoiono in carcere. Nel silenzio più o meno generale, perché si preferisce parlare di missili e di guerra, scordandoci spesso che parlare di Iran e di regime vuol dire anche questo. Infatti è accaduto ancora, a Teheran. Dove una studentessa dell'Università islamica Azad è rimasta in mutande e reggiseno dopo essere stata aggredita dalla polizia morale per aver indossato il velo in modo inappropriato. Lei in biancheria intima e intorno donne avvolte da vesti e veli neri, un contrasto poderoso.
    La storia si ripete e sembra di essere in un giorno della marmotta, dove ogni mattina le donne iraniane si svegliano e tutto ricomincia come il giorno precedente. Abbiamo iniziato a raccontare di Masha Amini due anni fa, la ragazza uccisa per aver indossato male il velo che ha dato il via al movimento Donna Vita Libertà. Poi abbiamo raccontato di donne che bruciavano il velo, di ragazze che cantavano e ballavano, di donne che mostravano i capelli e che li tagliavano, sempre in segno di protesta. Mai avremmo pensato di vedere una ragazza in biancheria intima in un luogo pubblico iraniano.
    È accaduto sabato e la notizia sta rimbalzando sui social di tutto il mondo. Quella immagine è ormai un'icona. Capelli neri lunghi, scalza, mutande a righe e reggiseno fucsia: questa ragazza mette il suo corpo al servizio delle sue idee. Come fece quello studente cinese che da solo, con le borse della spesa, si pose in piedi di fronte alla colonna dei carri armati in Piazza Tiananmen. Il corpo come strumento, come la Libertà di Delacroix, che a seno nudo guida il popolo rivoluzionario. Il corpo nudo, come le Femen ucraine che si spogliavano per protestare contro ogni tipo di discriminazione del corpo femminile.
    La ragazza è stata subito arrestata. E il direttore delle relazioni pubbliche dell'università Amir Mahjoub ha scritto su X: «A seguito di un atto indecente da parte di una studentessa dell'università, la sicurezza del campus è intervenuta e l'ha consegnata alle autorità di polizia. Il movente e le ragioni sono attualmente sotto inchiesta».
    Questa la verità ufficiale. Che in Iran non coincide mai con l'altra verità, quella di chi combatte per la libertà. La prendiamo da Masih Alinejad, l'attivista iraniana minacciata dal regime che vive in esilio a New York. Sui social racconta: «Una studentessa molestata dalla polizia morale della sua università per il suo hijab "improprio" non si è tirata indietro. Ha trasformato il suo corpo in una protesta, spogliandosi fino alla biancheria intima e marciando per il campus, sfidando un regime che controlla costantemente il corpo delle donne. Il suo gesto è un potente promemoria della lotta delle donne iraniane per la libertà. Sì, usiamo i nostri corpi come armi per combattere un regime che uccide le donne per aver mostrato i capelli. Il fatto è accaduto all'Università di Scienze e Ricerca di Teheran». In un aggiornamento spiega poi che le autorità iraniane sostengono che la giovane donna soffre di una malattia psicologica ed è stata ricoverata in un ospedale psichiatrico.
    Sempre dai social di Alinejad, perseguitata dal 2009, che guida un movimento per combattere contro l'obbligo del velo: «L'accusa di instabilità mentale è una tattica familiare della Repubblica islamica. Nel 2014, quando ho lanciato la campagna My Stealthy Freedom contro l'hijab obbligatorio, il regime ha usato bugie simili contro di me, sostenendo che ho avuto un esaurimento mentale, mi sono spogliata nella metropolitana di Londra e sono stata violentata da tre uomini. Questo è il modo in cui cercano di indebolire chi si oppone alla loro oppressione».
    Il racconto di una studentessa, che ha assistito all'intero incidente, contraddice totalmente la narrazione del regime: «Sabato 2 novembre abbiamo visto le forze di sicurezza dell'università e le milizie morali cercare di trascinare con la forza una studentessa nella sala di sicurezza, con il pretesto che non indossava un hijab adeguato. La studentessa ha opposto resistenza e nella colluttazione le è stata strappata la felpa, lasciandola con solo gli indumenti intimi. Choccati, gli agenti di sicurezza l'hanno lasciata andare, dopodiché, in un momento di rabbia, si è tolta i pantaloni e li ha lanciati contro gli agenti». L'ennesima donna che rischia la vita in prima persona con un coraggio non misurabile in una scala realmente comprensibile nel nostro Occidente, dove la democrazia e la libertà sono date per scontate. —
  2. L'omicidio nella città di Sfax, i testimoni dell'aggressione: "È stata un'esecuzione. Sarebbe questo un Paese sicuro?"
    Mohannad, il giovane attivista ucciso in Tunisia "Punito perché si batteva per i diritti dei rifugiati"
    Eleonora Camilli
    Mohannad Saad Adam aveva 19 anni e un sogno: arrivare in Europa. Più volte ci aveva provato, tentando la traversata via mare, prima dalla Libia poi dalla Tunisia. Ogni volta era stato rimandato indietro, in quell'inferno da cui scappava e in cui ha trovato la morte. Di lui restano solo due foto, la prima, in cui accenna un sorriso, è un selfie spedito alla famiglia, per dire che, anche se con difficoltà, la sua vita a Sfax stava andando avanti. E che a lasciare il paese ci avrebbe provato di nuovo, perché quello era l'unico modo per salvarsi. La seconda, l'ultima, lo ritrae con la stessa maglietta azzurra del primo scatto, macchiata però dal sangue delle ferite. È accasciato a terra, gli amici lo scuotono per rianimarlo, ma non c'è più nulla da fare. Colpito a morte.
    «Era un attivista che si batteva per i diritti dei migranti, lo ha fatto fino alla fine. È morto perché difendeva ciò che è giusto- sottolinea David Yambio, presidente di Refugees in Libya, che per primo ha denunciato il caso avvenuto una settimana fa-. Ho conosciuto Mohannad nel 2021 in Libia, era poco più di un ragazzino. Insieme abbiamo partecipato alle proteste davanti alla sede dell'Unhcr in Libia, poi lui è stato arrestato e detenuto nel lager di Ain Zara». Nel 2023 Mohannad si era poi spostato in Tunisia, dove aveva continuato a denunciare la mancanza di tutela per migranti e rifugiati. Le modalità del suo decesso non sono ancora chiare, ma gli amici che erano con lui raccontano che si è trattato di un'esecuzione. «Un gruppo di sudanesi si era avvicinato a una fattoria per lavarsi la faccia - racconta Yambio -. A quel punto un uomo è uscito di casa urlando frasi razziste e di andarsene, cosa che hanno fatto, mentre lui sparava prima in aria e poi sulla folla. Una persona è rimasta gravemente ferita. Così Muhannad è tornato sul posto a chiedere spiegazioni e lo hanno ucciso a colpi di arma da fuoco». Ma per il presidente di Refugees in Lybia la sua morte non è un caso isolato: «La Tunisia è un paese molto pericoloso per i migranti. Ogni giorno ci sono persone che vengono percosse o minacciate. Il razzismo è generalizzato, i migranti specialmente i neri sono tagliati fuori da qualsiasi forma di welfare, perfino affittare una casa è difficilissimo. Come si fa a considerarlo un Paese sicuro?».
    Anche per l'ong Mediterranea saving humans, Mohannad «aveva sempre continuato a lottare per la giustizia, a costruire solidarietà con tutte le altre persone oppresse. Ed è stato assassinato in circostanze misteriose. In quella Tunisia a cui i nostri governi vogliono affidare il contenimento dei migranti».
    Il caso dell'attivista sudanese ucciso riapre le polemiche sul governo di Kais Saied, sul trattamento riservato ai subsahariani e sull'accordo con l'Italia. Anche in vista dei nuovi trasferimenti di migranti in Albania e di possibili rimpatri. «La Tunisia oggi non è un Paese sicuro neanche per gli stessi tunisini, Saied ha portato a una continua erosione dei diritti fondamentali, come la libertà di espressione. Gli oppositori politici sono oggi in carcere - sottolinea Sara Prestianni di EuroMed Rights - E poi c'è un clima di terrore che riguarda anche i migranti subsahariani». Prestianni ricorda il caso di Sonia Dahamani, avvocata e giornalista reclusa per aver criticato la gestione dell'immigrazione e il problema del razzismo diffuso nel paese. «La violenza legittimata dai discorsi d'odio è solo una delle tante espressioni della deriva democratica che caratterizza il paese, che non può essere considerato sicuro. Ci sono anche delle sentenze che lo confermano».

 

 

03.11.24
  1. 'inchiesta di milano sul dossieraggio di equalize
    "Abbiamo clienti top, contatti con i servizi" Giallo sui legami con gli 007 di Palazzo Chigi
    Milano
    «Noi abbiamo la fortuna di avere clienti Top in Italia... i nostri clienti importanti... contatti tra i servizi deviati e i servizi segreti seri ce li abbiamo, di quelli lì ti puoi fidare un po'di meno... però, li sentiamo, fanno chiacchiere, sono tutte una serie di informazioni ma dovrebbero diventare prove». A parlare, intercettato dai carabinieri, è l'esperto informatico Samuele Calamucci, braccio destro operativo dell'ex poliziotto Carmine Gallo, entrambi agli arresti domiciliari dal 25 ottobre.
    Se siano veritieri o solamente millantati i rapporti dell'agenzia d'investigazioni Equalize, in cui entrambi lavoravano, con l'intelligence italiana difficile a dirsi. A suffragare il primo scenario ci sarebbe, almeno, un incontro avvenuto negli uffici del gruppo di via Pattari il 4 ottobre 2022.
    I carabinieri del nucleo investigativo di Varese intercettano la conversazione tra Gallo e gli agenti segreti. Il contenuto non viene, però, trascritto negli atti d'inchiesta depositati alla Dda di Milano e alla Procura nazione antimafia, ma solo sintetizzato: «Gallo spiega che tipo di servizi offrono e che tipo di accertamenti e consultazioni riescono a fare…vanta il fatto che rispetto ai loro sistemi, lo Sdi non è nulla». Per accreditarsi agli occhi dei presunti funzionari del Dis della Presidenza del Consiglio – annotano sempre gli investigatori dell'Arma – «alle ore 17:17 Gallo mostra con ogni probabilità un telefono agli interlocutori, spiegando trattarsi di un telefono fuori rete che non utilizza sistemi di messaggistica quali WhatsApp e Signal in quanto non sicuri». Per chi indaga si tratterebbe di un «cripto-fonino con tecnologia israeliana».
  2. SANTO PADRE PAPA FRANCESCO PERCHE' NON PARLA MAI DI :    Ancora un giovane assassinato in provincia di Napoli: aveva 19 anni, era una promessa del calcio . Il killer postava foto in cui mimava una pistola
    Santo, ucciso in strada da un diciassettenne " Un piede pestato ed è scoppiata la rissa"
    ANTONIO E. PIEDIMONTE
    napoli
    La mattanza dei giovani. Copioni simili, protagonisti differenti, un filo conduttore: a sparare e a morire sono sempre ragazzi. Ieri è toccato a una promessa del calcio, Santo Romano, 19 anni, che ha pagato con la vita la voglia di trascorrere una serata con gli amici nella piccola movida di San Sebastiano al Vesuvio. Una storia già sentita. Nella piazza ancora affollata qualcuno sale involontariamente sul piede di un altro e gli sporca la scarpa. Le scuse non servono, anzi. Scoppia la lite. Il giovane accorre per difendere un amico e compagno di squadra, cerca di separare i contendenti, stemperare il clima. Mezz'ora dopo lo scontro, da una minicar con targa polacca scende un ragazzino che spara con una pistola. Il 19enne, colpito al petto, morirà in ospedale. L'amico è ferito ma non gravemente. Il resto è paura, sangue, e un attonito silenzio rotto dallo strazio composto della fidanzata, Simona, che poi dirà ai cronisti: «È morto per difendere un amico. Santo era un generoso, e una persona perbene, figlio di persone per bene. Avrebbe fatto grandi cose…».
    Dopo una notte di indagini i carabinieri hanno individuato un 17enne che vive nel quartiere napoletano di Barra, già noto alle forze dell'ordine. Le foto sui social ne immortalano i desideri. E non solo: la Procura per i minori ha annunciato accertamenti su alcuni post pubblicati subito dopo l'omicidio. Il presunto omicida è sdraiato assieme a un amico, entrambi fanno il gesto della pistola.
    Sotto choc il mondo dello sport. «Un ragazzo buono da esempio per tutti. È stato un onore averti nella nostra famiglia. Ciao Santino, continueremo a volerti bene», si legge in una nota della sua società, l'Asd Micri (di Pomigliano). Parole commosse anche dall'Albanova calcio, che oggi avrebbe dovuto incontrare la squadra a vesuviana.
    Le circostanze che hanno scatenato l'aggressione hanno riportato alla mente uno degli episodi più sconcertanti del bollettino della violenza giovanile in Campania: la morte di Francesco Pio Maimone, pizzaiolo 18enne ucciso nel marzo 2023 tra la folla degli chalet di Mergellina, colpito da una pallottola vagante sparata al culmine di una rissa tra due gruppi (a lui estranei) scatenata proprio da una scarpa sporcata. Qualche mese dopo, il 31 agosto, un'altra "tarantella" permise a una baby gang dei Quartieri Spagnoli di aggredire alcuni ragazzi in un pub di piazza Municipio e il capo banda, un 17enne già noto per aver accoltellato un 13enne, sparò tre colpi di pistola nella schiena (la vigliaccheria è una caratteristica delle nuove leve della camorra) di Giovanbattista "Giogiò" Cutolo, giovane musicista di talento in forza alla Nuova orchestra "Scarlatti".
    Il Far West corre su due ruote: nel dicembre dello scorso anno, a piazza Carlo III un aspirante baby boss (arrestato nelle scorse settimane) affianca un'auto e spara dallo scooter contro un giovane attore del film "La paranza dei bambini", Ciro Vecchione. Il ragazzo si salva e gli amici del suo quartiere (la Sanità) un mese dopo arrivano con gli scooter e sparano quasi cento colpi; la paranza scatena il panico, colpisce un anziano passante ma non riesce a uccidere il "nemico", un 19enne che rimane solo ferito. Scena analoga a quella registrata pochi giorni fa, stavolta però il raid è finito in tragedia. Muore il 15enne Emanuele Tufano, colpito alla schiena, due i feriti. Ai funerali, l'altro ieri alla Sanità, una tromba ha intonato il "silenzio" dei funerali militari, non ha destato sorpresa: che siano vittime o innocenti, per i ragazzi di Partenope è sempre una guerra. Se l'Italia non è un Paese per vecchi, Napoli non è una città per giovani.
  3. DEMAGOGIA MELONIANA: La condanna
    di
    Caivano

    caivano (napoli)
    «Piove in casa, guarda il muro come si sgretola. Le macchie di umidità in bagno e in camera da letto? Ogni sera mi addormento e spero non piova. Se crolla il palazzo?». Parco Verde, Caivano, nord di Napoli. Un anno dopo lo stupro di gruppo delle due minorenni del quartiere. Parco Verde è come sempre. Brutto, puzzolente, degradato. L'unico colore è quello della dignità, delle donne, dei bambini e dei volontari che resistono. Giorgia Meloni è andata due volte a Caivano nell'ultimo anno. La prima, subito dopo lo stupro delle bambine, agosto 2023, per affermare che "lo Stato c'è". La seconda, il 28 maggio di quest'anno, per inaugurare il centro sportivo Delphinia, ristrutturato dopo che si è scoperto che all'interno si sarebbero consumate le violenze sulle due cuginette. Signora perché ha sigillato il balcone con la rete? «Ci sono i topi. Salgono e entrano in casa. Guarda qua sotto, ce ne sono diversi morti». L'ha segnalato ai tecnici del Comune? «Sono venuti, hanno messo delle trappole. Stop. Inutili. Le fogne sono a cielo aperto. La rete idraulica è un colabrodo. Che ci siano topi e scarafaggi è il minimo. Sente la puzza? Butto candeggina ogni mattina».
    Le case popolari di Parco Verde dovevano essere alloggi temporanei per i sopravvissuti al terremoto dell'Irpinia del 1980. E invece sono diventate rifugi per sempre. Dove nascere e morire. «Dicono che il degrado del quartiere è colpa degli occupanti che non pagano, ma sono un'esigua minoranza, mi creda. Siamo quasi tutti regolari e chi era in arretrato con l'affitto, ha rateizzato i debiti e sta pagando». Un anno fa si è dimesso il sindaco di Caivano, sfiduciato dalla giunta di centro sinistra: scioglimento e nomina di tre commissari straordinari. Non è una novità per questo territorio. Dal 1997 nessun eletto primo cittadino, di qualsiasi colore politico ha resistito per tutta la legislatura. Ad ottobre poi il governo ha anche azzerato il consiglio comunale per presunte infiltrazioni camorristiche e ha nominato un Commissario ad hoc, oltre ai tre sempre in carica, per l'attuazione del decreto-legge 15 settembre 2023, meglio conosciuto come decreto Caivano, convertito dalla legge 13 novembre 2023 e recante «Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa, e alla criminalità minorile». Una pioggia di milioni di euro. In gran parte fondi per lo sviluppo e la coesione, periodo di programmazione 2021-2027.
    «È salita sui tetti? Vada a vedere. C'è ovunque amianto». In effetti. Il colpo d'occhio è impressionante. Si dorme sotto l'amianto, vecchio e in via di decomposizione, quindi ancora più pericoloso perché soggetto a sgretolamento e quindi il polverio di questo cancerogeno lo respirano tutti, grandi e bambini. «Ho protocollato più volte la richiesta urgente di rimozione dell'amianto». Mi mostra l'ultimo sollecito fatto, il 2023. «Non è venuto nessuno». Ora c'è un «Piano straordinario di interventi infrastrutturali e di riqualificazione del territorio», 76 pagine, con l'elenco delle zone di intervento e le ipotesi di stanziamento. Somme potenziali generali di spesa: 54.599.036 euro. Obiettivo primario: il rilancio finalmente della periferia. Sulla pagina internet del Commissario straordinario, dottor Fabio Ciciliano, si può monitorare l'andamento attuativo del piano. Ci sono i decreti attuativi degli appalti avviati ad oggi tra quelli annunciati. A parte il centro sportivo Delphinia, tra gli interventi più corposi partiti c'è il cantiere per alla voce «Azione n. 2, riqualificazione e realizzazione di spazi socio culturali» ( stanziamento di due milioni di euro) per "l'Auditorium Caivano Arte". C'è poi il grande progetto per portare l'università a Caivano. Scienze infermieristiche, scienze motorie, agraria, scienze della formazione Primaria, Tecnici del Restauro, Scuola dei mestieri, Green Academy. Sono i corsi che in futuro potrebbero iniziare. Stanziamento 1 milione di euro. I costi in realtà ora sono lievitati, perché si è aggiunto il cantiere per «La costruzione di un'aula magna, 3.261.985,56 euro, di cui 2.024.813,49 per lavori e progettazione esecutiva lavori e 1.174.198, 48 per spese tecniche». La macchina è in moto, questi cantieri sono partiti. «Si, ok. Ma le nostre case?». Per la riqualificazione dei palazzi di edilizia popolare di proprietà pubblica sono previsti circa 12 milioni di euro. «Quindi monteranno le impalcature prima o poi? Mi pioveva in casa, ho trovato più volte scarafaggi. Escono dal bagno e dai lavandini. Ho fatto io i lavori qui dentro. Ho pagato gli operai. Si può vivere così? Faccio le pulizie. Lavoro in nero, mi spacco la schiena. Siamo persone per bene».
    Anna (nome di fantasia) invece ha ottant'anni, è malata. Ma i figli non le hanno detto che ha un tumore. Ha perso due figlie, per colpa di questo male. «Guarda la mia stanza da letto, gli angoli sono tutti marci e dal soffitto piove quando c'è il temporale. Metto i secchi e gli stracci. Ma è troppo umido, ho sempre freddo nelle ossa. D'inverno i termosifoni sempre accesi non bastano. Ho comprato due stufette». Ma il contatore salta. Anche la rete elettrica è vecchia e fatiscente. Che spreco è stato non ristrutturare queste case popolari con il superbonus, che dramma sarebbe se ancora una volta restassero così. «Ci morirò nel degrado. Lo so. Mi sono rassegnata. Lo scriva però che siamo lavoratori, onesti». Al primo piano c'è una signora affacciata. Mi chiama. Cos'è quel tubo bianco sul suo balcone attaccato al contatore dell'acqua? «L'ho fatto io, c'è una perdita dal tubo portante del palazzo, che mi finisce in casa. Si allaga sempre tutto. Con questo accrocchio di plastica riverso la fuoriuscita in strada. Tocca ingegnarsi». Su circa 250 appartamenti sono in corso verifiche della magistratura, per capire chi va sgombrato e chi invece ha situazioni di fragilità da prendere in carico.
    Bruno Mazza è cresciuto a Parco Verde. Dieci anni in carcere per spaccio, un fratello morto di overdose, padre suicida. Quando è tornato libero ha scelto di cambiare vita radicalmente. Ha sfidato i clan che sfruttano i ragazzini per farli spacciare, come hanno fatto con lui. Per questo ha subito minacce. Ha fondato "Un'infanzia da vivere" che in collaborazione con Fondazione per il Sud organizza il doposcuola per i bambini di Parco Verde, i corsi gratuiti di calcetto. «Cerchiamo di evitare che restino in strada senza una guida. Qui si spara ancora». Oggi è giorno di pulizia delle aiuole. Mazza raduna i volontari del quartiere, distribuisce guanti e buste a tutti. «Non lavorano, qualcuno ha un passato di tossicodipendenza. Impegnandoli riusciamo a tenerli lontani da tentazioni». Perché tagliate voi l'erba e raccogliete l'immondizia? «Perché non lo fa nessun altro. Almeno intorno ai campetti e le aree gioco allestite da noi, cerchiamo di tenerle pulite. Qui poi non c'è raccolta differenziata e i sacchi non li ritirano con cadenza regolare».
    Nel Decreto Caivano c'è: «Ambito di azione n. 3 – riqualificazione e realizzazione spazi pubblici e verde pubblico», 1 milione di euro. Villa Andersen, 207 famiglie di Parco Verde, 500 bambini, affacciano su questo scempio. Le donne sono alla finestra. Hanno voglia di parlare. «Noi questa villa la chiamiamo il cantiere». Qui prima si bucavano. «Lei suo figlio lo lascerebbe scendere a giocare? Meglio chiusi in casa». Ora però c'è il Centro sportivo ex Delphinia. «Più di 44 discipline sportive differenti praticabili, 20 campi sportivi oltre a 4 progetti di arte partecipata con oltre 100 ragazzi perché Sport e Cultura sono le due direttrici su cui ci si è mossi» si legge sul sito di Sport e Salute che lo gestisce. Perché non ci porta i suoi figli? «Perché costa». C'è un'area verde esterna gratuita da poco allestita. «Non abbiamo la macchina, io sono sola con tre bambini. Mio marito fa il muratore, esce alle 5 e torna per cena». L'ex Centro Delphinia ora si chiama "Pino Daniele" . E quello spazio che lo separa dai palazzoni fatiscenti seppur poco è tanto per Parco Verde. «Non accettano nemmeno i voucher per le famiglie con Isee basso: quello della Regione Campania per iscrivere gratis i minori».
    Ci vado. Scusi, è vero che non avete convenzioni specifiche per le famiglie con reddito basso? «Non abbiamo stipulato convenzioni ad hoc. Però ora il Comune ci ha mandato 100 bambini». E gli altri? «Non so che dirle». Pazienza, bisogna avere pazienza, e credere che quelle impalcature per la qualità della vita presto saranno realtà.
  4. GRAVE : La denuncia di una madre di Avigliana: "Dopo l'ospedale anche il Centro di salute mentale non è intervenuto: dicevano che non c'erano più fondi"
    "Mio figlio cercava un aiuto psichiatrico Non lo ha ottenuto e così si è tolto la vita"

    Francesco Munafò
    Elisa Sola
    L'ultimo messaggio l'ha mandato alla madre. Alle nove e venti di mattina di domenica scorsa. «Ciao mamma ti voglio bene». E lei, Lia Sponton, con la forza di tutte le mamme, di tutti i padri e fratelli che convivono – e si portano addosso – la malattia psichiatrica di qualcuno che si ama, gli ha risposto: «Fede ne hai passate tante. Passerai anche questa». Quel messaggio è rimasto bloccato per sempre. Erano le 10 e 50. Federico Fedele non lo ha mai letto. Si è tolto la vita prima. A 27 anni. Nel piccolo alloggio di via Bibiana dove viveva: il rifugio che la sua famiglia gli aveva comprato per aiutarlo. Per dargli un supporto nella battaglia contro i tormenti causati dal suo disturbo di personalità borderline. Orario del decesso: 1 e 56 del 27 ottobre.
    E ora, mentre piange il figlio mamma Lia dice: «Mio figlio è morto dopo avere chiesto aiuto tante volte. Il suo grido di dolore è rimasto sempre inascoltato. Provo rabbia perché si poteva salvare. Nelle due settimane prima di morire ha cercato cure, invano, per due volte al pronto soccorso. Ha telefonato al Csm. Ho chiamato persino io. Troppo tardi».
    Nella notte tra il 10 e l'11 ottobre Federico, in preda a una «crisi esistenziale», entra al pronto dell'ospedale Giovanni Bosco. Chiede di essere ricoverato. «Dopo quattro ore di attesa – racconta la madre – gli hanno risposto che non aveva niente. Lo hanno mandato a casa. Eppure lui sapeva che se lo avessero ricoverato sarebbe stato meglio. Aveva già preparato la borsa. Aveva messo i pigiami e le dosi di tabacco pronte per un mese. Sarebbe uscito migliorato». Quando viene congedato Federico tira un pugno a una porta. Arrivano i carabinieri. Lo arrestano. Dopo poche ore la pm Elisa Pazé chiede che venga liberato. «Non c'erano i presupposti per una misura restrittiva, lui in fondo è un buono» spiega l'avvocata Valentina Tricoli.
    «Pochi giorni dopo - ricorda la madre - il 21 ottobre, ha telefonato al Csm: ha chiesto che lo ricoverassero. Ha risposto un operatore, dicendo che la dottoressa non c'era fino a lunedì. E ha aggiunto una frase che fa male: Non possiamo ricoverare perché fino a fine dicembre non abbiamo i fondi».
    La procura ha aperto un fascicolo senza indagati e senza ipotesi di reato. E il Giovanni Bosco chiarisce: «Non c'è correlazione tra l'accesso al pronto soccorso e l'evento anticonservativo. È' arrivato in stato di alterazione alcolica. Era in carico ad un'altra Asl».
    Restano i dati. Il Piemonte (fonte Sism, Sistema informativo della salute mentale) destina 64 euro annui a persona per la salute mentale, sei euro in meno rispetto alla media nazionale. Il personale del Dipartimento di salute mentale piemontese conta 39 professionisti ogni 100 mila abitanti a fronte dei 60 ogni 100mila della media nazionale.
    Dopo quella telefonata del 21 ottobre, Federico ha avuto un'altra crisi. Spiega la madre: «È intervenuta l'ambulanza. Lo hanno portato di nuovo al Giovanni Bosco. Ma c'era troppo da aspettare. Ha abbandonato la sala». Il 22 mamma Lia chiama il Centro di salute mentale. Parla con un operatore. La richiamano tre giorni dopo. «Mi hanno detto che fino alla fine di dicembre i soldi per i ricoveri erano finiti. Il giorno dopo mio figlio è morto. E io provo rabbia perché Federico ce l'ha messa tutta. Non appena i sintomi della sua malattia sono emersi nel 2017, si è fatto curare. È stato in in gruppo appartamento. Poi in due comunità. Ma nessuna struttura andava bene. Perché c'erano pazienti gravissimi, non autonomi, e lui si annoiava. Voleva lavorare. In Italia sono fermi ai matti da manicomio. Federico è stato abbandonato. Era solo un peso. Ecco perché provo rabbia»

 

 

02.11.24
  1. Nonostante le sanzioni imposte dall’Unione europea, i prodotti di decine di aziende italiane hanno contribuito, sicuramente fino alla fine di marzo di quest’anno, alla realizzazione di Arctic Lng 2, il progetto che la russa Novatek sta sviluppando in Siberia con l’obiettivo di trasformare in liquido il gas estratto nell’Artico ed esportarlo nel mondo.
    Alcune di queste aziende registrate in Italia sono controllate dallo stato, altre sono di proprietà straniera. In quasi tutti i casi, la fornitura di merce non è avvenuta in modo diretto, ma attraverso società intermediarie basate perlopiù in Cina, Emirati Arabi Uniti e Turchia. Paesi che non hanno imposto sanzioni contro Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina.
    Registrate negli Emirati e al centro di molte triangolazioni, due di queste società intermediarie hanno collegamenti diretti con la Russia. Sono questi i risultati principali che emergono da un’inchiesta realizzata da Domani insieme ad Arctida, ong specializzata in ricerche sull’Artico russo.

    Arctic Lng 2 è un progetto strategico per Mosca. Secondo l’annuncio fatto nel 2019, la capacità produttiva annuale dell’impianto – che si trova sulla penisola di Gyda – a regime sarà di 19,8 milioni di tonnellate di gnl (gas naturale liquido). Visto che l’anno scorso la Federazione ha prodotto 32,9 milioni di tonnellate di gnl, l’aumento sarebbe dunque del 60 per cento, e permetterebbe di compensare il crollo delle esportazioni via gasdotto verso l’Ue.

    Nel progetto ha un interesse personale uno dei più importanti alleati di Vladimir Putin, Gennady Timchenko. Azionista principale della società Arctic Lng 2 è infatti Novatek, partecipata dal suo amministratore delegato, Leonid Michelson, dall’azienda statale Gazprom, dalla francese TotalEnergies (che nel frattempo, pur non avendola ceduta, ha deconsolidato dal bilancio la partecipazione) e, appunto, da Timchenko.
    […] Bruxelles ha messo fin da subito nel mirino il progetto sviluppato nell’Artico russo. L’8 aprile del 2022 il Consiglio dell’Ue ha pubblicato il quinto pacchetto di sanzioni contro Mosca, che vieta di «esportare, direttamente o indirettamente, beni o tecnologie idonei...all’uso nella liquefazione del gas». Grazie a dati doganali e documenti societari analizzati da Domani, è possibile raccontare quello che è successo fino alla fine di marzo del 2024.
    Dal 9 aprile 2022 – data di entrata in vigore delle sanzioni sul gnl – i componenti di decine di aziende registrate in Italia sono finiti ad Arctic Lng 2, per un valore complessivo di 134 milioni di euro. Se il calcolo si fa a partire dal 24 febbraio del 2022, due giorni dopo l’entrata dei carri armati russi in Ucraina, il totale arriva a 194 milioni di euro.
    Limitiamoci però a quanto successo a partire dal 9 aprile 2022. La maggior parte delle forniture italiane è di Nuovo Pignone, società fiorentina del gruppo americano Baker Hughes, famosa in tutto il mondo per la produzione di turbine. Totale del valore fatturato da Arctic Lng 2: 19,6 milioni di euro.

    Con valori inferiori ma comunque rilevanti ci sono poi, solo per citarne alcuni, i gruppi Tenaris e Marcegaglia, entrambi produttori di tubi d’acciaio, la multinazionale dei cavi Prysmian, Cortem, azienda friulana che produce apparecchiature elettriche, Honeywell, filiale italiana dell’omonimo colosso americano, Erresse, produttore di valvole della provincia di Novara.



    […] Tra le aziende nostrane che stanno di fatto permettendo la realizzazione di Arctic Lng 2, i dati doganali elencano anche due imprese controllate dallo stato italiano. Lo stesso che sta imponendo le sanzioni. Si tratta di Valvitalia e Ansaldo Energia. La prima è specializzata in valvole e raccordi, la seconda realizza turbine.

    I loro prodotti risultano essere finiti ad Arctic Lng anche dopo il 9 aprile. Ci sono state ad esempio 30 consegne di materiale proveniente da Valvitalia, per un valore complessivo di 4,9 milioni. La merce della partecipata di stato è finita alla Arctic Lng 2 attraverso diverse società intermediarie, ma la più utilizzata è stata l’emiratina Nova Engineering and Construction, una delle società collegate alla Russia.

    Forniture che non sono quasi mai avvenute in modo diretto, ma attraverso triangolazioni. In altre parole, le aziende italiane hanno venduto a società non registrate in Russia, le quali poi a loro volta hanno trasferito la merce in Siberia. Formalmente, quindi, tutto regolare.

    Nella lista delle intermediarie più gettonate dalle imprese italiane ci sono: le cinesi Penglai Jutal Offshore Engineering Heavy Industries, Gac, Bomesc Offshore Engineering Company, Qingdao McDermott Wuchuan; i gruppi turchi Maritsa e Modmer Trading; due società emiratine, Nova Engineering and Construction e Waterfall Engineering. Sono queste ultime le intermediarie di cui abbiamo individuato collegamenti con la Russia. La Waterfall Engineering Ltd è stata fondata nel 2023 ad Abu Dhabi. A dire che è collegata al regime di Vladimir Putin, nello specifico al progetto Arctic Lng 2, è l’Office of Foreign Assets Control, l’autorità che applica le sanzioni per conto del governo degli Stati Uniti.
    Ma Waterfall Engineering non è solo elencata tra le imprese sanzionate dagli Usa. Ha sede presso l’Abu Dhabi Global Market, centro finanziario che si trova all’interno di una torre, sull’isola Al Maryah. Nello stesso posto c’è un ufficio di rappresentanza della Gydan Lng. Sicuramente fino a giugno del 2022, questa società era una joint venture, con cliente unico Arctic Lng 2, partecipata dall’italiana Saipem (20 per cento, controllata a sua volta dallo stato italiano), dalla francese Technip Energies (70 per cento) e dalla russa Nipigas (10 per cento), mentre oggi l’unico proprietario è Nipigas.


    Tra gli azionisti principali di Nipigas (tramite il colosso petrolchimico Sibur) c’è Gennady Timchenko, considerato uno degli alleati più importanti di Putin. Con questa motivazione l’Ue lo ha sanzionato a partire da febbraio 2022.



    Come detto, Timchenko è anche azionista di Novatek. Dunque, l’emiratina Waterfall Engineering ha sede allo stesso indirizzo di Abu Dhabi della società controllata dalla Nipigas di Timchenko. Anche la Nova Engineering and Construction, l’altra emiratina che ha intermediato più volte le forniture italiane ad Arctic Lng 2, è collegata a Mosca, sebbene in modo meno diretto. Condivide la sede e l’azionista di controllo, l’uzbeko Ulugbek Kamolov, con un’altra impresa emiratina, la Smart Solutions Ltd.



    Nel consiglio d’amministrazione di quest’ultima siedono due uomini di nazionalità russa: Denis Mishchenko ed Egor Zubarev. […] Secondo il governo degli Usa, Smart Solutions è stata usata dalla Russia per «aggirare le sanzioni statunitensi e rivitalizzare il progetto Arctic Lng 2»: con questi motivi, proprio ieri, è stata messa sotto sanzioni da Washington.
  2. KKR ed Energy Capital Partners hanno deciso di investire complessivamente 50 miliardi di dollari in progetti di data center e di generazione di energia per sostenere lo sviluppo dell'intelligenza artificiale.



    L'investimento è una scommessa sull'enorme fabbisogno energetico dell'intelligenza artificiale e sul crescente stress che sta esercitando sulla rete elettrica statunitense. Le società hanno dichiarato che gran parte dell'investimento sarà effettuato nei prossimi quattro anni.

    KKR, una delle più grandi società di investimento al mondo, ed Energy Capital Partners, una società di private equity, hanno investito molto nelle infrastrutture alla base del boom dell'IA. Le società hanno dichiarato che ora stanno collaborando con le grandi aziende tecnologiche per accelerare il loro accesso all'elettricità, che è diventato limitato in alcune parti degli Stati Uniti, in quanto gli sviluppatori di data center competono per le fonti di energia e l'accesso alla rete.



    “Il fabbisogno di capitale è enorme e uno dei grandi colli di bottiglia, forse il collo di bottiglia, è la disponibilità di elettricità”, ha dichiarato Doug Kimmelman, fondatore e socio senior di ECP.


    ECP possiede società che gestiscono centrali elettriche convenzionali e rinnovabili, tra cui Calpine, uno dei maggiori produttori di energia elettrica del Paese. Di recente ECP ha ampliato il suo portafoglio di impianti a gas naturale, che secondo Kimmelman saranno fondamentali per fornire energia 24 ore su 24 ai data center. Kimmelman ha dichiarato che prevede di effettuare ulteriori investimenti nel gas, esplorando al contempo modi per ridurre le emissioni di carbonio con le energie rinnovabili o sviluppando tecnologie come la cattura e il sequestro del carbonio.

    Le aziende tecnologiche si sono affidate pesantemente ai combustibili fossili per alimentare i loro centri dati, il che rende difficile per loro onorare gli impegni presi per ridurre le emissioni di carbonio e al tempo stesso spingere per accelerare lo sviluppo dell'IA.

    Ogni azienda tecnologica sta ora cercando di accelerare lo sviluppo di fonti di elettricità più pulite.



    Microsoft, Google e Amazon.com hanno dichiarato di voler investire miliardi di dollari per mettere online più energia nucleare. Alcuni dei progetti dipendono da una tecnologia di nuova generazione non ancora collaudata e ciascuno di essi richiederà anni per essere completato, in parte a causa delle sfide finanziarie e tecnologiche che hanno limitato la crescita dell'industria nucleare statunitense per decenni.


    Secondo la società di consulenza McKinsey, per ora gli impegni in materia di sostenibilità passano in secondo piano rispetto al desiderio delle aziende tecnologiche di costruire rapidamente centri dati.

    Waldemar Szlezak, che dirige gli investimenti di KKR nelle infrastrutture digitali, ha dichiarato che la partnership dell'azienda con ECP è finalizzata a soluzioni a breve termine per espandere l'accesso all'energia e alleggerire gli ostacoli che le aziende tecnologiche devono affrontare nella costruzione di centri dati. Ad oggi, KKR ha investito più di 29 miliardi di dollari in società di infrastrutture digitali.
  3. Nelle intercettazioni l'hacker Calamucci fa riferimento anche all'ex 007 Mancini . Il suo legale: "Fantasie senza fondamento"
    Da Milano alla Squadra Fiore la rete degli spioni porta a Roma
    irene famà
    monica serra
    roma-milano
    «Mancini è un componente. Doppio Mike, l'ho chiamato doppio Mike. È un componente della squadra Fiore, un traditore». È Nunzio Samuele Calamucci a dirlo, intercettato dai carabinieri di Varese. E nel bel mezzo di una "guerra" tra hacker che lo ha portato a denunciare ai giornalisti l'esistenza a Roma di una centrale di spionaggio che, per quel che sta emergendo, aveva molti punti in comune con quella milanese, di cui Calamucci faceva parte. Anche la «Squadra Fiore» sarebbe infatti composta da militari ed ex militari legati a comparti dell'intelligence che accedono alle banche dati, da quelle della Banca d'Italia allo Sdi. Raccolgono notizie riservatissime su vip e grandi società e poi le rivendono.
    Dai primi accertamenti, le basi logistiche sarebbero due: una in Italia, nella Capitale, in un appartamento di piazza Bologna, tra studi di avvocati e medici. Tra quelle mura si poteva parlare liberamente: a proteggere le conversazioni ci sarebbe stato un disturbatore di frequenze. La seconda pare sia a New York, nella Lower Manhattan.
    Della Squadra Fiore si inizia a parlare a marzo, dopo gli articoli di Fabrizio Gatti di Today. it. A contattarlo, sarebbe stato proprio l'hacker Calamucci. L'obiettivo? "Bruciare" il gruppo rivale, almeno in apparenza perché stava dossierando un cliente della sua organizzazione: Leonardo Maria Del Vecchio, figlio prediletto del patron di Luxottica, che ha pagato almeno 361 mila euro alla società Neis, dell'ex Ros Vincenzo Di Marzio, per varie attività di investigazione nel bel mezzo della faida per l'eredità del padre. Per conto di Del Vecchio, secondo il pm Francesco De Tommasi, la banda spia la fidanzata ma anche i fratelli, soprattutto Claudio Del Vecchio, che nel frattempo ha depositato la nomina di un avvocato.
    Quando scopre che la squadra Fiore sta spiando Del Vecchio Jr, Calamucci cerca dei giornalisti a cui racconta una storia tutta da verificare. Dice di essere stato contattato da un amico militare che lavora all'Agenzia di Cybersicurezza nazionale e per "Fiore". Dice che gli avrebbe inoltrato una fotografia mentre era sotto casa dell'imprenditore. La procura di Roma inizia a indagare sulla presunta rete clandestina per accesso abusivo a sistema informatico, violazione delle norme sulla privacy ed esercizio abusivo della professione. Per ora, la Postale avrebbe individuato cinque presunti appartenenti al gruppo.
    Nelle quasi 5 mila pagine di informative depositate a Milano, solo Calamucci accenna intercettato alla Squadra Fiore, sostenendo che ne farebbe parte l'ex dirigente del Dis Marco Mancini ("Doppio Mike" per via delle iniziali è sempre stato il suo nickname) che ha terminato la carriera nei Servizi dopo le foto con l'ex premier Matteo Renzi in autogrill a dicembre del 2020. Ma tramite l'avvocato Luca Lauri, Mancini fa sapere che la sua appartenenza a Fiore sarebbe «pura fantasia», che non conosce Calamucci né l'ex poliziotto Carmine Gallo, a capo del gruppo milanese. Sostiene il legale: «Gli indagati intercettati riferiscono un coacervo di notizie confuse, partendo da spunti di vecchi atti di indagine, e senza fondamento, con l'obiettivo di accreditarsi».
    Più volte nelle intercettazioni si nomina Mancini. L'ex Ros Di Marzio, che ha lavorato nel Sismi, parla di presunti contrasti con lui: «Mi ha promesso che mi avrebbe fatto ammazzare… Alla fine ho dato i documenti al notaio, poi ho detto, siccome le prove ce le ho, se mi investono c'è qualcuno che farà uscire questi documenti». Al netto di Mancini (non coinvolto nelle indagini), i presunti rapporti con l'intelligence ricorrono spesso. I carabinieri annotano misteriosi accessi in Sdi compiuti dall'utente fittizio «Lanza» col nome «Foga415» identificato come «appartenente all'Aisi».
    Anche Gallo sostiene di aver lavorato nei Servizi con Mancini e Giuliano Tavaroli: «È tutta gente che ho conosciuto quando eravamo ai Servizi, tutti insieme…». Con queste parole, per i carabinieri, Gallo spiega «la ragione della sua ragnatela di contatti ovvero l'aver fatto parte dei servizi segreti». Una dichiarazione, è scritto, «che non appare frutto di una millanteria. Si tratterebbe di una situazione che a prima vista può sembrare incredibile poiché Gallo non ha mai abbandonato i contatti con la polizia e la sua funzione d'intelligence sembrerebbe essere legata proprio al ruolo "interno" agli uffici giudiziari della procura di Milano».
    Per ora una suggestione, ma il pensiero va subito alle parole del socio di Calamucci, Massimiliano Camponovo, davanti al gip: «Ho percepito la presenza di una mano oscura che muoveva il sistema. Temevo per me e per la mia famiglia»
  4. Pegoraro: "Ho lavorato per il mio Paese"
    «Ho lavorato cercando di sviluppare qualcosa di buono, nel mio piccolo, nel mio Paese e per il mio Paese».
    Per la prima volta, l'informatico 48enne Gabriele Edmondo Pegoraro si difende dal «fango» e dalle «falsità che ho letto in questi giorni». È indagato dal pm Francesco De Tommasi perché avrebbe collaborato con la presunta banda degli spioni di via Pattari ed è anche coinvolto in un'inchiesta della procura di Torino. Ma quello di Francesco Pegoraro, «uno dei più abili hacker ed esperti informatici "disponibili" sulla scena italiana», è un nome molto noto anche nelle procure con cui ha collaborato – si legge negli atti – in «importanti operazioni di polizia e antiterrorismo». Un esempio su tutti: la cattura dopo 37 anni di latitanza dell'ex leader dei Proletari armati per il comunismo, Cesare Battisti, condannato in Italia all'ergastolo per quattro omicidi.
    Da diverse ore circolava la notizia falsa secondo cui sarebbe stato «introvabile», subito smentita dal suo avvocato Massimo Dal Ben. «Sono residente a Luino e lavoro spesso a Milano – spiega Pegoraro –. Poiché ogni anno in questo periodo ricorre l'anniversario della morte di mio padre, torno dalla mia famiglia. Il mio lavoro, anche per le tante situazioni di stress vissute, purtroppo negli anni ha reso sempre più precarie le mie condizioni di salute. Per questa ragione sono stato ricoverato per un lungo periodo. Probabilmente sarà necessario ancora ricorrere ad ulteriori cure, dunque anche in futuro potrò essere molto facilmente raggiunto dalle autorità che necessitassero di me».
    Riguardo alle accuse, Pegoraro sostiene: «Con la quasi totalità degli altri indagati non ho praticamente mai avuto rapporti e con quelle pochissime persone che conosco non ho rapporti di lavoro da più di quattro anni». Al centro delle parole del 48enne soprattutto il suo lavoro («sviluppare tecnologie, non fare dossier», sottolinea), al quale «ho sacrificato una vita con dedizione e passione. Chi mi conosce bene sa quanto mi sono dedicato, non avendo figli, a sviluppare qualcosa di mio che rimanesse e che fosse qualcosa di cui andare fiero»
  5. Il riscaldamento a ggrava le crisi umanitarie. La Banca mondiale: entro il 2050 emergenza globale. Guterres: con Trump accordi di Parigi a rischio
    Senza terra per colpa del clima, allarme Onu
    parigi
    A suonare il campanello d'allarme ci ha pensato la Banca mondiale nel 2021: circa 216 milioni di persone diventeranno migranti climatici all'interno del loro Paese entro il 2050. Uno dei principali effetti del riscaldamento globale, che obbliga milioni di persone a lasciare le proprie terre martoriate dai cataclismi ambientali come inondazioni, tempeste, siccità o eruzioni vulcaniche. In alcuni casi si tratta di territori che rischiano addirittura di scomparire. Un esempio sono le isole di Tuvalu situate nell'Oceano Pacifico, i cui abitanti sono stati accolti dall'Australia.
    Ma nella maggior parte dei casi il risultato di simili fenomeni si traduce in una vera e propria crisi umanitaria, le cui vittime però non vengono riconosciute come tali perché il diritto internazionale non prevede lo status di «rifugiato climatico». Migranti invisibili e senza nessun tipo di tutela, quindi, a differenza di chi scappa da guerre o da situazioni di estrema povertà (anche se spesso queste situazioni possono sovrapporsi). Ogni anno se ne contano 20 milioni in tutto il mondo secondo le stime dell'Unhcr. Tra le zone più interessate c'è l'Africa, ma anche il Medio Oriente e il Sudest asiatico. In questi ultimi anni, però, il moltiplicarsi di cataclismi ambientali in tutto il mondo ha dimostrato le vulnerabilità dell'Europa e di tutto l'Occidente, ormai costretto a guardare in faccia il problema. Mentre il dibattito sulla creazione dello statuto va avanti, seppur senza particolari segnali di avanzamento, l'Agenzia dell'Onu per i rifugiati ad aprile ha lanciato il Fondo per la resilienza climatica, che punta a raccogliere 100 milioni di dollari entro il 2025 per sostenere i migranti, i Paesi d'origine e quelli d'accoglienza interessati.
    Il fenomeno dimostra chiaramente come i cambiamenti climatici colpiscano in tutto il mondo avendo però effetti diversi. Per questo è necessaria una risposta omogenea. Ma il destino degli Stati Uniti preoccupa la comunità mondiale. Un eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca con le prossime elezioni dovrebbe portare ad una nuova uscita di Washington dagli Accordi di Parigi sul clima. Uno scenario già visto nel 2019 e ri-annunciato dallo staff del tycoon. Il trattato «può sopravvivere, ma a volte le persone possono perdere organi importanti o perdere le gambe e sopravvivere», ha avvertito dalle colonne del Guardian il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, evocando il rischio di avere un accordo «paralizzato». Un'eventualità che di certo non gioverebbe alla soluzione del problema.
  6. Dopo i furti, le frodi informatiche sono i crimini con più denunce: 274 mila in un anno. Cresce il trading fraudolento su criptovalute e azioni
    Finti consulenti e telefonate automatizzate le truffe online tra i reati più comuni in Italia
    Arcangelo Rociola
    Non una questione di ceto. Né di età. Ma solo una questione di soldi. Di soldi e avidità. Una combinazione in grado di vincere ogni resistenza. Di annichilire ogni prudenza. Chi ne è vittima scopre il fianco. E lì chi è disposto a approfittarne affonda il colpo. Migliaia, forse centinaia di migliaia le vittime ogni anno in Italia. L'enorme, in larga parte sommerso, popolo dei truffati online. Nel 2023 la Polizia postale ha ricevuto 3.400 denunce di truffe legate a proposte di investimento online. Ma il numero dei casi potrebbe essere molto più alto. Diversi report raccontano che solo uno ogni venti denuncia. Spesso si sta zitti per vergogna. Il numero dei casi aumenta del 12% l'anno. Mentre di per certo i soldi spariti sono 111 milioni solo nel 2023. Ma è una cifra arrotondata per difetto. Con il non emerso si arriverebbe facile a oltre un miliardo. Mentre il trading fraudolento, insieme alle altre frodi informatiche, è il secondo reato denunciato in Italia. Solo nel 2022 274 mila.
    Le truffe su azioni e criptovalute sono esplose durante gli anni della pandemia. Oggi con l'Intelligenza artificiale le tecniche si sono raffinate: chatbot, telefonate automatizzate, finti consulenti solerti nell'offrire opportunità di guadagno sui social, spesso nelle vesti di ragazze avvenenti. Anche loro finte, non meno degli investimenti. Di vero ci sono solo le vittime. Uomini e donne, di ogni ceto e ogni età. Con pochi denominatori comuni: la solitudine, il troppo tempo passato online e la voglia di fare soldi facili. Elementi ideali per questi raggiri. Fluorescenze sul terreno fertile dei social. Dove la ricchezza prima è diventata una condizione essenziale, da ostentare. Poi un obiettivo facile da raggiungere giocando a fare i Gordon Gekko. Ma nessuno ci riesce davvero. Nessuno è Gordon Gekko.
    Il mondo delle truffe online è variegato. C'è un sito in Italia lo racconta. Si chiama Decripto. Giovedì ha raccontato quello che sembra essere l'ultimo fenomeno. Riguarda alcune piattaforme che chiedono dai 5 ai 35 mila euro per trasformare il proprio computer personale in una macchina per creare Bitcoin. Uno ogni sei mesi. Per un controvalore di circa 150 mila euro l'anno. Al momento nei confronti di queste piattaforme non ci sono provvedimenti ufficiali. Ma di provvedimenti ce ne sono centinaia. Basta fare un giro sul sito della Consob.
    L'autorità il 25 settembre scorso ha oscurato l'accesso di 2139 Exchange. Una piattaforma di trading che prometteva il 5% di rendimenti al giorno. Tutti i giorni. Un ‘salario' lo chiamavano - quasi a far sognare una fonte di reddito alternativa al lavoro vero. E il salario all'inizio arriva davvero. Ma non dal trading. Ma da altre persone che arrivano e mettono altri soldi. E così garantiscono le proprie e le altrui cedole. Fino a quando lo schema non diventa troppo grosso. E allora si chiudono i battenti. Finiscono i prelievi e tutto sparisce. Sarebbero 200 mila i coinvolti. Alcuni di loro si sono organizzati su Telegram. Sperano in una class action. Parlano dietro anonimato. Ma parlano. La voce è quella di un ragazzo, Xdsk si fa chiamare, foto da palestrato in canottiera grigia: "Ci ho messo 500 e all'inizio mi davano 5 euro al giorno, è andata avanti un po'. Poi ho sbloccato il livello successivo e sono arrivato a 1.000. All'inizio era un gioco. Ma da due settimane i soldi non arrivano più". Avvicinato dice da una ragazza su Telegram. Bionda in body nero. Probabilmente un Bot. È lei che lo invita a entrare nel circuito. E a scalare i livelli di ricchezza. Livelli. Come nei giochi. Perché è così che queste truffe vengono organizzate. Si parte da un investimento base. Poi si sale. Più aumentano i soldi dati più aumentano i premi. A quel punto iniziano le sfide: coinvolgere amici, parenti, aumentare il cerchio. Si scalano nuovi livelli. Intanto i soldi arrivano e si diventa promotori. Ecco, in sintesi, come avvengono queste truffe. Ecco il meccanismo base, antico ma attuale, di uno ‘Schema Ponzi'.
    Tutto nasce spesso sui social, ma nessuna delle grandi piattaforme frena le pubblicità. Difficile anche colpire i colpevoli. Spesso vivono all'estero e i soldi in cripto sono difficili da tracciare. Impossibile riprendere i soldi persi. Anzi, spesso nelle chat di Telegram dove parlano e si confrontano i truffati, si inseriscono altri truffatori che promettono di recuperarli, pagando. Un meccanismo di raggiro senza fine. Che si perpetua. Che prende nuove forme. Di base però sempre lo stesso schema. Sempre lo stesso Charles Ponzi. Capace di sfidare e vincere da secoli la sfida con la psiche e l'avidità umana
  7. Anziani maltrattati nella Rsa dopo sette anni nessun colpevole
    elisa sola
    Dopo sette anni dai fatti, arriva il responso. Non ci sono responsabili per i presunti maltrattamenti che avrebbero subito alcuni anziani all'interno della rsa Il Porto nel 2017 e 2018. Le testimonianze raccolte sono, per il tribunale, troppo «confuse e discordanti». E anche il reato di lesioni - riguardo alla caduta di un degente - non sarebbe configurabile perché mancherebbe la querela di parte. Le due imputate, una oss e un'infermiera, sono state quindi assolte. In attesa del processo di primo grado, due delle tre presunte vittime sono morte. Per l'età avanzata e per l'aggravarsi delle malattie degenerative per le quali erano in cura.
    La prima indagata, una oss, era accusata di maltrattare i degenti. Urlando frasi come: «Scema». «Ti puzza l'alito». «Stronzo». «Deficiente». Non solo. Avrebbe acceso tutte le luci di notte per disturbare chi dormiva. E sarebbe stata spesso ubriaca. Le bottiglie di vino erano state viste, nel suo armadietto, da più di un testimone. Ma, secondo il giudice, un conto è avere l'alcol in un armadio, un conto è essere colta in flagranza mentre lo si beve in servizio. E riguardo a questa seconda ipotesi non ci sarebbero prove. La oss, infine, avrebbe strattonato i pazienti, «effettuando manovre in maniera brusca e in assenza di condizioni di sicurezza». La seconda imputata, infermiera, era accusata di non avere rispettato il protocollo perché avrebbe manovrato da sola almeno tre anziani, facendoli cadere. La prima vittima si era rotta l'omero. Era il 31 ottobre del 2017. La seconda, sei giorni dopo, si era fratturata il malleolo e la tibia. La terza anziana era finita in ospedale con un trauma cranico, la frattura di una mano e di un dito. Per lei la prognosi era di oltre 40 giorni. L'inchiesta era nata proprio da questa serie di strani "incidenti". Gli agenti del commissariato Barriera di Milano avevano raccolto testimonianze, lettere di richiamo e sanzioni erogate dalla direzione sanitaria ad alcune dipendenti, in particolare alla oss. Ma un conto sono i richiami, un altro i reati, che secondo il tribunale non sarebbero sussistenti. L'ex direttrice amministrativa aveva testimoniato: «Il personale è troppo scarso rispetto agli ospiti presenti. Facciamo quello che possiamo». Ma sui presunti maltrattamenti, i colleghi sentiti in merito al comportamento delle indagate avrebbero reso «versioni spesso confuse e discordanti, quindi non credibili, anche sull'assunzione di alcol». Era stata la stessa procura, riguardo ai comportamenti della oss, a chiedere l'assoluzione. Al processo era costituita parte civile la Fondazione promozione sociale onlus, rappresentata da Maria Grazia Breda. All'epoca dei fatti la rsa era gestita da una società diversa dall'attuale, che aveva a sua volta affidato il servizio sanitario a una cooperativa, responsabile civile

 

 

 

01.11.24
  1. RAUL=MARCHIONNE: solo che a Raul e' andata male per incompetenza finanziaria totale che non mancava a MARCHIONNE  Estratto da “La caduta di un impero” di Carlo Sama, Rizzoli
    Nella sua scalata alla Montedison, che io vissi al suo fianco momento dopo momento, telefonata dopo telefonata, acquisti di pacchetti di azioni uno dopo l’altro, Gardini aveva speso una montagna di soldi, indebitando pesantemente la Ferruzzi.
    Raul non aveva badato minimamente al prezzo quando diede ordine al telefono al nostro agente Umberto Maiocchi di acquistare tutte le azioni Montedison che poteva trovare; poi strapagò le azioni che Carlo De Benedetti aveva precedentemente rastrellato in Borsa; infine, non si fece particolari patemi d’animo nell’acquistare a peso d’oro il pacchetto detenuto dall’industriale milanese delle vernici Gianni Varasi, il più importante pilastro di quel drappello di azionisti di media taglia, che comprendeva anche la Inghirami e la Maltauro, di cui Schimberni si era circondato per fare di Montedison una public company indipendente e accrescere e difendere il suo potere personale.

    Gardini aveva comprato la Montedison senza pensarci due volte. Ma anche senza avere una idea precisa di che cosa fosse e come esattamente funzionasse, in realtà, quell’oggetto del desiderio che aveva fortemente voluto e fatto suo. Ovviamente, Raul conosceva bene la storia di Montedison ed era consapevole dell’importanza strategica di quella società nel panorama industriale italiano.

    Così come era consapevole dell’enormità del passo che aveva appena compiuto, scalando Foro Buonaparte. Ma, adesso, effettuato il blitz, tutt’altra cosa era dover gestire di fatto la Montedison, capirne il complesso funzionamento interno, decidere che tipo di impronta dare alla sua conduzione, se operare in continuità oppure apportando dei cambiamenti alla linea che Schimberni aveva fin lì seguito.



    Per non parlare della nostra scarsa conoscenza e della diversità dei nuovi settori della chimica con cui stavamo entrando in contatto (plastiche, fertilizzanti, fibre, farmaci ecc.) rispetto ai nostri tradizionali ambiti di attività come lo zucchero o i semi oleosi.



    Passata l’euforia per la scalata e per il successo personale e di immagine del suo riuscito colpo di mano su Montedison, che aveva sorpreso e stupito tutti, Gardini si rese subito conto di quanto fosse complessa e intricata quella galassia che, dagli inizi degli anni Ottanta, Schimberni aveva rivoltato come un calzino, riorganizzandola, riportandola al profitto e spingendola anche nel campo immobiliare e dei servizi con la Iniziativa Meta (acronimo di Montedison Terziario Avanzato).


    E fu sufficiente poco tempo perché il sorriso beffardo che Raul aveva sfoderato quel mattino, varcando il portone di Foro Buonaparte, gli si spegnesse sul volto, nella consapevolezza di essersi inoltrato in acque profonde e sconosciute.



    In sostanza, fu anche per la paura di non essere da subito all’altezza della sfida manageriale che Montedison richiedeva, e quindi non solo per una specie di ammirazione strisciante nei confronti di Schimberni, che Gardini lo lasciò operare quasi indisturbato per un lungo periodo.


    Da parte sua, Schimberni, pur ammaccato dal ridimensionamento della «sua» public company, che ormai non era più tale avendo ora un azionista di controllo, approfittò di quel momento di incertezza di Gardini e per un bel po’ non gli fece letteralmente toccare palla.



    Schimberni affidò Raul, togliendoselo così di torno, alle «cure» dei suoi due amministratori delegati, Giorgio Porta e Lino Cardarelli, che di fatto «narcotizzarono» Gardini, blandendolo e intrattenendolo amabilmente per settimane sui settori industriali di Montedison, sulla sua strategia, sul suo funzionamento, sulle sue società controllate, su quella macchina così complessa che sembrava poter essere guidata solo da chi ne conosceva pienamente tutte le sfaccettature. Con ciò confondendo Raul e rendendolo, se possibile, ancora più timoroso e titubante sul da farsi di quanto già non lo fosse.
    Spietato, forse anche per quella impressione di smarrimento che Raul diede loro in quei giorni, fu il giudizio su Gardini che Cardarelli espresse in seguito, nel suo libro biografico Dalla Montedison a Baghdad, edito da Guerini e Associati e curato da Gianfranco Fabi. In un paragrafo intitolato Gardini: né cultura industriale, né visione, l’ex manager Montedison, infatti, lo bollò di «provincialismo» e «scarsa cultura industriale».

    In effetti, in quell’ormai lontano 1987, era come se Gardini, oltrepassando il portone della Montedison, fosse entrato in una fitta giungla e avesse perso l’orientamento. Gli furono presentati uno dopo l’altro anche i manager delle numerose società operative di Montedison, da Andrea Mattiussi a Roberto Bencini, da Giancarlo Cimoli a molti altri, tra cui anche Giuseppe Garofano, che era a capo di Iniziativa Meta.

    Sembrava che Gardini si smarrisse sempre di più nell’intrico di quegli organigrammi, società e settori, sballottato un giorno tra la Montedipe e la Montefibre, un altro tra la Agrimont e la Erbamont-Farmitalia Carlo Erba, impegnato in una serie infinita di colloqui con i manager delle diverse compagnie, dai quali usciva con le idee più confuse di prima.



    Infatti, ciascuno di essi gli raccontava una storia diversa, prospettandogli anche le strategie più improbabili, perorando ognuno la propria causa e spiegandogli come il proprio settore di attività fosse il più valido e quello su cui puntare di più. Raul era frastornato, non sembrava nemmeno più lui. Mentre Schimberni, nel frattempo, continuava a fare il suo gioco e a tessere le sue trame.

    In particolare, Schimberni con diverse operazioni stava indebitando viepiù la Montedison. Emblematico fu l’acquisto dagli spagnoli Mario Conde e Juan Abelló, per la stratosferica cifra di 450 milioni di dollari dell’epoca, del 100% della Antibióticos. Ma alcuni giornali scrissero che il prezzo fu ancora più alto.



    La strategia di Schimberni era chiara: più la Montedison era indebitata e più essa sarebbe stata difficile da gestire anche da parte di quel nuovo azionista ingombrante che aveva avuto l’ardire di scalare il «suo» giocattolo. A fine 1987 i debiti di Montedison erano ormai saliti a poco meno di 8000 miliardi di lire.


    Di tanto in tanto Schimberni si intratteneva furbescamente con Gardini, esprimendo un finto interesse per la chimica verde che Raul vagheggiava. In una occasione, per dimostrare la sua completa sintonia di idee con lui e per solleticarne la vanità, arrivò perfino a promettere a Raul che avrebbe potuto mettere un cip sul nostro fallimentare stabilimento di etanolo in Louisiana, la Missalco (Mississippi River Alcohol), che non riusciva a decollare per problemi tecnici in quanto Raul si era fatto mal consigliare da Vernes sulla tecnologia produttiva da adottare.
    Schimberni poi effettivamente mise un cip sulla Missalco. Ma si trattò soltanto di un cip, appunto, niente di più.

    Il cul-de-sac in cui, come Ferruzzi, ci trovavamo era evidente. Ci eravamo indebitati moltissimo per comprare una società che, a sua volta, si stava indebitando sempre di più. E non potevamo nemmeno comandarla.



    Inoltre, quella esperienza senza costrutto in Montedison stava modificando geneticamente il Gardini che io avevo conosciuto, rendendolo incerto e pavido. Ogni giorno che passava, cresceva la preoccupazione mia, di Cusani e di Sergio Cragnotti, un altro dei top manager di Gardini, prima impegnato nelle attività del Gruppo in Brasile e in Francia e, in seguito, amministratore delegato di Enimont e vicepresidente di Montedison.
    Che la realtà di Montedison fosse una macchina complessa, e che per gestirla andava presa per le corna e non subita passivamente, me ne ero reso conto io stesso nel mio ristretto ambito di attività. Infatti, Schimberni aveva costruito attorno a sé non solo una fitta rete di prime e seconde linee di manager fedeli, ma anche un apparato ben oliato che lo supportava nelle sue strategie di comunicazione.



    Abilissimo nelle relazioni con gli investitori e in quelle istituzionali, necessarie per mantenere i contatti con la politica, con una forte e articolata organizzazione ad hoc che lo supportava, Schimberni aveva a disposizione anche una potente squadra di Relazioni esterne guidata da un professionista capace come Carlo Bruno.

    L’ufficio Stampa di Carlo Bruno fu molto abile in quei mesi a far fluire continuamente verso i media − in modo diplomatico ma duro nella sostanza − la narrazione secondo cui Gardini era diventato, sì, l’azionista di riferimento, ma la Montedison continuava a comandarla Schimberni. Punto e basta. Uno stato di cose per noi intollerabile.



    Un giorno, anche per scuotere Raul dal suo immobilismo, gli dissi chiaramente che, visto che la Montedison era ormai diventata il suo mondo ed era una realtà molto più complessa della nostra, cioè quella della vecchia Ferruzzi, io avrei potuto dimettermi da responsabile delle Relazioni esterne della Ferruzzi stessa e che il mio incarico avrebbe potuto essere affidato a Bruno.
    Non so se Gardini fosse già arrivato intimamente, lui medesimo, alla convinzione che non si poteva più continuare così. Con ogni probabilità, si era finalmente reso conto che Schimberni lo stava prendendo per i fondelli. Sta di fatto che quel giorno mi rispose secco: «No! Tu devi continuare a dirigere le Relazioni esterne della Ferruzzi e devi prendere il comando anche di quelle della Montedison!».



    Fu una svolta, anche perché così Schimberni venne privato del suo giocattolo comunicazionale. Nel giro di poco tempo lo scenario di Foro Buonaparte cambiò completamente. Finalmente Gardini affrontò Schimberni che, messo alle strette, diede le dimissioni. E con lui se ne andarono poco dopo anche diversi dei suoi uomini più vicini, come Porta e Cardarelli.

    Ma il Gruppo Ferruzzi-Montedison necessitava urgentemente di una rapida ed efficace cura per non crollare sotto il peso dei debiti. Ci si dovette perciò rivolgere a Mediobanca, che ideò l’operazione di fusione tra la Ferruzzi Finanziaria e Iniziativa Meta, holding che aveva già incorporato Bi-Invest, deteneva quote di Fondiaria e nella cui pancia stavano società come Standa, Datamont, Tecnimont, Tre I, Cagisa e Sefimeta. Grazie a vantaggiosi concambi, fu una operazione decisamente vincente per la Ferruzzi, pur scontentando gli azionisti di Montedison che si sentirono depauperati di un loro pezzo pregiato come la Meta.
    La Ferruzzi, con la scalata di Montedison, aveva rischiato come Napoleone di finire in una disastrosa campagna di Russia, che alla fine fu evitata grazie alla operazione Ferruzzi-Meta e alla nascita della Ferfin. Gardini e i Ferruzzi, a quel punto, avevano ancora in mano il loro destino. Con alcune dismissioni mirate, il Gruppo Ferruzzi-Montedison avrebbe potuto ridurre ulteriormente l’indebitamento e rifocalizzarsi sui settori più redditizi mantenendo e rafforzando le più importanti leadership produttive mondiali, europee e italiane in suo possesso.

    Avevamo ritrovato la carica e ricominciammo a spingere con successo anche sulla nostra comunicazione. Una mattina Gardini entrò in ufficio e scarabocchiò con una stilografica per alcuni minuti su un foglietto appena più grande di un biglietto da visita. Poi me lo mostrò e disse: «Voglio che mi metti tutto il Gruppo Ferruzzi-Montedison su una sola paginetta, fammene anche una versione in inglese, una in francese e una in tedesco, così me la infilo in tasca e quando vado in giro per il mondo la tiro fuori e la mostro ai miei interlocutori per fargli capire chi siamo e che cosa facciamo».
    «Una paginetta?» gli obiettai. «Impossibile, non ci sta tutto su una paginetta.» Dopo qualche minuto di discussione, trovammo un compromesso. Avremmo fatto un piccolo pieghevole con poche facciate. Con tutta la squadra ci mettemmo subito al lavoro. Studiammo il da farsi facendo mille prove sulla mia grande lavagna di carta: schizzi, grafici, decine di fogli scartati, strappati dalla lavagna e buttati nel cestino.

    Smontammo idealmente il Gruppo e le sue società rimontandolo una infinità di volte in modo diverso e finalmente trovammo la quadra. Ricomponemmo i pezzi della Ferruzzi-Montedison in cinque macroaree − alimentazione, ambiente, energia, salute e nuovi materiali – e venne fuori così anche il nostro nuovo messaggio: «Una strategia industriale per la qualità della vita».
    Gardini e Fortis, poi, scrissero a quattro mani il discorso che Raul avrebbe dovuto tenere all’Assemblea della Ferfin di inizio settembre 1988, tutto impostato su quel messaggio.

    In realtà, cinque macrosettori erano perfino troppi e sarebbe stato logico portarne avanti solo due, l’agroindustria e l’energia.

    Però le cinque sfide funzionavano molto come idea ed erano coerenti anche con la tradizionale filosofia del Gruppo Ferruzzi di impegnarsi per l’innovazione e lo sviluppo umano. Tant’è che in seguito, nel 1989 mi pare, la nostra strategia per la qualità della vita finì anche in quel famoso case study della Harvard Business School, promosso dal professor Ray Goldberg: Gruppo Ferruzzi. A New Global Company. Fu davvero un enorme successo di immagine, per noi. Avevamo dato a Goldberg e ai suoi ricercatori informazioni, dati, tabelle e grafici per settimane, durante l’estate.


    Purtroppo, però, invece di imboccare alla massima velocità le autostrade spianate davanti a noi, alimentazione ed energia, anche sviluppando le nostre nuove plastiche biodegradabili, i biocombustibili e così via, e dismettendo le attività non strategiche, ci siamo subito di nuovo impantanati nella chimica più banale.

    Ci fu dapprima il momento magico di quel giovane responsabile della finanza, di cui Raul si «innamorò» per qualche settimana. Gardini lo reputava un genio e ce lo vendette come tale. In realtà, era del tutto inadeguato. Un tipo che ebbe anche una tresca con una collega e che venne preso per i capelli dalla moglie sul portone di Montedison. Poi fu la volta di Alexander Giacco, il deus ex machina della Himont, il suo nuovo guru. Così Gardini, sempre più infatuato del suo nuovo giocattolo, la Montedison, continuò a voler fare soprattutto il «chimico» a tutto campo.

    Dapprima si perse per mesi nell’illusione di poter diventare il re mondiale delle materie plastiche, soggiogato dal carisma e dall’influenza di Giacco, che gli montò la testa. L’esatto opposto della chimica verde, cioè quello che era stato il mantra suo e nostro fino a quel momento. La nuova parola d’ordine di Raul, invece, divenne «polimerizzare».

    Sembrava che al mondo ci fossero solo le poliolefine, il polipropilene, tutto il resto passò in second’ordine. Una vera e propria esaltazione; fuori tempo massimo, peraltro, perché il polipropilene, pur con nuove tecnologie come lo Spheripol, non era altro che il vecchio Moplen che Gino Bramieri già pubblicizzava negli anni Sessanta a Carosello.

    Poi fu la volta dell’epopea tragica di Enimont, su cui però, non spenderò in questo libro una sola parola, essendo già stato scritto a proposito di questa vicenda e del suo infelice epilogo tutto e il contrario di tutto.

    Enimont fu l’ossessione finale di Gardini, la sua più grande sconfitta. Fu un lungo calvario per tutti noi, vissuto in un clima di crescente incertezza. Solo lui, Raul, restò convinto ostinatamente fino alla fine di poter vincere la partita con l’Eni, coinvolgendo Vernes e i suoi amici francesi, scalando la joint venture guidata da Necci e Cragnotti a dispetto dell’Eni, facendo infuriare, compattandola, tutta la politica italiana.
    E in un clima surreale, nel pieno della palude gestionale di Enimont, delle ripercussioni finanziarie e industriali negative per Ferruzzi-Montedison che Enimont determinò, ci fu anche il fastoso e miliardario varo del Moro di Venezia, che Raul organizzò in modo faraonico: l’ultima illusione di una onnipotenza che ormai gli stava lentamente sfuggendo come sabbia tra le dita.
    Gardini fece perfino realizzare da Franco Zeffirelli un film sulla cerimonia del varo, con musiche di Ennio Morricone. La laguna affollata di barche e motoscafi davanti alla Punta della Salute, l’11 marzo 1990, fu il palcoscenico per la sua definitiva incoronazione a nuovo doge della città, tra squilli di trombe e sfilate di personaggi in costume. Furono invitati a Venezia ad assistere al varo del Moro decine di ospiti illustri, tra cui Gianni Agnelli, che venne accompagnato da Jas Gawronski. E furono distribuiti agli ospiti gadget sfarzosi, tra cui costose coperte in cachemire rosso carminio con lo stemma in oro del leone di Venezia.

    Quante volte, con Alessandra, abbiamo ripensato a quell’ennesima occasione perduta di Raul! Se, invece di infilarsi nel tunnel senza sbocco di Enimont e di voler fare il chimico a tutti i costi, si fosse concentrato sulla vecchia Ferruzzi e su ciò che più sapeva fare, cioè l’armatore e il velista, forse il suo e i nostri destini sarebbero stati diversi.

    Se, anziché tentare di trasformare il Gruppo Ferruzzi in un improbabile Gruppo Gardini a danno delle nostre famiglie, avesse investito di più il suo tempo sulla Coppa America e sulla popolarità che la sfida velica gli avrebbe portato, forse Raul oggi sarebbe ancora con noi.
    Con il trionfo nel campionato mondiale Iacc del 1991, la successiva vittoria nella Louis Vuitton Cup e la finale perduta di San Diego del 1992, trasmesse in diretta da Telemontecarlo, Gardini divenne l’uomo del momento: tutta l’Italia era praticamente ai suoi piedi!
    Invece la vicenda Enimont lo distrusse fisicamente e psicologicamente. La stessa disastrosa speculazione sulla soia al mercato di Chicago, che Gardini tentò assieme a un ristretto numero di trader suoi collaboratori, a nostra insaputa, fu forse dettata dalla disperata volontà di Raul di guadagnare del denaro da investire poi nella scalata alla joint venture chimica.
    Il fallimento di quella speculazione costò alla Ferruzzi una cifra imponente e mai precisata, oltre alla vergogna di essere multati e ripudiati da quel tempio del trading e della finanza mondiale che era solito accogliere Serafino Ferruzzi come un re.

    Quella speculazione sulla soia fu per la Ferruzzi un tremendo bagno di sangue finanziario. Lo stesso Roberto Michetti, poi braccio destro di Gardini dopo la nostra separazione, ha stimato una perdita per il nostro Gruppo assai superiore ai 100 milioni di dollari inizialmente indicati in via ufficiale; «Forbes» arrivò a parlare di un buco definitivo di addirittura 400 milioni di dollari.
    Forse, quella bottiglia che la figlia Maria Speranza, detta Cochi, non riuscì a rompere al primo tentativo durante la cerimonia del varo del Moro era stato veramente un sinistro presagio. E Raul era molto superstizioso... Tanto che fece anche togliere dal film di Zeffirelli la scena di quel colpo di bottiglia non riuscito, lasciando solo il secondo, andato a buon fine.
    Chissà, il destino probabilmente era già tracciato. La fortuna di Raul, in gran parte per colpa sua, da qualche tempo lo stava a poco a poco abbandonando. Ma Gardini, il mio vecchio amico ormai geneticamente modificato dalla chimica, non se ne accorse.
    Con la scalata di Montedison avevamo sfiorato la Beresina.
  2. Piantedosi: "Avversari politici nel mirino" Gallo: "Lavoravo ai servizi con Mancini"
    monica serra
    andrea siravo
    milano
    Al settimo piano del palazzo di giustizia, il superpoliziotto in pensione Carmine Gallo è stato il primo ad arrivare. Non ha risposto alle domande del giudice che lo ha messo ai domiciliari. Si è limitato a qualche dichiarazione: «Per quarant'anni ho servito le istituzioni. Ho sempre collaborato con le istituzioni, lo farò anche questa volta e chiarirò tutto». Appena fuori, a chi gli ha chiesto come si sente nella veste di indagato si è limitato a tre parole: «È la vita».
    Per il pm Francesco De Tommasi, è lui il «capo indiscusso» della centrale dei dossieraggi di via Pattari. Per i carabinieri, «a oggi non sono emersi rapporti di natura stabile tra apparati dello Stato italiano e il gruppo». E non stabile? Intercettato, è Gallo a sostenere di aver lavorato per i servizi, con Giuliano Tavaroli e Marco Mancini: «Con Tavaroli eravamo amici una volta, quando lui era nell'Arma, mi ha fatto un sacco di favori quando era alla Tim. Poi ci siamo persi. Pure con Mancini eravamo amici. È tutta gente che ho conosciuto quando eravamo ai servizi, tutti insieme eravamo…in procura…Ovviamente gli ho fatto pure dei favori a lui, lui me ne ha fatti a me, parecchi eh…».
    Al netto dell'agente del commissariato di Rho interdetto, che ha ammesso di aver effettuato Sdi abusivi per conto di Gallo («Era stato il mio capo»), nessuno dei quattro arrestati ieri ha voluto rispondere alle domande del gip Fabrizio Filice. Ma Massimiliano Camponovo, socio dell'hacker Nunzio Calamucci, si è limitato a poche inquietanti dichiarazioni: «Ho percepito la presenza di una mano oscura che muoveva il sistema, per questo non facevo domande. Temevo per la sicurezza mia e della mia famiglia».
    Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa, tra le presunte vittime di Enrico Pazzali, presidente autosospeso della Fondazione Fiera – che avrebbe addirittura desiderato «un ufficio nell'Arcivescovado» – si è chiesto in questi giorni chi siano stati i mandanti: «A chi Pazzali non ha potuto dire di no? » . Se lo chiedono pure gli investigatori che stanno indagando su un possibile «secondo livello».
    Sarebbero state almeno 767 le vittime conteggiate dai carabinieri nelle ultime informative, da cui emergono nuovi dettagli. Come la conversazione intercettata sulla eventuale nomina di Beniamino Lo Presti come ad di Trenord. Il governatore lombardo Attilio Fontana avrebbe detto: «Nel caso, mi dimetto». O ancora, parlando delle consulenze effettuate per Eni – uno dei clienti del gruppo, che ha spiegato di non essere mai stato al corrente degli illeciti – Calamucci sosteneva: «Montiamo tutta la pantomima, non lo sapeva nessuno, solo Descalzi e Speroni…». Sono parole dell'hacker ma, a differenza del capo degli affari legali, l'ad della compagnia, Claudio Descalzi non è indagato.
    «Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci e undici! Poi rimetti anche gli elastici! » , diceva ancora Calamucci intercettato, mentre contava «mazzette di contanti», per un totale di 50 mila euro. È parte dei soldi cash che Leonardo Maria Del Vecchio avrebbe pagato alla banda per spiare familiari e fidanzata. Il fratello, Claudio, vittima di un finto dossier su un incontro con una transessuale a New York, ha depositato la nomina del suo avvocato in procura. C'è anche lui nella decina di vittime che si sono già rivolte ai magistrati.
    «Queste indagini pongono il tema della gravità di comportamenti di chi potrebbe utilizzare dati illecitamente acquisiti – ha detto al Senato il ministro Matteo Piantedosi – anche per attaccare gli avversari politici alterando le regole della democrazia».
  3. Umbria, la presidente era indagata per l'uso di fondi Ue
    Inchiesta su Tesei archiviata l'abuso d'uffcio non esiste più

    Troppi interessi in gioco. La governatrice dell'Umbria Donatella Tesei, quota Lega e ricandidata alle prossime regionali, e l'assessora alla programmazione europea, al bilancio e al turismo Paola Urbani Agabiti avrebbero dovuto astenersi dalla votazione sullo stanziamento di fondi europei per lo sviluppo rurale. Almeno questa era la tesi dei magistrati di Perugia che le avevano indagate per abuso d'ufficio. Ma il reato è stato abrogato e la procura ha chiesto l'archiviazione. Accolta dal giudice. La vicenda risale al 2021, quando la Regione predispone un bando dopo la pandemia per lo sviluppo di filiere agricole e circa tre milioni di fondi vanno all'azienda Urbani Tartufi. Un vero e proprio impero, con 14 sedi, 5 marchi e 300 dipendenti. La sede principale è a Sant'Anatolia di Narco, paesino di 564 abitanti. Urbani Tartufi ne è il fiore all'occhiello. Qui l'intreccio di conoscenze. L'azienda è gestita dal marito dell'assessora regionale. E lì lavora il figlio della presidente Tesei. In procura a Perugia arriva un esposto anonimo. E le indagini del nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza prendono il via. Gli accertamenti hanno riguardato due delibere di programmazione economica della Regione. Per i bandi si sono costituite associazioni temporanee di scopi e per quella del settore tartufo si sono messe insieme un centinaio di aziende tra cui quella del marito dell'assessora.
    «L'indagine era iniziata da tempo e già questo dimostra ancora una volta la correttezza dell'operato della mia amministrazione», dichiara la presidente, mentre la Lega alza il tiro e parla di «macchina del fango a orologeria» alla vigilia del voto. L'avvocato Nicola Di Mario, che assiste l'assessora Agabiti, aggiunge: «Anche se non fosse stata disposta l'abrogazione dell'abuso d'ufficio, la contestazione sarebbe risultata del tutto infondata».
    Il Pd attacca, M5s chiede chiarimenti. Il ministro Giorgetti, ieri ad Assisi per inaugurare la sede della Lega, commenta: «Penso che gli umbri sapranno valutare il lavoro fatto da Tesei». Caso archiviato. Non la querelle politica, a pochi giorni dal voto per il rinnovo di giunta e consiglio regionale.

 

 

 

31.10.24
  1. Uragano
    Mario Tozzi
    Mediterraneo
    Probabilmente si è trattato di un effetto "goccia fredda", una massa d'aria che si è separata dal flusso globale delle correnti che si muovono da Ovest verso Est e, questa volta, è atterrata in Spagna. Una prossima volta potrebbe investire l'Italia, un'altra la Turchia. Quello che è certo è che si tratta di una perturbazione meteorologica a elevatissima energia, come quelle che dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro, segnati come siamo da una crisi climatica senza precedenti. Il maggior contenuto energetico rispetto alle perturbazioni del passato spiega il fatto che in sole otto ore sia caduta, a Valencia, la stessa quantità d'acqua che, normalmente, cadeva in dodici mesi. Ma è l'avverbio "normalmente" che deve ormai essere abbandonato, in un contesto in cui non c'è più nulla di normale, se inteso come la regolarità di un certo tipo di clima a certe latitudini, il regolare alternarsi delle stagioni come le conoscevamo un tempo. Per questo ha pochissimo senso continuare a confrontarsi con il passato più lontano e si deve, invece, prendere come riferimento cosa è accaduto negli ultimi venti o trent'anni. La ricorrenza secolare dell'energia di certi eventi è spazzata via da quanto sta accadendo negli ultimi anni, un'accelerazione senza precedenti nel riscaldamento globale.
    Non siamo più di fronte ai fiumi ingrossati che esondano in pochissimo tempo (flash flood), che pure ci erano diventati famigliari, ma di fronte a una impressionante distesa di fango in movimento che ammanta ogni lembo di territorio e si scatena dove trova intoppi o infrastrutture chiaramente commisurate in altri tempi per altri climi. Anche in Spagna si è costruito molto e spesso in aree di pericolosità idraulica, ma le immagini dall'alto dell'Andalusia, specialmente se comparate con quelle delle isole Baleari dell'estate appena trascorsa, permettono di indicare chiaramente che qui caditoie e tombini, pulizia dei fiumi e nutrie c'entrano poco, qui l'unico territorio che c'entra è quello inesplorato in cui ci stiamo addentrando da un punto di vista climatico. Come conferma ciò che sta avvenendo lungo il margine settentrionale del Sahara e nella penisola arabica: alluvioni dovunque, con punte di 200 mm di pioggia in 48 ore per luoghi che ne registravano appena due in mesi.
    Decine di morti, danni che possiamo già stimare, globalmente, in miliardi di euro che hanno un solo responsabile, le attività economiche dei sapiens che hanno portato al record di concentrazione di CO2 in atmosfera e al record negativo di copertura glaciale sul pianeta Terra. Le notizie terribili che provengono dal clima che cambia violentemente dovrebbero spingere verso un'azione immediata e decisa l'umanità che, invece, continua a cullarsi nell'illusione che sarà il libero mercato a proporre soluzioni, quando è chiaro che è il problema. Il clima non ha confini, a prescindere da chi abbia contribuito di più (e, nel tempo, noi europei siamo senz'altro al primo posto), e necessita accordi internazionali obbligatori, non liberi, con organismi terzi di controllo, non basati sulla fiducia. Non c'è spazio per le vecchie soluzioni di adattamento, perché il clima cambia così velocemente che rischiano di diventare obsolete prima di essere messe in opera. Bisogna agire sulle cause, azzerare le emissioni clima alteranti, ma oggi, non nel 2050, perché non sappiamo come ci arriveremo.
    E in questa situazione catastrofica dobbiamo ancora perdere tempo con economisti senza scrupoli, pennivendoli della peggior risma, briganti e malfattori, mercanti di dubbi a un tanto al chilo che ci raccontano che, invece, le cose vanno bene e tutto dipende dal Sole o dai cicli di Milankovitch e dunque noi sapiens non possiamo farci un granché. E che Annibale aveva attraversato le Alpi e la Groenlandia era verde: un campionario di sciocchezze smentite dall'intera comunità scientifica di specialisti sul clima. Sulle cause dell'attuale crisi climatica la discussione fra gli scienziati si è chiusa da tempo con l'attribuzione delle responsabilità all'uomo, e si riaprirà solo con nuovi dati. Che al momento non ci sono. Ma restano i negazionisti, quelli che hanno come unico obiettivo prendere tempo per accumulare ancora profitti (questa l'unica ragione). Quando non sono ignoranti sono in malafede, ma comunque sono tutti correi, e a loro vanno assommate le enormi perdite di tempo, i tentennamenti, le incertezze, le politiche di contrasto deboli o inesistenti, così come i danni e le vittime. Almeno avessero, ora, il pudore di tacere. —
  2. Nei primi nove mesi capacità a 64,6 GW
    Enel, sempre più energie rinnovabili nel 2024 In Italia la produzione è in aumento del 19%
    Sempre più energia verde, in Italia e nel mondo. A spiegarlo è Enel, che ha pubblicato i risultati operativi di gruppo al 30 settembre 2024. Si conferma l'impegno verso la decarbonizzazione: a livello globale la capacità rinnovabile di Enel arriva a 64,6 GW - in aumento rispetto ai 58,5 GW dei 9 mesi del 2023 - e la produzione di energia da fonti rinnovabili sale del 13% a parità di perimetro. La produzione di energia elettrica ad emissioni zero del gruppo ha raggiunto l'84% del totale, in crescita rispetto al 73% dei nove mesi del 2023. Analoga la traiettoria di sostenibilità che emerge dai dati specifici sull'Italia, dove la produzione di energia elettrica da rinnovabili è in aumento del 19,8% rispetto ai primi nove mesi dello scorso anno. L'impegno per la decarbonizzazione del Paese si riflette anche nel peso crescente delle rinnovabili nel mix energetico. L'elettricità proveniente da fonti verdi è arrivata a coprire il 73,4% della produzione complessiva di Enel in Italia, anche in tal caso in incremento se paragonato al 49,5% dello stesso periodo del 2023.
  3. Le indagini, nessuna "clonazione" della mail di Mattarella L'ipotesi: la banda dei dossier aveva una talpa nel Cnaip
    Il pm: "A rischio interessi vitali di istituzioni e collettività" Oggi al via gli interrogatori

    monica serra
    milano
    Lo scrive il pm Francesco De Tommasi: «Le azioni commesse dal gruppo di via Pattari 6 mettono in pericolo interessi vitali delle istituzioni e della collettività».
    Per giustificare la necessità di fermare la presunta centrale di spionaggio con sede dietro al Duomo, aggiunge: «Significative sono le operazioni poste in essere per schermare le attività delittuose e allargare gli ambiti in cui condurre i traffici illegali di dati riservati, con il rischio che gli stessi possano finire senza autorizzazione "nelle mani" di agenzie straniere – agli atti l'incontro con due presunti 007 israeliani, ndr. – e che all'estero possa essere creata e detenuta una banca dati destinata a conservare le informazioni di volta in volta esfiltrate abusivamente». Tant'è che è stata creata una società "clone", la «Equalize Ltd a Londra» proprio dove, per l'accusa, «attraverso un gruppo di «ragazzi» coordinati da «Monica», il sodalizio avrebbe gestito gli accessi diretti al Ced Interforze e quindi alla banca dati Sdi»
    Ma c'è di più. Perché secondo quanto emerge dall'informativa dei carabinieri, la banda avrebbe avuto anche una talpa che girava «informazioni» drenate dal Cnaip, il Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture della polizia postale. «Ti faccio un esempio – diceva l'hacker Nunzio Calamucci – qua c'è il server del Ced… I miei ragazzi sono quelli che hanno fatto l'infrastruttura e fanno la manutenzione! È quello il trucco! La piattaforma attinge facendo il giro... perché il server ce l'abbiamo a Londra?... Perché se lo fai Italia su Italia, ci mettono le manette...».
    Grazie a tecnologie di altissimo livello, nella Equalize di Enrico Pazzali, il presidente autosospeso di Fondazione Fiera Milano e solo indagato, sarebbero riusciti a inoculare trojan sui cellulari delle vittime, a intercettare conversazioni, a schedare manager, imprenditori e politici. E tra gli strumenti a disposizione spunta anche «l'Usb Killer» pronta all'uso in caso di indagini e perquisizioni. All'apparenza una normale chiavetta che, inserita in un pc, sarebbe in grado di generare «sovraccarichi ad alta tensione danneggiandone irrimediabilmente i componenti e rendendo impossibile il recupero dei dati».
    Sempre grazie all'informativa, è possibile chiarire che non c'è stata alcuna «clonazione» della mail del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, come si legge nella richiesta di misura. I nuovi atti permettono di spiegare che in realtà si sarebbe semplicemente trattato di un'operazione del gruppo per far dimettere l'ad di una società, la Linea Verde. Operazione che sarebbe passata anche dall'invio a «vari indirizzi», da un «account di posta interno all'azienda», di una serie di mail, che apparivano inviate da un «dipendente anonimo» che voleva denunciare delle «irregolarità» all'organismo di vigilanza. Mail inviate, tra gli altri, anche all'indirizzo di Mattarella».
    Oggi la parola passa agli indagati ai domiciliari col braccialetto elettronico. Il gip Fabrizio Filice interrogherà il superpoliziotto in pensione Carmine Gallo e l'hacker Nunzio Calamucci, legato ad Anonymous. Entrambi sono ritenuti «capi dell'organizzazione» con Giulio "John" Cornelli. Ma saranno sentiti anche Massimiliano Camponovo, «principale addetto all'esfiltrazione dei dati», e i due appartenenti alle forze dell'ordine «infedeli» interdetti dal gip: un poliziotto del commissariato di Rho e un finanziere in servizio alla Dia di Lecce. —
  4. Il direttore dell'ospedale nel Nord della Striscia: "Una catastrofe". Primo discorso di Qassem, nuovo capo di Hezbollah: "La resa, mai"
    L'urlo dei disperati a Beit Lahia "Ho sepolto mio figlio nel cortile"
    Hussam Abu Safiyeh
    Nello Del Gatto
    Gerusalemme
    «Siamo sotto pressione e abbiamo chiesto a tutti di condividere con noi che c'è una guerra di sterminio in corso ora contro i cittadini nel Nord di Gaza e contro il sistema sanitario». Non usa mezzi termini il dottor Hussam Abu Safiyeh, direttore dell'ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia, nel Nord della Striscia di Gaza. L'area è da oltre tre settimane assediata dall'esercito. Dei 400 mila rifugiati che qui avevano trovato riparo, oltre 50 mila sono già scappati. Secondo le autorità locali, sono più di mille le vittime dell'assedio. Tra queste anche il figlio del direttore dell'ospedale. E lui rincara la dose: «l'ho dovuto seppellire nel cortile dell'ospedale. È una guerra ingiusta, una guerra di sterminio contro i nostri figli, la nostra gente e i nostri bambini nel Nord di Gaza. Abbiamo bisogno di delegazioni mediche urgenti, soprattutto chirurghi. Non ne abbiamo nessuno. Abbiamo anche bisogno di ambulanze per raccogliere i feriti che sono sparsi in giro, sotto le macerie. Molti moriranno. Siamo talmente in difficoltà in ospedale che, chiunque lo raggiunga, muore». Il Kamal Adwan è stato anch'esso sotto assedio. L'esercito lo ha occupato per diversi giorni e tutta l'area della cittadina del Nord di Gaza è stata dichiarata zona disastrata. Solo qui sono state uccise 350 persone secondo il municipio locale.
    Il dottore parla di situazione catastrofica, dove non arriva nulla neanche cibo, acqua o altro tipo di aiuto. «L'ospedale – continua – è pieno di cadaveri. E quelli che non lo sono lo saranno presto. Non abbiamo nulla. Sono rimasti solo due pediatri. Ci arrivano continuamente pazienti feriti e non sappiamo come gestirli». Una situazione, questa, denunciata anche dal capo dell'organizzazione Mondiale della Sanità, Ghebreyesus che ha spiegato anche che l'ospedale è stato pesantemente danneggiato negli ultimi attacchi.
    Situazione difficile anche sull'altro fronte di guerra, in Libano. Dopo aver emanato un ordine di evacuazione, l'esercito israeliano ha colpito ripetutamente la città orientale di Baalbek. Decine di migliaia quelli che hanno lasciato la storica città libanese, patrimonio Unesco. Ore dopo l'avviso, un raid ha colpito una raffineria a Douris, nei pressi di Baalbek che, secondo i militari israeliani, si trovava in un compound militare dell'Unità 4400 di Hezbollah. Altri attacchi israeliani sempre nella valle della Bekaa, hanno provocato 26 vittime secondo il ministero della salute. I raid si sono verificati a Sohomor, Bednayel e Mazraat Beit Salibi.
    Dal Paese dei Cedri, per tutto il giorno, sono piovuti su Israele razzi e droni. Secondo i media locali, Netanyahu in una riunione avrebbe detto che gli obiettivi in Libano sarebbero stati raggiunti e si dovrebbe ora cercare di tradurli in un accordo per porre fine ai combattimenti. Domani gli inviati della Casa Bianca, Brett McGurk e Amos Hochstein, saranno in Israele per discutere dei due fronti.
    Ieri si è anche registrato il primo discorso di Naim Qassem come segretario generale di Hezbollah. Il nuovo leader del gruppo sciita ha promesso di seguire i «piani di guerra» del predecessore Hassan Nasrallah. «Vogliono che ci arrendiamo, ma non accadrà, anche se lo scontro è doloroso» ha detto. «Se Israele decide di fermare la guerra, acconsentiremo alle condizioni che vanno bene a noi. Finora, nessuna proposta accettabile è stata messa in discussione» ha spiegato Qassem. E a proposito dell'attacco alla residenza del premier israeliano, il segretario generale di Hezbollah ha minacciato che, dopo aver colpito la casa di Netanyahu, «questa volta è sopravvissuto ma potrebbe ancora essere ucciso. Magari da un israeliano mentre tiene un discorso».

 

 

 

30.10.24
  1. Tra i presunti clienti dell'agenzia anche Eni e Ilva: le informazioni usate come merce di scambio Il patto con gli 007 israeliani: "Dobbiamo fermare il finanziamento degli oligarchi russi alla Wagner"
    "Quegli incontri con il Mossad e il report per la Chiesa" Gli spioni: i pc sono dei servizi
    Il summit con gli israeliani
    Gli affari internazionali
    monica serra
    milano
    Sono le 8,48 dell'8 febbraio del 2023 e l'ex carabiniere del Ros con un passato anche al Sismi, Vincenzo De Marzio, entra nella centrale dei dossieraggi di via Pattari 6. Con lui ci sono due 007 israeliani. O meglio, come si legge nella maxi informativa dei carabinieri, «due uomini non identificati che rappresenterebbero un'articolazione dell'intelligence dello Stato di Israele».
    In ufficio è presente anche il presidente di Fondazione Fiera Milano Enrico Pazzali. Lui però non partecipa all'incontro che dura tutta la mattina per discutere di una possibile «partnership», un «do ut des», con l'accesso alle rispettive «fonti dati» ma anche la possibilità di ottenere un incarico per operazioni «cyber»: il monitoraggio degli attacchi di hacker russi, il contrasto ai mercenari del «Wagner Group», l'intercettazione dei movimenti bancari: «Dobbiamo fermare il finanziamento degli oligarchi russi all'armata Wagner! » .
    In cambio, propongono alla banda informazioni per Eni e sull'ex legale esterno Piero Amara (quello dei verbali sulla fantomatica loggia Ungheria). La compagnia petrolifera è uno dei «clienti più importanti» di Equalize per il pm che indaga su Stefano Speroni, il capo degli affari legali della società che, però, sottolinea di non essere mai stata al corrente delle attività illecite condotte dal gruppo dall'ex superpoliziotto Carmine Gallo. Nel suo archivio ci sarebbero anche «atti riservati di Eni».
    Ad annunciare i due ospiti l'hacker Nunzio Calamucci: «Ci hanno dato quaranta kappa fino a oggi, attraverso Enzo.. .mi hanno proposto un lavoretto da un milione! Metà dei dati li hanno dati al Vaticano, l'altra metà gli servono per combattere Wagner! » . Il contatto con loro è De Marzio: «Ho chiesto a Enzo: ma dove ca… li hai conosciuti questi? Mi fa... e sai quando ero giù mi fa, ho fatto due anni a Tel Aviv in Ambasciata... e loro lavoravano con me! ». Sempre loro - a detta di Calamucci - lo avrebbero «introdotto nell'Opus Dei».
    Quando si mette al lavoro è Calamucci a spiegare che si starebbe occupando di un report commissionato dalla Chiesa: «I dati mi servono per andare contro l'oligarca… il braccio destro di Putin, la Chiesa chiede quello. La aiutiamo la Chiesa contro la Russia o no? » . Gallo risponde: «Se ci paga… è stato sempre gratis». Scherzano: «Pro bono per il Papa?». Un lavoro che, sempre stando alle intercettazioni, sarebbe stato concluso: «Gli ho ricostruito tutto, compresi gli asset, le proprietà, le banche e tutti i documenti originali che ci hanno chiesto, perché si vede che li devono sanzionare o qualche cag…ta del genere…».
    Grazie alla «rete di contatti di primissimo livello» che «funge da schermo, da ombrello», «l'Insospettabile» Pazzali si muove con disinvoltura in ogni ambiente istituzionale. Addirittura viene notato aggirarsi nel corridoio della Dda di Milano, mentre è in corso un incontro degli investigatori con il pm Francesco De Tommasi sull'indagine in corso sulla banda.
    E ancora, più volte vengono annotati dai carabinieri nell'informativa presunti legami tra i componenti del gruppo e i servizi segreti. Non solo si ipotizza che Gallo abbia lavorato per un loro «gruppo di intelligence». Ma, è sempre un'intercettazione di Calamucci a spiegare: «Guarda che l'Aise è stata trasferita… tutti nostri computer sono i computer usati che hanno lì…tutti i computer che usano li quei ragazzi sono i Lenovo che danno a noi usati».
    Tra l'Iron app israeliana e la piattaforma Beyond, sono di «altissimo livello» tecnologie e sistemi informatici usati dal gruppo di via Pattari che avrebbe avuto tra i suoi clienti anche Ilva in amministrazione straordinaria e il gruppo di lottomatica Gamenet. Quando era iniziata a circolare la voce di una possibile indagine su Pazzali, quasi un anno prima dell'operazione della Dda di Milano, un sms anonimo è arrivato sul cellulare del manager: «Domani arriva avviso garanzia» da un cellulare che apparteneva a un «marocchino inesistente». Lui ha iniziato a preoccuparsi: «Avrà perso tre chili ieri sera... non ha dormito un ca…, ha vomitato tutta la notte, è andato in Guardia di Finanza... la Finanza gli ha detto... se fosse vero è peggio ancora…». Alla fine si è scoperto che l'autore era Calamucci «per rendere ancora più necessario il ruolo della sua Mercury in Equalize» mentre Pazzali voleva ridurne gli utili.
    Negli enormi archivi della banda c'era di tutto. Anche un elenco con i nomi dei magistrati italiani: «Quindi i prefetti li abbiamo caricati, i magistrati te li ho mandati ora, prova a guardare se ti è arrivata la mail». Gli investigatori ritengono che il gruppo «sia in grado di rilevare i dati presenti in specifici file Excel», un sistema a «pesca» che permette le ricerche su tutti i nominativi. Intercettato mentre osservava l'elenco, l'hacker Calamucci «nomina i pm milanesi Laura Pedio e Paolo Storari e ancora l'ex procuratore Francesco Greco». —
  2. Le manovre politiche di Pazzali "Schedate i fedelissimi di Moratti"
    Milano
    «C'è un sacco di gente, guarda se conosci qualcuno. Se c'é qualcuno d'interessante da verificare». «Sì, sì, li guardo tutti». È il 27 ottobre del 2022 ed Enrico Pazzali, presidente da lunedì auto-sospeso di Fondazione Fiera Milano (estranea ai fatti), figura chiave nell'inchiesta sugli spioni milanesi, chiede al suo socio, l'ex superpoliziotto Carmine Gallo di fare uno screening del consiglio direttivo della lista Lombardia Migliore di Letizia Moratti. Il motivo? L'ex assessore alla Sanità si è candidata a presidente della Lombardia contro il governatore leghista Attilio Fontana, ovvero il politico che insieme al sindaco di Milano Beppe Sala ha nominato Pazzali ai vertici di Fondazione Fiera.
    Il manager, secondo quanto contenuto nelle oltre tremila pagine di informativa del nucleo investigativo dei carabinieri di Varese, sarebbe affamato di informazioni da usare nella battaglia politico-elettorale. Nei mesi precedenti al voto del febbraio 2023 le ricerche si concentrano sugli uomini più vicini a Moratti. Si fanno accertamenti alla banche dati di polizia ma il finanziere Giuliano S. (in servizio alla Dia di Lecce e interdetto dal gip), che lavora per Equalize, fa anche una interrogazione Sdi generando una «ricerca globale» sul Tiziano Mariani, grande consigliere di Moratti. Qual è l'obiettivo? «Anche grazie alle informazioni ottenute nell'agosto 2022 su Mariani - si legge nell'informativa -, Pazzali approccia quest'ultimo per ottenere informazioni sulla campagna elettorale della Moratti e ne discute con Paolo Sensale (il portavoce di Attilio Fontana, non indagato) che sta curando le rilevazioni statistiche delle intenzioni di voto per le regionali».
    In un altro colloquio registrato dagli investigatori Pazzali fa anche valutazioni politiche. «Adesso non si può negare che la Meloni stia facendo bene…il tema vero è quello che ci sta intorno». Pazzali, poi, critica l'ipotesi (che forse avrebbe fatto desistere Moratti dal candidarsi) di farla ad delle Olimpiadi Milano Cortina. Anche sulla scelta di sfidare Fontana, però, è tranchant. «Letizia non doveva abbassarsi a questa roba qua» dice parlando proprio con Mariani.
    Ma questa è solo una delle tante pagine in cui la politica milanese, lombarda e nazionale incrocia le attività di Equalize. Pazzali avrebbe utilizzato le notizie raccolte dagli hacker che lavorano per lui come olio per le sue relazioni. C'è la ricerca di informazioni su Simona Gelpi - «mi arriva dalla Ronzulli, mi fa un po' paura» dice Pazzali a Gallo - e ci sono le ricerche su Ignazio La Russa e sui suoi figli, sul cui mandante si sta interrogando lo stesso presidente del Senato. Idem su Matteo Renzi. Pazzali fa un'interrogazione alla piattaforma Beyond che fa infuriare i collaboratori perché mette a rischio la sicurezza del gruppo. «Metti caso che io gli do rosso a Matteo Renzi, che ancora è in fase di trattativa della condanna...quello...» si lamentano.
    L'attività è trasversale agli schieramenti. Del resto, come spiega il capo degli hacker Samuele Calamucci al suo collaboratore Giulio Cornelli, «Lo Zio (uno dei nickname di Pazzali, ndr) anche se palesemente non lo dimostrerà mai….è sponsorizzato da Ignazio La Russa, Santanchè, Fontana, da tutta la parte, cioè da Silvio Berlusconi... Avendo lo sponsor di centrodestra i contatti sono settanta per cento centrodestra, trenta il resto». Le informazioni poi, come testimonierebbe una telefonata fra Pazzali e il ministro del Turismo Daniela Santanchè, avrebbero anche scopi molto concreti come cercare di bloccare le nomine dei «rivali».
    La politica, anche se non direttamente collegata alla raccolta informazioni, è sempre al centro dei discorsi degli indagati. Francesco Barletta, ex socio della Equalize, ma soprattutto ex consigliere di Leonardo e oggi vice presidente di Sea (anche lui autosospeso), credendo di essere in un luogo sicuro confida a un amico che la nomina di Matteo Salvini al Viminale nell'esecutivo Meloni sarebbe stata stoppata dagli 007 americani «in quanto sarebbero potuti emergere dossier sui finanziamenti della Federazione Russa alle organizzazioni politiche italiane». Storia che in queste ore, a Palazzo Chigi, avrebbe suscitato più di una risata.
    Oltre alle «spiate» politiche, naturalmente, ci sono poi quelle fatte esclusivamente per «fare il grano». Una delle vicende ricostruite nei dettagli dagli investigatori riguarda il banchiere Matteo Arpe che, insieme al fratello Fabio, si sarebbe rivolto a Equalize per scoprire a quanto ammonta il patrimonio dell'ultima moglie del padre. Notizie «da usare in sede di negoziazione extragiudiziale sull'eredità». Durante una videocall Calamucci spiega come Equalize sia in grado di arrivare ad acquisire dati bancari degli ultimi trent'anni.
    Nel mirino degli hacker, poi, c'è il mondo dello sport. Pochi giorni dopo aver conquistato l'oro olimpico a Tokyo tocca al velocista Marcell Jacobs. «Le analisi forensi», scrivono i carabinieri, «hanno permesso di accertare l'interessamento in intercettazioni illecite a carico di Jacobs e del suo staff» da parte di due indagati, Lorenzo Di Iulio e Gabriele Pegoraro. A commissionare le intercettazioni, per conto di un avvocato padovano in corso di identificazione, è Carmine Gallo. Ed è sempre Gallo che, parlando al telefono con Calamucci, racconta anche del possibile incarico per una bonifica. «Sono andato con Andrea De Donno (altro collaboratore esterno di Equalize, anche lui indagatio), perché…questo qua è il security manager della Roma Calcio». m. ser.
  3. I giovani scappano, a votare vanno i vecchi La mia Liguria non sa guardare al domani
    Visto che sono un incallito sinistrorso e un fiero erede dell'irriducibile gente Apua, ho diverse buone ragioni per non essere contento di come sono andate le elezioni in Liguria, ma più cogente è senz'altro lo smacco di un'orrida certezza, vedranno ancora i popoli d'Europa galleggiare, a pagamento, sui loro sacri fiumi la plastica rappresentazione del macchiettistico indecoro a cui si è ridotta l'idea stessa di Liguria, il mortaio gonfiabile, il più grande del mondo, e questo è un record che nessuno oserà contrastare, che già ha solcato il Tamigi al grido di "Pesto Master Piece o f Liguria".
    Era un'idea di Toti naturalmente, il presidente re dell'avanspettacolo, ma a Bucci piaceva un sacco, lui per il pesto ci va matto, e così quell'affare galleggerà a tempo indeterminato sulla nostra vergogna, finché alla fine dei tempi si sgonfierà e non si troveranno i soldi per mandare qualcuno a ridargli una gassata. E pensare che a me Marco Bucci mi è davvero simpatico; questo texano prestato all'inflessione genovese, questo cowboy del fare che fa il John Wayne al galoppo del ponte Morandi, come il grande John onesto ma onesto per davvero, e come il grande condottiero di mandrie di manzi e carovane di pionieri coltiva la sua onestà nel mezzo di saloon affollati da fuorilegge, salutando, se necessario, con un distaccato cenno e giocando una mano di poker solo se c'è da incastrare il baro. E comunque lui i saloon non li bazzica, lui ha da fare.
    Eppure non credo che Marco Bucci abbia vinto le elezioni essendo l'uomo del fare; infatti nella città dove sta ancora esercitando il suo secondo mandato di sindaco, e dove ha fatto e ha garantito che molto farà, ha perso, nettamente perso. Forse perché va bene il fare, a me compreso piace moltissimo fare e veder fatto, ma forse al verbo fare va aggiunto qualche straccio di complemento, cosa fare, come farlo e perché farlo, e quello scampolo di cittadini che ha avuto ancora voglia di esercitare la sua sovranità nell'urna, ha molto da ridire sui complementi. Intorno al fare un inciso sul metodo Morandi. Che si regge su tre pilastri. Il primo, è che il crollo del ponte ha subito assunto, e giustamente, lo status di tragedia nazionale, e la nazione intera, il governo e lo stato e l'opinione pubblica, se ne è presa carico, Genova non è mai stata lasciata da sola alla propria tragedia. Secondo, due giorni dopo il crollo il titolare di uno dei più grandi studi di architettura del mondo, Renzo Piano, se ne stava curvo su un blocco di carta a disegnare e disegnare e disegnare il ponte che sarebbe stato, non richiesto e non convocato se non dall'imperativo morale che alberga nel suo cuore; in tempi non immaginabili in una normale e non kantiana temperie, del suo lavoro ne ha fatto dono alla nazione. Terzo, il ponte San Giorgio è stato costruito in tempi record grazie alla deroga da praticamente tutti i lacci, laccioli e lacciacci di carattere normativo e burocratico. L'eccezione dalla norma può mai diventare la norma? Sarebbe bello allora che il metodo Genova fosse stato applicato, ad esempio, alle tre alluvioni di Emilia Romagna; non che non fosse richiesto dalle comunità, ma evidentemente la nazione, almeno nella parte di governo e stato, ha pensato che no, che le regole, andavano rispettate e meglio ancora complicate, aggiungendo non lacci ma nodi scorsoi che hanno dato i loro perversi frutti ben descritti anche da questo giornale.
    Almeno tecnicamente la vittoria a Marco Bucci gli è stata consegnata dal principato di Imperia. La ridente città di Imperia è sommariamente e impropriamente allegata alla regione, in realtà è proprietà della nobile e vetusta dinastia Scajola, quello della meravigliosa attestazione di insindacabilità nel «a mia insaputa». Imperia è dedita senz'altro al fare, propriamente al fare i propri interessi, di qualsivoglia natura, ed è sempre stato così, connaturato alla casata che presto, si vocifera, si unirà in federazione alla casata Grimaldi di Monaco in una nuova e stimolante prova di europeismo dei principati. Sia chiaro, in nome dei propri interessi il principato si è proficuamente concubinato con partner di vario colore senza star lì a spaccare il capello in quattro su questioni ideologiche o etiche; gli affari sono affari, e come non è stato Toti il primo a salire sulla ben salda passerella della barca di Spinelli, così con la casata hanno a suo tempo intessuto buone relazioni anche i passati regimi vetero comunisti. E qui c'è una ragione, una delle ragioni, per quello che conta pur onorevole, della sconfitta di Andrea Orlando. Troppi vecchi elettori di sinistra, e i loro nipoti a cui si sono dedicati nella pratica memoriale, ricordano con dolore, con astio, con disincanto, come la sinistra che per decenni ha retto la regione e le sue città, abbia presto dimenticato di governare per dedicarsi al potere. Potere non è sinonimo di governo, nella fattispecie ligure, è gestione delle rendite di posizione, è infine immobilismo, ostracismo verso i non sodali, malgoverno in nome degli interessi particolari avverso all'interesse generale. Ricordano la disinvoltura con cui la sinistra non ha governato, non ha voluto governare, gli appetiti che hanno consunto e disfatto l'incalcolabile patrimonio naturale riducendo la regione a un mostruoso anfiteatro di cemento, a un forsennato e suicida estrattivismo turistico coronato nella gestione Toti, cinica fino all'insensatezza. Ricordano l'abbandono delle periferie al degrado persino umano, l'incapacità anche solo di immaginare una soluzione progressiva alla grande crisi dell'economia industriale, il mai contrastato avvilimento della dignità di una lunga storia di aristocrazia operaia e artigiana. La supponenza, la strafottenza di coloro che si ritenevano il potere un diritto acquisito ab aeternum. Andrea Orlando non era dei loro, se no altro per anagrafe, ma non è abbastanza diverso per chi sarebbe stato attratto da un radicale mutamento fisiognomico, da una voce davvero nuova, mai ancora ascoltata ma persistente in ciò che rimane di una qualche attrattiva per i potenziali elettori di sinistra, quelli che si astengono per sfinimento, avvilimento, incredulità, l'idea, l'ideale, il disegno, il progetto. Che paesaggio intendi ricreare perché io trovi il mio posto per viverci con dignità e promettenza? In verità questo non è un problema di Orlando, ma di tutto il personale che si riterrebbe pensante nel campo progressista. Ci sono le parole d'ordine, anche ossessive, ma il grande disegno affascinante, convincente, coinvolgente, aggregante al suono di progressisti d'Italia unitevi, l'avete mai sentito, mai visto? Non basta il fare e nemmeno il dire, ci vogliono i complementi.
    Ma c'è una ragione che si impone sulle altre, e lascio perdere le solite divisioni, bisticci eccetera. La Liguria è vecchia, è la regione più vecchia d'Italia e magari del mondo. I pochi giovani sono invitati a sloggiare, o invitati a restare con il miraggio di abboffarsi delle opportunità di un'economia d'accatto, c'è un gran bisogno di camerieri, di guardaporta per gli affitti brevi, aiutocuochi e lavandai, frullatori di pesto, roba così. Restano i vecchi e i vecchi non hanno un domani, hanno solo l'oggi, arrivare a sera sani è salvi è già un progetto. Per questo non mi ha stupito il risultato elettorale, sono loro che vanno a votare e votano per arrivare a sera senza troppe noie e inciampi. Votano loro e chi ha degli interessi per farlo, non interesse, dico interessi. Interessi che in Liguria sono di norma piuttosto meschini. I balneari, tanto per dire, i detentori di ciò che resta delle rendite di posizione, tutta roba che ha a che fare con la vecchiezza morale e mentale se non fisica. Faccio solo un esempio, ed è esempio luminoso. Monterosso al Mare, la perla delle Cinque Terre, ha rifiutato un finanziamento milionario per la realizzazione di uno scolmatore del torrente che attraversa il paese e ha scatenato l'alluvione micidiale dell'11. La ragione del rifiuto sta negli interessi altrimenti lesi e compromessi dell'industria del turismo che avrebbe avuto per un paio di anni lo scomodo dei movimenti di macchinari ingombranti, e rumorosi e sporcaccioni, oltre, ci mancherebbe, gli interessi dei confinanti lo scolmatore che verrebbero infastiditi o addirittura alienati di preziosissimi metri quadri di proprietà. Per i bravi cittadini di Monterosso il domani non esiste, fatta eccezione per quello che si troveranno in tasca domani. E questi del grande disegno non sanno proprio che farsene. Concludo con un'invocazione per il nuovo presidente Marco Bucci. La scorsa settimana l'ho ascoltata alla trasmissione radiofonica Un Giorno da Pecora rispondere alla domanda se tifa per la Harris o Trump, «io sto con Trump»; mi permetta presidente di farle notare come l'idea del fare di Trump sia un filo difforme dai principi sanciti in questo Paese riguardo alla costituzionalità, alla legalità, alla fedeltà e all'onore nell'agire di una carica pubblica. Mi rassicuri pertanto che nella disgraziatissima mancata elezione al suo secondo mandato non intenda scatenare la prima guerra civile di Liguria. —el feudo degli Scajola "Abbiamo fatto vincere il candidato migliore"
    Marco Sodano
    imperia
    Se di Scajola bisogna parlare, dal punto di vista politico, si deve tornare a Ferdinando. Nato a Frascati nel 1906. Riassumiamo: iscritto al Partito Popolare, amico di Alcide De Gasperi. Il regime fascista lo inserì nella lista dei sorvegliati. Nel 1936, dopo la laurea in Economia, si stabilì a Costarainera (Imperia). Quattro i figli: Alessandro, Maurizio, Maria Teresa e Claudio. Ebbe un ruolo nella lotta di Liberazione in Liguria e poi fu eletto primo segretario provinciale Dc. Nel 1946 entrò nel consiglio comunale di Imperia. Fu nominato sindaco (1951) e rieletto in consiglio comunale. Morì il primo giugno 1962. Tra i figli di Ferdinando merita una menzione anche il più anziano, Alessandro, (1939, Frascati), sindaco di Imperia e deputato Dc tra il 1979 e il 1987.
    Inquadriamo adesso Marco, figlio di Alessandro e nipote di Claudio (è suo zio), oggi cinquantacinquenne e attuale assessore della Regione Liguria. «Mi sono dedicato molto alla vita politica, è il mio modo per mettermi al servizio degli altri». Lo ha fatto spesso: militante di Fi, in consiglio comunale poi ancora capogruppo (Fi), assessore e vicesindaco a Imperia. «Ho fatto la gavetta tra gli Azzurri, a partire dal basso». Eletto per in Regione Liguria nel 2010, è stato consigliere regionale d'opposizione. Nelle giunte Toti è stato invece assessore regionale all'Urbanistica della Liguria. «Ferdinando – spiega Marco –, va ricordato come capostipite politico. I modi, la passione, gli intenti, il desiderio di mettersi al servizio degli altri e la determinazione, nel senso di crederci e di impegnarsi sempre al massimo per gli altri». Dicono di Marco: la sua forza è l'empatia, la capacità di ascoltare gli altri, di mettersi nei loro panni e di spendere un sorriso per tutti. Gran lavoratore, serio e preparato.
    C'è poi Claudio, nato nel 1948 e oggi sindaco di Imperia, lo è stato quattro volte. Ministro della Repubblica, amico di Silvio Berlusconi, nei suoi ruoli di governo lo stesso Berlusconi lo ha nominato ministro in diverse occasioni: dello sviluppo economico, delle attività produttive, del programma, dell'Interno in diversi governi Berlusconi. Più volte chiamato a rispondere in Tribunale in quanto politico: è stato assolto per la famosa vicenda della casa romana vista Colosseo (quella dell' "a sua insaputa") e altre tre volte. Sei volte archiviato, tre prescritto, chiamato a testimoniare sul Mose. Ad oggi condannato per procurata inosservanza nel Caso Matacena, due anni, primo grado.
    «Mio zio Claudio è un grande politico», dice Marco. «Da lui e da mio padre ho imparato molto, per esempio la capacità di dare il massimo sempre con determinazione e coraggio. Mi piace lavorare, studio le cose nei dettagli, voglio essere concreto». Marco è anche psicologo clinico e psicoterapeuta, ha compiuto i suoi studi tra Torino e Siena.
    È anche, a buon diritto, uno dei protagonisti della vita politica della Liguria dell'ultima tornata elettorale: alle Regionali di domenica e lunedì è risultato primo eletto di Forza Italia con 6308 voti che lo proiettano verso un altro ruolo importante. Primo eletto di Forza Italia e di tutto il centrodestra. Confermando praticamente gli stessi voti presi quattro anni prima con una lista civica e dimostrando che le persone votano lui, la persona, non tanto i simboli. D'altra parte ha intercettato milioni di fondi per l'entroterra e non solo, interpretando la pancia della gente ed essendo costantemente presente. «Ho contribuito a scegliere il candidato migliore e poi lavorato molto per e con lui», ha detto Claudio lunedì sera. Lo direbbe anche Marco. Ultimo dettaglio: A 14 anni, da "primino", fu in consiglio d'Istituto al liceo. —
  4. La strage
    bambini
    dei
    Fabiana Magrì
    Senza cibo e cure, la sopravvivenza di 100 mila persone è a rischio, nel Nord di Gaza. È la denuncia della protezione civile palestinese a cui si aggiunge l'allarme del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite. La mancanza di scorte alimentari e mediche, con l'avvicinarsi dell'inverno, può portare con sé «conseguenze catastrofiche» per oltre il 90% della popolazione, mette in guardia il Wfp.
    «Come sopravviveremo senza farina?», si chiede Om Sohay, un palestinese nella Striscia in contatto con la Bbc Arabic, all'indomani della decisione della Knesset, il parlamento di Gerusalemme, di mettere al bando l'Unrwa dalle aree sotto il controllo di Israele. La maggior parte dei rifugiati e degli sfollati «dipende» dall'agenzia delle Nazioni Unite, racconta Ghada Oudah al programma Newsday di Bbc World Service.
    È un diluvio di preoccupazioni, moniti e accuse durissime, quello piovuto su Israele, mentre da tre settimane i raid di Tsahal stanno rivoltando ogni angolo di Jabalya, Beit Lahia e Beit Hanun, per «reprimere i tentativi di Hamas di riorganizzarsi», ribadiscono i portavoce militari. Nella notte tra lunedì e martedì un attacco aereo ha centrato una palazzina di cinque piani a Beit Lahia. Hamas conta i morti, «almeno 93» e centinaia di feriti. Che non hanno potuto ricevere cure – denuncia il ministero della Salute di Gaza – poiché i dottori sono stati costretti a evacuare l'ospedale Kamal Adwan: «i casi critici, senza intervento, soccomberanno al loro destino e moriranno». Il direttore della struttura, Hussam Abu Safiya, ha aggiunto che «quasi tutto il personale medico è stato arrestato. Sono rimasti pochi infermieri e un paio di dottori che devono prendersi cura di 150 pazienti». A fine giornata, fonti mediche citate dalla testata qatariota Al-Jazeera contano 132 morti nel Nord dell'enclave palestinese. L'esercito israeliano si dissocia dal bilancio «impreciso» e insiste che i dati forniti dalle fonti della fazione palestinese siano gonfiati, «come è stato dimostrato in diversi eventi precedenti». E il Cogat (l'ente israeliano di coordinamento con i territori palestinesi) precisa che «88 pazienti, per lo più bambini, oltre a operatori sanitari e personale, sono stati trasferiti in altri ospedali attivi nella Striscia» e che «il trasferimento è stato effettuato su richiesta di Tsahal, in coordinamento con la comunità internazionale e i funzionari del ministero della Salute» di Gaza.
    Ci prova la Bbc a fare chiarezza. Incrociando le immagini girate sul campo, individua la posizione del raid israeliano. Tuttavia non arriva a identificare quale edificio sia stato colpito. Sono troppe le macerie per raggiungere la certezza. Dall'indagine, la testata britannica riesce a determinare che «due video mostrano quelli che sembrano essere 13 corpi avvolti in coperte».
    Sui minori, vittime a Beit Lahia, si inserisce l'Unicef: ci sarebbero «anche 20 bambini» morti. Per la direttrice generale dell'agenzia Onu, Catherine Russell, sono loro che a Gaza «stanno pagando con le loro vite e il loro futuro» e «colpirli è diventato una scandalosa normalità nella Striscia».
    L'Unicef si spinge a dire che la decisione di Israele di bloccare l'Unrwa potrebbe causare la morte di un numero maggiore di bambini e rappresentare una forma di punizione collettiva. Anche gli Stati Uniti sono «profondamente turbati». Il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller assicura che le autorità statunitensi parleranno con il governo israeliano per approfondire il «come» intendano attuare la legge. Una norma che «pone rischi per milioni di palestinesi». Om Yousef, un palestinese di Gaza, ha espresso a Bbc Arabic la sua preoccupazione e parla di «decisione sbagliata perché veniamo curati tramite l'Unrwa e i nostri figli vengono istruiti nelle loro scuole».
    Gli Stati Uniti pretendono da Israele che si faccia carico della crisi umanitaria a Gaza. «Respingiamo qualsiasi tentativo di far morire di fame i palestinesi», ha ribadito l'ambasciatrice americana all'Onu, Linda Thomas-Greenfield in sede di Consiglio di Sicurezza. E quindi deve consentire l'ingresso di cibo, medicine e altri aiuti in tutta la Striscia e «in particolare nel Nord».

 

 

 

29.10.24
  1. PER CHI LAVORA VERAMENTE LA SOGEI ?   un archivio da 800mila dati ottenuti introducendosi illecitamente all’interno di una serie di banche dati nazionali, anche su commissione. A fare luce su una rete articolata di professionisti dello “spionaggio digitale” è la procura di Milano, che ha indagato 60 persone tra hacker, consulenti informatici, agenzie private di intelligence ed esponenti delle forze dell’ordine. Quello che si è aperto di fronte agli inquirenti, stando alle parole del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo, che ha partecipato alla conferenza stampa del Procuratore generale di Milano, Marcello Viola, è “un gigantesco mercato delle informazioni riservate”. L’inchiesta della Procura di Milano arriva a pochi giorni di distanza dal caso di presunta corruzione che ha riguardato i vertici di Sogei, società controllata dal Mef, che a catena ha impattato anche su Tim ed Ntt Data.

    L’inchiesta di Milano
    A eseguire l’ordinanza del Gip Fabrizio Felice sono stati i militari del Nucleo investigativo dei carabinieri di Varese: agli arresti domiciliari sono finiti l’ex poliziotto Carmine Gallo e altre tre persone, mentre sono stati interdetti per sei mesi dalla professione un maresciallo della guardia di finanza in forza alla Dia di Lecce e un agente di polizia del commissariato di Rho. L’inchiesta ha inoltre portato al sequestro di tre società di investigazioni private.

    Le accuse su cui gli inquirenti procedono sono di associazione a delinquere dedita all’accesso abusivo a sistema informatico, intercettazioni illegali, falsificazione di comunicazioni informatiche, rivelazione di segreto, favoreggiamento ed estorsione.

    Le indagini hanno portato anche al sequestro dell’archivio dell’ex poliziotto Carmine Gallo, sopratutto cartaceo, di cui si sente parlare nelle nelle intercettazioni e che sarebbe stato custodito un un garage.

    Le richieste dei clienti
    L’organizzazione individuata nel corso delle indagini si metteva a disposizione di clienti che erano disposti a pagare per ottenere informazioni riservate che gli indagati potevano ottenere “forzando” l’accesso a banche dati private.

    Tra i soggetti che si sarebbero messi in contatto con l’’organizzazione per chiederne i servizi le indagini hanno individuato tra gli altri Leonardo Maria Delvecchio, figlio del fondatore di Luxottica, il banchiere Matteo Arpe e un manager di Barilla.

    Tra le richieste che venivano indirizzate all’organizzazione c’erano ad esempio l’ottenimento di informazioni o il “monitoraggio” dell’attività di persone specifiche, anche per motivi sentimentali, la richiesta di dati che avrebbero potuto rivelarsi utili per la risoluzione di controversie o ancora la necessità di capire quali fossero stati i canali informativa che avessero consentito a un giornalista di arrivare a pubblicare uno scoop. Ma più in generale a rivolgersi al gruppo sono studi legali o imprese che vogliono perseguire tramite l’accesso a informazioni riservate un vantaggio per la propria attività.

    Le modalità d’azione
    Secondo la ricostruzione del pubblico ministero della Dda Francesco De Tommasi e del sostituto della Dna Antonio Ardituro al centro della vicenda ci sarebbe la società Equalize srl, fondata proprio da Carmine Gallo, passato alla sfera delle investigazioni private dopo 40 arri di carriera in polizia. La società di business intelligence, risulta dalle indagini, arrivava a fatturare quasi 2 milioni di euro, con utili da 648mila euro, che l’ex poliziotto avrebbe spartito con un’altra figura chiave dell’inchiesta, Enrico Pazzali, presidente di Fondazione Fiera Milano, già manager di Eur, Vodafone, Regione Lombardia, Sogei e Poste Italiane.

    Secondo quanto emerso dall’inchiesta Pazzali, identificato come il “numero uno” di Equalizer, avrebbe utilizzato la società per “danneggiare l’immagine dei competitors” o “avversari politici” suoi e di “persone a lui legate”. Tra i bersagli dell’attività illecita ci sarebbero stati, secondo quanto appurato dagli inquirenti, figure di primo piano del mondo economico e imprenditoriale italiano, come ad esempio Giovanni Gorno Tempini, presidente di Cassa Depositi e Prestiti. Nelle 518 pagine della procura compaiono inoltre tra le vittime il presidente del Milan Paolo Scaroni, io giornalisti Giovanni Dragoni e Giovanni Pons, in forze rispettivamente al Sole24ore e a Repubblica.

    Dagli atti dell’inchiesta emergono inoltre presunti dossier su cittadini russi. Samuele Calamucci, hacker del gruppo, intercettato parla di un “report” su un “famoso oligarca russo” e in altri passaggi i pm scrivono che si è cercato di accertare l’identità del russo e l’unico elemento è “una vicenda che vede coinvolti dei cittadini russi-kazaki (Victor Kharitonin e Alexandrovich Toporov)” e “la costruzione di un hotel a Cortina d’Ampezzo e la gestione di svariati resort di lusso”. Un accesso abusivo, poi, avrebbe riguardato Vladimir Tsyganov e Oxana Bondarenko, attivi nel settore moda.

    I passaggi dell’indagine
    Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti negli ultimi giorni del 2023 gli indagati avrebbero iniziato a sospettare di essere finiti nel mirino di un’inchiesta. Il 26 dicembre, infatti, Carmine Gallo e l’hacker Nunzio Samuele Calamucci vengono a conoscenza del fatto che la vigilanza attiva sulla rete informativa di Heineken Italia “si è accorta dell’installazione del ‘tools’ d’intercettazione sulla propria rete informatica, rilevandola come un attacco alla sicurezza dell’infrastruttura”.

    Da quel momento inizia un’attività che gli inquirenti definiscono “frenetica” di distruzione di tracce e prove: chat di telegram e altri servizi di messaggistica, documenti cartacei, informazioni riservate ottenute hackerando alcune delle principali banche dati nazionali, pari a “Ottocentomila Sdi”, almeno “15 terabyte”.

    I prossimi passi
    Dopo i dettagli resi noti nel fine settimana, le indagini della procura di Milano proseguono e si indirizzano ad accertare se siano avvenute vendite di dati al di fuori dei confini nazionali, dal momento che gli indagati, secondo la ricostruzione degli investigatori, avevano rapporti che spaziavano dalla criminalità organizzata ai servizi segreti, anche all’estero.

    Sono intanto in programma nei prossimi giorni, a partire da giovedì 31 ottobre, gli interrogatori di garanzia, davanti al gip di Milano Fabrizio Filice, delle persone destinatarie di una misura cautelare, di cui quattro agli arresti domiciliari: tra loro Carmine Gallo in qualità di ad di Equalize e i tecnici della sua squadra, Nunzio Calamucci, Massimiliano Camponovo e Giulio Cornelli.

    Butti: “Istituire l’Agenzia del dato“
    Sul caso dei dossier illegali è interviene Alessio Butti, sottosegretario della Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione tecnoliogica: “In Italia scontiamo un ritardo di consapevolezza su quella che è la cultura del dato – afferma a margine di un evento a Milano – E lo stiamo scoprendo ora, ovviamente constatando questi danni. Quindi io penso che la cosa migliore sia costituire una sorta di agenzia del dato, che sovrintenda ovviamente tutto ciò che riguarda la qualità del dato ma anche al fatto che questo dato non possa essere sottratto o non possa essere indagato da soggetti che non hanno alcuna competenza”. “Allora anche in questo caso la tecnologia ci viene in aiuto. Io penso che il riconoscimento biometrico facciale, ad esempio per i soggetti che devono accedere a determinate banche dati sia fondamentale – ha concluso – così come sia fondamentale garantire un controllo rispetto al flusso dei dati. Cioè bisogna capire chi entra in un sistema e poi che cosa ne fa”. “Su questo stiamo lavorando – conclude – e non escludo che nelle prossime settimane, nei prossimi mesi ci sia già una risposta tecnica e legislativa”.

    Il caso Sogei
    E’ della scorsa settimana il “caso Sogei”, emerso dall’ indagine della Procura di Roma avviata da alcuni pm capitolini, tra cui Paolo Ielo, per corruzione e turbativa d’asta, che ha portato all’arresto, tra gli altri, di Paolino Iorio, ex dg di Sogei, braccio informatico del Tesoro, e dell’imprenditore Massimo Rossi.

    Secondo l’ipotesi accusatoria formulata dai pm capitolini Gianfranco Gallo e Alessandro Picchi, il procuratore speciale di Tim avrebbe ricevuto “in due occasioni” denaro “non dovuto” dall’altro indagato “per compiere atti in violazione degli obblighi inerenti al suo ufficio e comunque in violazione degli obblighi di fedeltà”.

    In particolare, il procuratore di Tim avrebbe ricevuto 50 mila euro il 22 febbraio 2024 e una somma non quantificata il 15 maggio 2024. I due procuratori sono emersi come “soggetti di interesse investigativo” durante un atto di indagine della guardia di finanza con riferimento all’imprenditore Massimo Rossi, arrestato in una diversa inchiesta giudiziaria assieme all’ex Dg Business di Sogei, Paolino Iorio.

    Un segmento dell’inchiesta ha inoltre riguardato “due soggetti, rispettivamente procuratori delle società quotate Tim e Ntt Data Italia, per l’ipotesi di corruzione tra privati”, si legge in una nota delle Procura. “Le perquisizioni sono eseguite presso i domicili dei soggetti nonché taluni uffici delle menzionate società – prosegue la nota – Il provvedimento in questione è stato emesso nell’ambito della fase delle indagini preliminari allo stato delle attuali acquisizioni probatorie ed è doveroso sottolineare che sino a un giudizio definitivo vale la presunzione di non colpevolezza degli indagati”. A finire nel registro degli indagati, in questo caso, Simone De Rose, dirigente di Tim, ed Emilio Graziano, procuratore di Ntt Data Italia.

    De Rose in Tim è responsabile dal 2019 nell’ambito della funzione Procurement per gli acquisti It e Ict Business. Nel dicembre 2021 era stato nominato ad interim responsabile della funzione Procurement.

    L’inchiesta è un segmento di quella, avviata da alcuni pm capitolini tra cui Paolo Ielo, per corruzione e turbativa d’asta che ha portato all’arresto, tra gli altri, di Paolino Iorio, ex dg di Sogei, braccio informatico del Tesoro, e dell’imprenditore Massimo Rossi. Secondo l’ipotesi accusatoria formulata dai pm capitolini Gianfranco Gallo e Alessandro Picchi, il procuratore speciale di Tim avrebbe ricevuto “in due occasioni” denaro “non dovuto” dall’altro indagato “per compiere atti in violazione degli obblighi inerenti al suo ufficio e comunque in violazione degli obblighi di fedelta’”. In particolare, il procuratore di Tim avrebbe ricevuto 50 mila euro il 22 febbraio 2024 e una somma non quantificata il 15 maggio 2024. I due procuratori sono emersi come “soggetti di interesse investigativo” durante un atto di indagine della guardia di finanza con riferimento all’imprenditore Massimo Rossi, arrestato in una diversa inchiesta giudiziaria assieme all’ex Dg Business di Sogei, Paolino Iorio.
  2. Gli indagati hanno cercato di far sparire i documenti, ma in un garage sono state trovate "migliaia di cartelle" Adesso si segue la pista estera: il gruppo aveva appoggi anche in Inghilterra, sequestrato un server in Lituania
    Trovato l'archivio delle spie "Con il cellulare criptato Gallo parlava ai Servizi "

    milano
    In un cassetto della scrivania del superpoliziotto in pensione Carmine Gallo, per anni colonna portante dell'Antimafia milanese, era custodito anche un cellulare criptato. Ne è convinto il pm Francesco De Tommasi. E ancora lo cercano i carabinieri del Nucleo investigativo di Varese che, nel pomeriggio di venerdì, quando sono scattati arresti e perquisizioni non lo hanno trovato. Si legge, infatti, nella richiesta di misura cautelare che «il capo indiscusso» della presunta organizzazione, finito ai domiciliari col braccialetto elettronico, «ha anche la disponibilità di un telefonino criptato, che usa per le comunicazioni più riservate relative alle attività criminose del gruppo».
    Viene annotata in particolare la sintesi di una conversazione del 4 ottobre del 2022 «con agenti dei Servizi segreti», sottolinea il pm. È Gallo a spiegare al telefono «che tipo di servizi offrono e che tipo di accertamenti e consultazioni riescono a fare» alla Equalize. Si vanta che «rispetto ai loro sistemi, lo Sdi non è nulla». Poi, si legge ancora negli atti, Gallo «mostra con ogni probabilità il cellulare agli interlocutori» presenti in ufficio, spiegando che si tratta di «un telefono fuori rete» che non utilizza sistemi di messaggistica come WhatsApp e Signal «in quanto non sicuri».
    «La complessità delle contestazioni richiede l'adozione delle più opportune cautele nel primario interesse dell'amministrazione della giustizia. Gallo chiarirà la sua posizione non appena ci sarà la piena discovery di tutti gli atti d'indagine, a oggi depositati», annunciano i suoi avvocati Antonia Augimeri e Paolo Simonetti, sottolineando che l'ex superpoliziotto ripone «piena fiducia nel percorso processuale che vedrà riconfermata la sua storia di onore e impegno verso le istituzioni».
    Giovedì, sarà interrogato dal gip Fabrizio Filice con gli altri indagati, mentre da tempo il pm Francesco De Tommasi ha presentato l'appello al Riesame contro il rigetto delle misure cautelari che aveva richiesto. In tutto sedici: il carcere, tra gli altri, per Gallo e il braccio destro Nunzio Camillucci, i domiciliari per «lo zio bello» Enrico Pazzali, presidente di Fondazione Fiera.
    Nonostante la pulizia fatta negli uffici della centrale dello spionaggio quando la banda capisce di essere a rischio, «così siamo a posto, non dobbiamo avere nulla qua», parte dell'archivio è stato sequestrato nel garage della segretaria di Gallo. «Quasi quindici, sedicimila schede personali di soggetti, ma non solo soggetti mafiosi, anche non mafiosi» e «la mappa delle famiglie calabresi in Germania, che me la sono presa dai tedeschi quando sono andato li per Duisburg, un attimo che si sono distratti». «Tantissimo materiale» come un «database che non ce l'ha nessuno... tutti i sequestri di persona, i tentati sequestri di persona dal Sessanta ad oggi».Montagne di atti e documenti che saranno analizzati assieme ai dispositivi informatici del gruppo, da un pool di tecnici dei carabinieri del Ros che dovrà scandagliare ogni singolo dato ritenuto illecito.
    Non basta. Tanto materiale si trova anche in Inghilterra e in Lituania. Nel Regno Unito c'era una società «gemella» mentre la scelta di un Paese dell'Est era nata per aggirare eventuali inchieste giudiziarie. La piattaforma Beyond, a disposizione della banda «è collegata a due server centrali, uno situato a Londra e uno in Lituania». In un'intercettazione, è Calamucci a svelare: «Noi abbiamo un server fisico che è qua... E poi il data center. Ho fatto delle unità di backup, una nella sede di Londra e un altro in Lituania, ti dico la verità perché era il posto più economico per comprare i server».
    Calamucci spiega a Pazzali che «la collocazione di server all'estero è finalizzata a rendere più difficili eventuali indagini da parte degli inquirenti italiani» si legge negli atti. «La Guardia di Finanza cosa mi chiederà se viene qua a rompermi i co…ni? Una copia del server italiano, una copia del server in UK e una copia del server in Lituania. Noi, poi noi qui con questo di Milano, gli UK e in Lituania diciamo che è un peccato che non lo troviamo...». Chiarisce Calamucci: «Prendi e fai una rogatoria, vai a vedere, quando arrivi in Lituania...». Gallo è lapidario: «Poi nessuno andrà in Lituania a vedere...».
    Non è così. La procura diretta da Marcello Viola ha infatti sequestrato il server in Lituania e sta valutando l'ipotesi di una rogatoria in Inghilterra
  3. Il presidente cede alle pressioni interne. Al suo posto deleghe a Corritore, già dg del Comune
    Pazzali si autosospende da Fiera Milano l'imbarazzo di Fontana che lo aveva difeso

    Francesca Del Vecchio
    Milano
    Enrico Pazzali si autosospende dalla presidenza della Fondazione Fiera Milano. Dopo l'inchiesta sui dossier illegali fabbricati dalla società Equalize di cui era azionista al 95% e su pressione di più parti politiche - «Mi sarei aspettato un passo indietro», dice il capogruppo al Senato Pd Francesco Boccia - lo ha comunicato al comitato esecutivo della Fondazione ieri sera, in una seduta anticipata di 12 ore rispetto a quanto atteso. Il board era stato convocato straordinariamente già ieri mattina da remoto per una informativa da parte dello stesso Pazzali (durata 4 ore) che, assistito dai suoi legali, aveva illustrato la situazione giudiziaria. Nella riunione il manager aveva di fatto preso tempo, senza tentare di minimizzare la portata dell'inchiesta e pur non essendoci stata una formale richiesta di dimissioni. Ma il comitato era stato chiaro: «Va tutelata l'immagine dell'Ente». Che il clima dalle parti di Largo Domodossola fosse teso, comunque, lo si intuiva già dai cancelli insolitamente sbarrati e dalla circospezione di vigilanti e addetti all'ingresso.
    In serata, poi, dopo 12 ore di «approfondimenti», l'accelerazione: così, intorno alle 21, Pazzali ha formalizzato davanti al comitato quello che nell'ambiente vicino ai vertici era dato come l'unico esito possibile, precisando di «volersi concentrare sulla sua difesa». A prendere le sue deleghe, per il momento, sarà il vicepresidente vicario Davide Corritore, un passato da presidente della partecipata del Comune di Milano MM, da vice in Sea (compagnia che gestisce il traffico aeroportuale milanese) e da direttore generale del Comune con Giuliano Pisapia.
    Quanto all'ormai ex presidente, la rete di protezione nei suoi confronti aveva cercato di reggere il più possibile, a partire dal presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana - che di Pazzali aveva voluto la nomina - e che nell'unica dichiarazione a 48 ore dalla scoperta dell'indagine aveva ribadito «stima» nei confronti del manager e di essere «all'oscuro» delle attività che svolgeva. Massimo riserbo, invece, dalle parti di Palazzo Marino, dove il sindaco Beppe Sala - che concorda la nomina del presidente della Fondazione Fiera insieme al governatore - non si è espresso. Pare, comunque, che tra Fontana e Sala ci sia stato qualche contatto ma che la situazione resti sospesa. Anche perché, il Tribunale del Riesame dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta della Dda di predisporre una misura cautelare anche per Pazzali, inizialmente ritenuta non necessaria. E se la posizione del manager fino a ieri alla guida della Fondazione è fin troppo complessa, delicata è anche quella politica di Attilio Fontana: il governatore leghista, pur essendo estraneo all'indagine, ha sponsorizzato una figura invisa al suo partito. Dalle parti di via Bellerio, già sabato mattina si era registrata una certa freddezza non senza imbarazzi. Da Matteo Salvini, invece, nessun commento. Solo la stringata nota del partito che ribadisce l'intenzione di una proposta in Parlamento «di incremento delle pene per gli spioni».
    Quanto agli altri nel centrodestra - milieu a cui Pazzali era più vicino - solo generiche richieste di accertamenti da parte della magistratura. Lo chiede esplicitamente, invece, il presidente del Senato Ignazio La Russa: «Pazzali dica chi gli ha chiesto un dossier su di me. Me lo deve
  4. Ros, Sismi e Palazzo Chigi I curriculum di lusso degli spioni
    monica serra
    milano
    Nome in codice «Tela», originario di Salandra, in provincia di Matera, Vincenzo De Marzio è un carabiniere in pensione. Anche lui, per l'accusa, fa parte della banda che dalla centrale dietro al Duomo, per «clienti top», ha spiato migliaia di persone, tra politici e imprenditori. De Marzio non è un carabiniere qualsiasi. Nell'Arma dal 1984, al Ros milanese dalla sua nascita, con una breve pausa tra il settembre del 2002 e il settembre del 2003, quando ha prestato servizio al Sismi, i servizi segreti italiani, a Roma, alla Presidenza del consiglio dei ministri. Super esperto di terrorismo internazionale, «uno dei primissimi a occuparsene in Italia», come ha sottolineato Armando Spataro, all'epoca procuratore aggiunto milanese, in aula, quando lo ha citato come testimone al processo sul rapimento dell'imam Abu Omar. Nella vecchia registrazione ancora nell'archivio di Radio Radicale il magistrato e gli avvocati gli pongono poche domande, soprattutto sui suoi rapporti con l'allora capocentro della Cia a Milano, Bob Lady: «Solo qualche caffè e scambio di informazioni», «Ho partecipato all'open house a casa sua con il resto dell'ufficio a Natale del 2002». Tutte le risposte sono brevi e concise: «Si», «No», «Non so, non ero a Milano in quel periodo».
    Parla poco Tela, anche nelle intercettazioni che i carabinieri di Varese hanno raccolto negli uffici dell'Equalize sequestrati su richiesta della Dda nell'inchiesta per associazione per delinquere, accesso abusivo ai sistemi informatici, rivelazione del segreto d'ufficio, e intercettazione abusiva. Con la sua società di investigazione privata Neis Agency, De Marzio è solo indagato, il gip per lui ha respinto la misura in carcere richiesta dal pm Francesco De Tommasi, che invece lo ritiene «estremamente pericoloso». Non solo perché «fornisce al gruppo di via Pattari 6 un'enorme mole di dati e informazioni fondamentali (Sdi, verbali, ordinanze, foto...) che ha acquisito e detenuto illecitamente in violazione delle autorizzazioni di cui può aver goduto durante gli anni trascorsi nell'Arma». Ma anche perché, si legge negli atti, sarebbe «comprovata la sua spregiudicatezza nel porre in essere gravi e abusive intromissioni nelle sfere private e più intime delle persone, anche ricorrendo all'esecuzione di intercettazioni» illecite. Come avrebbe fatto ai danni della fidanzata di Del Vecchio Jr, Jessica Ann Sarfaty: «Sto aspettando perché forse devo portare dei registratori a Mario... Sì perché lì da mettere a casa, perché lei non se ne vuole uscire», diceva intercettato.
    Tra ex e attuali appartenenti delle forze dell'ordine – un finanziere della Dia di Lecce e un poliziotto del commissariato di Rho sono stati interdetti – erano in molti a lavorare per l'ex superpoliziotto Carmine Gallo, per l'accusa «capo indiscusso» dell'organizzazione costituita nella società di Enrico Pazzali, l'ammanicatissimo presidente della Fondazione Fiera che, pur non ricoprendo un ruolo diretto «nella materiale esfiltrazione» dei dati usati per i dossieraggi – anche di politici come il presidente del Senato Ignazio La Russa, di Matteo Renzi o di Letizia Moratti – è considerato una delle «colonne portanti» dell'associazione che «per finalità personali» avrebbe sfruttato «le capacità del gruppo». Era lui a dire a Gallo: «Carmine, Attilio mi chie… Fontana (il governatore della Lombardia, totalmente estraneo ai fatti, ndr.) mi chiede se Scaroni ha dei prece… ha delle cose ni corso. Ha fretta di ricevere le informazioni sul conto di Scaroni», il presidente del Milan e dell'Enel.
    Il braccio destro di Gallo era lo «spregiudicato» hacker Nunzio Samuele Calamucci, che per l'accusa è «coinvolto nella rete Anonymous», in grado di violare anche il sistema informatico del Pentagono: «Con loro, che sono più o meno 3 mila persone, condividiamo – diceva – se c'è qualche rottura di palle...oppure dice ci sono dati, li volete? Per dire...questo dice abbiamo trovato 30 account violati a chi interessano?». Geometra con una ditta edile aperta nel 2015, ma anche esperto informatico «in contatto coi servizi», per l'accusa sarebbe stato lui a ideare la piattaforma Beyond e a trovare il modo per bucare le banche dati del Viminale: «I miei ragazzi sono quelli che hanno fatto l'infrastruttura e fanno la manutenzione!» . Racconta Fabrizio Gatti su Today.it di essere stato contattato proprio da Calamucci a gennaio, per la vicenda della squadra Fiore, una rete clandestina con sede in piazza Bologna a Roma, molto simile a quella milanese, che accedeva alle banche dati dello Stato per estrarre notizie riservate su imprese italiane e vip, come del Vecchio Jr. È sempre Calamucci, negli atti, a raccontare che la rete che aveva costruito la banda è vastissima: «La politica la abbracciamo più o meno tutta perché Enrico (Pazzali, ndr.) è destra, Barletta è tutto ambientale di sinistra». Indagato anche lui, Pierfrancesco Barletta, è un ex dirigente di Leonardo-Finmeccanica, oggi vicepresidente del gestore aeroportuale milanese Sea, autosospeso dalla società che gestisce gli scali milanesi con rinuncia ai compensi. Era stato proprio lui a vendere la società a Gallo e Pazzali ma, almeno all'inizio, per l'accusa continuava a lavorare negli uffici dell'Equalize. Vicinissimo all'ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, avrebbe commissionato alla banda un dossier su una donna e su un chirurgo plastico del Policlinico di Milano, per ragioni private, chiedendo se fosse possibile un'intrusione da remoto nei telefoni, conoscendo solo i numeri: «Mi serve urgentemente, devo fare delle scelte». Alla fine, però, anche lui sarebbe stato spiato dal gruppo.

 

 

 

29.10.24
  1. Il capo della società finita nel mirino cercava informazioni sui figli del presidente del Senato La replica: "Disgustato, conosco Pazzali da anni e l'ho sempre ritenuto una persona per bene"
    Ignazio La Russa
    Report sui La Russa e Renzi Tirata in ballo anche la Lega "Vendiamogli la piattaforma"
    monica serra
    andrea siravo
    milano
    Il presidente di Fondazione Fiera Milano Enrico Pazzali e Ignazio La Russa sono «amici di vecchia data». Ma, per l'accusa, anche sul conto del presidente del Senato il manager avrebbe chiesto un report alla banda degli spioni della sua società dietro il Duomo, attraverso la piattaforma Beyond.
    «Esatto, va bene. Fammi un'altra nel frattempo! Ignazio La Russa. E metti anche un altro, come si chiama l'altro figlio? Come si chiama? Eh. .. Geronimo, come si chiama Geronimo La Russa? Eh... prova Geronimo La Russa, ma non si chiama Geronimo... come si chiama? Antonino? Metti Antonino La Russa. Lui è dell'ottanta... infatti c'è», chiede Pazzali intercettato negli uffici della Equalize di via Pattari 6. È il 19 maggio del 2023 e la data, casualità o no, non è indifferente alla famiglia La Russa. È suggestivo il fatto che nella notte appena trascorsa, dopo una serata all'esclusivo club Apophis, si sarebbe consumata la presunta violenza sessuale della ventunenne che ha poi accusato il terzogenito del parlamentare di Fratelli d'Italia, Leonardo Apache, con un suo amico.
    Solo quaranta giorni dopo, la ragazza ha deciso di denunciare e la notizia dell'inchiesta in procura è finita sui giornali. Eppure, nel dialogo con uno dei tecnici informatici, intercettato dai carabinieri del nucleo investigativo di Varese, spunta anche il nome del più piccolo dei figli di Ignazio. È sempre Pazzali a farlo: «Ok. Leonardo sull'intelligence non ha niente?». Dopo il controllo illecito in banca dati, la risposta è negativa.
    «Sono disgustato dal fatto che ancora una volta i miei figli, Geronimo e Leonardo, debbano pagare la "colpa" di chiamarsi La Russa, se risulterà confermato che anche loro sono stati spiati», commenta il presidente dell'aula di Palazzo Madama. Che si dice sorpreso: «Conosco Pazzali da anni e l'ho sempre ritenuto una persona perbene, e vorrei poter considerare, fino a prova contraria, un amico di vecchia data. Attendo di avere altri elementi prima di un giudizio definitivo assai diverso su di lui. È noto che i suoi attuali ruoli in Fiera non dipendano da FdI e sono stupito più che allarmato dalle notizie di una sua azione di dossieraggio nei miei riguardi».
    Nel gigantesco calderone degli spiati ci sono finiti politici in vita e anche oramai defunti. Un accesso allo Sdi è stato fatto per Filippo Penati, ex presidente della provincia di Milano scomparso nel 2019. A gennaio 2023, invece, è il nominativo di Matteo Renzi a essere «interrogato». Come nel caso precedente, al gruppo non serve più ricorrere all'aiuto di poliziotti e finanzieri infedeli (due sono stati interdetti dal gip). Il controllo viene fatto direttamente dai pc dell'azienda: «Minchia, quello (Pazzali, ndr.) va a fare Matteo Renzi, ca… però». È l'hacker Nunzio Calamucci a spiegare che c'è il rischio di essere scoperti e che Renzi possa reagire: «Ci manda qua la finanza, i servizi, i contro servizi!». E il superpoliziotto Carmine Gallo, annota il pm Francesco De Tommasi, «riprende un vecchio concetto in relazione agli "alert" dello Sdi» sui soggetti in vista: «Noi i deputati, i senatori e i consiglieri regionali, non possiamo farli perché c'è l'alert». Lo tranquillizza Calamucci: «No, nel nostro caso non c'è l'alert! Le mie interrogazioni non le fa un poliziotto, le fa direttamente... I miei ragazzi sono quelli che hanno fatto l'infrastruttura (del Viminale, ndr.) e fanno la manutenzione! È quello il trucco».
    Anche il leader di Italia Viva è intervenuto: «Forse oggi bisogna fare una riflessione in più, anche oltre l'aggressione che io sto subendo: in un mondo in cui i dati sono il nuovo petrolio, dobbiamo avere il coraggio di affermare che la violazione dei telefonini o dei computer è un reato gravissimo. E che la pubblicazione di dati illegittimi è un crimine».
    Per l'accusa, tra i potenziali clienti della Equalize ha rischiato di esserci anche la Lega, con la possibilità di accedere alla piattaforma Beyond. «Allora, ascolta una cosa... io come cliente ho la Lega... l'hai già proposto? », domanda Andrea De Donno, un collaboratore esterno, a Gallo. Quest'ultimo subito lo ferma: «No, alla Lega non l'ho proposto perché, per la semplice ragione che c'è Pazzali, che è collegatissimo a Fontana». La vicinanza di Pazzali con il governatore – sottolineano gli inquirenti – potrebbe «generare una serie di problemi reputazionali legati a un possibile conflitto d'interessi». De Donno prova ad aggirare l'ostacolo, offrendosi di fare da schermo: «Lo fornisco io, lo compro da te e lo vendo a lui! ». Da Gallo arriva un nuovo e definitivo stop all'operazione: «Tu non puoi venderlo! Tu lo puoi solo tenere a noleggio da noi... tu puoi essere un agente». —
  2. L'esperto elettronico di BitCorp, ha eseguito intercettazioni telematiche sia per i clienti che per gli inquirenti
    Indagato come spia e perito delle procure Il doppio ruolo dell'ingegnere Pegoraro
    Giuseppe legato
    Sul sito della società per cui lavorava come apprezzatissimo ingegnere informatico prima di finire nelle maglie della procura di Milano e prima ancora di quella di Torino, Gabriele Pegoraro, nato a Vicenza 48 anni fa, è presentato regalmente: «L'anima creativa del team tra genio e sregolatezza. Ingegnere elettronico "old school", ha operato trasversalmente nel corso degli anni spaziando dal settore bancario a quello delle telecomunicazioni. Ha invertito la notte per il giorno ed è appassionato di missioni impossibili». Sulle sue competenze nulla quaestio, of course. E però nelle pieghe dell'inchiesta della Dda di Milano si affaccia «una luce sinistra» su di lui «e anche sulla società».
    Perché per i magistrati è Pegoraro, già amministratore unico della ML Multiservices Srl, ma soprattutto Chief innovation officer della società d'intercettazioni BitCorp «a eseguire intercettazioni telematiche per diversi clienti in riferimento ed effettuare copie di dispositivi telefonici in favore del gruppo di Equalize (che per inciso si autoaccusa nelle intercettazioni di aver scaricato 350 mila Sdi, banche dati in uso esclusivo alle forze dell'ordine)». Il problema è che «esegue le stesse operazioni per conto di diverse procure della Repubblica». Da qui la profonda inquietudine dei magistrati di Milano. Lo sa bene uno dei principali indagati Nunzio Samuele Calamucci, informatico di Equalize (società sotto sequestro): «Tanto lui (Pegoraro ndr) è uno che le fa pure per la procura».
    Bitcorp, non indagata, ha lavorato più volte per i magistrati milanesi. E tra la corposa mole di fatture elettroniche emesse dal 2019 al 2023 dalla Bitcorp (3,3 milioni di euro) ne figurano diverse a beneficio del «ministero dell'Interno dipartimento di pubblica sicurezza, del Comando delle forze speciali, della procura della Repubblica di Genova, dell'ufficio giudiziario di Milano (importi per prestazioni offerte rispettivamente di 891 mila euro e 57 mila euro), di Torino (24.750 e 36.750) e della Direzione investigativa antimafia (Dia) con tre fatture per un totale di 35 mila euro».
    Nota a margine, ma nemmeno tanto: Pegoraro, stavolta in prestito a un'altra delle società perquisite, la Skp di Milano, era già finito nei guai a Torino (a giorni inizia il processo) per aver ricevuto incarichi di spionaggio sulla multinazionale della malta e del cemento Kerakoll. Un manager della ditta aveva commissionato indagini a un altro degli attuali indagati a Milano, Fabio Rovini (anche lui indagato a Miano nel procedimento odierno e contemporaneamente imputato a Torino). E Rovini risponde al cliente che «colui che si sta occupando dell'indagine invasiva indicata è l'ingegner Pegoraro». Negli atti è riportata la sua mail.
    «Attenzione – ammoniscono gli inquirenti torinesi – perché Pegoraro è lo stesso che questa polizia giudiziaria ha nominato ausiliario di polizia giudiziaria (nell'indagine su Arciere, ndr) e lo ha incaricato il 31 maggio 2021 di svolgere le attività di ingegneria sociale rivolte alla realizzazione del cosiddetto "Trojan" da iniettare nel telefono di un ex carabiniere oggetto di indagine».
    Tentativi richiesti dalla procura con parere favorevole del gip, andati avanti (senza successo) per mesi fino a ottobre 2021. Di nuovo la doppia faccia, di nuovo spione e consulente della procura. Almeno in ipotesi d'accusa. —
  3. il sistema
    i nomi finiti nell'inchiesta
    "La rete ha legami con clan e 007 a rischio la sicurezza nazionale"
    monica serra
    milano
    Nell'enorme archivio della banda degli spioni c'erano anche «dati classificati», top secret. Come un documento di 43 pagine riconducibile all'Aisi, il servizio segreto italiano interno «riservato» e risalente al 2008-2009 sulle «reti del Jihad globale». I carabinieri del Ros, con i colleghi di Varese, lo hanno trovato quando l'hacker Nunzio Calamucci ha collegato una sua chiavetta a un pc della società di via Pattari 6 controllato da un Trojan della procura. Dentro c'erano anche 52.811 interrogazioni Sdi del Ced interforze del Viminale. Molte erano «riconducibili» a un ex carabiniere indagato. «Con i report che abbiamo noi in mano possiamo sputtanare tutta l'Italia», diceva Calamucci intercettato.
    Per il pm Francesco De Tommasi, «il principale punto di forza dell'organizzazione criminale è proprio la rete relazionale di altissimo livello» su cui possono contare «lo zio bello» Enrico Pazzali, presidente di Fondazione Fiera Milano a capo della società di intelligence, e il socio Carmelo Gallo, ex colonna portante dell'Antimafia milanese. Non solo con persone «appartenenti ai più elevati ranghi delle istituzioni pubbliche, estranee ai fatti e all'oscuro delle dinamiche criminose interne a Equalize». Ma anche in altri ambienti come «quello della criminalità mafiosa e quello dei servizi segreti, pure stranieri, che spesso promettono e si vantano di poter intervenire su indagini e processi, per bloccare iniziative giudiziarie».
    Non è un caso che Calamucci – legato anche ad Anonymous («Con loro condividiamo...), che è stato in grado di violare il sistema informatico del Pentagono – si vantava: «I cialtroni saltano, noi abbiamo la fortuna di avere clienti Top in Italia (per l'accusa, come Barilla, Erg, il banchiere Matteo Arpe, Del Vecchio Jr, la giudice Carla Romana Raineri, ex capa di gabinetto di Raggi)». Ma anche «contatti tra i servizi deviati e i servizi segreti seri, di quelli lì ti puoi fidare un po' di meno, però, il sentiamo, fanno chiacchiere, sono tutte una serie di informazioni…». Dati sensibili e riservati che, ipotizza la procura diretta da Marcello Viola, potrebbero essere finiti anche all'estero.
    E non è un caso neanche che, quando il gruppo discuteva di effettuare autonomamente i «positioning» cioè la localizzazione dei cellulari delle vittime, lo stesso Calamucci proponeva: «Allora, domani mattina prima di venire qua passo in Regione a chiedere! Vedo cosa... cosa c'è in sconto e te lo faccio sapere!» . Per il pm, un chiaro «riferimento agli uffici dei servizi segreti che sono nello stesso palazzo, dove evidentemente l'hacker vuole verificare la possibilità di acquistare a prezzo ribassato l'apparecchiatura».
    Per l'accusa, la banda che aveva bucato anche i database del ministero dell'Interno, che sosteneva di aver «clonato» un account email del presidente Sergio Mattarella, e che era in grado di «tenere in pugno» cittadini e istituzioni, di «condizionare in modo pregiudizievole dinamiche imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie» e di «mettere a rischio la sicurezza nazionale», rappresenta «un pericolo per la democrazia di questo paese». I
    Il suo «capo indiscusso», l'ex superpoliziotto Gallo, viene definito una persona «tentacolare, spregiudicata e senza scrupoli», con «le mani in pasta ovunque» che «intrattiene rapporti con diverse personalità di rilievo, oltre che con diversi pregiudicati, anche per associazione mafiosa».
    Per l'accusa, infatti, l'ispettore in pensione è «pronto a scendere a patti con esponenti della criminalità milanese». Tant'è che «per ottenere la disponibilità di un posto auto a San Siro per ragioni di rappresentanza» era intenzionato «a contattare il capo ultrà dell'Inter Vittorio Boiocchi», poi freddato a colpi di pistola e con 26 anni di carcere alle spalle.
    Ma la rete che aveva costruito la banda è vastissima: «La politica – dicevano – la abbracciamo più o meno tutta perché Enrico (Pazzali, ndr.) è destra, tutto ambientale di destra, (l'ex socio, ndr.) Barletta è tutto ambiente di sinistra, quindi bene o male...il centro è quello...». Il gruppo intratteneva rapporti anche «con ex vertici delle forze dell'ordine e dell'amministrazione degli Interni, divenuti poi security manager o membri dei cda di aziende private». Diceva Calamucci: «Adesso c'è il nuovo... il vice... l'ex prefetto di Como! Che è entrato come security manager... perché tutte le ex cariche di un certo livello entrano nel Cda di qualcosa, e noi… spaziando dai carabinieri alla polizia all'esercito… abbiamo un ventaglio di ex cariche che diventano nostri clienti... l'ex questore di Como fa morir dal ridere, è entrato come security manager in Bennet». Era stato proprio lui, per l'accusa, a mettere in contatto Equalize con Barilla.
    Ma il gruppo poteva contare anche su contatti nei giornali per spifferare qualche notizia che gli faceva comodo: «Chiamiamo Roberto, Dagospia… lui sa davvero che ci sono queste foto … quando tu gli dai una notizia, lui la pubblica ed è una delle testate più temute dalla gente… lo rispettano tutti come un dio...». —
  4. Il procuratore di perugia e le indagini sul furto di email
    Cantone: "I processi non sono sicuri"
    «Ci siamo lanciati in questo mondo del processo penale telematico o comunque di tutta una serie di meccanismi che riguardano via internet le attività giudiziarie senza però metterle in sicurezza. Noi ormai tante attività le facciamo direttamente a distanza e poi scopriamo che i meccanismi non sono affatto sicuri. Io, per esempio, ho letto che le mie email sarebbero state in qualche modo violate da questo hacker di cui si occupa la procura di Napoli». Lo ha detto il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone. «Noi con la posta colloquiamo, parliamo di vicende giudiziarie. I nostri sistemi dovrebbero essere garantiti al cento per cento. Forse noi abbiamo buttato troppo il cuore oltre l'ostacolo, senza renderci conto prima di quali potevano essere i problemi», ha aggiunto Cantone. «Si tratta di due indagini che per quello che io so non hanno alcuna attinenza fra di loro», sono ancora parole del magistrato. Non ci sono collegamenti, almeno che mi risultino».
    Gli effetti delle riforme che riguardano la giustizia - ha infine spiegato Cantone a margine degli incontri di CasaCorriere in corso a Napoli - poi finiscono per riverberarsi sui cittadini, per cui è evidente che parlando di democrazia e potere non si possa non parlare di giustizia». «Questo - ha concluso - è un momento particolare nel quale ci sono tantissime riforme in corso, forse anche troppe. Io concordo con quello che ha detto il presidente della Cassazione, forse su questi temi ci sarebbe stato bisogno di un fermo biologico».
  5. "Bibi e Khamenei usano la guerra per nascondere la crisi del potere"
    Azar Nafisi
    Francesca Paci
    Roma
    La notizia del raid israeliano sull'Iran raggiunge Azar Nafisi insieme a quella del duplice premio ricevuto a Roma dalla versione cinematografica del suo bestseller "Leggere Lolita a Teheran", un film diretto dal regista israeliano Eran Riklis e interpretato da attori iraniani. La domanda è quale delle due immagini rappresenti meglio il presente, se la guerra o la letteratura. La risposta, ammette la grande scrittrice iraniana in esilio, è tanto esistenziale quanto irreversibile.
    Da oltre un anno si evoca la guerra incombente. Il raid israeliano sull'Iran chiude la partita pareggiando i conti o sposta la palla in un campo nuovo, più estremo?
    «Sia il premier israeliano Netanyahu che la Guida suprema Khamenei usano la guerra per nascondere i rispettivi problemi interni e le piazze che, a Tel Aviv come a Teheran, rifiutano la loro leadership. L'attacco di venerdì notte fotografa la situazione: nessuno dei due governi è in posizione di forza, entrambi hanno paura del passo successivo ma non possono arretrare. Gli ayatollah sono certamente più in difficoltà, da una parte devono mostrare i muscoli contro il nemico di sempre ma dall'altra sono terrorizzati dall'escalation perché la popolazione, stanca e disillusa, non reggerebbe. Netanyahu digrigna i denti perché se finisse la guerra dovrebbe affrontare la giustizia e magari la prigione ma anche lui ha una serie limitata di mosse, rivendica le vittorie militari per non fare i conti con la frustrazione della sua gente. È uno stallo molto pericoloso».
    Il mese scorso il premier israeliano si è rivolto agli iraniani invitandoli a sollevarsi e offrendo il suo aiuto. Come l'hanno presa e come hanno preso l'attacco?
    «Dipende dall'interlocutore, c'è chi accetterebbe tutto pur di voltare pagina. La maggior parte degli iraniani però, non si fida: siamo stati traditi troppe volte. Se qualcuno come Netanyahu si propone, io, prima di considerarlo, mi chiedo come si comporti a casa propria, come governi. E viste le manifestazioni oceaniche degli israeliani contro di lui, visto il trattamento riservato ai palestinesi... credo che non ci sia davvero nulla da accettare. No, gli iraniani devono contare solamente su loro stessi».
    Da vent'anni "Leggere Lolita a Teheran" è la chiave di volta per capire l'altro Iran, quello delle persone. Cosa aggiunge oggi a quella missione la sua versione cinematografica diretta da un regista israeliano e interpretata da attori iraniani?
    «La mia protesta è da sempre contro il governo che ignora il proprio popolo. Per questo parlo degli iraniani che chiedono una vita dignitosa e non degli ayatollah che cercano la guerra. Iran e Israele sono due Paesi in cui i politici vogliono combattere mentre le persone ambiscono a stare in pace. Ho scelto Eran Riklis dopo aver visto il suo film "Il giardino dei limoni", dove una donna palestinese sfida il ministro degli esteri israeliano che vuole distruggerle gli alberi per ragioni di sicurezza. Eran è contro la guerra, sostiene la soluzione due popoli per due Stati, condivide con me la convinzione che la cultura debba oltrepassare i limiti che spesso la politica impone alle nostre vite».
    Com'è cambiato l'Iran da quando a Teheran leggeva Lolita alle sue studentesse?
    «Vorrei che il film funzionasse da sprone come allora funzionò il libro. La situazione è molto peggiorata, le iraniane e gli iraniani hanno votato a più riprese confidando nel riformismo e hanno avuto in cambio più repressione, più violenza, più dolore. Di vivo c'è oggi solo il movimento delle donne, quelle che dopo l'assassinio di Mahsa Amini hanno bruciato le illusioni e non si sono più voltate indietro. Sono le ragazze che leggevano Lolita nelle cantine e sono uscite alla luce del sole togliendosi l'hijab. Il movimento "donna vita libertà" è la più letale spina nel fianco del regime ma non è l'unica, anche i sostenitori della teocrazia sono stanchi e il film racconta bene questa zona grigia. I regimi totalitari divorano tutti i loro figli, tutti».
    Gli iraniani gioiscono suoi social delle umiliazioni ricevute dal regime ma ripetono di non voler essere liberati da forze esterne. Cosa può fare per loro l'occidente?
    «La maggioranza degli iraniani non vuole invasioni straniere né esportazione di democrazia. Vogliamo una transizione pacifica come pacifica è l'opposizione delle donne: il regime spara e noi balliamo. L'occidente, a parte selezionare sanzioni che non colpiscano il popolo, può ascoltarci. Quando emigrai mia madre mi raccomandò di parlarvi di noi, di spiegarvi che se ci aveste lasciati soli il regime avrebbe vinto. Ascoltateci. Sosteneteci con la musica, la cultura, i sit-in come faceste con Mandela».
    Quelle piazze ci sono in realtà, ma sono riservate alla causa palestinese, al massimo alla pace in Ucraina a costo della resa di Kiyv.
    «Lo so purtroppo, nessuna manifestazione per le donne iraniane. Alle mie conferenze c'è sempre qualcuno che mi accusa di essere occidentalizzata e di non rispettare la cultura che poi sarebbe la mia. Dovrei rispettare la lapidazione delle adultere, le spose di 9 anni, lo stupro della libertà? La libertà non è né occidentale né orientale, gridavano le mie compagne già all'indomani della rivoluzione khomeinista. E forse l'occidente dovrebbe ascoltarci un po' di più per ricordarsi chi è. A Teheran Hannah Arendt e Vaclav Havel sono vere e proprie star mentre voi sembrate aver dimenticato: non è il momento di trascurare i valori fondativi della democrazia con le nubi che si addensano sul voto americano».
    Vincerà Donald Trump?
    «Nessuno lo sa ed è una prospettiva terrea. Ma anche se vincesse Kamala Harris dovremmo interrogarci su come siamo arrivati a questo punto, come una delle principali democrazie si sia affidata così tanto a quell'uomo».
    Pare che ci siano divisioni nel regime iraniano e che l'ala razionale avrebbe eletto il presidente Massoud Pezeshkian. Eppure da quando è in carica ci sono state oltre 250 esecuzioni. Non c'è alcuna possibilità di riformare la Repubblica islamica?
    «Aprirsi alle riforme per il regime iraniano significherebbe concedere un po' di libertà, ma non funziona così. Avere un po' di libertà è come dire di essere un po' incinta: o aspetti un bambino o non lo aspetti. Il modello per noi è il crollo dell'Urss nei Paesi dell'est Europa, inghiottiti nel proprio vuoto di radici».
    Israele ha decapitato molti proxy iraniani, da Hamas a Hezbollah. Quante divisioni ha ancora l'Iran?
    «Gli iraniani irridono il regime a suon di barzellette che raccontano l'humor nero con cui si sopravvive all'angoscia. La teocrazia crollerà, ma come siamo arrivati a questo? In Iran, nella Russia di Putin, nell'America che spera in Trump. Come abbiamo fatto a bypassare tutte le lezioni della Storia? » .
  6.  fischi alla cerimonia del 7 ottobre secondo il calendario ebraico. A Doha riprendono i negoziati per il rilascio degli ostaggi
    Netanyahu contestato dai parenti delle vittime "Vergognati". L'offerta di Al Sisi per la tregua

    Fabiana Magrì
    Due parole. «Mishpachot iacharot» («famiglie care»). Poi i fischi e le proteste di quei parenti arrivati al colmo del lutto e della rabbia, gelano Benjamin Netanyahu sull'incipit del suo intervento alla commemorazione (secondo il calendario ebraico) per le vittime del massacro di Hamas del 7 ottobre dell'anno scorso. «Vergogna!». Per lunghi minuti il premier resta muto (imbarazzato? infastidito?), in piedi dietro al leggio, a prendersi gli insulti di chi gli grida addosso di aver avuto il «padre assassinato» e il «figlio abbandonato» da 388 giorni, ostaggio di Hamas. Quello che passa per la testa di Bibi (il diminutivo con cui è noto il premier) sotto lo sguardo di sua moglie Sara, della coppia presidenziale, gli Herzog, e dei massimi vertici militari, non si legge sul suo volto. Dopo che i provocatori vengono allontanati dalle forze dell'ordine, il primo ministro più longevo della storia di Israele, che sta guidando il Paese nella sua campagna militare più lunga di sempre, riprende confidenza e il discorso. Ringrazia e si congratula con «tutti i nostri soldati e comandanti di Tsahal e delle forze di sicurezza» che hanno collaborato all'operazione "Giorni del pentimento" contro l'Iran. Li elenca uno per uno, il capo di Stato Maggiore, il comandante dell'aeronautica, i piloti. Perfino i «meccanici e tutto il personale di terra» e tutto il sistema di intelligence, «il capo, gli uomini e le donne del Mossad». Esprime gratitudine anche agli Stati Uniti, «per lo stretto coordinamento e supporto». Netanyahu dà "kavod" (onore e rispetto, in ebraico) a tutti. Tranne a uno. Il ministro della Difesa, la sua spina nel fianco Yoav Gallant, il ribelle, la voce controcorrente nel suo esecutivo, l'illicenziabile. L'unico rappresentante del governo attuale con cui l'amministrazione Biden sente di parlare la stessa lingua. E quando tocca a Gallant intervenire alla cerimonia di Stato, la distanza tra i due si manifesta ancora una volta. Certo, anche il capo della Kirya conferma che, con il suo attacco «preciso, letale e sorprendente» all'Iran, lo Stato ebraico ha inviato il messaggio chiaro che «il lungo braccio di Israele raggiungerà chiunque tenti di farci del male». E sostiene, a testa alta davanti alla platea, che Hamas ed Hezbollah sono stati scossi nelle fondamenta e non rappresentano più «uno strumento efficace nelle mani dell'Iran». Tuttavia, in funzione anti Bibi, sottolinea che non tutti gli obiettivi possono essere raggiunti tramite la forza militare. «Riportare gli ostaggi alle loro case richiede dolorosi compromessi», sancisce Gallant. E lo dice nel mezzo degli sforzi compiuti da Usa, Egitto e Qatar per ricomporre i pezzi dei colloqui tra Israele e Hamas e raggiungere un'intesa per un cessate il fuoco, più o meno temporaneo, e per la liberazione degli ostaggi israeliani. Il Cairo ha proposto una tregua di due giorni per consentire lo scambio di quattro rapiti per alcuni palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane. Ma una fonte di Hamas, parlando con il canale saudita Asharq News, preannuncia una proposta di accordo "all in": fine della guerra, ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia, scarcerazione di un certo numero di detenuti palestinesi, rilascio di tutti gli ostaggi israeliani in una volta sola. Di fatto, nessuna novità. Il che fa presagire che anche l'esito della trattativa non sarà diverso, con queste premesse. A nulla ha portato il tentativo di Israele, la scorsa settimana, di offrire un cessate il fuoco di due settimane per riportare a casa cinque ostaggi, presumibilmente vivi. Se la dovranno vedere, in queste ore a Doha, il capo del Mossad, David Barnea, il direttore della Cia, Bill Burns, e il padrone di casa, il primo ministro qatariota, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani.
    Mentre si deposita la polvere sull'attacco di Israele all'Iran, a sollevarsi sono le prime dichiarazioni che offrono un'indicazione di dove il conflitto nella regione allargata potrebbe andare. Nei suoi primi commenti pubblici dalla notte tra venerdì e sabato, la Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, tramite l'agenzia di stampa statale Irna, giudica quello di Israele «un errore di calcolo» e suggerisce che gli attacchi «non dovrebbero essere né minimizzati né esagerati». La deterrenza è un potere che non si ripristina facilmente, soprattutto dopo una batosta come quella del 7 ottobre e dopo una guerra di logoramento che va avanti da oltre un anno. Il presidente Masoud Pezeshkian promette una «risposta appropriata». Il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, mette in guardia Teheran e invita il regime a «non dovrebbe commettere l'errore di rispondere agli attacchi di Israele». Gli fa eco la vicepresidente e candidata alla casa Bianca, Kamala Harris.

 

 

 

28.10.24
  1. Azionista al 95% di Equalize, Pazzali avrebbe fatto "accertamenti su persone legate a Letizia Moratti"
    Il patron di Fiera Milano vicino a Fontana Lega in imbarazzo: "Dimissioni? È adulto"
    FRANCESCA DEL VECCHIO
    MILANO
    Chi lo conosce da sempre giura di averlo visto raramente senza giacca e cravatta: Enrico Pazzali, finito al centro dell'inchiesta sui dossieraggi milanesi, è uno dei personaggi più influenti della politica e dell'imprenditoria milanese, lui che aveva "teorizzato" il ruolo della Fiera come «strumento di politica industriale del Paese». Ha sempre goduto di apprezzamento bipartisan «per il suo decisionismo e il profilo istituzionale», ma storicamente è più vicino al mondo della destra lombarda. In più occasioni è stato fatto il suo nome per il dopo Beppe Sala (c'è chi dice solo per fargli un torto: pare che i suoi rapporti con la Lega e in particolare con Matteo Salvini non fossero idilliaci). Vicino alla ministra del Turismo Daniela Santanché e al presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, non ha mai nascosto la sua stima per Silvio Berlusconi, tra i primi ad appoggiare un'intitolazione al Cav, dopo la morte.
    Classe ‘64, milanese e bocconiano, un passato da manager in grandi aziende tra Roma e Milano come Poste, Omnitel, Compaq, Shell e Bull, dal 2015 è stato per alcuni anni ad di Eur spa (società di cui è azionista al 90% il ministero dell'Economia e delle Finanze). Dal 2019, nominato dalla giunta di Fontana ed eletto dal Pirellone d'intesa con il Comune di Milano, è il patron della Fondazione Fiera dopo essere stato amministratore delegato di Fiera spa dal 2009 al 2015. È anche consigliere di amministrazione dell'Università Bocconi e presidente del Comitato Bergamo-Brescia 2023. Nel 2020, durante la pandemia, fu uno dei principali sponsor dell'Ospedale in Fiera, la terapia intensiva allestita nei padiglioni del polo fieristico grazie alle donazioni di imprenditori e società civile. Ma è la sua posizione di azionista di maggioranza (al 95%) della Equalize ad essere sotto la lente dei magistrati di Milano. Per i suoi soci è «Zio bello» o «capo» e, stando a quanto emerso dalle carte dell'indagine avrebbe - tra le altre cose - chiesto «accertamenti» su persone «vicine politicamente» a Letizia Moratti, quando era candidata alle Regionali lombarde del 2023 proprio «per favorire Attilio Fontana». Motivo per cui, è proprio il centrodestra ad essere in forte imbarazzo: «Leggeremo le carte», dice il sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio Alessandro Morelli. Quanto alle dimissioni, «mi sembra abbastanza adulto per fare le proprie valutazioni». Le dichiarazioni sanno già di presa di distanze e, a ben guardare, sono il chiaro segnale di un "doppio standard" dopo che la Lega, su altre inchieste per dossieraggio, aveva urlato allo scandalo. Nessun commento neanche da Forza Italia, né tantomeno dal partito della premier. L'unica tra i Fratelli è Santanchè, che però non si sbilancia nei giudizi: «Non è mia abitudine commentare le accuse». Di dimissioni dalla presidenza della Fondazione, comunque, ancora non vuole parlare nessuno. Bocche cucite sia al Pirellone sia tra gli esponenti della destra cittadina. Quanto al centrosinistra, si registra solo la nota di Pierfrancesco Majorino (capogruppo Pd in Regione) che si augura che Pazzali «possa dimostrare tutta la sua estraneità a una vicenda dai contorni esplosivi».
  2. POTERE SENZA LIMITI : le carte
    Da Scaroni a Moratti e Bonomi "Abbiamo fatto migliaia di report"
    ANDREA SIRAVO
    MILANO
    «Mi arriva, mi arriva dalla Ronzulli, mi fa un po' paura». Tra i committenti della Equalize, la società al centro dell'inchiesta della Dda e della Dna su presunte attività di dossieraggio illegali, ci sarebbe stata anche la senatrice di Forza Italia, Licia Ronzulli (non indagata, ndr). A fare il suo nome è il presidente dell'agenzia di investigazioni Enrico Pazzali quando, nel luglio del 2022, è al telefono con il suo amministratore delegato ed ex poliziotto Carmine Gallo. «Non lo so... no no avrà una quarantina d'anni non lo so… e comunque lavora in Autogrill... guarda che non ci sia mai qualche roba con Berlusconi... qualcosa del genere…», prosegue Pazzali sul nominativo indicatogli da Ronzulli. «Non vorrei che fosse da giovane una delle letterine, quelle robe lì», riflette il presidente di Equalize. Lo blocca subito Gallo che, avendo già un dossier sulle cosiddette "Olgettine", lo assicura che la persona su cui fare il controllo non è di quello «staff lì». L'ulteriore conferma arriverà quando quel nome, pochi giorni dopo, viene inserito nella banca dati Sdi dalla Dia di Lecce, dove opera uno gli appartenenti alle forze dell'ordine infedele.
    Appare «inquietante» – per gli inquirenti – invece una conversazione intercettata in cui Calamucci lascia intendere a Gallo di aver intercettato un indirizzo email assegnato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un aspetto che le indagini devono ancora riscontrare. A rivolgersi a Gallo e ai suoi esperti informatici, oltre che politici, ci sono avvocati, giudici, imprenditori e manager di grandi aziende come Barilla, Eni, Egr e Heineken. Ognuno con il proprio tornaconto. Chi per screditare e rovinare l'immagine di un proprio avversario, in campo familiare o professionale. Chi per controllare in modo opaco cosa succede sotto il tetto della propria azienda. C'è Fulvio Pravadelli, direttore generale della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, che dà mandato a Equalize di cercare informazioni contro Alex Britti da usare nella causa di separazione tra la figlia e il cantautore. Un accesso allo Sdi viene fatto pure su Giuseppe Bivona, grande accusatore dei vertici di Mps. Il più attivo di tutti – come emerge dagli atti d'indagine – sembra essere comunque Pazzali. «Se ti faccio vedere i report di Enrico, ne ho fatti a migliaia di report a Enrico», dice Nunzio Samuele Calamucci, braccio destro di Gallo, anche lui agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
    La mole di richieste senza che ci sia un ritorno economico fa storcere il naso nel gruppo. «Report gratis non ne escono più a nessuno», ammonisce Calamucci. «Neanche per il presidente», annuisce Gallo. Tra gli obiettivi individuati da Pazzali c'è Paolo Scaroni. Il suo profilo come quello di Pazzali ad agosto 2022 è tra quelli papabili per il ruolo di amministratore delegato di "Milano – Cortina 2026". La competizione sulla carta vede in vantaggio l'attuale presidente del Milan e del cda di Enel. Da qui la richiesta di Pazzali a Gallo di fare una verifica sullo Sdi alla ricerca di informazioni compromettenti che possano escludere Scaroni dalla "corsa". Il successivo ottobre, il presidente di Equalize si muove anche per «mettere in cattiva luce l'immagine di Letizia Moratti», candidata alla presidenza di Regione Lombardia. «Comunque c'è un sacco di gente, guarda se conosci qualcuno! Se c'è qualcuno d'interessante da verificare!», afferma riferendosi ai componenti del consiglio direttivo di Lombardia Migliore, lista che promuoveva la candidatura dell'ex sindaca ed ex ministra.
    Tra le centinaia di informazioni procacciate illegalmente, di cui veniva a conoscenza, Pazzali alcune le utilizza con amici e conoscenti per portare avanti i suoi interessi. Lo fa, ad esempio, con Daniela Santanché, ignara delle attività illecite, quando cerca di screditare Guido Rivolta, uomo di fiducia di Giovanni Gorno Tempini, vicino ad entrare nello staff della premier Giorgia Meloni. Dell'attuale presidente di Cdp la banda era riuscita a bucare il cellulare per spiare le sue chat Whatsapp. Tra le parole chiave viene inserito anche l'ex presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Non da Pazzali, ma direttamente da Gallo e Calamucci, si approccia una giudice di Corte d'appello di Milano per far fare degli accertamenti bancari sul marito. «Lei praticamente sta per allontanare il marito... quindi gli sta depredando tutte le imprese, tutti gli immobili e poi lo farà mettere con l'amministratore di sostegno». La sua posizione è stata trasmessa alla Procura di Brescia, competente sulle toghe milanesi. A livello aziendale sarebbero state, tra le altre, le multinazionali Barilla ed Erg ad andare alla Equalize per controllare in modo illecito alcuni rispettivi dipendenti. «C'è la possibilità a ritroso di avere conferma di questo sospetto», chiede un security manager dell'azienda alimentare di Parma. L'obiettivo era sapere chi avesse fatto trapelare notizie sull'avvicendamento del ceo. Nel caso di Egr, a Gallo e ai suoi, viene chiesto di installare un software per monitorare l'attività sui pc di lavoro per scoperchiare «una presunta attività di "insider trading"» da parte di alcuni dipendenti. Quando parlano della pratica Egr spunta anche un presunto problematico report fatto per Eni. «Quella di Eni tra l'altro è neanche dipesa da noi, perché son loro che l'hanno depositata lì in un altro modo, cioè è andata proprio nel modo sbagliato da parte del cliente», si giustifica Calamucci.
  3. L'imprenditore, figlio 29enne del patron di Luxottica, è indagato per le richieste alla Equalize L'accusa: utilizzati trojan e informazioni riservate per controllare i famigliari e la fidanzata
    "Un finto dossier sul sesso per Del Vecchio junior contro il fratello Claudio"
    Calamucci su Del Vecchio
    La risposta degli hacker

    monica serra
    milano
    Il 24 maggio del 2023, negli uffici dell'Equalize di via Pattari, arrivano i "tuttofare" di Leonardo Maria Del Vecchio, il figlio ventinovenne del patron di Luxottica, perquisito e indagato in concorso con l'associazione. Nell'agenzia di intelligence di Pazzali e del superpoliziotto in pensione Gallo lo conoscono già, è un cliente «fidato» e abituale, anche se trovano il modo di evitare che fatturi direttamente alla società perché «se questo mi finisce sul giornale ca… ci viene fuori il mal di testa che sai».
    Marco Talarico, «addetto alla gestione patrimoniale» del manager, alle spalle qualche guaio giudiziario, e Mario Cella, capo della Security, hanno bisogno di alcuni lavori che – subito gli viene chiarito – sono «illegali». L'obiettivo è trovare gli «scheletri nell'armadio» della fidanzata dell'imprenditore, «questa benedetta Jessica, era anche innamorato di questa ragazza qua… che è innamorata di quell'altro» ma anche e soprattutto dei suoi fratelli: «una questione molto, molto più delicata». Dopo la morte del padre, il 27 giugno del 2022, Del Vecchio Jr, che ha ereditato le quote della cassaforte di famiglia, «si sente ricattato dai fratelli». Per questo si rivolge agli hacker professionisti. «Leonardo – spiegano – ha ereditato le quote della cassaforte di famiglia… diciamo che è già la seconda assemblea che fanno e Leonardo si ritrova praticamente ricattato ai fini di governance dell'azienda, dove ci sono ogni membro della famiglia che vuole una cosa diversa... ognuno per ottenerla sta tra virgolette ricattando qualcun altro… Per esempio uno può essere un po' più sensibile a un dividendo più importante, l'altro invece vuole mettere nel board un uomo di sua fiducia... e parlando con Leonardo m'ha detto che lui vorrebbe... ci sono due persone che vorrebbe monitorare, la prima è suo fratello maggiore che è Claudio Del Vecchio e la seconda è un consulente che sta vicino a una delle sue sorelle, Paola Del Vecchio».
    Non è la prima volta che alla Equalize viene commissionato un lavoro di questo tipo. Dice infatti Nunzio Calamucci, uno dei presunti capi della banda: «Vi parlo in tutta franchezza... noi abbiamo già fatto un'operazione simile in Luxottica… era un responsabile dell'ufficio acquisti... abbiamo guardato per mesi il telefono e non abbiamo trovato nulla... abbiamo fatto un accertamento patrimoniale su lui e abbiamo scoperto come intascava le retrocessioni... è stato poi allontanato penso con una lauta buonuscita, per non esplodere sui giornali!».
    Così gli viene chiesto di «inoculare un trojan sui cellulari». La risposta: «Il trojan è illegale in Italia però con voi lo facciamo perché abbiamo un rapporto particolare. Non lo faremmo con un altro cliente che potrebbe rappresentare un pericolo». Così, dalla banda fermata ieri dalla Dda di Milano, il manager ottiene molte informazioni su tutti i fratelli, illecitamente "esfiltrate" dalle banche dati dello Sdi, del Punto Fisco, dell'Inps. Dove però non arrivavano le sofisticate tecnologie usate dalla banda, arrivano i report fasulli costruiti ad arte per accontentare il cliente. Come quello sul fratello Claudio Del Vecchio: dopo numerose ricerche sui suoi spostamenti a New York incrociate ai locali gay della città, il gruppo fabbrica un finto rapporto redatto nel 2018 dalla polizia americana in cui «si dava atto di un controllo eseguito in quella città nei confronti di Claudio Del Vecchio mentre era in compagnia di un "travestito", Ralph A Thompson, registrato sul National sex offender website del Dipartimento di Giustizia americano».
    Anche sul cellulare della promessa moglie, la modella Jessica Ann Serfaty, Del Vecchio vorrebbe inoculare un trojan. Calamucci non riesce ad accontentarlo. Così gli invia dei report falsi con «chat e altri contenuti di conversazioni telematiche e informatiche». Ne simula addirittura «l'intercettazione mediante captatore informatico di conversazioni apparentemente intercorrenti» tra lei «e David Blaine, illusionista di fama mondiale». Spiegava Calamucci intercettato «a me Del Vecchio non piace ma può essere un affare della vita... perché questo mi ha detto non ho limiti di budget pago faccio disfo… ci ha dato anche un altro lavoro da 20 kappa da fare così "d'emblèe" che era un lavoro da 5». Stando alle imputazioni, Del Vecchio Jr, per la sua avvocata Maria Emanuela Mascalchi, «sembrerebbe essere piuttosto persona offesa». Per questo il manager «attende serenamente lo svolgimento delle indagini in modo da dimostrare la propria totale estraneità ai fatti e l'infondatezza delle accuse ipotizzate contro di lui».
  4. Dopo la morte del fondatore l'azienda macina record in Borsa ma i rampolli litigano sull'eredità
    Quella feroce dinasty degli occhiali per spartirsi un tesoro da 40 miliard
    i
    Francesco Spini
    Milano
    Liti, veti incrociati, cause legali. La storia di spionaggi e dossier scoperchiata nelle ultime ore, e che chiama in causa uno degli eredi Del Vecchio, Leonardo Maria, complica la Dinasty di Agordo. Mentre il capolavoro di Leonardo Del Vecchio, il colosso dell'occhialeria EssilorLuxottica, macina record arrivando a tagliare il traguardo, agognato dal patron scomparso due anni fa, dei 100 miliardi di capitalizzazione in Borsa, la faccenda dell'eredità si avviluppa. Tra i sei eredi del Cavaliere di Agordo l'accordo resta lontano e i veleni delle ultime ore rischiano di intorbidire ulteriormente le acque.
    Per capire questa storia fatta di miliardi e potere, occorre tornare ai giorni dell'apertura del testamento di Leonardo. Il fulcro di un impero da circa 40 miliardi è la Delfin, cassaforte lussemburghese che custodisce gli interessi finanziari della famiglia, a partire dal 32% di EssilorLuxottica, ma anche partecipazioni importanti e "pesanti" come quelle in Mediobanca, Generali, Unicredit. La finanza che conta. Le quote di Delfin sono suddivise tra i sei figli – Claudio, Marisa e Paola Del Vecchio (figli della prima moglie di Leonardo, Luciana Nervo), Leonardo Maria (figlio di Nicoletta Zampillo), Luca e Clemente (la cui mamma è Sabina Grossi) –, la vedova Nicoletta Zampillo e l'altro suo figlio Rocco Basilico. Ciascuno ha il 12,5% che suppergiù significa avere in mano 4-5 miliardi di euro.
    Ma nelle quattro pagine del testamento pubblico accompagnato da tre postille olografe Leonardo Del Vecchio fa di più. Destina le proprietà immobiliari (case, ville, i relativi oggetti d'arte) alla moglie. Non si dimentica nemmeno di destinare la sua riconoscenza ai suoi più stretti collaboratori, in primis al "delfino" Francesco Milleri, oggi numero uno di Essilux e presidente di Delfin, quindi al fidato ad della stessa finanziaria, Romolo Bardin. A quest'ultimo sono state indirizzate 22.222 azioni, a Milleri, oggi numero uno di EssilorLuxottica – sono destinate 2.148.148 azioni, più o meno lo 0,5% del capitale.
    Il punto, però, è che quattro eredi di Leonardo – Luca, Clemente, Paola e Claudio – hanno accettato con beneficio di inventario, e di fatto hanno bloccato l'esecuzione del testamento. Gli ingranaggi si sono bloccati su diversi aspetti. L'inventario ha rilevato circa 460 milioni di passivo a fronte di un attivo patrimoniale di circa 200 milioni, tra crediti vantati verso Delfin, conti correnti, la maxi-barca che fu del patron e altro. La differenza avrebbe dovuto essere stata pagata dagli eredi ma questi non sono ancora riusciti a trovare un accordo, in particolare sul versamento delle tasse sul passaggio delle quote di Essilux a Milleri e Bardin. A Milleri è già stata versata una quota di azioni, pari a 400 mila. Il resto deve ancora arrivare.
    Il tempo però è passato, gli affari sono andati bene, a Essilux guarda ora con interesse anche Mark Zuckerberg di Meta, e da 340 milioni il pacchetto destinato al top manager vale ora 500 milioni, ben di più. Ergo: gli eredi devono metterci più soldi per riconoscere i titoli. L'impasse è inoltre determinata dal fatto che alcuni figli, di cui si sono create cordate trasversali, vorrebbero legare l'accordo anche a una modifica del sistema di governo di Delfin. Del Vecchio, per esempio, ha stabilito che nessun componente della famiglia (forse conoscendone il grado di litigiosità) debba far parte del consiglio di amministrazione di holding, retto da 5 consiglieri guidati dal presidente Milleri e dall'ad Bardin. Sono in carica a tempo indeterminato e, pur dovendo tenere informati i soci, gestiscono partite delicate come la gestione delle quote in Generali e Mediobanca, dove sono secondi e primi azionisti. Cambiare le regole si può, ma serve un voto all'unanimità. E di unanimità tra tali eredi finora se ne è vista poca. Non sono neppure riusciti a votare sulla distribuzione dei dividendi, per cui servono due terzi di voti a favore, altrimenti viene corrisposto il minimo statutario del 10% dei profitti. Per cambiare anche queste norme bisogna trovare una sintesi. Che oggi è una chimera. L'un contro l'altro schierati fratelli ed eredi corrono divisi alla meta. In fondo al tunnel c'è anche la decisione del giudice, chiamato da Milleri a dirimere la questione relativa allo stato di graduazione sull'inventario stabilito da alcuni eredi. Un guazzabuglio, in cui esplode la bomba Leonardo Maria Del Vecchio.
  5. Bezos ferma l'endorsement per Harris critiche e sospetti sul Washington Post
    inviata a washington
    Che una cosa del genere possa accadere al Washington Post, uno dei quotidiani con la migliore reputazione del mondo, è insieme una sorpresa e uno scandalo. Perché sotto la sua testata ha il motto: "Democracy dies in darkness", la democrazia muore nell'oscurità. Perché a metà degli anni '70 ha portato alla resa della presidenza corrotta di Richard Nixon grazie al Watergate, riuscendo a resistere alla pressione del potere (lo ha fatto l'allora editrice Katherine Graham, per capire con quanta forza basta rivedere The Post di Steven Spielberg). Perché in quella redazione, ieri in subbuglio come non accadeva da molto tempo, nessuno si sarebbe mai aspettato che il proprietario Jeff Bezos, uno degli uomini più ricchi del mondo, potesse decidere di impedire all'editorial board del giornale di pubblicare l'endorsement già scritto per Kamala Harris a pochi giorni dalle presidenziali americane. Dimostrando così la fragilità di quelle che ci ostiniamo a considerare inossidabili democrazie. La permeabilità agli interessi degli oligarchi: Bezos come Musk. La pervasività del messaggio che Donald Trump sta diffondendo in tutti gli Stati Uniti: o siete con me, o siete «the enemy within», il nemico interno che una volta presidente io schiaccerò con ogni mezzo (ha evocato anche l'esercito. E no, non era una battuta).
    Non solo più fonti confermano che lo stop è arrivato dall'editore in persona causando un'accesa discussione all'interno dell'editorial board. E portando all'annuncio del mancato endorsement non da parte del direttore editoriale, ma dell'amministratore delegato, William Lewis. Oltre a questo, nello stesso giorno, cioè venerdì, i dirigenti di Blue Origin, la compagnia aerospaziale di Bezos, hanno incontrato Donald Trump dopo il suo discorso a Austin, in Texas. Lo ha rivelato l'Associated Press. Facendo aumentare a dismisura i sospetti su una scelta interessata e tutt'altro che indipendente.
    Robert Kagan, storico, politologo, importante editorialista del Post, conservatore ma da sempre ostile alla politica di Trump, si è dimesso parlando di «una sorta di inchino preventivo davanti a chi pensano sia il probabile vincitore delle elezioni. Chiunque faccia parte dell'economia americana quanto Bezos vuole avere un buon rapporto con chiunque sia al potere». E poi, alla Cnn: «Possono dare mille ragioni per cui stanno facendo una cosa del genere, ma penso che dovremmo vederla chiaramente per quel che è: l'inizio del modo in cui Trump controllerà i media, in particolare quelli in mano alle grandi aziende. Perché tutta l'America delle multinazionali si sta inginocchiando davanti a lui».
    Si difende, Lewis, dicendo che questo è per il Washington Post un modo per tornare alle origini. Non aveva appoggiato alcun presidente prima del 1976, questo dimostra la fiducia che ha nei suoi elettori e nella loro capacità di capire da soli cosa fare. Dimentica però di dire, Lewis, perché le cose nel 1976 erano cambiate. Dopo la scoperta del Watergate e e dopo quegli anni di battaglia col potere, il giornale decise di dire da che parte stava: la prima volta, inevitabilmente, con Jimmy Carter. Le ultime due, contro Donald Trump.
    Così oggi 16 editorialisti scrivono un articolo per prendere le distanze parlando di un «terribile errore» che «rappresenta un abbandono delle convinzioni editoriali fondamentali del giornale che amiamo. Questo è il momento in cui l'istituzione deve rendere chiaro il suo impegno nei confronti dei valori democratici, dello Stato di diritto e delle alleanze internazionali, e della minaccia che Trump rappresenta per loro. Non c'è contraddizione tra l'importante ruolo del Post come giornale indipendente e la sua pratica di fornire endorsement politici, sia per orientare i lettori che per dichiarare i principi in cui crede». Per poi concludere: «Un giornale indipendente potrebbe un giorno scegliere di tirarsi indietro dal dare l'appoggio presidenziale. Ma questo non è il momento giusto, quando un candidato sostiene posizioni che minacciano direttamente la libertà di stampa e i valori della Costituzione».
    Ma soprattutto – in mezzo a una pioggia di abbonamenti disdetti da intellettuali e celebrities (c'è anche Mark Hamil, il Luke Skywalker di Star Wars) – parlano proprio gli autori del Watergate, Bob Woodward e Carl Bernstein: «Rispettiamo la tradizionale indipendenza della pagina editoriale, ma questa decisione a 9 giorni dalle elezioni presidenziali del 2024 ignora le schiaccianti prove giornalistiche del Washington Post sulla minaccia che Trump rappresenta per la democrazia. Sotto la proprietà di Jeff Bezos, l'attività di informazione del Washington Post ha utilizzato le sue abbondanti risorse per indagare rigorosamente sul pericolo e il danno che una seconda presidenza Trump potrebbe causare al futuro della democrazia americana e ciò rende questa decisione ancora più sorprendente e deludente». Se la democrazia muore nell'oscurità, non bisogna lasciare agli oligarchi - a nessuno di loro - il potere di spegnere la luce.
  6. FINALMENTE Il wsj: ipotesi di riciclaggio. Il fondatore: voci senza fondamento
    Indagine su Tether, criptovalute in subbuglio

    Tether è sotto indagine negli Stati Uniti per presunta violazione delle norme anti riciclaggio. Lo rivela il Wall Street Journal che cita fonti vicine alla procura distrettuale di Manhattan, che sta valutando che la criptovaluta sia stata utilizzata per finanziare attività illegali come traffico di droga, terrorismo e cyber attacchi. Inoltre il Dipartimento del Tesoro, aggiungono le fonti, starebbe pensando di imporre sanzioni contro Tether a causa dell'uso diffuso della sua criptovaluta da parte di «individui e gruppi sottoposti a sanzioni da parte degli Stati Uniti», tra cui Hamas e alcune aziende russe, tra cui diversi commercianti di armi.
    Tether è una criptovaluta stabile. È ancorata al dollaro americano, il che vuol dire che ogni Tether vale un dollaro. Fondata da due italiani, Tether oggi fa girare più di 190 miliardi di dollari al giorno, con una capitalizzazione al momento intorno ai 120 miliardi. È un architrave fondamentale dell'ecosistema cripto. Il fondatore di Tether, Paolo Ardoino, savonese, 40 anni, smentisce la ricostruzione del quotidiano. «È assolutamente irresponsabile che il Wsj scriva articoli con affermazioni avventate ma con tanta sicurezza quando nessuna autorità è intervenuta per confermare queste voci », ha detto Ardoino.
    «L'articolo - prosegue il fondatore - sorvola anche sui ben documentati ed estesi rapporti di Tether con le forze dell'ordine per reprimere i cattivi attori che cercano di abusare di Tether e di altre criptovalute»

 

 

 

 

27.10.24
  1. MAFIA PADRONA :    Misure cautelari personali e sequestri emessi dal gip del Tribunale di Frosinone sono in corso di esecuzione nei confronti di un gruppo di persone gravemente indiziate di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione per l'aggiudicazione di appalti di lavori pubblici finanziati col Pnrr e per l'accoglienza dei migranti.

    E' l''esito di un'attività di indagine diretta dall'ufficio di Roma della Procura europea. A eseguire i provvedimenti investigatori della Polizia di Stato della Squadra Mobile di Frosinone e del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine di Roma .



    Fra gli indagati appartenenti all'organizzazione criminale, destinatari di arresti domiciliari e di misure interdittive, come il divieto di concludere contratti di collaborazione con la pubblica amministrazione., figurano imprenditori e professionisti delle province di Frosinone e Napoli, nonché funzionari e dipendenti di un Comune del frusinate. L'inchiesta rappresenta uno dei primi risultati delle attività investigative coordinate dalla Procura europea sul reato di corruzione legato a fondi Pnrr.
  2. Indagine della Dda, sei misure cautelari : "Rubavano informazioni riservate da banche dati strategiche" . Nella banda poliziotti, un finanziere e un giudice
    Arrestati gli hacker di Stato: "Spiati politici"

    Giuseppe Legato
    Monica Serra
    C'è anche un ex poliziotto, Carmine Gallo, con una società che si occupava di investigazione privata, tra i quattro arrestati finiti ai domiciliari col braccialetto elettronico. Interdittive sono state emesse invece nei confronti di un poliziotto in servizio e un finanziere. Tutti sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata all'accesso abusivo ai sistemi informatici e corruzione. Informazioni delicatissime che avrebbero riguardato anche politici, dati segreti e oggetto di indagini conservate nelle banche dati strategiche nazionali, come Sdi, Serpico, Inps, Anpr, Siva.
    Informazioni investigative ma anche fiscali e sanitarie "esfiltrate" con l'aiuto di hacker e consulenti, poi rivendute – sembrerebbe anche ai media – o usate per scambi di favori. Tra le persone coinvolte dalle indagini ci sarebbe anche un giudice milanese. La sua posizione, per competenza territoriale, è stata stralciata e inviata a Brescia.
    Per tutta la giornata di ieri la Direzione distrettuale antimafia di Milano, guidata dal procuratore Marcello Viola e la Direzione nazionale antimafia, diretta dal collega Giovanni Melillo, hanno coordinato perquisizioni e sequestri condotti dai carabinieri del nucleo investigativo di Varese in Italia e all'estero.
    Le indagini sarebbero nate da un filone di un'inchiesta antimafia anche se agli indagati non sarebbe contestata l'agevolazione mafiosa.
    Da quel che emerge, sono diverse le società di investigazione finite al centro delle indagini. Alcune sarebbero state anche sequestrate.
    Nell'inchiesta sarebbero coinvolti anche alcuni "esperti" informatici in forza a due società di consulenza lombarda utilizzata da più procure italiane in indagini tecnologicamente complesse incaricati da più uffici giudiziari di inoculare virus informatici (i cosiddetti "Trojan") nei cellulari di alcuni indagati. Almeno fino a poco tempo fa uno di questi lavorava per la Skp di Milano (ieri perquisita), ed era finito sotto la lente dei magistrati di Torino in un'inchiesta su presunti spionaggi industriali (tra i quali alcuni dipendenti della Kerakoll il colosso emiliano leader nella produzione di malte e collanti per l'edilizia) insieme ad altri due "procacciatori di affari" legati in qualche modo al gruppo.
    Un'indagine dai retroscena inquietanti. Perché quando i magistrati piemontesi danno incarico di inoculare un trojan sul cellulare di un indagato (un ex appartenente alle forze dell'ordine), l'operazione non va a buon fine. I riscontri dell'informatico ritardano ad arrivare ed è lì che gli inquirenti si insospettiscono. Riusciranno a ritroso a ricostruire – o almeno ad ipotizzare – che lo stesso "esperto" all'epoca in forza alla Skp avrebbe ricevuto la richiesta di "spiare" un colonnello dei carabinieri in forza alla procura del capoluogo e un brigadiere accedendo «abusivamente ai loro profili WhatsApp». Non due persone qualunque. Ma gli investigatori che avevano nominato l'informatico come "ausiliario di polizia giudiziaria" per poter contare sulle sue competenze in tema di «captatori informatici su smartphone».
  3. Medici senza frontiere
    Strage di bimbi a Khan Younis l'Onu: "Crimini atroci al Nord" No di Hamas alla tregua breve
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    Fabiana Magrì
    Elenchi, appunti, versetti coranici e conteggi. Sui fogli vergati a mano, strappati da un block notes con il logo dell'azienda palestinese Al Arqam Trading for Printing, Yahya Sinwar ha lasciato istruzioni ai suoi uomini sulla gestione degli ostaggi israeliani catturati il 7 ottobre del 2023.
    Il quotidiano palestinese Al-Quds ha pubblicato ieri le fotografie di tre pagine di carta attribuite al capo dei capi di Hamas. Li ha presentati come «le volontà del martire Sinwar ai combattenti e i dettagli scritti di suo pugno sui detenuti». Negli appunti, il regista del massacro nei kibbutz, nelle basi militari e al festival Nova – 1200 vittime israeliane e 251 persone rapite – si raccomanda di «prendersi cura della vita dei prigionieri nemici e tenerli al sicuro, poiché sono un'importante merce di scambio» per liberare i prigionieri palestinesi. Uno dei fogli svela la posizione – il centro di Gaza, la City e Rafah – di alcuni gruppi di ostaggi, senza farne i nomi ma con accuratezza di compilazione e dettagli sulle età, il sesso, le parentele di ciascuno. E con la suddivisione tra civili e soldati e tra persone di nazionalità straniera o con una seconda cittadinanza. Ci sono anche, sui fogli ritrovati, i nomi di 11 donne che furono rilasciate nella tregua di novembre.
    Dopo l'uccisione, lo scorso 16 ottobre, del leader assoluto di Hamas, sono ripresi i voli da un capo all'altro del Medio Oriente da parte dei capi delegazione di Israele e dei mediatori. Da un lato, riferisce Afp citando una fonte del gruppo, la fazione palestinese «ha espresso la sua disponibilità» e ha discusso con gli egiziani «idee e proposte» per un cessate il fuoco purché Israele si ritiri dalla Striscia, consenta il ritorno degli sfollati e consentire l'ingresso di aiuti umanitari a Gaza. Ma è presto – se così si può dire a un anno dalla prima e unica tregua di questo conflitto – per essere ottimisti. Perché un'altra fonte di Hamas, Osama Hamdan, ha dichiarato al notiziario Al-Mayadeen che non c'è stato alcun ammorbidimento. Anche il Canale 12 israeliano ha registrato la stessa rigidità da parte di Khalil al-Hiya, negoziatore per Hamas, che ha escluso di accettare una nuova proposta israeliana di un breve cessate il fuoco (10-12 giorni) in cambio del rilascio di 5 ostaggi e del lasciapassare per i suoi leader.
    Sebbene gli ingranaggi della diplomazia cerchino di rimettersi in movimento, non senza difficoltà, la guerra procede a ritmo incalzante. Tanto nella Striscia – dove il bilancio di Hamas dei morti ha raggiunto quota 42.800 – quanto in Libano – qui i morti sono oltre 2.500 –, con l'incognita dell'annunciato attacco israeliano all'Iran e le voci di una possibile azione preventiva iraniana. Teheran si sta preparando a una guerra con Israele, ma allo stesso tempo cerca di evitarla, secondo funzionari iraniani citati dal New York Times.
    Il Nord dell'enclave palestinese sta vivendo «il momento più buio», ha avvertito l'Onu, accusando Israele di «crimini atroci». Tsahal ha circondato l'ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia perché ritiene che vi si nascondano «terroristi e infrastrutture con armi». Uno sviluppo che il capo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha definito «profondamente inquietante». Negli scontri armati tra forze israeliane e miliziani palestinesi a Jabalia, l'esercito ha riportato la perdita di tre soldati.
    Medici Senza Frontiere ha invece denunciato l'uccisione di un membro del suo staff, Hasan Suboh, durante le operazioni militari notturne israeliane a Khan Younis, nel Sud di Gaza. Qui, secondo il ministero della Sanità di Hamas, l'attacco di Tsahal ha causato almeno 33 morti (la tv qatariota Al Jazeera ne riporta 38, citando fonti mediche locali), tra cui 14 bambini.
    Altrettanto violento è il confronto bellico tra Israele ed Hezbollah in Libano. Due morti e venti feriti è il bilancio dei soccorritori nell'attacco con razzi sul centro commerciale della cittadina araba di Majd al-Khorum, nel Nord dello Stato ebraico, rivendicato dal Partito di Dio. L'uccisione di 3 giornalisti in un attacco aereo israeliano su Hasbaya, nell'Est del Libano vicino al confine con la Siria è un «crimine di guerra» per il ministro dell'Informazione libanese.
  4. occupazione silenziosa
    Georgia

    Inviata a Khurvaleti
    Una mattina come tante la contadina georgiana Valia Vanishvili si è svegliata prima del solito con una strana sensazione. Ha aperto la porta di casa, nel villaggio di Khurvaleti, e ha scoperto che nella notte era stata inghiottita dalla Russia. Lei, il marito, le galline, l'orto, il frutteto, l'albero di melograno, la cuccia del cane, tutto era diventato russo. Nella notte i soldati avevano spostato il confine che divide l'Ossezia del Sud occupata e la Georgia, mangiandosi altra terra e innalzando una barriera di filo spinato con un cartello: «Confine di Stato, passaggio vietato». Dal 2020 Valia, che ha da poco compiuto 89 anni, vive grazie ai pacchi di cibo e medicinali che la guardia di frontiera georgiana e la figlia Nana, che vive a Tbilisi, le lanciano oltre il muro. Lei ormai esce poco, parla con un filo di voce dalla finestra, perché, dice «i russi sono nervosi». È vero: basta avvicinarsi troppo alla barriera che dal nulla spuntano soldati in mimetica, passamontagna e mostrine russe, il fucile puntato direttamente alla faccia.
    Nei 26 villaggi georgiani lungo la linea di demarcazione, tra cui Khurvaleti, l'occupazione russa avanza di qualche metro alla volta, nel cuore della notte, sempre in silenzio. Spesso inizia con una linea tracciata attraverso un campo, nastri sugli alberi che stabiliscono il confine, poi si scavano i fossati, i fossati diventano recinti, i recinti barriere di filo spinato. Quindi si materializza un cartello che sancisce il nuovo "confine" e torrette di guardia. I georgiani la chiamano «occupazione strisciante» e non in senso metaforico.
    Khurvaleti si trova al limite meridionale dell'Ossezia del Sud, regione separatista occupata dalle truppe russe dopo la "guerra dei cinque giorni" con la Georgia nel 2008, in quella che si è rivelata una prova generale per l'Ucraina. Da allora, quando i carri armati di Vladimir Putin entrarono nel Paese, i soldati russi hanno lentamente e silenziosamente invaso i territori dei loro vicini, spostando le linee di demarcazione militarizzate sempre più in profondità nel territorio georgiano. Valia Vanishvili, è una delle poche persone che continuano a vivere qui. Suo marito, Data, è morto nel 2021 e le ha lasciato un testamento in cui le chiedeva di non lasciare la casa. Valia resiste anche per lui: «Non possono uccidermi, e allora aspettano che muoia per prendersi la mia terra». Ogni tanto qualche georgiano sparisce nel nulla, qualcuno viene ucciso, come Tamaz Ginturi, del villaggio di Kirbali, che voleva solo pregare nella sua chiesa, poco fuori il villaggio, assorbita anche lei dall'occupazione in una notte come tante altre. Il 6 novembre le truppe russe lo hanno arrestato e poi gli hanno sparato. «Queste sono le persone più coraggiose della Georgia», ha detto ieri la presidente filoeuropeista Salome Zourabichvili, riferendosi a tutti i georgiani che si rifiutano di abbandonare terra e case per resistere all'avanzata russa. La vita, per loro e per Valia, è sempre più difficile: il punto di attraversamento più vicino è a 50 chilometri, ed è aperto 10 giorni al mese o secondo il capriccio degli occupanti. Una visita a un parente dall'altra parte della linea di demarcazione è un viaggio di andata e ritorno di 200 chilometri.
    Un tempo un villaggio densamente popolato, Khurvaleti è ora quasi deserto. La maggior parte delle case sono abbandonate, le finestre murate, le porte oscillano appese a cardini precari. Chi poteva se n'è andato: «Questo posto era pieno di gente», dice il poliziotto della guardia di frontiera, senza togliere gli occhi da un gabbiotto azzurro a 10 metri dalla casa di Valia: «Lì stanno i soldati russi e quelli dell'Fsb». Avverte di non stare troppo vicino alla barriera, e chiede a Valia di non uscire di casa: non potrebbe comunque, perché senza forze e malata: «Dopo l'invasione dell'Ucraina, Mosca ha spostato truppe ed equipaggiamento al fronte, ma quelli rimasti sono più nervosi». Ci sono pochi soldati nelle due basi militari costruite sulle colline su entrambi i lati di Khurvaleti, ma i georgiani temono che se la Russia dovesse vincere in Ucraina, le forze di Putin torneranno per dare un altro morso alla Georgia, forse per inghiottire l'intero Paese. «La Russia è già qui – dice l'agente –, controlla Ossezia del Sud e Abkhazia, un quinto del nostro territorio».
    Per questo, e per l'atmosfera incandescente e violenta del Paese, le elezioni in programma oggi, rappresentano una scelta che non prevede scale di grigi tra il governo in carica che tira verso Mosca e le opposizioni, che provano a orientare la barra verso l'Unione europea, in linea con il desiderio dell'80% dei georgiani. «Quelli rimasti sulla linea di demarcazione – spiega Ketevan, vicina di casa di Valia, ma ancora dalla parte georgiana del filo spinato – sono ormai vecchissimi come noi. Non resisteremo a lungo». Ricorda ancora i separatisti, i carri russi nel 2008, il periodo sovietico, la fame: «Siamo nelle mani dei giovani, della loro forza nuova: noi cosa possiamo fare se non continuare a coltivare la terra e aspettare?».
    Gli analisti militari hanno stimato che se i russi attaccassero dall'Ossezia del Sud, potrebbero tagliare la principale autostrada della Georgia in pochi minuti e raggiungere Tbilisi in un paio d'ore. Con le truppe di Mosca impantanate in Ucraina, tuttavia, la comparsa di carri armati russi nelle strade della capitale non è una minaccia immediata: «Il punto è che la Russia stia già prendendo il controllo del nostro Paese di nascosto – dice un militare georgiano – rubandoci la terra e la democrazia da sotto il naso senza nemmeno bisogno di carri armati».
  5.  La rabbia degli operai "Nessuna fatalità ignorati gli allarmi"
    Niccolò Zancan
    inviato a Bologna
    «Adesso basta», dice il sindaco Matteo Lepore. «Questo è un giorno di lutto e di sciopero. Noi staremo vicini alle famiglie dei lavoratori. Ma vorremmo che il mondo delle imprese rispondesse a questa ennesima tragedia sul posto di lavoro con qualcosa di diverso dalle solite pacche sulle spalle».
    Piove. Piove ancora. Continua a piovere su questi operai e su questi fiori al cancello della fabbrica. Bologna sta vivendo giorni tremendi. Non aveva ancora finito la conta dei danni della quarta alluvione negli ultimi due anni, quando tutti hanno sentito l'esplosione che ha ucciso due lavoratori e ne ha feriti undici nello stabilimento della Toyota Handling alla periferia di Borgo Panigale. La pioggia è una costante. C'è un nuovo allarme meteo. Qualcuno parla della partita del Bologna contro il Milan allo stadio Dall'Ara che dovrà essere rimandata per ragioni di prudenza, e qualcun altro invece parla della pioggia che è caduta sulla fabbrica nei giorni scorsi. C'è tantissima gente fuori dai cancelli. Sono venuti senza bandiere e senza striscioni. Sciopero. E lutto. «È successo anche qui, è successo anche a noi», dice un'operaia in lacrime. E mentre lo dice, viene giù ancora.
    Lavoravano a ritmo continuo. Producevano carrelli elevatori. La fabbrica non ha mai chiuso, nemmeno in quei giorni. L'inchiesta sull'esplosione che ha ucciso Fabio Tosi e Lorenzo Cubello, entrambi operai nel settore della logistica, si concentra su un punto preciso dello stabilimento. È la zona dei compressori. Sono come dei giganteschi boiler che alimentano l'impianto di climatizzazione della fabbrica. Sono piazzati fuori, ma molto vicini al capannone della logistica. Da lì è partita l'esplosione. Erano le 17.20 di mercoledì 23 ottobre. Proprio in quel momento, secondo diversi testimoni, è stato acceso per la prima volta l'impianto di riscaldamento.
    «Le cose da capire sono tante», dice il delegato per la sicurezza e sindacalista delegato Uilm Pino Sicilia. Lui ha perso due amici l'altro giorno, due compagni di lavoro. Ha tenuto la mano di Lorenzo Cubello mentre moriva. «La prima cosa che vorremmo sapere è questa. C'entra l'alluvione con l'esplosione? Intendo dire, c'entra tutta l'acqua caduta fra sabato e domenica con un possibile cortocircuito che ha fatto saltare il compressore?».
    Tutti ricordano che i locali sotterranei si erano allagati. E le tute, poi. «Molte tute da lavoro lunedì sono state portate al lavaggio perché erano fradicie di pioggia. La fabbrica continuava a produrre. È vero, non è stata questa la zona più colpita dall'alluvione. Ma ci chiediamo se tutta quella pioggia possa avere causato l'incidente».
    Mentre gli operai circondano i cancelli come per un ultimo abbraccio ai due compagni morti nell'esplosione, all'ingresso principale si presenta l'amministratore delegato Michele Candiani: «La nostra squadra di primo soccorso è entrata in azione immediatamente. Sono stati dei leoni, così coraggiosi. Hanno prestato subito soccorso e ho saputo che una persona si è salvata proprio grazie a loro, al loro intervento. Quindi, quello che vi dico, è che dopo l'esplosione ho visto un'evacuazione dello stabilimento molto ordinata, fatta da lavoratori addestrati. Ho visto la comunità Toyota, perché noi siamo una comunità, stringersi e sorreggersi l'un con l'altro». Gli domandano quando riaprirà la fabbrica: «Noi vorremmo farlo il prima possibile, ma deciderà la magistratura». Arrivano altre domande, l'amministratore delegato dice: «Oggi è la giornata del rispetto verso questi due poveri ragazzi che sono finiti così».
    Prima del disastro. Alla Toyota era in corso una vertenza sindacale sul tema della sicurezza. Discutevano di numeri di lavoratori necessari per tempi di produzione, discutevano di attrezzature antinfortunistiche e di ergonomia nella linea produttiva. Quello che è successo è stato qualcosa di totalmente diverso. All'esterno un gigantesco generatore è scoppiato per qualche ragione non chiara. Come una bomba, ha devastato il reparto più vicino, quello della logistica. «Non possiamo accettare l'idea della fatalità», dice Massimo Mazzeo di Fim Cisl. «Perché era proprio lì? Era segnalato nella mappa dei rischi aziendali? E ancora: la pioggia dell'alluvione può avere avuto un ruolo?», si domanda il sindacalista Pino Sicilia.
    Fra gli operai, ce n'è uno che un tempo aveva suonato con Lucio Dalla e scritto canzoni per Gianni Morandi. Si chiama Bracco Di Graci, da 25 anni lavora alla Toyota. Era lì dentro, fino a quindici minuti prima dell'esplosione. Dice questa frase senza appello, in quanto a esattezza: «Un'azienda si ripara, la vita no».
  6. SI TROVANO I SOLDI PUBBLICI PER TUTTO INACCETTABILE RITARDO Piano da 5 milioni per l'edilizia popolare, si tratta di appartamenti che erano inagibili. Gli ultimi lavori finiranno nel 2026
    Ristrutturazioni in 440 alloggi Atc Prime assegnazioni in lista d'attesa

    Pierfrancesco caracciolo
    Sono 440 nell'area metropolitana di Torino, di cui 250 nel capoluogo. È il numero degli alloggi popolari sfitti che Atc, nei prossimi mesi, metterà a disposizione delle famiglie in lista d'attesa. Si tratta di appartamenti vuoti perché alle prese con problemi strutturali e, di conseguenza, dichiarati inagibili. L'agenzia per la casa, a partire dal 2021, ha iniziato a ristrutturarli, operazione che chiuderà alla fine del prossimo anno.
    Gli interventi di restyling sono finanziati con 5 milioni, risorse in arrivo da tre fonti: il Pnrr, il fondo Cipess (comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) e quello ex Gescal. Le prime assegnazioni sono partite nei giorni scorsi, quando sono state ultimate le ristrutturazioni. Andranno avanti fino al 2026, dopo la fine degli ultimi lavori e il rilascio degli attestati di agibilità.
    L'operazione permetterà ad Atc di coprire il 5% del fabbisogno di appartamenti nell'area metropolitana di Torino. Sono infatti 8.559, a oggi, le famiglie che hanno fatto domanda per una casa popolare salvo non essere state ancora accontentate (di queste, 6.038 nel capoluogo piemontese). I 440 di cui sopra non sono gli unici alloggi popolari sfitti perché in condizioni strutturali precarie. A questi, nell'area metropolitana, se ne aggiungono 1.182, la metà a Torino. Resteranno vuoti ancora per un po' perché Atc, al momento, non ha le risorse per ristrutturarli. Il tutto, su un patrimonio immobiliare di edilizia sociale che a Torino e provincia conta 28.422 appartamenti, di cui 17.869 nel capoluogo.
    Il piano straordinario di ristrutturazione rientra in una più profonda operazione e di riqualificazione dell'edilizia sociale di Torino e provincia, a cura di Atc. Si tratta di un maxi progetto da 500 milioni di euro, avviato nel 2021, che si chiuderà il prossimo anno. Con queste risorse, in gran parte in arrivo dal bonus al 110, è in corso la ristrutturazione di 200 stabili Atc, per un totale di 7 mila alloggi. Si tratta di lavori di diversi tipi, che coinvolgono infissi interni ed esterni, caldaie, cappotti termici, ascensori e barriere architettoniche.
    Il piano è stato presentato ieri in corso Dante. Sono intervenuti Luigi Brossa, direttore generale Atc, Emilio Bolla, presidente dell'ente, il vicepresidente Fabio Tassone e l'assessore regionale alle politiche della Casa Maurizio Marrone. I lavori di riqualificazione, negli stabili coinvolti, produrranno un risparmio energetico del 50%, che si tradurrà in un dimezzamento dei costi in bolletta per gli inquilini. All'atto pratico, ogni famiglia risparmierà circa 500 euro all'annoa donna: "senza lavoro, non so dove andare"
    L'odissea di Caterina "Bassa in graduatoria ora dormo per strada"

    Da un rifugio di fortuna all'altro. Spesso per strada, qualche volta nei dormitori, più raramente a casa di amici. Sono scandite dalla ricerca di un posto in cui dormire le giornate di Caterina P. , 49 anni, e del figlio di 21. È così dal dicembre 2023, data in cui entrambi erano stati allontanati dal loro alloggio in via Stradella, quartiere Madonna di Campagna. Lo scorso agosto madre e figlio avevano presentato domanda per fare ingresso in una casa popolare, salvo scoprire di aver imboccato una strada in salita. Entrambi maggiorenni, sono stati inseriti in graduatoria, ma con un punteggio basso. Per il momento, è stato spiegato loro, dovranno aspettare. Un'attesa che, ragionevolmente, sarà tutt'altro che breve.
    Caterina, separata da oltre un decennio, fino al 2020 aveva lavorato al Golden Palace hotel. Era addetta alle pulizie delle camere, con contratto a gettone. Poi era arrivato il Covid. Le attività dell'albergo dei vip si erano fermate. E lei era rimasta senza lavoro. Dopo aver ricevuto i primi ristori del governo, era andata a caccia di un nuovo impiego, senza trovarne uno stabile. Una buona fetta del denaro familiare, inoltre, veniva giocoforza destinato al figlio, che nel frattempo si stava diplomando. Per diverso tempo, in queste condizioni, per loro era stato impossibile pagare le spese condominiali. Così era arrivato il pignoramento dell'alloggio, su input dell'amministratore di condominio. E per loro, dieci mesi fa, la strada.
    Il figlio, dopo di allora, è stato costretto a interrompere gli studi. «Di tanto in tanto va a dormire dal padre, altre dagli amici o dalla ragazza» racconta Caterina. Per la mamma è più complicato. Per tre mesi si è rifugiata nel dormitorio del Cottolengo. Poi, quando le temperature si sono alzate, ha scelto i portici del centro. «Perché ho atteso otto mesi prima di fare domanda per un alloggio popolare? Mi avevano assicurato – spiega – che sarei rientrata tra gli aventi diritto a un appartamento nell'ambito del piano per le persone in emergenza abitativa». Ma le cose non erano andate così. E ora? «Piove quasi tutti i giorni, le giornate sono sempre più fredde. E io non so dove andare.

 

 

26.10.24
  1. UN GOVERNO CHE NON RAPPRESENTA PIU' IL PAESE : Il ministro e l'uomo di Fazzolari
    una faida tra nomine e parenti
    ilario lombardo
    roma
    Bisogna prendere un bel respiro per entrare in questo ennesimo racconto familiare dentro il partito monolite di Giorgia Meloni. Bisogna intrecciare i nomi e tenerli a mente per ricostruire una vicenda che ha assunto i contorni di una faida. La famiglia è la matrice della gestione del potere della premier, della scelta della sua classe dirigente e della rete di fedelissimi. Il ministero della Cultura è un osservatorio perfetto di questa mescolanza di sangue e cosa pubblica, di appartenenza e finanziamenti, di cognomi che si ripetono e consulenze che si sommano.
    Partiamo da uno di questi cognomi: Merlino. Emanuele Merlino è il figlio di Mario, militante Avanguardia Nazionale, coinvolto e indagato – poi assolto - nell'inchiesta su Piazza Fontana. Emanuele – che nella sua biografia risulta essere attore, sceneggiatore e scrittore - è stato il coordinatore del dipartimento Cultura di Fratelli d'Italia nel Lazio, poi promosso a capo della segreteria tecnica di Gennaro Sangiuliano. È l'uomo di collegamento tra il Mic e Palazzo Chigi. Quando Giovanbattista Fazzolari, il risolvi-grane che Meloni ha voluto in una stanza accanto alla sua, deve chiamare per capire cosa sta succedendo al ministero è il numero di Merlino che digita. Ad Alessandro Giuli è bastato varcare la porta del suo nuovo ufficio, appena preso il posto di Sangiuliano, per capirlo. Per capire che non avrebbe avuto vita facile, che sarebbe stato controllato, indebolito, commissariato. È questo il senso di quel «lasciatemi lavorare» pronunciato l'altro ieri di fronte al sottosegretario Alfredo Mantovano. A Palazzo Chigi, Giuli non incontra né Fazzolari, né Meloni. Ma parla con il referente dei Pro-Vita, i crociati anti-gay che hanno infiammato il partito contro Giuli dopo la scelta di Francesco Spano come capo di gabinetto.
    Merlino riferisce ogni cosa a Fazzolari, come faceva durante il feuilleton estivo tra Sangiuliano e la sua amante, Maria Rosaria Boccia. Ma fa anche altro. Gestisce da ministro-ombra le stanze del MiC, cerca di imporre nomi e si fa artefice di un repulisti che Giuli, in gran parte, subisce. Sono due fonti che raccontano alla Stampa quanto segue. Una è del ministero, un'altra è del partito. Giuli non sceglie Spano a caso. Ha lavorato con lui al Maxxi, si è trovato bene e, nonostante le radici politiche opposte, si fida. Ma sa perfettamente che cosa provocherà la sua nomina, e come torcerà le budella di Fazzolari e di gran parte di FdI che, a partire da Meloni, lo aveva combattuto quando sotto il governo Renzi fu costretto a dimettersi da presidente dell'Ufficio nazionale contro le discriminazioni. Giuli porta con sé due persone dal Maxxi. Uno è Spano, l'altra è Chiara Sbocchia, dal primo ottobre capo della segreteria al posto di Narda Frisoni, che rimarrà fino a dicembre come consigliere per le pubbliche relazioni. Così Giuli aveva costruito il suo fortino, mentre la paranoia da spie che attanaglia Palazzo Chigi dopo il pasticcio di Sangiuliano travolgeva funzionari e dirigenti. Vengono fatti fuori, trasferiti o ridimensionati Antonio Di Maio (ex segretario particolare), Gianluca Lopes (del cerimoniale), Renato Narciso, Dario Sigfrido Renzullo, Maria Veronica Izzo, Carla Costante.
    La purga ministeriale è affidata a Merlino e a Stefano Lanna, un dirigente del gabinetto che Sangiuliano stimava molto, al punto da volerlo promuovere direttore generale degli Archivi italiani, un tentativo che frana di fronte al no della Corte dei Conti. Giuli vede che Merlino e Lanna si muovono in asse, con un'autonomia lasciata in eredità dal predecessore. I sospetti diventano quotidiani. Le ragioni dei dissidi vanno ricercati nelle nuove nomine. A dicembre scade il mandato di Andrea Petrella, portavoce di Sangiuliano. Per sostituirlo, Giuli si orienta su Fabio Tatafiore, direttore della comunicazione di Utopia, società con cui ha lavorato al Maxxi. Merlino, invece, insiste su un'altra formula: vorrebbe far salire di grado all'ufficio stampa Salvatore Falco, giornalista già in forza allo staff, e affidare la comunicazione a Michele Bertocchi, il social media manager autore dello scivolone su Napoli «fondata due secoli e mezzo fa» pubblicato sul profilo di Sangiuliano. Come testimoniano le chat che abbiamo potuto vedere, Bertocchi ha continuato a lavorare sui social, nonostante il ministro ne avesse annunciato le dimissioni.
    Sta di fatto che a Giuli non va giù di non avere il controllo sul proprio ministero. Chi sopravvive al reset è automaticamente considerato manovrato da Palazzo Chigi. E così Giuli cerca di limitare Merlino e Lanna, per inviare un messaggio a Fazzolari. Lanna è il fratello di Luciano, giornalista in varie testate di destra, ex Secolo d'Italia, nominato da Sangiuliano direttore del Centro per il libro il 21 dicembre del 2023. Ma la rete familiare del clan Meloni è molto più estesa. Al MiC c'è anche Claudia Ianniello, anche lei intoccabile per volontà di Meloni: è la sorella di Giovanna, portavoce storica della presidente del Consiglio, ed è pure la moglie di Paolo Quadrozzi, altro storico collaboratore dell'ufficio stampa, finito alle dipendenze di Mantovano a Palazzo Chigi.
    Tutti si conoscono da tempo, tutti in qualche modo incrociano le loro biografie di militanti della destra romana, cresciuti assieme fino alla conquista del governo. La parentopoli è ampia e trasversale, perché lo stesso Giuli ha una sorella, Antonella, che con la famiglia Meloni lavora da tempo. Prima come portavoce di Francesco Lollobrigida, ormai ex cognato della premier, poi come assistente di Arianna, sorella di Meloni ed ex moglie di Lollobrigida, mansione di partito che Giuli (sorella) svolge mentre è inquadrata come dipendente dell'ufficio stampa istituzionale della Camera dei Deputati. Due giorni fa è stata beccata dai cronisti in Transatlantico a urlare contro Federico Mollicone, deputato di FdI, presidente della commissione Cultura, un altro che non ama Giuli (fratello) . La faida è una degenerazione del familismo. E qui nessuno ne sembra immune.
  2. LA MELONI NON E' PIU UNA CALAMITA DI VOTI :   Ranucci di Report: "Mostreremo come ha gestito il museo, ma la fonte non è Sangiuliano" Nel dossier la milit anza in organizzazioni neonaziste e gli incarichi a gente di famiglia
    "Curatori cacciati su due piedi e nomine vicine ai vertici Fdi Un altro caso Boccia al Maxxi"
    irene famà
    roma
    Militanza in organizzazioni neonaziste e saluti romani, incarichi ai familiari, sgambetti per favorire gli amici degli amici. «La vicenda Spano è una piccola parte di quello che racconteremo domenica a Report». Il giornalista Sigfrido Ranucci a "Un Giorno da Pecora" lo dice chiaro: «C'è un altro caso che riguarda il ministro Giuli». E in vista della trasmissione su RaiTre annuncia un'inchiesta a 360 gradi sul ministero della Cultura. Questioni di eleganza, di opportunità politica. E non solo.
    Proprio la gestione del Maxxi, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo, sembra essere al centro della puntata che stila un bilancio dei due anni di presidenza di Alessandro Giuli. «Il problema è: in base a quali requisiti è stato nominato ministro della Cultura? Mostreremo alcune cose che ha fatto in passato e come ha gestito il Maxxi», annuncia Ranucci. Si parlerà del crollo dei biglietti delle sponsorizzazioni, della gestione dei progetti lasciati in eredità dalla precedente amministrazione, di un finanziamento da due milioni e mezzo di euro per un progetto di rigenerazione urbana con la Sony rimandato indietro per organizzare una mostra sul Vittoriale degli Italiani. Evento, dicono i ben informati, finanziato dal ministero delle Imprese con due milioni di euro ed esposto al Maxxi per cinque giorni.
    «Sveleremo un nuovo caso Boccia», dice il conduttore. Che aggiunge: «Sangiuliano non c'entra, non è una nostra fonte». E ancora. «Forse chi non ama Giuli in Fratelli d'Italia, ora lo amerà ancora meno. .. Mostreremo alcuni episodi in cui ha avuto anche un certo ruolo all'interno di questo secondo caso Boccia». E c'è un altro evento, in cui il ministro Giuli sembra aver ricoperto una posizione centrale. Si tratta della mostra sul Futurismo, in programma a dicembre alla Galleria nazionale d'arte moderna (Gnam) di Roma e al centro delle polemiche da più di un mese. Avrebbe dovuto essere il più grande evento culturale del governo Meloni, per ora pare caratterizzato da rivalità e interessi interni. C'era un curatore, Gabriele Simongini, a cui nel 2022 diede l'incarico l'allora ministro Gennaro Sangiuliano. Insieme al co-curatore Alberto Dambruoso e al comitato scientifico, si mise subito al lavoro. Poi venne esautorato. Perché? Il suo curriculum, pare, non era considerato all'altezza. Secondo l'inchiesta di Report, dietro questa scelta ci sarebbero in realtà forti pressioni da parte di alti dirigenti di Fratelli d'Italia che avrebbero favorito un famoso gallerista molto vicino al partito. Visto in alcune occasioni, così raccontano, a fare il saluto romano.
    L'attuale ministro della Cultura ha sempre difeso il suo «pedigree di destra, con nonno monarchico che andò a Salò». Parole sue. E la puntata di Report ricostruisce anche la sua militanza giovanile nell'organizzazione neonazista Meridiano zero con un'intervista al fondatore Rainaldo Graziani, figlio dell'esponente di Ordine Nuovo Clemente Graziani.
    Al centro dell'inchiesta, poi, l'ormai nota vicenda di Francesco Spano, avvocato pisano di 47 anni, sino all'altro ieri capo di gabinetto del Mic. Dopo solo dieci giorni, è stato costretto alle dimissioni: mentre era segretario generale del Maxxi, suo marito, l'avvocato Carnabuci, sposato pochi mesi fa, fu riconfermato tra i collaboratori retribuiti. Non è la prima volta che Spano finisce al centro della bufera. E pure nel 2017, per una vicenda di finanziamenti svelata da Le Iene (la Corte dei conti sancì successivamente la legittimità degli atti), era stato costretto alle dimissioni. Faccende passate: così deve aver pensato Giuli. Che, sin dal suo insediamento, l'ha voluto al suo fianco. Nonostante le critiche.
    Ed è in questo contesto che si inserisce un'altra querelle. Il senatore di Italia Viva Ivan Scalfarotto attacca la trasmissione di RaiTre: «Ha pompato il presunto scandalo "al maschile" utilizzando in modo deliberato una unica leva: la morbosità omofoba». Immediata la risposta di Ranucci: «Non sa di cosa sta parlando». —
  3. MODELLO ITALIANO PER LA TOYOTA: L'esplosione dal climatizzatore "Un solo boato ed è saltato tutto"
    I punti chiave

    monica serra
    inviata a bologna
    «È stata una bomba, è successo tutto in quattro minuti»: Pino Sicilia, responsabile per la sicurezza della Uilm, è stato tra i primi operai a soccorrere i colleghi. Trattiene le lacrime mentre racconta: «È stato il finimondo. È saltato tutto: pareti, uffici, reti». Non ci sono state fiamme, non c'è stato alcun preavviso in questo capannone devastato della Toyota Material Handling di Borgo Panigale, alle porte di Bologna, che da una vita produce carrelli elevatori. Alle 17,20 di mercoledì pomeriggio, solo uno scoppio tremendo che non ha lasciato scampo.
    In base ai primi accertamenti, tutto sarebbe partito da una componente del grande impianto di climatizzazione all'esterno del capannone. Era collegato a un grosso tubo, uno scambiatore che ora non c'è più: si sarebbe disintegrato nello scoppio. Secondo una prima ipotesi, quel tubo si sarebbe caricato di energia al punto da saltare in aria. In un istante. L'onda d'urto ha divelto il cemento e distrutto quello che ha incontrato. La parete del capannone davanti è precipitata addosso agli operai del secondo turno. Pezzi di muro, vetri e altri detriti sono stati trovati anche a decine di metri di distanza.
    All'arrivo dei vigili del fuoco per l'operaio trentasette Lorenzo Cubello non c'era più nulla da fare. Il suo corpo senza vita è stato estratto dalle macerie, mentre fuori continuavano ad arrivare i colleghi. Quelli del «turno giornaliero» erano usciti mezz'ora prima. «Quelli che abitano qui vicino hanno sentito lo scoppio da casa e si sono precipitati qui» racconta un operaio davanti ai cancelli della multinazionale vicino ai mazzi di fiori in fila, uno accanto all'altro. In fin di vita è stato trasportato in ospedale Fabio Tosi di 34 anni, ma i medici non hanno potuto fare nulla per lui: è morto poco più tardi. Entrambe le vittime lavoravano nel settore della logistica, con la mansione di «asservitori delle linee di produzione», in pratica trasportavano i pezzi da assemblare fino alle linee. Degli undici feriti più gravi, quattro sono ancora ricoverati: uno di loro è in Rianimazione.
    Con i carabinieri, i vigili del fuoco e la Asl, si è tenuto ieri mattina un sopralluogo della procuratrice aggiunta Morena Plazzi e della pm Francesca Rago che hanno aperto un fascicolo d'inchiesta per omicidio e lesioni colpose per ora contro ignoti. «Il primo passo – spiega il procuratore facente funzioni Francesco Caleca – sarà l'autopsia sui corpi delle vittime. Dopo disporremo tutte le consulenze tecniche necessarie». Qualche testimone ha raccontato che i riscaldamenti erano stati attivati per la prima volta proprio mercoledì, ma gli investigatori stanno cercando ulteriori conferme e verificando se la manutenzione fosse in regola. Subito sono state acquisite le immagini delle telecamere di sorveglianza e raccolte le testimonianze degli operai e degli impiegati presenti negli uffici che pure sono stati danneggiati dallo scoppio. Tutta l'area è stata messa sotto sequestro.
    «Mai avuto un sentore, mai un problema così serio. Lo sciopero di due ore a fine turno che avevamo indetto prima della tragedia riguardava altre questioni relative all'organizzazione del lavoro. Questo è uno stabilimento con un alto livello di contrattazione interna e con strutturate relazioni sindacali» spiega Giovanni Verla della Fiom Cgil al termine dell'incontro con l'azienda che si è tenuto nel pomeriggio. I responsabili hanno fatto sapere di avere già attivato la cassa integrazione per tutti e 900 i dipendenti: «Abbiamo chiesto per tutti la continuità salariale con una integrazione del cento per cento dello stipendio. Si sono riservati e ci sarà un nuovo incontro martedì. Al momento ovviamente non sono prevedibili tempi di ripresa».
    Nel frattempo, oggi è stato indetto uno sciopero e non solo davanti alla Toyota Material Handling: «Metalmeccaniche e metalmeccanici della regione incroceranno le braccia, per dire basta alla strage quotidiana di donne e uomini che escono di casa per lavorare e non vi fanno ritorno. La dimensione di questa tragedia ci sconvolge tutti», si legge in una nota congiunta dei sindacati. «Vorrei ricordare che 20-30-40 anni fa il metodo Toyota nel mondo era stato considerato uno dei metodi centrali perché era una delle imprese all'avanguardia con zero infortuni e zero morti. È evidente che occorre un nuovo modello per fare impresa», è il commento segretario della Cgil Maurizio Landini. —
  4. GOVERNO ASSENTE . A QUANDO LA SFIDUCIA ? "La patente a punti non salva i lavoratori È solo burocrazia"
    claudia luise
    «Con la patente a crediti si fa solo sicurezza di carta». Bruno Giordano è un magistrato di lunga esperienza, oggi lavora alla Corte di Cassazione. Ha insegnato Diritto della sicurezza del lavoro all'Università di Milano e ha ricoperto la carica di direttore dell'Ispettorato nazionale del lavoro. Analizza criticamente il provvedimento entrato in vigore a inizio mese ricordando la scia di morti sul lavoro da inizio anno: come certifica l'Inail «le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate nei primi otto mesi del 2024 sono state 680, 23 in più rispetto al pari periodo del 2023». L'edilizia resta uno dei settori più colpiti.
    Quali sono gli aspetti critici della patente a credito per le imprese?
    «Non è una misura di prevenzione in materia di sicurezza. È solo un'autocertificazione che devono fare le imprese per lavorare in cantiere. Ribadisco, una mera certificazione di essere in regola con il Durc e con tre obblighi: formazione, documento di valutazione del rischio e nomina del responsabile del servizio di prevenzione».
    Nessun obbligo aggiuntivo?
    «Questi obblighi non sono nuovi, risalgono al provvedimento del 19 settembre del 1994. È una norma che esiste da 30 anni. Non c'è nessun adempimento materiale o organizzativo aggiuntivo, ma solo burocratico. Un'autocertificazione del genere non aggiunge nulla al tema della sicurezza: l'azienda, inoltre, riceve in automatico la patente».
    Non ci sono controlli?
    «I contenuti del certificato dovrebbero essere verificati dall'ispettorato ma si attendono 830 mila domande e per controllarle tutte andando in azienda ci vorrebbero circa 12 anni. È ovvio che si tratta solo di un ping pong di pec. Inoltre il decreto ministeriale di Calderone è stato emesso il 18 settembre e la circolare dell'ispettorato il 24 settembre, quindi cinque giorni prima di entrare in vigore. Un periodo troppo breve per le pmi che devono provvedere all'autocertificazione. Alle imprese, che sono soprattutto piccole o micro, sta costando circa 160 milioni in consulenze».
    Le pene previste per le imprese non in regola sono congrue?
    «Il decreto ministeriale ha aumentato il punteggio da 30 a 100. La morte di un lavoratore porta alla decurtazione di 20 punti. Inoltre la decurtazione avviene solo sulla base di una sentenza definitiva e a volte ci vogliono anche otto anni. È chiaro che così non ha nessuna efficacia deterrente, nemmeno nei confronti delle peggiori aziende che possono aggirare la norma cambiando ragione sociale. E poi tra i requisiti stabiliti non è previsto nulla che riguardi gli appalti e così non si tocca il punto dolente: più si scende nella catena dei subappalti più la sicurezza è precaria. C'è anche un ultimo punto».
    Quale?
    «L'attualità degli obblighi. L'impresa dichiara oggi di avere requisiti ma domani potrebbe non averli più».
    Cosa servirebbe?
    «Una verifica preliminare, una certificazione di qualità delle imprese che sia affidata a controllori esterni. Se voglio la patente di guida devo sostenere un esame e presentare un certificato medico. Nessuno mi permetterebbe di guidare solo sulla base di una mia dichiarazione in cui dico che so farlo».
    Altro?
    «Il 90% degli infortuni avviene nelle Pmi. Queste aziende devono essere aiutate a promuovere la sicurezza dal punto di vista organizzativo e formativo da parte del governo e delle associazioni di categoria».
    Bisogna aumentare gli ispettori?
    «Certo, ma anche elevare la qualità delle ispezioni con un coordinamento tra tutti gli enti preposti. Inoltre serve una strategia mirata di attività ispettive nei settori a maggior rischio. Non è il numero che ci interessa ma la qualità». —
  5. IL PATTO FRA ISRAELE ED IL DIAVOLO: Nord della Striscia sotto assedio. Domenica riprendono colloqui per una tregua
    Gaza, scuola rifugio colpita da un missile "Uccisi nove bimbi"

    Mohammed Obeid
    nello del gatto
    gerusalemme
    Riprenderanno domenica a Doha i colloqui per tregua e liberazione ostaggi da Gaza. La delegazione israeliana sarà guidata dal capo del Mossad David Barnea e incontrerà nella capitale del Qatar il premier locale, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e il capo della Cia William Bunrs, oltre al nuovo capo dei servizi egiziani Hassan Rashad. Dopo l'uccisione a Gaza del capo di Hamas Yahya Sinwar, Israele ha ripreso i contatti con l'Egitto. La visita del segretario di stato americano Blinken ha spianato la strada.
    Arrivano anche segnali da Hamas. Uno dei membri del suo ufficio politico, Mousa Abu Marzook, è volato a Mosca, dove ha incontrato il vice ministro degli esteri Mikhail Bogdanov. Abu Marzouk ha chiesto alla Russia di impegnarsi per favorire un governo di unità nazionale tra le diverse fazioni palestinesi per il post guerra a Gaza. In cambio, Hamas ha promesso che i primi due ostaggi ad uscire dalla striscia saranno due soldati che hanno la doppia cittadinanza israeliana e russa, Alexander Trufanov e Maxim Herkin. Per questo, secondo media arabi, una delegazione russa sarebbe già arrivata ieri in Israele per discutere i dettagli. Putin ha offerto il suo aiuto per far finire la guerra.
    Che invece continua cruenta nella Striscia di Gaza. Nei venti giorni di violenti combattimenti al Nord, secondo fonti palestinesi, ci sono state più di 700 vittime. In un attacco israeliano a Nuseirat, nel centro della Striscia, contro l'ex scuola Shuhadaa divenuta rifugio di sfollati, sono state uccise 17 persone tra le quali, secondo Al Jazeera, nove bambini, mentre 52 sono rimaste ferite. Secondo il portavoce del governo di Gaza, questo è il 196mo centro dove hanno trovato rifugio gli sfollati a essere colpito dall'inizio della guerra.
    L'esercito ha spiegato di aver colpito la scuola di Nuseirat poiché un gruppo di Hamas vi operava dall'interno per pianificare e portare a termine attacchi contro le truppe e Israele. I militari riferiscono di aver preso misure per mitigare i danni ai civili nell'attacco e accusa Hamas di usare siti civili per il terrore.
    Nel Nord sotto assedio, la situazione più difficile si registra all'ospedale Kamal Adwan, che secondo il direttore Hussam Abu Safia, è stato attaccato dalle truppe israeliane. I palestinesi denunciano che le stazioni di desalinizzazione e pompaggio dell'acqua sono ferme a causa della mancanza di carburante. Circa 400.000 sono i rifugiati nella zona, alcune decine dei quali hanno cominciato a lasciare l'area. Nessun camion di aiuti sarebbe entrato da settimane.
    Dati che l'esercito respinge. Secondo il Cogat, l'ufficio dei militari che si occupa dei Territori palestinesi, il 22 ottobre sono entrati 104 camion con aiuti umanitari, 20 dal valico settentrionale, gli altri a Kerem Shalom, a Sud. Martedì sono entrate anche sei cisterne di carburante. Altri 36 camion sono entrati dall'ingresso 96 che porta direttamente al Nord. Oggi dovrebbe partire da Genova la nave che trasporterà la prima fornitura dei 15 camion di aiuti che l'Italia spedisce nella Striscia nell'ambito del suo programma Food for Gaza.
    Secondo la rete saudita Al-Arabiya, l'inviato speciale degli Stati Uniti Amos Hochstein e il presidente del parlamento libanese Nabih Berri hanno concordato una bozza di accordo per un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah basato sulla risoluzione Onu 1701. Il fronte resta però molto caldo, con gli attacchi israeliani sul Libano e centinaia di razzi lanciati verso Israele. Quattro i militari israeliani morti nel sud del paese dei cedri. —
  6. IL PATTO DEI BRICS : acqua
    dell'
    Il ricatto

    taipei
    Lo chiamano il monte Everest dei fiumi. È il corso d'acqua più alto al mondo, con una media di quattromila metri. Corre tra Tibet e Himalaya, prima di fare una drammatica inversione a U e scendere vertiginosamente di 2700 metri attraverso tunnel e canyon, confluendo nel Brahmaputra. Il fiume in questione si chiama Yarlun Tsangpo e potrebbe presto diventare il fulcro di una disputa tra i due Paesi più popolosi della terra: Cina e India. Nei giorni scorsi, è stato annunciato un accordo per la gestione della sezione occidentale dell'enorme confine conteso, utile a spianare la strada al primo bilaterale ufficiale in 5 anni tra Xi Jinping e Narendra Modi. Al summit dei Brics di Kazan, il presidente cinese e il premier indiano hanno detto di voler normalizzare i rapporti. Ma la sensazione è che non sarà semplice evitare acque burrascose, anche a causa proprio delle risorse idriche.
    Pechino sarebbe vicina a completare lo studio di fattibilità per la costruzione della mega diga di Motuo, che i media indiani chiamano enfaticamente "la madre di tutte le dighe". Del progetto si parla da tempo, ma il cambio di marcia è arrivato nel 2021, quando nell'ultimo piano quinquennale del Partito comunista è apparso l'obiettivo strategico di «sfruttare il potenziale idroelettrico del corso inferiore dello Yarlun Tsangpo». Dettaglio chiave: ci si trova nelle immediate vicinanze della sezione orientale del confine conteso. Il fiume corre come un serpente in corrispondenza della cosiddetta "linea di controllo effettivo" tra i due giganti asiatici, e la diga dovrebbe sorgere nella prefettura di Nyingchi. È qui che l'altitudine dello Yarlun Tsangpo precipita, dirigendosi nell'Arunachal Pradesh, lo stato indiano rivendicato dalla Cina col nome di Tibet meridionale. Dagli anni Cinquanta, la Cina ha costruito oltre 20 mila dighe di altezza superiore ai 15 metri, tra cui la più grande centrale idroelettrica del mondo: la diga delle Tre Gole sul fiume Azzurro. Nulla in confronto alla Motuo, che potrebbe essere in grado di generare tra i 40 e i 60 gigawatt di energia, circa il triplo delle Tre Gole. L'impresa sarà tutt'altro che semplice: la zona è molto attiva a livello sismico e c'è un elevato rischio di frane. Ma completare l'opera avrebbe una duplice valenza. Primo: contribuirebbe a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060. Secondo: garantirebbe energia per una regione strategica come il Tibet, che Pechino mira a stabilizzare e assimilare anche e soprattutto attraverso lo sviluppo economico.
    L'India è però preoccupata che la diga possa diventare una straordinaria arma politica. Stando a valle, Nuova Delhi teme che Pechino possa controllare il flusso del fiume, trattenendo o rilasciando acqua. Con conseguenze potenzialmente notevoli su economia, sicurezza alimentare e rapporti di forza. La Cina sostiene di non avere intenzione di deviare l'acqua, ma questo non ha placato le preoccupazioni dell'India, che sta lavorando a una "contro diga" da 11 mila megawatt sul fiume Siang. L'obiettivo è creare uno stoccaggio d'acqua sufficiente a ridurre l'impatto di una eventuale crisi idropolitica. I rischi al confine sino-indiano sono particolarmente accentuati, visto che l'area conserva una delle maggiori risorse idroelettriche non sfruttate del pianeta, mentre la tensione alla frontiera resta irrisolta. Nel giugno 2020 e novembre 2022 ci sono stati i primi scontri tra truppe dei due Paesi dal 1975, con diverse decine di morti da entrambe le parti. Prima della parziale distensione dei giorni scorsi, Xi ha dato uno smacco a Nuova Delhi non presentandosi al G20 indiano del 2023, e nel frattempo lavora all'ampliamento della rete stradale nella regione e ha fatto rinominare in mandarino alcune località sotto controllo indiano. Modi ha previsto l'invio di migliaia di nuovi soldati, fa costruire nuove strutture e cerca il sostegno dei mezzi tecnologici degli Stati Uniti. Difficile immaginare che la nuova intesa, la cui portata e tenuta restano tutte da verificare, possa cancellare questi sviluppi ed evitarne di nuovi. Anche perché sullo sfondo, oltre all'acqua, resta anche la spinosa vicenda della successione del Dalai Lama, su cui sia il governo tibetano in esilio che il Partito comunista rivendicano il diritto di scelta. Tenzin Gyatso si trova da decenni proprio in India e negli ultimi anni è stato spesso inviato non lontano dalla frontiera. Pechino, che lo considera un separatista, teme che la questione possa essere usata dall'India per creare instabilità in Tibet. Tra tutti questi ingredienti, l'acqua potrebbe diventare il principale. D'altronde, diversi esperti prevedono che in futuro l'accesso alle risorse idriche sarà più importante di quello a petrolio e gas, diventando dunque il fulcro della competizione globale tra Paesi. —
  7. Mafia, il reggente della Cisl "Mai più un caso Ceravolo"
    giuseppe legato

    Dall'altroieri è il reggente della Filca Cisl Torino, sindacato nella bufera per l'arresto poche settimane fa del rappresentante dell'iscritto Domenico Ceravolo con l'accusa di mafia. Enzo Pelle, segretario nazionale della sigla degli edili: «Da noi si è verificato un problema, dobbiamo averne coscienza affinchè non ricapiti più. Ho fatto il sindacalista di strada in territori dove il fenomeno della ‘ndrangheta e credo che questa esperienza mi sarà utile in una situazione come quella che si è vissuta a Torino dove – a dire il vero, non mi aspettavo che potesse capitare. Posso garantire che qui c'è un gruppo sano che va però aiutato ad avere una maggiore sensibilità sul tema».
    Segretario Pelle, sarà una reggenza breve o lunga?
    «Non sarà una parentesi corta. Quando lascerò sarà perché sono convinto che gli obiettivi che ci eravamo prefissati saranno stati raggiunti. Tutti».
    Ecco, che obiettivi ha fissato per superare questo momento?
    «Ritrovare maggiore attenzione su comportamenti, linguaggi e valutazioni delle persone e dei comportamenti da adottare quando ci sono situazioni dubbie».
    Cosa ha detto ai suoi operatori?
    «Che dobbiamo stare più attenti. Che metteremo mano al regolamento se necessario e cambieremo alcune cose. Oltre alla qualità del nostro servizio ai lavoratori e ai loro diritti ci vuole una cura particolare dopo quanto avvenuto».
    Mettere mano al regolamento per fare cosa, ad esempio?
    «Per pretendere il certificato dei carichi pendenti, ad esempio, di chi lavora per noi».
    Basterà?
    «Organizzeremo dei corsi, dei seminari, degli aggiornamenti con esperti della lotta alla mafia che ci aiutino a sviluppare».
    Conosceva Ceravolo?
    «L'ho conosciuto durante qualche occasione istituzionale del sindacato».
    Non abbastanza da farsi un'idea sua?
    «Era una persona molto taciturna. E quando uno non parla molto non è facile nemmeno per un occhio allenato come il mio cogliere anche solo una stranezza. Ne ho parlato oggi (ieri per chi legger) con i nostri operatori».
    Come glielo hanno raccontato?
    «Come un lavoratore preparato ed efficiente sui cantieri, non particolarmente forte sul tesseramento al contrario di quanto ho letto su alcuni giornali e che aveva manifestato qualche fragilità economica».
    Il sindacato sosteneva per Ceravolo spese di un certo rilievo. Dai contributi per le utenze, ai viaggi per la Calabria per testimoniare a un processo, ai telefoni. Benefit concessi a tutti gli operatori?
    «Non tutti. Diciamo che qualcuno ha fatto qualche concessione in più a Ceravolo credo per gli stessi motivi di cui ho parlato sopra. Ecco, bessuno ha letto che dalle debolezze di questa natura possono nascere comportamenti non corretti».
    Ovvero?
    «Un gesto di aiuto nella assoluta ignoranza della presunta seconda vita che è venuta fuori dall'inchiesta».
    Che però – in ipotesi d'accusa esisteva ed era inquietante.
    «Ha turbato anche noi. Detto ciò nel nostro sindacato non vi è alcuno spazio per ambiguità».

 

25.10.24
  1. L'incidente nello stabilimento della Toyota Material Handling alla periferia di Bologna Lo scoppio causato da un compressore. Oggi era previsto uno sciopero per la sicurezza
    Noemi, una dipendente
    "
    Esplode il capannone "Un boato, poi l'inferno" Due morti e undici feriti
    FILIPPO FIORINI
    BOLOGNA
    Un compressore industriale è esploso e due operai, lo specializzato Fabio Tosi e Lorenzo Cubello, sono morti. Undici loro colleghi sono rimasti feriti e, tra questi, uno è in gravi condizioni.
    Erano le 17,15 di ieri. Il secondo turno giornaliero alla Toyota Material Handling Italia era trascorso per metà ed erano in servizio circa 300 delle 850 persone impiegate in questa ditta che produce carrelli elevatori alla periferia di Bologna e che pubblicamente vantava una qualità del lavoro straordinaria. In realtà, però, questo non è il primo incidente a verificarsi nello stabilimento e oggi era previsto uno sciopero per chiedere maggiore sicurezza. Lo scoppio, udito fino a 10 km di distanza, capace di infrangere le vetrate degli edifici circostanti e paragonato a «una bomba» o a «un terremoto», ha spezzato un pilastro portante che ha poi trascinato con sé il tetto del magazzino, facendolo crollare.
    La prima di queste due nuove morti bianche è stata istantanea. La seconda, invece, è avvenuta durante il trasporto in ospedale con l'elisoccorso, intervenuto insieme a una decina di ambulanze, mezzi dei Vigili del Fuoco, Carabinieri e Protezione Civile. Il personale di sicurezza ha scavato per tutta la notte e continua a farlo anche in queste ore, ma viene dato praticamente per certo che non ci siano dispersi. Fatta eccezione per il ferito grave, i restanti 10 dipendenti non sono in pericolo di vita. Molti di loro erano a una notevole distanza dal luogo dell'incidente e sono rimasti feriti dai frammenti delle cose rotte dall'onda d'urto.
    La fabbrica è uno stabilimento moderno, in cui i muletti vengono assemblati in catene di montaggio automatizzate, con attrezzi azionati ad aria compressa dagli operai. I compressori sono in un reparto separato e proprio qui si è consumata la tragedia.
    Soccorritori appena usciti dal luogo del disastro riferiscono che l'architettura è collassata su sé stessa, ammucchiando macerie di metallo e laterizi a livello del suolo. Con le indagini appena incominciate, le ipotesi sulle cause si dividono tra il difetto di fabbricazione del macchinario, la cattiva manutenzione o un utilizzo inappropriato. Anche se manca l'ufficialità, è probabile che la Procura apra a breve un fascicolo per omicidio colposo.
    Fatto sgomberare l'impianto, le maestranze si sono assembrate ai cancelli insieme ai famigliari di chi ancora era irreperibile e i residenti dei dintorni, venuti a sincerarsi delle ragioni del boato. «È un macello, è esplosa l'azienda. È crollato il tetto, sono crollati gli uffici, è successa una cosa assurda», ha detto uno dei dipendenti, che sulle prime ha riferito dell'esplosione di una bombola di metano e che come molti compagni è rimasto sul posto a lungo, nonostante il diluvio.
    Una collega, invece, ha paragonato l'esplosione a «un terremoto». «È andata via la corrente, un rumore fortissimo, siamo corsi tutti fuori e ci hanno detto che c'era odore di gas e dovevamo scappare. Siamo usciti in strada e ci hanno portato in mensa».
    Inoltre, la donna, impiegata a tempo determinato, ha raccontato che «qui ci sono sempre problemi, soprattutto alla linea 1. In molti si sono già fatti male». Proprio per questo, oggi erano previste due ore di sciopero. Adesso i sindacati Fim, Fiom e Uilm hanno indetto otto ore di sciopero per domani. Gian Pietro Montanari della Fiom-Cgil, ha spiegato che «questa non è l'azienda peggiore del mondo, però bisogna chiarire se c'è stata una corretta manutenzione o meno». Due anni fa, per esempio, la Toyota Italia aveva annunciato una riduzione dei turni giornalieri a 7 ore, senza ridurre le buste paga. Il sindacalista, però, ha ricordato anche che in passato si era scioperato perché ai lavoratori erano stati assegnati dei nuovi attrezzi non ancora collaudati. Inoltre, si era propagato un incendio nel reparto verniciatura, senza conseguenze per le persone, un epilogo che stavolta è stato molto peggiore.
  2. Nichelino, la donna, ottantenne, è affetta da demenza senile, deve essere assistita costantemente L'Utim denuncia: "Situazione assurda: hanno detto no al contributo per pagare la retta di 3 mila euro"
    "È malata grave, ma non è urgente" L'Asl nega l'aiuto per stare nella Rsa

    erika nicchiosini
    Maria è una signora quasi ottantenne di Nichelino. Da marzo dello scorso anno è ricoverata in una Rsa del territorio, la Debouchè, perché la sua demenza senile grave non le permette di compire semplici azioni quotidiane come mangiare o stare seduta da sola. Ciò nonostante, secondo l'Asl To5 e il Cisa12, i servizi sanitari e sociali a cui fanno riferimento diversi comuni della cintura sud di Torino, non ha diritto a nessun contributo economico nel pagamento della retta della Rsa: oltre 3 mila euro mensili.
    Una spesa che con il tempo sta diventando insostenibile, e che il marito Giuseppe Araudo affronta facendo affidamento sulla sua pensione e sui risparmi di una vita pur di garantire alla moglie cure e assistenza adeguate. Dice: «Non so per quanto tempo ancora riuscirò ad affrontare le spese: è una situazione pesantissima». E c'è già chi parla di «Cortocircuito burocratico». Motivo? Nonostante un quadro clinico molto grave, che ha ottenuto dalla Commissione di valutazione geriatrica, di Asl e servizi sociali un punteggio sanitario di 13 su 14 – corrispondente a una «non autosufficienza di alto grado con necessità assistenziali e sanitarie elevate», alla malata è stata assegnata una valutazione «non urgente». Di qui lo stop all'aiuto economico.
    La situazione è stata intercettata dall'Utim - Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva - attraverso lo Sportello diritto alle cure. «Questo ha confinato la signora in una lista di attesa con tempi di risposta fino a un anno – spiega il referente di Nichelino, Giuseppe D'Angelo - La paziente, costretta a letto e incapace persino di mantenere la postura seduta, vede compromesso il suo diritto alla salute».
    Secondo l'Utim e D'Angelo, che chiedono l'intervento delle istituzioni, non sarebbe una situazione isolata: «E le famiglie continuano a sopportare il peso economico e psicologico di un'assistenza tutta privata, con la probabilità di cadere in povertà e dover poi chiedere aiuto ai Servizi sociali del Comune».
    Intanto l'Asl To5 precisa che la gestione degli anziani non autosufficienti «segue precise normative», che prevedono la valutazione non solo sanitaria ma anche sociale del paziente. «Nel caso specifico, è stata attribuita una fascia assistenziale alta, ma con priorità "non urgente", il che significa che l'accesso al regime convenzionato potrebbe avvenire entro luglio 2025. Salvo un eventuale peggioramento». Intanto, però, il signor Giuseppe Araudo non sa più come fare.

 

 

24.10.24
  1. CHI LI AVEVA COMANDATI ?   li scontri del 23 febbraio scorso. L'accusa: eccesso colposo di legittima difesa e lesioni lievi
    Dieci agenti sotto inchiesta a Pisa per le cariche contro gli studenti
    Pino Di Blasio
    PISA
    Sarebbero 10 i poliziotti indagati dalla procura di Pisa per gli scontri e le cariche contro gli studenti durante il corteo pro Palestina del 23 febbraio.
    Le accuse a loro carico sono eccesso colposo di legittima difesa e lesioni lievi. Sono stati i sindacati della polizia a rivelare l'inchiesta aperta sugli agenti di polizia. Valter Mazzetti, segretario generale del sindacato Fsp Polizia, parla di 6 agenti indagati per «una manifestazione niente affatto pacifista, l'ennesimo caso di agenti accusati per essere stati aggrediti mentre facevano il proprio dovere». Tra i poliziotti sotto inchiesta ci sarebbero anche agenti della mobile di Firenze e i responsabili della sicurezza a Pisa. Dopo la manifestazione e gli scontri, il diluvio di polemiche che si scatenò sulle forze dell'ordine portò anche al trasferimento del questore di Pisa, Sebastiano Salvo, "dirottato" alla questura di La Spezia. A febbraio 7 poliziotti in servizio durante il corteo, si autoidentificarono in procura. I magistrati hanno acquisito i filmati delle telecamere cittadine e anche i video girati dalla polizia scientifica.
    Il momento più caldo quel 23 febbraio fu la carica di una dozzina di agenti che volevano impedire al corteo degli studenti di entrare in piazza dei Cavalieri, dove ha sede la prestigiosa Scuola Normale superiore. Dieci mesi fa, a criticare il comportamento degli agenti fu per primo il presidente della Repubblica Mattarella: «I manganelli contro i giovani sono un fallimento» scrisse nella nota inviata al ministro dell'Interno Piantedosi. Ma anche il sindaco leghista di Pisa, Michele Conti, contestò le forze dell'ordine, definendosi «profondamente amareggiato». Oggi invece la Lega, con l'eurodeputata Susanna Ceccardi e il parlamentare pisano Edoardo Ziello, è dalla parte degli agenti. «Sono convinta che stessero cercando, tra molte difficoltà - ha dichiarato Susanna Ceccardi - di tutelare la sicurezza pubblica e che siano stati aggrediti, visto che si parla appunto di legittima difesa. Io sto dalla parte dei poliziotti anche e soprattutto in questo momento di difficoltà.
  2. La rete mondiale delle spie al servizio degli ayatollah da Israele fino a Washington
    Fabiana Magrì
    Si moltiplicano i casi di spionaggio ai danni di scienziati e di figure chiave dell'establishment politico e militare israeliano con la regia di Teheran e con cittadini israeliani nel ruoli di agenti segreti. Nel giro di pochi mesi, lo Shin Bet ha declassificato una serie di complotti. Cinque da settembre, due solo questa settimana. L'ultimo, ieri, quando sono emersi sui media israeliani i dettagli di un'ulteriore rete di spie arrestata da servizi segreti interni e polizia, circa un mese fa.
    Si tratta di sette persone, questa volta palestinesi di Gerusalemme Est con lo status di cittadini o residenti permanenti israeliani. Gli investigatori li hanno pedinati per un mese e mezzo. Le accuse sono di spionaggio per l'Iran e di pianificazione di attacchi in Israele per conto della Repubblica islamica. Le autorità hanno ricostruito come il capo banda, il ventitreenne Rami Alian, sia stato reclutato direttamente da un agente iraniano e abbia poi provveduto a coinvolgere gli altri sei. «Non sono stati aiutati da un intermediario turco, come è accaduto in casi precedenti – ha spiegato ai media un poliziotto – ma hanno utilizzato altri mezzi, su cui non possiamo fornire informazioni».
    La squadra messa su da Alian era composta da giovani tra i 19 e i 23 anni, senza pendenze penali, tutti amici fra loro e residenti nel quartiere di Beit Safafa. Dopo un periodo di rodaggio, ha spiegato ad Haaretz un funzionario della sicurezza, le missioni assegnate dai contatti iraniani sarebbero diventate «azioni di sabotaggio più serie». Missioni eseguite per soldi, ma non solo. Le autorità hanno sottolineato, in questo caso e per la prima volta, il movente anche ideologico. «Sono orgoglioso che un iraniano si sia rivolto a me», avrebbe detto Alian durante l'interrogatorio.
    Tra missioni portate a termine e altre messe in cantiere, le richieste andavano da lanciare una granata a mano contro un agente di sicurezza israeliano (non compiuta), fotografare un centro di ricerca (presumibilmente compiuta) e assassinare il sindaco di una grande città nel centro di Israele o, in cambio di 200 mila shekel (50 mila euro), uno scienziato nucleare. I preparativi erano già iniziati. Informazioni sull'obiettivo, sulle sue abitudini quotidiane e sugli spostamenti abituali erano state raccolte. Ma la cellula è stata arrestata prima che potesse procedere.
    Anche negli Stati Uniti c'è profonda preoccupazione per la divulgazione clandestina – una settimana fa sul canale Telegram Middle East Spectator – di due rapporti di intelligence analitica che descrivono nel dettaglio i preparativi di Israele per l'attacco di rappresaglia all'Iran. L'Fbi sta indagando, a stretto contatto con il Dipartimento della Difesa e l'Nsa, sotto lo sguardo del presidente Joe Biden. Domenica il Pentagono ha confermato che i documenti top secret dati in pasto al pubblico, compilati dalla National Geospatial-Intelligence Agency e dalla National Security Agency, sono reali. Una cosa sembra chiara ad Alon Pinkas, diplomatico ed analista israeliano: «la piattaforma scelta (il canale Telegram Middle East Spectator, ndr) indica che questa probabilmente non è stata una fuga di notizie deliberata degli Stati Uniti per fare pressione su Israele o allertare l'Iran».
    Lo scenario in effetti sembra molto più intricato. Sky News Arabic ha citato una fonte del Pentagono che sostiene che dietro la fuga di notizie ci sia un membro senior dello staff dell'ufficio del Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin. La testata con sede ad Abu Dhabi avrebbe identificato la "gola profonda" come Ariane Tabatabai, una iraniana americana già interessata da uno scandalo sollevato a ottobre del 2023 dalla testata online Semafor, dal canale tv in lingua farsi con sede a Londra Iran International e dalla rivista ebraica Tablet Magazine. Una serie di e-mail del governo iraniano, intercettate e verificate un anno fa, avevano dimostrato che l'allora inviato iraniano (poi sospeso) dell'amministrazione Biden, Robert Malley aveva aiutato a «infiltrare l'agente iraniano» Tabatabai in alcune delle posizioni più delicate del governo degli Stati Uniti, prima al Dipartimento di Stato e poi al Pentagono, dove ha avuto accesso a informazioni molto riservate. «Questa storia non è vera», smentisce sulla piattaforma X la corrispondente per la sicurezza nazionale di Fox News, Jennifer Griffin, dopo aver parlato con funzionari del Dipartimento della Difesa e con la stessa sospettata.
  3. XI E PUTIN : Lo Zar celebra la partecipazione di 36 Paesi al summit. Domani forse l'incontro con Guterres
    "I Brics siano il motore del Sud globale" Putin e Xi si ritrovano da vecchi amici
    giuseppe agliastro
    mosca
    Contrastare l'immagine di una Russia isolata a livello internazionale e cercare di allargare le proprie relazioni economiche: gli esperti sembrano concordi sugli obiettivi del Cremlino per il vertice dei Paesi Brics iniziato ieri in Russia, nella città di Kazan. Un vertice che durerà tre giorni e che si svolge nel pieno delle tensioni tra Mosca e Occidente per l'aggressione militare contro l'Ucraina. E con Putin nella lista dei ricercati della Corte penale internazionale. Il presidente russo ha iniziato con un abbraccio a favore di telecamera con il premier indiano Narendra Modi. Poi ha incontrato i leader di Sudafrica e Cina. E ha colto ancora una volta l'occasione per mostrarsi pubblicamente in sintonia con Pechino. «Le relazioni russo-cinesi sono diventate un modello», ha detto Putin a Xi Jinping chiamandalo «caro amico» e aggiungendo che vuole rafforzare queste relazioni «su tutte le piattaforme internazionali per garantire la sicurezza globale e un ordine mondiale giusto». Parole a cui Xi ha risposto lodando «la profonda amicizia» tra Russia e Cina in una «situazione internazionale caotica».
    Quello in corso a Kazan è il primo vertice Brics da quando Iran, Egitto, Etiopia e Emirati Arabi si sono uniti a Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica in un gruppo che ora rappresenta il 45 per cento della popolazione e il 35 per cento del Pil mondiali. Stando alle autorità russe, sulle rive del Volga si incontrano i rappresentanti di 36 Paesi, tra cui 22 capi di Stato. E secondo alcuni si tratterebbe del più grande evento diplomatico in Russia da quando le truppe di Putin hanno invaso l'Ucraina attirando su Mosca sanzioni su sanzioni da parte dell'Occidente.
    I Paesi Brics sono molto eterogenei e a volte hanno interessi contrastanti. Alcuni hanno buone relazioni coi Paesi occidentali, altri meno. L'India è in stretti rapporti sia con gli Stati Uniti sia con Mosca, da cui importa armi ma anche grandi quantità di petrolio a prezzo scontato. E, come la Cina, cerca di proporsi come possibile mediatrice per mettere fine alla guerra in Ucraina. «Sosteniamo totalmente gli sforzi per ripristinare rapidamente la pace e la stabilità», ha ripetuto ieri il premier indiano Modi dopo aver abbracciato Putin, che nei prossimi giorni dovrebbe incontrare anche Erdogan, il presidente della Turchia, che non esclude un proprio ingresso nel gruppo delle economie "emergenti", e probabilmente anche il segretario generale dell'Onu Guterres.
    Al summit sono previste anche discussioni per la possibile creazione di un nuovo sistema di pagamenti globale, una sorta di alternativa al sistema Swift, dal quale la Russia è stata tagliata fuori dopo che i suoi carri armati hanno invaso l'Ucraina. —
  4. Il report di Cittadinanzattiva : crescono gli italiani che rinunciano alle cure
    Incubo liste d'attesa si aspetta 480 giorni la visita oncologica

    Paolo Russo
    Mentre il Governo con la manovra lascia pochi spicci alla sanità, appena 1,2 miliardi "lordi" contro i 4 richiesti dal ministro Schillaci, cresce la quota di cittadini che denunciano di essere rimasti intrappolati nelle liste di attesa: più 2,8% rispetto al 2022, +8,6% sul 2021. E oramai quasi un terzo delle segnalazioni di disservizi, il 32,4%, fa riferimento al mancato accesso alle prestazioni, mentre il 9% delle donne, il 6,2% degli uomini rinuncia alle cure, denuncia il Rapporto civico sulla Salute di Cittadinanzattiva presentato ieri a Roma. Complessivamente oltre il 7% della popolazione fa a meno di visite e accertamenti diagnostici non tanto per la difficoltà a pagare il conto quanto per i tempi biblici di attesa che spingono sempre più assistiti verso le braccia del privato. Questo dato «mostra che avevamo ragione a intervenire sulle liste d'attesa», ha affermato il ministro della Salute Orazio Schillaci, il quale ha annunciato che a breve saranno varati i decreti attuativi della legge sulle liste d'attesa. A cominciare da quello che specifica come e quando scatteranno i poteri sostitutivi del ministero delle Salute in caso le Regioni risultino inadempienti nell'applicare le misure "taglia-coda". In attesa di vedere se il decreto varato prima delle elezioni europee produrrà qualche effetto la situazione delle liste d'attesa resta da codice rosso. Anche nel 2024, spiegano da Cittadinanzattiva, visto che le segnalazioni sui tempi massimi non rispettati continuano ad arrivare numerose ogni giorno e in costante crescita rispetto a un 2023 che è già da incubo. Perché tanto per cominciare il 31,1% degli incagliati nelle liste di attesa denunciano il fatto di non aver proprio avuto un appuntamento essendosi trovati davanti agende bloccate. Pratica fuorilegge ma che in molte Asl evidentemente la fa ancora da padrona. Prima ancora di sentirsi dare appuntamento a un anno di distanza c'è poi da superare lo scoglio del Cup, che il 20% di chi ha denunciato un problema di accesso alle prestazioni ha avuto difficoltà a contattare. Superati questi due ostacoli poi i tempi restano biblici. Perché saranno anche quelli denunciati da chi ha avuto da lamentarsi, ma non è facile farsi una ragione di una visita di controllo oncologica fissata a 480 giorni di distanza. Così come è difficile accettare che per asportare chirurgicamente un tumore alla prostata anziché 30 giorni come da codice di priorità riportato nella richiesta medica si debba invece attendere 159 giorni. Una delle specialità per cui la pazienza è d'obbligo è l'oculistica, tanto che per un controllo della vista si arriva ad attendere 468 giorni contro i 120 previsti per una prestazione con codice di priorità P, ossia "programmabile".
    Peggio ancora va per gli accertamenti diagnostici. Per un ecodoppler dei tronchi sovraortici si può anche dover attendere circa un anno e mezzo, per l'esattezza 526 giorni. Per una spirometria c'è chi ha dovuto pazientare 266 giorni nonostante sulla ricetta campeggiasse le lettera D delle prestazioni differibili, ma non oltre 60 giorni. Con lo stesso codice di priorità si sono dovuti attendere invece 300 giorni tondi tondi per ottenere una tac della colonna nel tratto lombosacrale.
    Che con queste tempistiche sempre più italiani rinunci alle cure lo conferma anche il calo delle prestazioni erogate, che nel 2023 sono state l'8% in meno dell'anno precedente. Con forti differenze regionali però, passando del -2% di Toscana e Lombardia al -25% della Sardegna e '27 e meno 28% di Valle d'Aosta e Alto Adige.
    Male anche l'assistenza territoriale, l'altro fianco scoperto del nostri Ssn, con il 14,1% delle segnalazioni di disservizi, dato in crescita di oltre il 5% rispetto all'anno precedente.

 

 

 

23.10.24
  1. La rabbia degli agenti italiani di Gjader "Manca anche lo spazzolone del water"
    Eleonora Camilli
    Roma
    I 12 migranti (7 bengalesi e 5 egiziani) portati a Shengjin e poi, per ordine del tribunale di Roma, riportati in Italia, sono ancora confusi, non hanno capito fino in fondo di essere stati, loro malgrado, gli sfortunati pionieri del progetto Albania. Ma almeno stanno bene, hanno ricevuto finalmente l'informativa legale e incontrato gli avvocati che si occuperanno degli eventuali ricorsi. Un'impresa non facile come spiega uno dei legali, Gennaro Santoro: «Per poter parlare col mio assistito ho dovuto fare reclamo ai Garanti, inviare numerose pec al ministero dell'Interno, chiedere a parlamentari di intervenire. Continuano a mettere ostacoli nella speranza di non far presentare ricorso al Tribunale contro il diniego dell'asilo politico - afferma - Perché sanno che il rigetto della commissione è illegittimo». L'esame in terra albanese delle domande di protezione potrebbe, infatti, essere considerato nullo. Non solo la commissione territoriale chiamata a giudicare, e scelta dal Viminale, non ha all'interno alcun rappresentante dell'Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr), ma la sua decisione rientra nelle procedure accelerate di frontiera che, a quanto hanno deciso i giudici romani, non potevano essere applicate perché i 12 non provengono da Paesi sicuri.
    Per ora, dunque, i migranti restano ospitati nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Bari Palese in un limbo giuridico. Ma la loro situazione non è l'unico cruccio del governo, che ora ha a che fare anche con le proteste del personale della polizia penitenziaria, spedito al di là dell'Adriatico, e ora sul piede di guerra. «I nostri uomini non solo non possono godere della sistemazione alberghiera come tutti i colleghi delle altre forze di polizia e armate in Albania, ma addirittura vengono oltraggiate le specifiche previsioni contrattuali che li tutelano», tuona Gennarino De Fazio, segretario generale del sindacato Uilpa polizia penitenziaria che già lo scorso 17 ottobre, con una lettera, aveva sollevato la questione. E aggiunge: «Se l'amministrazione penitenziaria e lo Stato non dimostrano il minimo rispetto per le donne e gli uomini in divisa che li rappresentano, non osiamo immaginare il trattamento che potrebbe essere riservato ai migranti. Mai ne arrivassero».
    In totale, sono 45 gli agenti della polizia penitenziaria chiamati in servizio nella terra delle aquile. Il loro compito è occuparsi del carcere costruito a Gjader, con 24 posti letto, dove dovrebbero essere inviati i migranti che commettono reati nel periodo di trattenimento. Ma la paura degli agenti è che il pasticcio politico-giudiziario sul protocollo Italia-Albania lasci le strutture vuote ancora per un bel po'. Non solo, ma c'è anche la questione economica. Per tutto il personale, dagli agenti penitenziari ai poliziotti, carabinieri, finanzieri, chiamati in missione a Gjader è previsto un aumento in busta paga di circa cento euro al giorno. Che tradotto vuol dire novecentomila euro al mese, solo per gli indennizzi di trasferimento di trecento unità.
    Spese folli, per un Cpr (centro per il rimpatrio) e un carcere vuoti. E su cui grava una questione giuridica di diritto ancora sospesa. Gli agenti della penitenziaria si lamentano anche degli alloggi: prefabbricati a cui si accede con una scala metallica interna, senza elementi di arredo basilari, dalla tv allo spazzolino per il water. «È tutto paradossale» ripetono mentre sono in attesa degli altri colleghi e dei migranti. Semmai arriveranno. —
  2. I BRICS CONTRO L'OCCIDENTE CON CINA E RUSSIA ALLEATI : L'ultima sfida dei Brics al potere Usa un circuito finanziario anti-sanzioni
    Stefano Stefanini
    In quindici anni di vita i Brics hanno combinato poco o niente. Al vertice che si apre oggi a Kazan, dalla Russia senza amore, ci provano facendo massa critica, arruolando un'ampia ancorché diseguale partecipazione di leader mondiali, avanzando propositi ambiziosi – addirittura di lanciare un'alternativa al dollaro come mezzo di pagamento internazionale. Per il momento quest'ultimo obiettivo rimarrà nel mondo dei sogni, ma fa da contrappunto politico all'80esimo anniversario degli accordi di Bretton Woods che ricorre, in parallelo, nelle riunioni autunnali del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale in corso questa settimana a Washington.
    I Brics presenti oggi a Kazan superano l'Occidente in Pil (37% di quello mondiale), popolazione (circa metà dell'umanità) e territorio. Non sono tuttavia in grado, oggi, di sfidare gli Stati Uniti e l'Occidente, non perché, messi insieme, non abbiano appunto risorse, tecnologie e capacità militari (e nucleari) per sostenere il confronto. Non solo perché divisi, se non rivali, e non omogenei fra loro ma perché hanno a bordo partecipanti che, senza alcuna intenzione di diventare fisiologici antagonisti dell'Occidente, trovano condizioni propizie a tenere il piede in due staffe. Come la Turchia anche (e soprattutto) in quella della Nato, l'India in quella del Quad anti-Cina (Usa, Australia, Giappone, India), gli Emirati ospitando una base militare Usa. L'elenco delle acrobazie potrebbe continuare, con la grossa eccezione dei due grandi registi del gruppo, ben schierati sul fronte (anti)occidentale: Cina e Russia. Ai quali i Brics servono come importante cassa di risonanza internazionale che faccia da contraltare all'Occidente e ai vari formati con i quali si presenta – G7, Nato, Ue, Ocse – ma, soprattutto, al detestato "ordine liberale internazionale". Qui però, Pechino e Mosca trovano terreno più fertile.
    L'insofferenza verso un ordine mondiale e valoriale disegnato esclusivamente dall'Occidente, talvolta percepito come scia del colonialismo, spesso accusato di usare due pesi e due misure, fa da collante ideologico all'intero gruppo dei Brics, per eterogeneo che sia. E non va sottovalutato. Ma, per quanto possa essere una leva nelle votazioni alle Nazioni Unite – il cui Segretario Generale António Guterres è presente a Kazan – di qui a sfidare a tutto campo l'Occidente deve passare molta acqua sotto i ponti. Molta meno, però, se il vertice è visto nell'ottica del padrone di casa: non per lanciare un nuovo ordine mondiale o un'alternativa al sistema di pagamenti Swift, ma per puntellare la strategia russa volta a isolare internazionalmente l'Ucraina, tagliando l'erba sotto i piedi ai tentativi di Volodymir Zelensky di raccogliere consensi internazionali per il proprio piano di "pace". Con la partecipazione, per la prima volta, dell'Iran, esiste a questo vertice uno zoccolo duro filorusso, al quale alcuni partecipanti (come il Kazakhstan) si allineano non per scelta, ma per necessità geografica. Basta che il resto della palude Brics non si opponga – e non lo farà.
    Vladimir Putin non ha lasciato nulla al caso. A Kazan, capitale del Tatarstan, egli gioca in casa, si affaccia sulla sua Eurasia, a metà strada fra Mosca e gli Urali, trova un palcoscenico mondiale e approfitta dell'interregno a Washington, dove un leader è al crepuscolo e due, potenziali, in un duello all'ultimo sangue, nonché del vistoso vuoto europeo, fra leader nazionali deboli e tempi biblici dei passaggi di consegne a Bruxelles – dove la nuova Commissione e il nuovo Presidente del Consiglio Ue prenderanno le redini sei mesi dopo le elezioni europee. Sarà affiancato dall'amico senza limiti, Xi Jinping. Il parterre, pur con qualche assenza eccellente (Lula da Silva rappresentato però dal Ministro degli Esteri brasiliano): Narendra Modi (India), Recep Tayyip Erdogan (Turchia), Cyril Ramaphosa (Sudafrica), Abdel Fattah al Sisi (Egitto), Masoud Pezeshkian (Iran). Non manca il guasatefeste balcanico, Milorad Dodik, a rappresentare "l'entità serba" della Bosnia. Quando mai le circostanze sono state così favorevoli a rafforzare la statura internazionale di Mosca? La Russia fa così da battistrada nel lanciare il guanto di sfida all'Occidente, mentre accudisce ai propri interessi nazionali cercando di ristabilire una zona d'influenza esclusiva nell'ex-Urss, traguardo che il Presidente russo insegue da tempo, come minimo dalla mini-invasione della Georgia del 2008. Con le buone – per modo di dire – o con le cattive.
    Kazan è un vertice a due facce. Quella Brics non rappresenta il "Sud globale", ma ne è certamente un'importante cinghia di trasmissione che Occidente e Europa non si possono permettere d'ignorare. Per ora molto più dichiarativa che operativa. Quella russa, ben più operativa e ad impatto rapido, serve a creare intorno a Mosca un bacino di consensi o benevolenze internazionali mentre Vladimir Putin spinge sull'acceleratore con la guerra in Ucraina, con l'interferenza nelle elezioni in Moldova e in Georgia. A Chi?in?u gli è andata male, ma giusto per un soffio; fra il 5 novembre e il 3 dicembre sarà il turno di Tbilisi. E, chiunque entri alla Casa Bianca, il 20 gennaio troverà il fatto compiuto. —
  3. Gli 007 confermano l'arrivo in Russia, sarebbero 10 mila. Da Washington altri 400 milioni a Kiev
    Soldati nordcoreani diretti in Ucraina Seul chiede di bloccarli, è crisi con Mosca

    giuseppe agliastro
    mosca
    La Corea del Sud ha convocato l'ambasciatore russo. Chiede «l'immediato ritiro» di quelle che secondo gli 007 di Seul sarebbero truppe nordcoreane arrivate nell'estremo oriente russo per addestrarsi e poi essere «probabilmente» mandate a combattere in Ucraina.
    Anche Kiev nei giorni scorsi ha accusato il regime nordcoreano di prepararsi a inviare soldati al fianco di quelli del Cremlino: 10 mila secondo il presidente ucraino Zelensky. Mosca e Pyongyang respingono però le accuse. Mentre Usa e Nato dichiarano di non avere al momento elementi per poterle confermare, ma si dicono preoccupati. L'eventuale «invio di truppe nordcoreane in Ucraina per combattere al fianco della Russia segnerebbe un'escalation significativa», avverte il segretario generale della Nato, Mark Rutte. Ed è dello stesso avviso il portavoce dell'Ue per gli affari esteri, Peter Stano.
    La scorsa settimana, l'intelligence di Seul ha dichiarato che tra l'8 e il 13 ottobre delle navi militari russe avrebbero fatto sbarcare a Vladivostok circa 1.500 soldati nordcoreani, e che altri potrebbero arrivarne. La nuova accusa – non confermabile – arriva circa quattro mesi dopo che i dittatori Putin e Kim Jong-un hanno firmato un misterioso patto di cooperazione strategica a Pyongyang. La Corea del Nord è già accusata dall'Occidente di fornire missili a Mosca nonostante le sanzioni internazionali. Il portavoce di Putin sostiene invece che la cooperazione con Pyongyang non sia «diretta contro Paesi terzi».
    Nelle stesse ore, il capo del Pentagono, Lloyd Austin, arrivava a Kiev in una visita a sorpresa per ribadire il sostegno americano all'Ucraina in un momento in cui le truppe russe sembrano guadagnare lentamente terreno nel Donbass. Austin ha annunciato nuove armi per 400 milioni di dollari, ma non sembrano esserci novità sulle due principali richieste di Zelensky: il permesso di lanciare in territorio russo razzi a lungo raggio di fabbricazione occidentale e l'invito a entrare nella Nato (e avviare un percorso che comunque può durare anni, con gli esperti che ritengono altamente improbabile un ingresso di Kiev nell'alleanza con una guerra in corso).
  4. IL REPORTAGE
    La furia del fiume tombato "I pozzetti saltavano via poi qui l'asfalto è esploso"

    inviato a Bologna
    Sotto la chiesa di San Paolo. Sotto lo studio dell'architetto Enrico Gieri. Sotto il garage condominiale al civico 70 di via Costa. Giù fra i cavi elettrici, nel magazzino della pasticceria e in corrispondenza della fermata del pullman. Il fiume Ravone passava sotto i palazzi del quartiere Saragozza di Bologna ormai quasi dimenticato da oltre sessant'anni, prima che saltasse fuori come una furia dalla sua tomba di cemento.
    «È incredibile quello che è successo» dice il signor Andrea Cardinali, di mestiere geometra. «Nel giro di tre ore sono esplosi i tombini, le auto sono partite come barche, infine si è stappato l'asfalto e da là è incominciata a salire l'acqua a fontana». È arrabbiatissimo. Come tutti qui. Perché quel fiume è la prova di un tempo nuovo dentro a una politica vecchia. «Lo so che sono state piogge straordinarie, ma ormai non si può più usare questa scusa. Il problema è l'incuria. Arriviamo da anni di menefreghismo. Serve un nuovo piano di manutenzione e sicurezza nazionale. Non capisco cosa stiano aspettando ancora, spendono soldi pubblici per cose senza senso e noi siamo nel fango».
    Il Ravone era un torrente quasi senza storia. Nasce sulle pendici del monte Paderno. È lungo in tutto 18 chilometri, segue il suo alveo naturale fino al Reno. Ma il fatto è che per due chilometri scorre sotto la città. Fu la decisione presa negli anni Sessanta in ossequio al nuovo piano regolatore: bisognava costruire. Il fiume intralciava. L'idea fu quella di murarlo vivo dentro una galleria sotterranea di due metri per due. Ma c'era troppa acqua, l'altra notte. Troppa acqua per quel piccolo canale di cemento. Ecco cosa sono state quelle esplosioni assurde: i tombini che volavano in aria e il cemento che crepitava come sopra a un magma ribollente. Era l'acqua del Ravone. Era il fiume che si riprendeva il cielo.
    L'architetto Gieri sta spalando. Spala fango, butta via cose irrecuperabili, cerca di asciugare l'ingresso del suo studio: «Serve un'idea. Capisco che i temporali non siano più quelli di una volta. Ma bisogna trovare il modo di affrontare questa cosa».
    Siamo alla quarta alluvione nel giro di due anni in Emilia Romagna. Quella del 17 maggio 2023, la più devastante, quella dei diciassette morti e dei miliardi di danni, aveva causato danni nel centro della città. Ancora il Ravone. Ma era uscito in un punto senza tombatura e di proprietà demaniale, all'altezza di via Saffi. Dopo quella esondazione, il Comune ha fatto studiare il caso a un gruppo di esperti. Sono stati eseguiti dei lavori in quel punto. E proprio in quel punto, a questo quarto giro di tempesta, il Ravone ha tenuto. E quindi? Se il Ravone passa sotto le case private, se il Ravone scorre sotto negozi e uffici privati, a chi spetta prendersi cura del tratto intombato?
    Alle undici di mattina nel fango arriva il sindaco Matteo Lepore. Un residente lo affronta a muso duro, un altro, invece, dice: «Sindaco, siamo con te. Ma qui bisogna fare qualcosa». È successo questo: sabato nel giro di sei ore è caduto il quantitativo di pioggia di tutto il mese di ottobre, due volte quello dell'alluvione più devastante. «Abbiamo dato l'allarme per tempo, tutte le persone sono state messe in salvo. Ma il Ravone ha un alveo molto piccolo, si riempie in fretta. La città si è allagata da sotto, non da sopra. Servono casse di laminazione per difenderla».
    Il sindaco risponde al telefono. Chiede notizie degli sfollati. Poi, con amarezza, dice: «Su queste alluvioni sono state fate troppe discussioni di parte, abbiamo assistito a troppi litigi istituzionali. Non voglio attribuire colpe. Ma serve più unità, quella che io chiamo l'unità repubblicana». Domandiamo: a che punto sono i lavori dopo il disastro del 2023? «I progetti ci sono, ma andrebbero finanziati. Invece mancano i soldi. Tutto va a rilento». E sul caso del fiume Ravone intubato per fare posto ai palazzi, simbolo della vecchia Italia del cemento? «Bisogna intervenire a monte. Bisogna trovare un modo per non fare confluire tutta quell'acqua sotto la città».
    Il futuro, quindi. Mentre il fango è il presente, ancora una volta. Arriva un signore quasi tremando, con un misto di stanchezza e stupore dice al sindaco: «Sono qui dal '49. Non pensavo di vedere una cosa del genere». Il Ravone non sta più al suo posto. Sabato nella furia di liberarsi ha sollevato un intero garage condominiale. Quelle auto adesso sono piantate dentro gli ingressi, sparate come proiettili e finite accartocciate.
    Quarta alluvione in Emilia- Romagna. Ci sono ancora 1600 persone sfollate nei comuni dell'area metropolitana. La Regione chiederà ancora lo stato d'emergenza. La presidente facente funzioni Irene Priolo, che si trova qui al posto di Stefano Bonaccini eletto in Europa, sceglie queste parole: «I cittadini che ho incontrato sono disperati, ormai ben oltre l'arrabbiatura. Ci stanno chiedendo come istituzioni di stare insieme. Questo grido d'allarme deve arrivare a livello nazionale e fare in modo che nella prossima finanziaria ci siano i soldi per un piano strutturale».
    Sembra tutto già visto. Sono scene da un'altra ordinaria alluvione. Ma quegli oggetti tirati fuori dalle cantine e appoggiate sui muri, quel giradischi e quelle fotografie, sono pezzi unici perduti per sempre.
    Adesso tutti ripetono che piogge del genere non sono arginabili. «L'acqua non si può fermare», è una delle frasi più ricorrenti. Ma il caso del fiume Ravone, un piccolo fiume murato sotto la città di Bologna, era già per certi versi un caso di scuola. C'è una tesi di laurea datata marzo 2016, questo è il titolo: «Analisi del rischio idraulico in ambiente urbano: il caso del torrente Ravone a Bologna». Candidato, Amedeo Bracaloni. Professore, Mario Martina. Ecco le conclusioni: «Non sembra più possibile far rientrare questi eventi nella categoria delle calamità o delle fatalità non prevedibili»
  5. Il rider
    nell'alluvione

    Una bici, il lago in mezzo alla strada e un cubo sulla schiena. L'uomo o la donna che pedala è una parte dell'ingranaggio. Non ha soggettività. Se l'avesse non sarebbe certo lì, in una notte di alluvione a Bologna, a portare una pizza Margherita a casa di chissachì per quattro soldi. Si dirà: questo è il lavoro. È vero. Non sempre il lavoro è gratificazione. Ma c'è lavoro e lavoro. Sappiamo tutti che chi pedala sulle bici dei rider, il sempre più vasto popolo del cubo, non lo fa solo per i soldi di quella corsa ma anche per non perdere la priorità acquisita con l'algoritmo. Una consegna rifiutata è uguale a tutte le altre, non importa che ci sia l'alluvione. L'algoritmo registra comunque. È impersonale, non ha coscienza. È stato scelto proprio per quello.
    Nella fotografia manca un protagonista: c'è l'acqua che ha messo in ginocchio una città, c'è il rider che pedala controcorrente, c'è il prezioso carico che si porta sulla schiena. Non c'è chi ha messo in moto tutto questo: l'uomo o la donna che con una telefonata ha ordinato la pizza un quarto d'ora prima dello scatto. A differenza dell'algoritmo, chi ha fatto quella telefonata una coscienza dovrebbe averla. Avrebbe dovuto immaginare le conseguenze di una chiamata sventata, fatta nella notte più buia della storia recente di Bologna, con il sindaco che invitava gli abitanti a salire ai piani alti delle case per salvarsi dall'onda di piena. È in questo scenario che al signor X viene in mente di mangiarsi una bella pizza e di farsela portare sul divano, magari guardando in tv le immagini dell'alluvione. Ed è sempre in questo contesto che i dirigenti locali della società dei rider hanno pensato che il servizio non va interrotto. A nessun costo. La pizza margherita come la canzone dei Queen: The show must go on, andare sempre avanti, a prescindere.
    Ma la lunga notte dei rider nell'alluvione non è finita con il rifluire delle acque nell'alveo dei torrenti. È proseguita la mattina dopo, ha inondato le chat degli uomini con i cubi, dando vita a una discussione serrata. Perché c'è cubo e cubo. I pedalatori di Just Eat sono gli unici ad avere un contratto da lavoratori dipendenti. Con condizioni e norme precise. Infatti l'altra sera non lavoravano: «Lo impedisce l'accordo», spiega Carlo Parenti della Filt Cgil che ieri stava preparando un esposto contro gli altri gestori delle piattaforme come Deliveroo, quella del ciclista con la divisa azzurra della famosa fotografia. Nel contratto di Just Eat anche il pluviometro è materia sindacale: con più di 5 millimetri di pioggia in un'ora, con 8-12 millimetri in tre ore, con più di 16 in sei ore, i rider si fermano. «L'altra sera sono scesi 160 millimetri». Dunque in quel caso non c'era bisogno di contratti: per fermarsi bastava il buon senso.
    La discussione tra gli uomini del cubo è tutta sui confini di quel consenso. Perché affrontare le ondate di piena rischiando la vita? Daremo un nome di fantasia alla risposta di Michele, innervosito dalle critiche dei colleghi di pedalata: «Nessuno mi ha obbligato. Ho scelto io di farlo. Sono io che rischio e sono io che so fin dove mi posso spingere. Chi non se la sentiva poteva restare a casa». Quasi mai il mondo è bianco o nero. Viviamo, chi più chi meno, nell'area grigia del compromesso. Così non pochi lavorano come dipendenti per Just Eat e arrotondano, nel tempo libero, con le altre piattaforme. Michele è uno di loro. Ha pedalato nell'acqua perché quella sera, in mezzo all'alluvione, i rider disposti a lavorare erano meno e la consegna veniva pagata di più.«È il mercato, bellezza», avrebbe commentato Humphrey Bogart.
    Di tutto questo noi clienti sappiamo quasi nulla. Non immaginiamo neppure che esista questo mondo con le sue regole e contraddizioni. Ma sappiamo una cosa semplice: con l'alluvione non si lavora in bicicletta. Sembra banale. Anche se l'algoritmo non si ferma, gli umani dovrebbero farlo. Purtroppo la scelta dell'uomo sul divano come quella dei dirigenti delle piattaforme che non si sono fermate è stata compiuta da persone con un'anima e una coscienza. Ognuno è individualmente responsabile delle sue decisioni. Non prendiamocela con l'algoritmo.
  6. l'inchiesta
    Interrogata a roma la moglie dell'ex ministro sangiuliano
    "Ti mando un documento riservato, puliscilo" Quel filo diretto tra il militare e l'uomo di Musk
    Boccia indagata per truffa immobiliare a Pisa

    Antonio Masala
    Andrea Stroppa
    irene famà
    roma
    Da un lato del telefono c'è Andrea Stroppa, il braccio destro di Elon Musk in Italia, che al progetto Starlink ci tiene davvero: «Sto contribuendo per fare una cosa bella…fatta bene...per il Paese». Dall'altro lato del cellulare parla il "suo" riferimento nel ministero della Difesa Antonio Masala. L'ufficiale di Marina punta agli affari, a concludere in fretta ogni trattativa anche a costo di far trapelare carte top secret. «Andrea, è importante che questa cosa non circoli perché è un documento del Ministero… È veramente riservato, interno. Ti chiedo di pulirlo te, io non ho modo di farlo». Le intercettazioni dell'inchiesta della procura di Roma per corruzione, con una raffica di persone e società indagate, raccontano di una lunga serie di gare truccate nella pubblica amministrazione. Per favorire questo o quell'amico, questa o quella società.
    Interessi tra i più svariati. A iniziare da quelli che l'ufficiale di Marina aveva in Starlink, connessione internet satellitare ovunque sviluppata dall'azienda spaziale SpaceX. In estate, si discute sull'utilizzo del progetto sia a scopi militari sia civili. Il ministero della Difesa vuole dotarsi del sistema satellitare e, lo scorso 30 luglio, l'ufficio di Gabinetto indice una riunione tecnica. Forte del suo ruolo, l'ufficiale di Marina partecipa all'incontro. E i suoi obiettivi, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, sono diversi. Vuole, si legge nell'informativa della Guardia di finanza, «far riconoscere, dai massimi livelli istituzionali coinvolti, un ruolo al VI Reparto dello Stato Maggiore Difesa nell'iter di pianificazione e implementazione del progetto». E vuole guadagnarci. Socio occulto, tramite la moglie, della società di informatica Olidata, cerca spazi e accordi per la Spa.
    L'ufficiale Masala contatta l'ex hacker Andrea Stroppa. Con cui, si legge negli atti, ha «opache interazioni». Gli propone di «lavorare insieme». Cerca di dettare i tempi. Gli spiega che «se saranno veloci, entro l'anno potrebbero riuscire a fare un accordo per tutto il Paese. Se invece andranno per le lunghe, cercheranno di fare le attivazioni per i singoli clienti, quali per esempio la Marina». Stroppa aspetta «40 domande» sulla questione, così da poter «chiedere ai tecnici americani di Starlink di rispondere subito». Assicura l'ufficiale: «Tutto quello che è possibile fare, cioè internamente, spingo affinché venga fatto. Perché, comunque...te l'ho detto pure quando ci siamo visti. Ci tengo a livello personale...se un progetto deve essere fatto, dev'essere fatto bene. Almeno posso dire che sto contribuendo a fare una bella cosa».
    Ora l'informatico trentenne, finito indagato, assicura: «Non sapevo che l'ufficiale avesse interessi legati alla società d'informatica». Secondo gli inquirenti, coordinati dai procuratori aggiunti Giuseppe Cascini e Paolo Ielo e dai magistrati Lorenzo Del Giudice e Gianfranco Gallo, qualcosa invece aveva intuito. E gli atti parlano di una promessa: un contratto di fornitura tra Spacex e Olidata Spa.
    Il militare cerca di accreditarsi. E lo fa, almeno per quanto racconta l'inchiesta, insieme all'ex rappresentante legale di Olidata, Cristiano Rufini, pure lui finito nel registro degli indagati. E c'è una conversazione che appare particolarmente significativa. Masala racconta al "socio" di un Generale che «sovrintende il progetto» e che l'ha affrontato senza troppi giri di parole. «Mi ha detto: "Non vorrei che avessi interessi personali perché stai perorando la causa di Starlink molto fortemente". Ha detto di trovarlo strano». L'ufficiale nega. E spiega ad Andrea Stroppa, che in quei giorni stava preparando una presentazione, che «il nome di Olidata non deve comparire». In nessun modo.
    L'ufficiale Antonio Masala, tra le figure chiave di questa inchiesta condotta dai finanzieri del Comando provinciale di Roma e del nucleo speciale polizia valutaria, non aggancia solo Stroppa. Gli accertamenti, che hanno portato all'arresto dell'ex direttore generale di Sogei Paolino Iorio e dell'imprenditore Massimo Rossi, raccontano di un intreccio di affari e conoscenze, di gare e appalti truccati banditi da Sogei, dal ministero dell'Interno-Dipartimento della Pubblica sicurezza, dal ministero della Difesa e dallo Stato maggiore della Difesa. Di «un articolato sistema corruttivo» di cui Starlink rappresentava forse il progetto più ambizioso.
  7. Il tribunale accoglie la richiesta di sospensiva del provvedimento emanato dal prefetto: fatti troppo vecchi e c'è interesse pubblico su Tav e Tenda
    Antimafia, il Tar congela l'interdittiva a Cogefa Salve le grandi opere: i cantieri vanno avanti

    GIUSEPPE LEGATO
    LODOVICO POLETTO
    Il Tar smonta l'interdittiva antimafia a carico di Co. ge. fa, colosso delle infrastrutture che sta realizzando – tra le tante opere – i cantieri del Tenda e lo scavo del tunnel del Moncenisio. I fatti richiamati a sostegno del provvedimento dalla Prefettura e dal gruppo interforze interno che ha istruito il procedimento sono «troppo risalenti nel tempo». Non più attuali dunque – per estensione – al fine di motivare uno stop per la società a lavorare nei cantieri finanziati con fondi – in toto o in parte – pubblici.
    Nelle tre pagine di sentenza emessa ieri pomeriggio dal presidente Raffaele Prosperi si legge: «Il provvedimento prefettizio impugnato riguarda principalmente fatti estremamente risalenti nel tempo e talvolta nei decenni, interessando anche persone decedute oltre quindici anni addietro (si fa certamente riferimento a Teresio Fantini, fondatore di Cogefa venuto a mancare nel 2006 ndr) oppure soggetti in stretta parentela e che dunque si può al momento solo immaginare un coinvolgimento indiretto degli attuali amministratori della Cogefa». C'è poi una motivazione che pare avere le stimmate dell'interesse pubblico: «La ditta interessata segue molteplici cantieri di rilevanza nazionale e concernente i maggiori collegamenti stradali con la Francia, vie principali di transito per le esportazioni italiane oggigiorno di assoluto rilievo visto il perdurare delle interruzioni ferroviarie in territorio francese». I giudici dunque valorizzano «l'opportunità dell'accoglimento del ricorso in connessione alla garanzia della momentanea continuazione delle opere e dei rapporti di lavoro dell'alto numero delle maestranze impiegate e che per quanto rilevato appare preminente l'interesse pubblico al mantenimento delle attività della ricorrente».
    Co. ge. fa, raggiunta da interdittiva lo scorso 15 ottobre, è la testa di un impero che si occupa di grandi costruzioni, opere di rilevanza strategica: una produzione economica (a fine 2023) di oltre 214 milioni di euro. Il legale di Cogefa, . Carlo Merani spiega: «Sono soddisfatto per l'intervenuta sospensione degli effetti dell'interdittiva che tanti danni stava provocando all'azienda e anche alle commesse pubbliche. Come evidenziato la questione sarà riaffrontata in una prossima udienza di fronte all'intero collegio del Tar». I danni a cui fa riferimento il legale sono questi: nei tre giorni successivi all'emanazione del provvedimento i principali committenti di gran di opere hanno scritto a Co.Ge.Fa (Telt, Anas, Città Metropolitana etc…) intimando che «non appena sarebbe entrato in vigore il provvedimento applicativo del Prefetto ne sarebbero derivate le conseguenze». Tradotto: la risoluzione dei contratti. Non andrà così, almeno per ora. Tira un sospiro di sollievo la Regione: «La decisione del Tar del Piemonte garantisce la prosecuzione di opere strategiche per il territorio e questa è senza dubbio una buona notizia: i cantieri vanno avanti» dicono, in una nota, il presidente Alberto Cirio, e gli assessori alle Infrastrutture strategiche Enrico Bussalino e ai Trasporti Marco Gabus. Co.ge.fa, dal canto suo aveva scritto nell'atto di impugnazione dell'interdittiva che «l'interdittiva colpisce una grande società con numerosi addentellati economici e finanziari a causa di presunte condotte poste in essere non dalle attuali figure gestorie, ma da soggetti che non rivestono da oltre dieci anni alcuna carica nella Società (Roberto Fantini, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa) e che con essa non hanno alcun rapporto, se non quello parenterale evidentemente non modificabile»
  8. Germagnano, in manette un pregiudicato di 33 anni che era tornato a vivere a casa dei genitori Ha trovato i militari ad aspettarlo al ritorno da un colpo appena messo a segno in una tabaccheria
    Torna a casa dopo la rapina e la madre lo fa arrestare

    gianni giacomino
    Quando è salito sulla macchina parcheggiata davanti a casa a Germagnano con la madre che cercava di fermarlo è stato chiaro:«Lasciami vado a fare una rapina in tabaccheria in paese e torno». La donna, però, non ha perso tempo e ha immediatamente avvertito il 112. Così quando il figlio 33enne, con alle spalle una discreta sfilza di precedenti, è tornato dalla razzia è stato anche raggiunto dai carabinieri del nucleo radiomobile di Venaria che lo hanno arrestato e riportato in carcere ad Ivrea.
    La storia si è consumata tutta nel giro di un'ora, a Germagnano dove l'uomo è venuto a stare con i suoi dopo aver avuto dei problemi con la sua ex, vittima di maltrattamenti in famiglia. Infatti il 33enne ha il divieto di avvicinamento alla donna e non può più entrare nel comune di Moncalieri. Per questo ha deciso di raggiungere le Valli di Lanzo. E, l'altro giorno, si è messo nei guai. Quando è arrivato davanti all'obiettivo, si è calato sul viso il cappuccio della felpa ed è entrato in tabaccheria. Dove ha strattonato e gettato a terra la proprietaria, poi ha arraffato 400 Gratta&Vinci, un migliaio di euro in contanti. Quindi è risalito in macchina ed è tornato verso la casa dei suoi, che abitano poco distante. Ovviamente il 33enne non si immaginava certo che la madre - provata da anni di sopportazione del figlio che ne ha combinate un po' di tutti i colori - avesse già avvisato le forze dell'ordine. Quindi si è messo comodo in salotto e ha iniziato a grattare i tagliandi che aveva appena rubato. Fino a quando non si è trovato davanti ai carabinieri del radiomobile di Venaria che lo hanno prelevato e portato in carcere.
    Nel frattempo la commerciante aggredita e parecchio scossa dalla violenza subita ha raggiunto il pronto soccorso dell'ospedale di Ciriè dove i medici, dopo un controllo, l'hanno dimessa giudicandola guaribile in una settimana.
    I carabinieri di Ciriè invece, l'altro pomeriggio dopo delle rapide indagini, hanno denunciato per rapina un ragazzo che aveva assaltato il bar "Dolomice" nella centralissima isola pedonale di via Vittorio Emanuele, a Ciriè. Il trentenne, armato di un coltello, indossava un berretto, ma era a volto scoperto. É entrato nel locale poco prima della chiusura, intorno a mezzanotte, ha minacciato con l'arma le dipendenti e si è fatto consegnare circa 600 euro in contanti. Poi è fuggito per Ciriè. Le fasi dell'assalto sono però state riprese nitidamente dalle telecamere che sorvegliano il bar e anche via Vittorio Emanuele. Poco più tardi il 30enne, con alle spalle una sfilza di precedenti, è stato fermato dagli investigatori. —

 

 

 

 

22.10.24
  1. senza pace
    Bologna
    L'urbanistica
    La mia
    Non so se è una persecuzione. Però è dal 2012, quando le viscere del sottosuolo cominciarono a rivoltarsi, che questa terra non ha pace,
    la regione più moderna d'Italia, un angolo di America piantato nello stivale con la sua economia diffusa e le sue eccellenze, dove il basket conta più del calcio e i bambini giocano a baseball. Prima il terremoto, poi la siccità e dopo la siccità le alluvioni a catena, e mettiamoci pure il Covid. Dalla Romagna a Bologna è un'epica del dolore che stringe nella sua morsa questa terra da dodici anni. Sono due cose diverse, va detto, come spiega Romano Montroni, il Libraio d'Italia, che ci guida nel volto disastrato della città («anche se in centro dove abito non è successo niente»). Là è come se franassero le montagne percosse inesorabilmente da quel diluvio infinito, qui è il sottosuolo che si ribella al destino che gli era stato assegnato. Alla fine, le piaghe dell'Emilia Romagna sono comunque quelle di una regione ricca, ammirata e anche un po' presuntuosa, come annota Marco Marozzi, il suo Cronista più importante, abituata a guardare gli altri dall'alto in basso. Ed è vero in fondo che nella vulgata comune «il cambiamento climatico in tutta la sua immensa tragicità colpisce a sangue il buon governo».
    Eppure c'è anche qualcosa di diverso in questo capriccio del destino. Perché Bologna ha sempre voluto guardare in alto, dimenticandosi alla resa dei conti di quel che c'era sotto i suoi piedi. Tutto cominciò nel 1956, ricorda Montroni, quando il sindaco Dozza decise che bisognava ammodernare l'urbanistica della città e da Roma arrivò Campos Venuti per realizzare questo progetto. Fu deciso che i fiumiciattoli venissero interrati e dimenticati. La storia di quei canali è antica e affonda le sue radici nel Medioevo, ma fu proprio grazie a quella gestione delle acque esemplare e innovativa che Bologna poté sviluppare una fiorente industria. Fra loro c'è il Ravone, un torrente che nasce sui colli e sfocia nel Reno dopo 10 chilometri, durante i quali entra in città sotto il portico di via Saragozza, e la costeggia dal suo lato Est, nascondendosi nel suo suolo e uscendone ogni tanto. Ma adesso, com'era già successo nel 2023, ha esondato da quelle viscere, come se fosse venuto fuori a castigarla, assieme a Idice e Zeno. Via Saffi inondata, ordini di evacuazione, anche a San Lazzaro, duemila sfollati, e il sindaco di Casalecchio di Reno, davanti alle immagini di macchine che galleggiano sull'acqua, dice con voce rassicurante che è tutto sotto controllo, ma che nessuno deve uscire di casa. Non c'è bisogno di gridare, qui si fa così. Montroni ricorda come Giovanni Guareschi faceva benedire i paesi del Grande Fiume da don Camillo, ma non è più la stessa Bassa di 70 anni fa, i fenomeni estremi dalle epidemie alle rivolte del sottosuolo e delle sue acque non guardano in faccia a nessuno e possono colpire anche i lembi migliori dello sviluppo umano. È questa la fregatura. Se «il buon governo ha sempre vinto contro tutto e tutti», come sottolinea ancora Montroni, oggi è come se perdesse contro sé stesso. Nel ‘56 l'arcivescovo Lercaro schierò Dossetti per battere Dozza. Lo costrinse a radunare il meglio che trovasse e lui chiamò Ardigò e Pedrazzi fra gli altri, ma la Dc ottenne il peggior risultato degli ultimi 60 anni, senza contare che molti di quei candidati finirono poi nelle file avverse. Anche i rivali pensavano di vincere guardando in alto.
    È questo il prezzo che pagano Bologna e l'Emilia? Certo, pure gli altri la guardano sempre e solo così, nel bene e nel male. Le Monde la cita come la città più anti Meloni d'Italia, non come quella dove cedono i canali e un fiumiciattolo dimenticato travolge le sue strade. In compenso, il New York Times l'ha accusata di aver tradito la sua storia per vendersi all'overtourism, legando la propria immagine a uno dei suoi prodotti più tipici, la mortadella. Come a dire che ha smesso di volare alto, che questo nuovo inferno turistico si è preso tutto. Però quando il Pd Renziano aveva deciso di lanciare Bologna come City of Food, la Los Angeles sul Reno, era partito dall'alto e la immaginava una capitale del cibo politicamente e dieteticamente corretto, di Farinetti e Segré, e di Fico. Prodi portava al vecchio Diana Tony Blair e Brad Pitt e Angelina Jolie mangiavano i tortellini all'Osteria dei Poeti. Non è che tutto questo non esiste più. È che non puoi più guardare in alto, questa è l'unica verità che ci consegna quello che accade adesso.
    Giovedì 24 il presidente Mattarella sarà a Bologna e renderà visita all'Istituto di Scienze Religiose e al Mulino, che compie 70 anni. Nella sala della Biblioteca, ci sarà anche Romano Montroni, entrato nel nuovo cda della casa editrice. Lui è il libraio più famoso d'Italia ed era un ex magazziniere quando nel 1964 passò alla guida delle librerie Feltrinelli, partendo da qui, sotto le due torri. Allora si poteva volare alto, si poteva cominciare da queste strade. Ma oggi sarebbe ancora così? Oggi Monsignor Zuppi dice che è necessario realizzare una «conversione ecologica». E il sindaco Lepore parla di Bologna come «laboratorio di innovazione nel cambiamento climatico». Chissà se sono solo parole. Perché non bastano neanche più i miracoli. Il 5 luglio del 1433 la Madonna di San Luca entrò in processione da Porta Saragozza e in quel momento apparve il sole a scacciare la pioggia che tormentava la città. Adesso niente. Vedi il cielo che viene giù e un video riprende dei rider che girano con le pizze sguazzando sulle bici nei fiumi d'acqua e di fango. C'è chi non si può fermare, ma questa immagine ci dice qualcos'altro: in quei colori neri e cupi, e in quei ragazzi fradici, c'è tutta la sconfitta che viene dal basso. —
  2. Mario Tozzi
    Abbiamo sacrificato gli spazi della natura E ora le alluvioni ci trovano più fragili
    Non porterebbe alcun vantaggio alla comprensione dei fenomeni e al da farsi, se concentrassimo tutte le nostre attenzioni sull'Emilia-Romagna, proprio mentre le piogge aggrediscono Umbria e Marche, appena dopo che la Liguria è stata trasformata in un dominio subacqueo, e Calabria e Sicilia vedono l'acqua entrare nelle case. Tutta l'Italia viene ormai alluvionata con una frequenza e una consistenza sconosciute prima. Ma certo il caso dell'Emilia-Romagna è comunque in qualche modo paradigmatico per diverse ragioni, a partire da quella territoriale: una regione tra le più sviluppate dal punto di vista economico è anche la più interessata da frane e alluvioni, ed è difficile pensare che si tratti di un caso.
    In Emilia-Romagna si è costruito come forsennati e lo si è fatto anche nelle aree a pericolosità idraulica, quelle che andrebbero lasciate intatte e, anzi, lentamente sgombrate da parte della popolazione residente e dalle costruzioni. Non bastasse, la parte orientale della regione ha visto progressivamente cancellati quei lacerti di natura che avevano resistito al furore bonificatorio dei nostri antenati e che, oggi, avrebbero protetto case e persone.
    Non si è arrivati agli eccessi della Liguria, quella mezzaluna di montagne e colline a picco sul mare che è stata trasformata in un anfiteatro di asfalto e cemento perennemente sommerso e aggredito dalle mareggiate. E non siamo nello stato comatoso di Calabria e Sicilia, scampate solo per via della siccità alle ultime piogge, ma teatri delle famigerate alluvioni dell'abusivismo edilizio e dell'abbandono. Siamo in una regione moderna che produce reddito e eccellenze, ma che non ha tenuto in alcun conto l'ambiente naturale, ritenendo a torto che le aree di pertinenza fluviale dovessero essere sacrificate ai capannoni industriali e alla regimentazione coatta delle acque. Per non dire dei fiumi tombati sotto le città: Modena e soprattutto Bologna, dove oggi ci si meraviglia dell'esplosione del Reno e dell'Aposa, come se ci si potesse dimenticare che per visitarli ci si deva infilare sotto terra, perché sono stati sottratti al godimento della popolazione e colpevolmente mutati in bombe idrauliche a orologeria.
    E in Italia ci sono qualcosa come dodicimila chilometri di corsi d'acqua seppelliti da asfalto e cemento. Non che non accada lo stesso in Lombardia (Seveso e Lambro, per citare un esempio) o altrove, ma il conto che la crisi climatica ci sta presentando è più salato in Emilia-Romagna e non servirà a molto prendersela con il cameriere che lo notifica.
    Perché lo stato del territorio c'entra parecchio, ma è evidente che il minimo comune denominatore dell'Italia alluvionata di fine ottobre 2024 è l'accelerazione spropositata che la crisi climatica sembra aver messo agli eventi meteorologici a carattere violento, come ampiamente preventivato dai ricercatori specialisti già da alcuni anni. In definitiva, queste alluvioni sono figlie delle nostre attività produttive, un legame ormai ben delineato, visto che la discussione sul ruolo dei sapiens, fra gli scienziati, è stata chiusa da tempo e si riaprirà solo se emergeranno nuovi dati. Che al momento non ci sono. Ed è questo legame che va spezzato, agendo sulle cause, cioè azzerando le nostre emissioni climalteranti. Solo allora potremo dedicarci all'adattamento e alla mitigazione degli effetti, altrimenti rischiamo di adottare provvedimenti che costeranno sacrifici, ma che non saranno risolutivi, perché, intanto che li mettiamo in atto, le cose peggiorano.
    Nei fatti, però, non riusciamo a prendere decisioni significative per diminuire le emissioni, figuriamoci per azzerarle. Anche per colpa dell'ignoranza diffusa e della malafede. Così, perdendoci in polemiche sterili, non azzeriamo né ci adattiamo. E finiamo sott'acqua.
    Stiamo però affrontando la sfida della crisi climatica e del degrado territoriale con le armi giuste? A giudicare dai risultati sembrerebbe di no, non soltanto perché le grandi opere, la nostra unica risposta, hanno bisogno di grandi quantità di denaro che spesso manca, ma soprattutto perché, dove pure sono state messe in atto, non hanno funzionato e non funzionano come ci si aspetterebbe. Naturalmente qui non parliamo delle piccole opere, delle vasche di espansione puntuali o della manutenzione ordinaria e straordinaria: quelle opere occorrono, ma sapienti, puntuali e nel contesto di interventi "dolci". Qui parliamo di grandi dighe, muraglioni di contenimento, briglie, sbancamenti e uso fuori misura del cemento: di quello non abbiamo bisogno perché non funziona e, anzi, peggiora la situazione. Qui parliamo dell'invasione sistematica delle aree di pertinenza di montagne e fiumi: non è un caso che esistano letti di piena e di magra e che vadano rispettati entrambi. Fiumi e montagne sono sistemi naturali, significa che più li irrigidisci e peggio fai: un fiume lasciato libero fa meno danni, a patto di mantenersi alla giusta distanza.
    Ma l'Emilia-Romagna, come la Lombardia (più di altre realtà), ci sta indicando che abbiamo raggiunto uno dei limiti più insormontabili dello sviluppo economico, quello del suolo, un limite che non può essere in alcun modo scavalcato. Semplicemente non possiamo moltiplicare le attività produttive, gli ettari da coltivare, gli allevamenti, le fabbriche, gli impianti e le infrastrutture, perché nessun vivente può vivere in un contesto completamente artificiale e perché lo sviluppo non può incrementare all'infinito su un pianeta per definizione finito.
    Il moltiplicarsi delle alluvioni ci dice che il re è nudo e rivela che il futuro non può risiedere nelle quantità, ma, se ci riusciamo, nella qualità. Il capitale economico è integralmente figlio del capitale naturale, ma quest'ultimo non è rifondabile alla scala dei tempi dell'uomo e lo stiamo consumando con un assalto ipertecnologico degno di scopi più nobili. Dove oggi i fiumi esondano, in passato c'erano paludi e acquitrini, cioè i territori dell'acqua, che ritornano temporaneamente alla loro origine antica. Solo che in mezzo ci sono le nostre vite e i nostri beni. —
  3. URSO E CIRIO VOGLIONO APRIRE TORINO AI CINESI ALLEATI DI PUTIN: Erdogan e Xi da Putin al vertice dei Brics
    giuseppe agliastro
    mosca
    L'Ucraina dice di aver attaccato una fabbrica di esplosivi e un aerodromo militare nel cuore della Russia. Ma allo stesso tempo sostiene che almeno 17 persone siano state ferite in un raid missilistico su Kryvyi Rih e più di 37 mila siano rimaste senza elettricità nella regione nord-orientale di Sumy dopo un bombardamento delle forze russe su una «infrastruttura energetica». La Russia da parte sua afferma di aver neutralizzato più di cento droni ucraini nella notte e non commenta (almeno per ora) la notizia del presunto attacco alla base aerea di Lipetsk-2, ma lascia intendere che sia stato respinto il raid contro la fabbrica di esplosivi Sverdlov, tra le più grandi del Paese. «I mezzi di difesa aerea e di guerra elettronica hanno respinto un attacco di droni sul territorio della zona industriale di Dzerzhinsk», afferma infatti Gleb Nikitin, governatore della regione di Nizhny Novgorod, aggiungendo però che quattro vigili del fuoco avrebbero riportato «leggere ferite da schegge». Tutt'altra la versione di Kiev, secondo cui «numerose esplosioni» si sarebbero registrate sia nella zona dell'aerodromo militare sia in quella della fabbrica di esplosivi, che è sotto sanzioni di Usa e Ue e dista ben 900 chilometri dalla frontiera. Al momento nessuno dei due resoconti è verificabile in maniera indipendente.
    Ora che l'inverno si avvicina, aumentano i timori di Kiev per i bombardamenti russi sulle infrastrutture energetiche, la cui rete in Ucraina è già stata messa in ginocchio in questi anni di guerra, con i soldati russi accusati di aver lasciato al buio e al gelo milioni di persone.
    Il presidente ucraino Zelensky intanto è tornato a chiedere ai suoi alleati «maggiori capacità di difesa aerea» e «a lungo raggio», accusando i militari russi di aver lanciato la settimana scorsa contro l'Ucraina «più di 20 razzi di vario tipo, circa 800 bombe aeree guidate e più di 500 droni». «Un mondo unito nella difesa può resistere a questo terrore mirato», ha dichiarato Zelensky.
    La Russia da domani a giovedì ospiterà invece il vertice dei Paesi Brics, a cui sono attesi, tra gli altri, il leader cinese Xi Jinping, il presidente turco Erdogan e il segretario generale dell'Onu Guterres. Un evento che servirà a Putin per cercare di smentire la sua immagine di isolamento.
  4. Nuovi atti depositati al Riesame: "Ceravolo finanziò la latitanza in Marocco di un trafficante di droga. La sorella nella ditta di esponenti della n'drangheta"
    Si aggrava la posizione del sindacalista Cisl "Da anni a completa disposizione dei boss"
    leonardo di paco
    giuseppe legato
    Ulteriori atti di indagine sono stati nel frattempo depositati dalla Dda di Torino nell'ambito dell'inchiesta che ha portato in carcere – per associazione mafiosa – il sindacalista (sospeso) della Filca Cisl Domenico Ceravolo difeso dall'avvocato di fiducia Christian Scaramozzino.
    Si tratta di diverse annotazioni del Gico della Finanza che raccontano ulteriori – e più datate - e contiguità con appartenenti o contigui alla ‘ndrangheta. Gli atti sono quelli dell'inchiesta Fenice ed emerge come Ceravolo, già cinque anni fra, incontrò a Moncalieri il boss Antonio Serratore e Onofrio Garcea uomo di punta della cosca Bonavota finito a processo (e condannato in via definitiva) per voto di scambio politico mafioso con l'ex assessore regionale di Fdi Roberto Rosso (per quest'ultimo pende Cassazione). Nelle carte sono mappati contatti telefonici con membri di spicco dell'organizzazione mafiosa: da Salvatore Arone a Basilio De Fina a Nazareno Fratea tutti gente già condannata in più gradi di giudizio a pene severe per ‘ndrangheta tutti soggetti "verso i quali – scrivono gli investigatori nel Nucleo di polizia economica della Finanza – Ceravolo si è sempre mostrato disponibile e reverente". Ancora: "Ha altresì intrattenuto rapporti con Raffaele Arone, altro esponente della 'ndrina Bonavota per il tramite dello zio, Francesco Arone". Di più: "Dall'analisi delle conversazioni intercettate sull'utenza in uso a Raffaele Serratore (già condannato per mafia) è emerso come quest'ultimo sia particolarmente legato a Ceravolo il quale, con massima dedizione, si è messo a completa disposizione". Come? "Oltre a contattarlo quasi quotidianamente, ogni qualvolta Serratore manifesta la necessità di essere accompagnato da qualche parte è lui (Ceravolo ndr) che si mette immediatamente a sua disposizione. Ceravolo – sempre secondo gli investigatori avrebbe partecipato al finanziamento della latitanza in Marocco (dal febbraio al dicembre 2016) di Francesco Mandaradoni "a vantaggio del, quale – si legge agli atti – ha trasferito 1000 euro circa".
    E proprio in relazione ai Mandaradoni, soggetti da sempre ritenuti contigui alla ‘ndrina Bonavota, Ceravolo avrebbe avuto vantaggi a ricaduta "familiare". Da ottobre 2014 a gennaio 2015 la signora Rosanna Ceravolo "ha percepito redditi dalla "Build Up Srl, società per quanto riscontrato dall'attività investigativa svolta dalla Legione dei Carabinieri di Genova essere congiuntamente gestita da esponenti della 'ndrina Bonavota".
    Ancora a giugno 2022 viene intercettata una telefonata tra un membro della famiglia D'Agostino e Ceravolo. Il primo racconta al secondo che in un cantiere in corso a Milano si era presentato un delegato della Uil per "fare delle tessere" sindacali. Annota la Finanza. " Immediatamente Ceravolo ha contattato un operaio a lui vicino invitandolo a riferire ai "ragazzi" presenti in cantiere di non proseguire con le iscrizioni sindacali". Ciò doveva accadere, ha proseguito D'Agostino, perché la Uil "non è un nostro sindacato". Questa affermazione "assume rilevanza almeno per due ragioni: la prima dimostra come i partecipi del gruppo investigato, consideri la Filca-Cisl, all'interno della quale opera Ceravolo, come il loro sindacato di riferimento; la seconda evidenzia come sia lo stesso datore di lavoro ad indirizzare i dipendenti, impedendone l'iscrizione verso altre sigle, verso il sindacato di loro convenienza considerato che il delegato di riferimento è Domenico Ceravolo appunto". Va ricordato che la Filca-Cisl Torino Canavese è la federazione territoriale che è cresciuta di più nel 2023 aumentando gli iscritti di 1.061 unità e raggiungendo quota 7.839 tesserati: +16%.
    In settimana, infine, all'interno della Filca torinese è previsto il direttivo per sostituire l'attuale segretario provinciale, Mauro De Lellis, non indagato, promosso a segretario regionale nei primi giorni dell'inchiesta. De Lellis, come da protocollo, rassegnerà le dimissioni dal vertice provinciale. Ma il direttivo del sindacato, anziché eleggere la nuova segreteria, potrebbe decidere per un periodo di reggenza. Una mossa cautelativa, che non prevede l'azzeramento degli organismi, in attesa che si conoscano ulteriori sviluppi sulle indagini. —

 

 

21.10.24
  1. Abuso d'ufficio
    "
    Raffaele Cantone
    "Banche dati violate, Italia a rischio sicurezza Sulla giustizia auspico un fermo biologico"
    Separazione carriere
    L'uso dei Trojan
    Sorteggio del Csm
    Inviato a Perugia
    Riforma della giustizia? «Non si avvertiva la necessità d tutte queste modifiche, auspico un "fermo biologico" da parte dell'esecutivo». E ancora: «Il tema delle violazioni alle banche dati pubbliche o più in generale dei sistemi informatici pubblici, a partire da quelli del ministero della Giustizia, si sta rivelando in questi giorni un problema enorme, anche di sicurezza per l'intero Paese». E poi la lotta alla corruzione che da anni connota la sua carriera da magistrato e da ex presidente di Anac «resa molto più complicata dalle ultime riforme», il ruolo delle Fondazioni create dai partiti «che in molti casi finanziano in modo illecito e surrettizio la politica». L'ufficio del Procuratore di Perugia Raffaele Cantone è un via vai di investigatori: l'inchiesta che vede indagati, tra gli altri, il tenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano e l'ex magistrato della Dna Antonio Laudati è in corso: «Di questo ovviamente nulla posso dire» precisa.
    Procuratore Cantone, non si è mai visto – o si è raramente visto - come in questo biennio un profluvio di modifiche legislative. Erano tutte così necessarie ?
    «Effettivamente nell'ultimo periodo si sono susseguiti tanti interventi in materia di giustizia su molti aspetti sostanziali e processuali. Va detto, per onestà, che anche altre legislature, pure recenti, si erano distinte per un eccesso di attivismo. Sulla necessità ed opportunità non posso che concordare con quanto saggiamente e felicemente ha detto la Prima Presidente della Cassazione, Margherita Cassano».
    Sarebbe a dire?
    «Ha auspicato un "fermo biologico" in materia».
    Abuso d'ufficio abolito. E amministratori liberi dalla paura della firma. Quanto c'è di vero?
    «È una leggenda metropolitana che la paura della firma, quella che qualcuno chiama burocrazia difensiva, dipenda dalla norma sull'abuso di ufficio; la paura della firma, purtroppo, invece è un fatto esistente, ma ha ben altre e più complesse cause. Sono convinto che anche con l'abolizione dell'abuso le amministrazioni pubbliche non si trasformeranno in esempi di efficienza e i fatti purtroppo mi daranno ragione».
    Cosa accadrebbe alla lotta alla corruzione nell'ipotesi di un combinato disposto tra l'abrogazione dell'abuso d'ufficio, il ridimensionamento del traffico di influenze e la ventilata cancellazione della Spazzacorrotti?
    «Chi si occupa di indagini sa benissimo che l'abolizione dell'abuso di ufficio renderà le indagini in materia di corruzione molto più difficili, perché viene meno un'ipotesi di "reato spia", che può nascondere - non sempre - fatti di corruzione. La riforma Nordio depotenzia moltissimo anche il traffico di influenze che però è un reato che serve a punire l'attività dei faccendieri, che nelle forme moderne di corruzione sono coloro che fanno da tramite fra i pubblici ufficiali corrotti ed i corruttori: l'annacquamento di questa fattispecie rischierà di indebolire anche questo aspetto dell'attività di contrasto».
    Sono pubbliche le intenzioni di limitare anche l'utilizzo del Trojan su indagini di corruzione.
    «Non consentire il trojan per questa tipologia di reati avrà un effetto assolutamente deleterio».
    Forse qualcuno crede ancora che corrotti e corruttori parlano liberamente al telefono?
    «Ma si figuri. La corruzione è un reato commesso da persone con un certo livello di cultura e di attenzione, che al telefono parlano pochissimo e che non lo utilizzano per scambiarsi favori e mazzette; pensare che possano bastare le sole intercettazioni telefoniche è quantomeno un'ingenuità».
    Dall'inchiesta della procura di Genova sulla politica è emerso un tema molto delicato legato alle Fondazioni che i politici creano per finanziare la campagna elettorale. Un sistema trasparente?
    «Le Fondazioni create a latere dei partiti nascono con nobili finalità culturali e di promozione di idee politiche ma in molti casi diventano un modo per finanziare in modo illecito e surrettizio la politica. La legislazione, pur con le novità timide introdotte dalla "Spazzacorrotti", non è in grado di garantire la trasparenza dei finanziamenti e paradossalmente questa situazione fa danno anche a quelle Fondazioni che vogliono fare davvero politica e non raccattare denaro».
    Ha ragione il presidente dell'Anticorruzione Busia a invocare una nuova legge sul conflitto di interessi?
    «Ha assolutamente ragione; il conflitto di interessi è l'anticamera della corruzione: per troppi anni abbiamo pensato che riguardasse un unico politico e cioè un importante imprenditore; in realtà i conflitti di interesse nelle amministrazioni pubbliche sono tanti e, ad oggi, non ci sono strumenti adeguati per rimuoverli».
    Stop alle intercettazioni dopo 45 giorni. Anche questa era una misura impellente per un miglior funzionamento della giustizia? E cosa c'entra coi diritti degli indagati?
    «Credo che sia una riforma sbagliata, malgrado le eventuali buone intenzioni che la animano; concordo che le intercettazioni non devono avere tempi lunghissimi, ma fissare un limite per legge non è una buona idea; vediamo come sarà scritta la norma».
    Quanto eventuali limitazioni all'accesso ai cellulari degli indagati (ddl sui sequestri) avrebbe impattato sull'indagine che sta portando avanti come procuratore di Perugia insieme al suo ufficio?
    «Dell'indagine nulla posso dire ma mi faccia dire che il tema delle violazioni alle banche dati pubbliche o di interesse pubblico o più in generale dei sistemi informatici pubblici, a partire da quelli del ministero della Giustizia, si sta rivelando in questi giorni un problema enorme, anche di sicurezza per l'intero Paese. Bisogna sul punto dare atto che fra le tante leggi criticabili il Parlamento ha varato una buona riforma dei reati informatici, attribuendo il coordinamento delle indagini alla Procura Nazionale antimafia. Un plauso meritato, quindi».
    Sostiene il ministro che «la madre di tutte le riforme è la separazione delle carriere ».
    «Io sono assolutamente contrario; la riforma fra l'altro di cui si discute non prevede la separazione delle carriere ma molto di più e cioè la separazione delle magistrature e paradossalmente renderà il pm più forte e molto più autoreferenziale, ma anche molto più a rischio di essere influenzato da scelte della politica. Mi auguro che su questa riforma vi sia la giusta riflessione, perché si rischia di stravolgere l'impianto costituzionale».
    Ritiene verosimile anche lei – come alcuni suoi colleghi – che «il vero obiettivo di pezzi di questo esecutivo sia sottomettere (ad esso) i pm e abolire l'azione penale obbligatoria»?
    «Sono rischi concreti che vanno assolutamente scongiurati; certi principi rappresentarono nel 1946 i capisaldi di una Costituzione democratica e restano ancora oggi pienamente validi».
    L'avviso di arresto, così ribattezzato dalla norma sul "contraddittorio anticipato" sta svelando alcune fragilità.
    «È una riforma che non potrà reggere; nella prima attuazione ci sta creando problemi seri non tanto per i reati contro la pubblica amministrazione ma per quelli che riguardano la sicurezza pubblica: i furti e lo spaccio di droga; in una realtà come Perugia in cui questi reati sono appannaggio di soggetti senza fissa dimora o che non sono della zona l'interrogatorio preventivo rischia di rendere l'eventuale misura successiva inutile, perché gli indagati si danno alla fuga. Il governo ha promesso che monitorerà gli effetti e mi auguro, se necessario, che torni davvero sui propri passi».
    Capitolo sorteggio/Csm. Il ministro Nordio lo considera «l'unico modo per dare alla magistratura indipendenza e autonomia». E cita la Corte d'Assise «composta per la maggioranza da giudici popolari sorteggiati». ...
    «È un ragionamento che faccio fatica a credere possa aver fatto un giurista raffinato come il collega Nordio; cosa c'entra la Corte di assise, i cui componenti dovranno partecipare ad un processo per un tempo relativo, con il Csm chiamato ad gestire la vita professionale e le carriere dei magistrati? Questa norma mi pare solo punitiva per la magistratura e vorrei che si capisse che qualcuno, in futuro, raccogliendo questo precedente potrà chiedere che anche il Parlamento venga scelto a sorteggio»
  2. Progetti energetici finti e finanziamenti veri Il tesoro era in un box di corso Giulio Cesare
    Banche truffate e soldi investiti nei lingotti d'oro In 50 a processo
    ludovica lopetti
    Hanno messo a segno truffe milionarie ai danni del Gse (Gestore dei servizi energetici) e dei maggiori istituti di credito italiani (Bpm, Montepaschi e Ubi banca, solo per citarne alcune) grazie a una galassia di società fantasma che sono riuscite a ottenere erogazioni pubbliche, prestiti bancari e crediti fiscali per decine di milioni di euro.
    Per "ripulire" i proventi delle truffe, poi, hanno acquistato centinaia di lingotti d'oro, in parte stivati in un box di corso Giulio Cesare insieme a 600mila euro in contanti. E ancora, avrebbero aperto conti correnti nell'Est Europa e nei paradisi fiscali e portafogli "crypto" su cui far transitare il denaro sporco.E sullo sfondo compaiono imputati già coinvolti in indagini legate alla 'ndrangheta calabrese.
    Un meccanismo che ha iniziato a vacillare quando i finanzieri, a fine gennaio 2019, hanno trovato il box e ne hanno sequestrato il contenuto. A quel punto Elio Miegge, Luca Villata, Simone Marietta e Luca Pifferi, che la Procura considera «capi e organizzatori» di una vasta e radicata associazione a delinquere, hanno cercato di fuggire in Svizzera grazie alla complicità di un faccendiere, ma sono stati fermati dai carabinieri con la valigia in mano.
    Oggi i quattro colletti bianchi sono finiti a processo insieme ad altre 48 persone (difese, tra gli altri, da Guido Anetrini e Luigi Chiappero) con accuse che vanno dal riciclaggio alla frode, tutti reati commessi, in ipotesi, nella cornice associativa. Alla sbarra ci sono imprenditori, commercialisti e "teste di legno", ma anche soggetti già noti alle cronache come Crescenzo D'Alterio, imputato nel processo sulla presunta infiltrazione della 'ndrangheta nell'impresa che gestiva il bar del Palagiustizia, e Pasquale Motta, condannato in via definitiva a 6 anni per aver riciclato il denaro della cosca Pensabene in una rsa di Favria.
    L'udienza preliminare si è aperta nei giorni scorsi con le costituzioni di parte civile: hanno chiesto di partecipare al processo, in veste di danneggiati, il Gse (interamente partecipato dal Mef), Unicredit, Banca Ifis, Leasys spa, Banca Progetto, Credem, Banca Sella e altre.
    Le indagini, coordinate dal pm Ruggero Crupi e affidate a Carabinieri e Guardia di Finanza, hanno scoperto decine di società (tra le altre, FS srls, Progest Key srls e la Omnia Energy srls) intestate a prestanome o a identità di fantasia come "Paolo Locatelli" o "Elisa Girotti", che presentavano al Gse documenti da cui risultava l'esecuzione di falsi lavori di efficentamento energetico. Il gestore erogava i "certificati bianchi" (titoli di risparmio energetico) e le società li monetizzavano mettendoli in commercio. Gli amministratori delle ditte poi trasferivano il denaro all'estero fatturando compensi per prestazioni mai eseguite. Lo stesso metodo sarebbe stato usato per raggirare le banche: le società presentavano credenziali solide e ottenevano finanziamenti da centinaia di migliaia di euro, garantiti per metà dal Ministero dello Sviluppo. Poi i gestori di fatto trasferivano il bottino all'estero e ne facevano perdere le tracce. Ma lo schema sarebbe stato replicato anche con auto prese a leasing, mai restituite e spedite in Lituania e Bulgaria.
    Nell'ambito della stessa inchiesta, nel 2019, era finita sotto sequestro anche l'Hamburgheria di Eataly dell'outlet di Settimo Torinese (Eataly estranea ai fatti), che faceva capo a una società (la Opera srl) gestita di fatto dal sodalizio e, nell'ipotesi della procura, sarebbe stata utilizzata - emerge dagli atti - per reinvestire i proventi delle maxi-truffe nell'economia legale. —
  3. In Vaticano la canonizzazione del beato nato nel 1851. Nel 1996 il miracolo in Amazzonia: la guarigione di un indigeno aggredito da un giaguaro
    Oggi il Papa proclama Santo Allamano A Torino fondò le Missioni della Consolata
    domenico agasso
    Giuseppe Allamano e il suo motto di vita «fare bene il bene» salgono agli altari della Chiesa universale. Stamattina papa Francesco proclama Santo il fondatore delle Missioni della Consolata. Il sacerdote, nato a Castelnuovo Don Bosco il 21 gennaio 1851 e morto a Torino il 16 febbraio 1926, annoverato nella schiera dei «santi sociali» piemontesi, è beato dal 1990 per volere di Giovanni Paolo II. E oggi è di nuovo festa in piazza San Pietro e a Torino, dove Allamano fu rettore del Santuario della Consolata dall'età di 29 anni.
    Il Canonico è nipote di un altro santo carissimo alla Città della Mole, Giuseppe Cafasso; ed è concittadino di san Giovanni Bosco. Ordinato prete 22enne, sette anni dopo è Rettore anche del Convitto ecclesiastico per i neo-sacerdoti.
    Come ricorda l'arcivescovo di Torino, il cardinale designato Roberto Repole, la missione dell'Istituto che ha fondato partì «dall'amato Santuario della Consolata e oggi è diffusa in tutto il mondo, dove i missionari e le missionarie della Consolata continuano a testimoniare la fede, spesso in condizioni di povertà materiale e spirituale».
    Tutto inizia da un'osservazione che turba Allamano: molti giovani preti desiderosi di diventare missionari vengono ostacolati dalle diocesi, che alle missioni preferiscono mandare soldi piuttosto che risorse umane. Il Canonico decide di creare un Istituto di missionari. Il suo progetto deve attendere dieci anni, tra vari contrattempi Oltretevere. Ottiene il via libera nel 1901. Nel 1902 parte la prima spedizione: direzione Kenya. Otto anni più tardi Allamano dà origine anche alle Suore Missionarie della Consolata.
    Il fondatore nel 1912, sostenuto da altri leader cattolici, sottopone a Pio X l'ignoranza dei fedeli riguardo alla missione, un vuoto causato spesso dalla sottovalutazione che serpeggia nei Sacri Palazzi. Denuncia, e propone: una Giornata missionaria annuale. L'idea di Allamano resta in un cassetto vaticano. Fino al 1927, quando Pio XI istituisce la Giornata missionaria mondiale, che si celebra proprio oggi.
    Il miracolo che conduce il Canonico alla santità è del febbraio 1996: l'insperata guarigione di Sorino Yanomami, indigeno dell'Amazzonia, attaccato da un giaguaro che gli ha provocato gravi ferite al cranio. Commenta Corrado Dalmonego, missionario della Consolata, antropologo, in servizio tra il popolo Yanomami, nel nord del Brasile: «È come se Allamano ci dicesse "io ho interceduto ma adesso, qual è la condizione dei popoli indigeni?"». Nella terra dove si è verificato «il prodigio sta avvenendo una seconda corsa all'oro, un aumento esponenziale di sfruttamento minerario illegale, legato ai narcos, al traffico di armi, con 20 mila cercatori d'oro su una popolazione di 33 mila persone». Oltre a «disboscamento, devastazione della foresta, contaminazione di acque e terre, si assiste a un deterioramento delle condizioni di salute della popolazione».
    C'è urgente bisogno di «fare bene il bene».

 

 

20.10.24
  1. Ostaggi
    dell'
    acqua
    Mario Tozzi
    Se non ci lasciamo abbagliare dal solo Po che esonda in centro a Torino, e che ci sembra quasi famigliare, le immagini che provengono dalla Liguria destano incredulità anche negli osservatori più attenti. Ma, a guardare bene, si tratta sempre, e ancora una volta, della stessa identica modalità. Paesi e cittadini incastrati nei thalweg fluviali quasi interamente sommersi da una massa d'acqua marrone in costante flusso verso mare. Non importa se si tratti di Savona o Genova, di Sori o di Alassio, tutto finisce rapidamente sott'acqua. E non dovrebbero destare alcuna incredulità, perché tutto è, ed era, largamente prevedibile, a partire dalla situazione meteorologica. La "depressione del Golfo di Genova" si studia sui libri di scuola media superiore ed era, una volta, caratteristica di quella regione specifica e di quella stagione. Oggi è diventata più profonda, si genera a contatto di acque sempre più calde, dura più a lungo e investe aree sempre più vaste, fino alla Toscana e oltre. Portando peraltro con sé un corredo di fenomeni correlati che vanno dalle trombe marine ai veri e propri tornado nostrani, tanto che si parla ormai apertamente di Medicanes, uragani mediterranei.
    Perché le cose sono cambiate negli ultimi trent'anni, almeno a partire dall'alluvione di Serravezza (1996), forse la prima nostrana da ascrivere alle flash flood, le alluvioni improvvise, che costringono ad evacuare quantità impensabili di acqua in pochissimo tempo su aste fluviali relativamente corte. Senza per questo che siano scomparse le alluvioni "tradizionali" del Nord Italia, quelle che un tempo permettevano di aspettare in vigile attesa la piena dopo che il Po aveva caricato piogge, neve e acque di fusione dei ghiacciai dal Monviso a Pontelagoscuro: il fiume esondato a Torino ci rammenta che anche le grandi città corrono rischi, pure se ben munite di argini in pietra.
    Ma, stante la situazione meteorologica mutata, da noi la differenza la fa lo stato del territorio che in Liguria è agghiacciante: a fronte della struggente bellezza paesaggistica, la regione agonizza soffocata da un mare di cemento e asfalto che l'hanno resa impermeabile preda delle acque dilavanti. Non c'è quasi un borgo, una città o una singola abitazione che non sia costruita in aree di pericolosità idraulica o franosa: ci siamo illusi che i fiumi fossero limitati alle loro acque e non al complesso del loro vastissimo letto, abbiamo tombato interi corsi d'acqua sotto strade e palazzi, abbiamo privato le colline delle foreste di lecci, naturale difesa, e le abbiamo sostituite con uliveti e vigne che, però, abbiamo successivamente abbandonato, con il corredo degli straordinari muretti a secco oggi impossibilitati a contenere alcunché. E non è un problema di manutenzione, o pulizia degli argini, dragaggio degli alvei o nuove opere, tutte operazioni che servono solo per calmare la popolazione, non ottenendo alcun risultato ai fini della mitigazione del rischio e, anzi, spesso incrementandolo.
    Non è un fenomeno nuovo, se è vero, come è vero che già Italo Calvino scriveva della "rapallizzazione", cioè dello "stravolgere a fini speculativi l'assetto edilizio e urbanistico dei piccoli centri urbani, in spregio a ogni criterio di pianificazione e alla tutela dei valori paesaggistici" (Treccani). Ma negli ultimi decenni ha conosciuto un nuovo vigore, che è arrivato perfino a leggi regionali che acconsentono le costruzioni a ridosso dei corsi d'acqua, in spregio a ogni normativa nazionale. Una bulimia costruttiva schiava del dio denaro che dimentica bellezza, qualità della vita e paesaggio.
    Ma quelle immagini debbono necessariamente essere lette assieme a quelle della stazione ferroviaria di Siena ridotta a un canale e a quelle analoghe che vengono dalla Francia meridionale, dove in 48 ore sono caduti fino a 870 mm di pioggia: la quantità che, in passato, cadeva in una decina di mesi. O a quelle provenienti da tutto l'emisfero boreale, dalla Biblioteca Nazionale di Spagna a Monterrey si va senza sosta sott'acqua e si muore: quasi duemila vittime per queste "nuove" inondazioni. Che andrebbero sommate a quelle delle regioni che sono, invece, tormentate dalla siccità, come la Sicilia, una siccità che, altrove, uccide. Perché si tratta delle due facce della stessa medaglia, quella della crisi climatica più acuta e più accelerata e globale che i sapiens abbiano mai subito. E dell'unica che hanno essi stessi creato, prelevando il carbonio sotterrato nei combustibili fossili, bruciandolo e spargendolo allegramente in atmosfera in aggiunta ai cicli naturali che, senza questo contributo, funzionavano egregiamente all'equilibrio.
    Ora, però, tutti i nodi stanno venendo rapidamente al pettine e, per citare due conseguenze a scala globale, le correnti oceaniche dell'Atlantico viaggiano verso il collasso, fenomeno che potrebbe portare, tra l'altro, a celle di tempesta anche fredde nell'emisfero boreale, come anni fa descritto da un film visionario (The Day after Tomorrow, di R.Emmerich 2004) e come paventato addirittura dal Pentagono già dall'inizio degli anni Duemila (Dough e Randall 2007). O come il fatto che i serbatori naturali di carbonio, che hanno assorbito CO2 in questi secoli e millenni (foreste e territori vergini) lo scorso anno non ne abbiano assorbita affatto, preludendo a un'accelerazione del riscaldamento globale fuori dalla nostra possibilità di previsione (il collasso dei serbatoi naturali di carbonio non veniva, in genere, messo nel conto della crisi climatica). In questa situazione ogni tentativo di adattamento (termine oggi molto alla moda per nascondere il fatto che non c'è alcuna volontà politica di intervenire) risulterà fatalmente inutile, se non verranno prese draconiane misure per azzerare le nostre emissioni clima alteranti, misure di cui non si vede alcun profilo all'orizzonte.
  2. L'hacker che spiava le mail dei giudici "Aveva le password di 15 pm torinesi"
    giuseppe legato
    Perché detenesse gli indirizzi mail con relative password del dominio giustizia.it di tutti quei magistrati (46) in servizio in diversi uffici giudiziari italiani è comprensibile solo in parte. E cioè – per una quota - con il tentativo di "bucare" le corrispondenze elettroniche dei pm che stavano indagando su di lui (Gela e Napoli in testa). Per acquisire eventuali atti investigativi che lo riguardavano. Non è ancora noto però – anzi è un giallo - il motivo per cui Carmelo Miano, 24 anni, originario di Sciacca (Ag), l'hacker arrestato dalla procura di Napoli alcuni giorni fa, detenesse nel suo pc anche gli indirizzi mail e relative password di 15 magistrati della procura di Torino.
    Non avrebbe effettuato accessi al contenuto delle caselle, ma riuscendo a bucare le password avrebbe comunque potuto farlo in qualsiasi momento.
    Così «nella serie indefinita» - scrivono i pm di Napoli – di magistrati colpiti dall'attacco informatico figurano i nomi di un terzo dell'organico della procura di Torino. Sono contenuti un'informativa agli atti dell'indagine. Si tratta del procuratore Giovanni Bombardieri, di Marco Gianoglio, il capo del pool che indaga contro i reati economici, Cesare Parodi a capo del settore Fasce Deboli, Enrica Gabetta "Aggiunto" che guida 8 sostituti nel contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione. Ma ci sono anche i pm Gianfranco Colace, Mario Bendoni, Giovanni Caspani, Vincenzo Pacileo, Paolo Cappelli, Chiara Canepa, Elisa Buffa, Delia Boschetto, Lisa Bergamasco, Emilio Gatti , Patrizia Caputo e Ruggero Crupi.
    A Napoli riflettono sulla possibilità che Miano non abbia agito, come ha sostenuto davanti al gip nell'interrogatorio di garanzia, solamente per conoscere i fascicoli d'indagine che lo riguardavano. Piuttosto «il possesso di documenti relativi all'architettura informatica di infrastrutture della Gdf e della Polizia di Stato; gli accessi abusivi ai sistemi telematici di uffici di Polizia di Stato – che nulla hanno a che fare con le indagini sull'indagato – appaiono elementi oggettivi che stridono con le dichiarazioni e con la versione sostenuta da Miano nell'interrogatorio». Ergo l'idea è che «possedendo Miano wallet contenenti criptovalute convertite per alcuni milioni di euro,» si possono intravedere «finalità di profitto connesse agli accessi e alle gestioni di dati, e che allo stato non possono far escludere l'esistenza di committenti o destinatari di dati e documenti sensibili esfiltrati». E negli esiti della perquisizione avvenuta lo scorso 1 ottobre «è stato riscontrato che. in più occasioni, Miano aveva prelevato dai sistemi della rete del Ministero della Giustizia il database relativo a tutti gli utenti di dominio (inclusi dunque i magistrati di tutta Italia), contenente le userame con le relative password, sebbene queste ultime memorizzate in forma di hash un codice alfanumerico non reversibile se non tramite specifici attacchi».
    Secondo l'avvocato Gioacchino Genchi, legale dell'indagato «la circostanza che Miano avesse nel suo computer gli account e le password di 40 magistrati, fra cui alcuni pubblici ministeri delle procure di Torino, di Firenze e di Perugia è assolutamente priva di alcuna significatività. Piuttosto – aggiunge - bisognerà considerare a quale di queste caselle email e pec Miano abbia effettivamente acceduto e a quali no. Sicuramente non è acceduto a quella dei magistrati di Perugia, di Firenze e di Torino, che nell'informativa depositata alla vigilia del riesame sembrano tirati apposta per i capelli, nello strenuo tentativo di tenere le indagini a Napoli». —

 

 

 

 

 

19.10.24
  1. Agente segreto sotto copertura si infiltra nei narcos: 13 arresti
    ludovica lopetti
    Il 31 ottobre 2023 sono stati i cani antidroga a guidare i finanzieri alla meta. In un deposito in via Cirenaica hanno trovato 386 chili di hashish. Una montagna di droga già suddivisa in due milioni e 486 mila dosi singole pronte a finire sul mercato, per undici milioni di euro. In tutto gli investigatori coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia hanno sequestrato 800 chili di stupefacente, anche cocaina. Ma è il retroscena dell'indagine che evoca la sceneggiatura di una serie tv. A stanare i narcos ha contribuito un agente sotto copertura, che per anni si è dedicato a quello che in gergo si chiama "money pick up". «Il funzionario - spiega il gip nell'ordinanza che ha portato in carcere 13 persone per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga - è riuscito a infiltrarsi nel sistema dei "prelevatori" dei contanti, ottenendo la consegna del denaro proveniente dai gruppi dediti al traffico di stupefacenti».
    L'agente tra maggio e agosto del 2020, solo a Torino ha preso in consegna borsoni di contanti per un milione e mezzo di euro. Il denaro sarebbe dovuto finire in Colombia, a saldo delle partite di hashish e cocaina che il «cartello criminale» aveva acquistato a credito dai narcos sudamericani. L'indagine è partita a Trento, dove la procura stava investigando sulla lavanderia di denaro che si reggeva sui "trasferitori" in contatto con il cartello colombiano. Intermediari incaricati di gestire i pagamenti senza lasciare traccia si inventavano passaggi tortuosi in grado di schermare la provenienza illecita dei soldi. Quando la procura torinese ha ricevuto gli atti, ha fatto mettere sotto controllo i telefoni dei sospettati che avevano portato i borsoni all'agente in incognito. Così sono risaliti a due diversi gruppi, organizzati con auto dal doppio fondo, camion, criptofonini e magazzini dove stoccare e lavorare la merce. Per i pm Dionigi Tibone e Laura Ruffino il primo sarebbe capeggiato dal marocchino Hicham Boussen, 45 anni, difeso da Alessandro Gasparini. Conterebbe su nove "partecipi" - difesi, tra gli altri, dall'avvocato Giuseppe Spataro - con compiti vari: approvvigionamento, trasporto e smercio al dettaglio. A capo dell'altro gruppo ci sarebbe il connazionale Salah Lemaaoui, 49 anni, difeso da Cosimo Palumbo. L'unico gregario identificato è latitante. Il terzo non è mai stato identificato. Gli investigatori hanno captato la sua voce al telefono e lo hanno visto all'opera durante gli appostamenti, ma è sempre sfuggito. Per i soggetti ritenuti «capi e promotori» che hanno scelto il giudizio abbreviato, la procura ha chiesto fino a 18 anni di carcere. Per quelli che hanno scelto il dibattimento si profila un acceso dibattito, perché il numero minimo per contestare il reato associativo è di tre persone. Ma il terzo partecipe forse è un "fantasma".

 

 

18.10.24
  1. "La salute non è soltanto un costo Si raddoppi il prezzo delle sigarette"
    Silvio Garattini
    Le liste d'attesa
    Le medicine
    "

    FRANCESCO MOSCATELLI
    MILANO
    «Per la sanità il governo non sta facendo quello che potrebbe fare. Però è facile criticare l'esecutivo in carica. In realtà tutti i governi che si sono succeduti in Italia si sono mossi considerando la salute una spesa invece che un investimento. Lo stesso accade con la ricerca o l'istruzione: vengono considerate un costo, mentre sono un investimento. Purtroppo chi governa guarda più ai voti che agli interessi del Paese». Silvio Garattini, 95 anni, fondatore e presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, scienziato e allo stesso tempo combattivo difensore del diritto alla salute, si concentra sulle responsabilità della politica senza però dimenticare che «tutto dipende dai cittadini, perché se tutti andassimo a votare probabilmente avremmo anche politici migliori».
    Professor Garattini, il sindacato dei medici ospedalieri annuncia barricate contro la finanziaria. Qual è il suo giudizio?
    «Se i numeri sono quelli che sto leggendo in queste ore i fondi previsti dalla manovra per la sanità sono pochi. Soprattutto se guardiamo a quanto spendono gli altri Paesi. A mio parere il problema principale è che non possiamo continuare a mantenere gli stipendi dei medici, degli infermieri e più in generale del personale del Servizio Sanitario Nazionale ai livelli attuali. Sono fra i più bassi d'Europa e questo comporta il passaggio al privato, dove le retribuzioni sono migliori, o il trasferimento all'estero. E poi c'è il tema disuguaglianze, strettamente collegato alla questione liste d'attesa».
    Perché le disuguaglianze aumentano le liste d'attesa?
    «Oggi chi paga può avere visite e analisi rapidamente rivolgendosi ai privati, sempre più spesso attraverso le assicurazioni. E dato che le assicurazioni hanno la priorità, le liste d'attesa per chi non può pagare si allungano. È un'ingiustizia che non possiamo tollerare perché la nostra Costituzione dice che il Paese tutela la salute di tutti, non solo di chi può permetterselo».
    Come si possono ridurre le liste d'attesa?
    «Ci sono cose che si devono risolvere nel tempo perché ci sono liste d'attesa per troppe malattie evitabili. Promuovere la prevenzione, ad esempio, è il modo più efficace per ridurle. Intervenendo su fattori come fumo, alcol, droga, attività fisica e sovrappeso, si diminuiscono anche gli accessi al Servizio Sanitario Nazionale. Solo così si inverte la tendenza all'aumento dei costi. Per creare prevenzione, però, serve una rivoluzione culturale. Eppure i dirigenti della sanità, invece che uscire da una scuola ad hoc, che in Italia non esiste, continuano a essere scelti e nominati dalla politica».
    Cosa si può fare, invece, nel breve periodo?
    «Se ci fossero davvero le case di comunità, ovvero luoghi in cui venti o trenta medici di medicina generale lavorano insieme, ci sarebbero meno liste d'attesa. Le case di comunità, però, per ora esistono davvero solo nelle leggi».
    Il problema è sempre lo stesso: la scarsità delle risorse…
    «Non condivido questa idea. Trovare i soldi per la sanità sarebbe facile. Per cominciare si dovrebbe rivedere il prontuario terapeutico dei farmaci sul quale non si interviene da trent'anni. Noi paghiamo un sacco di soldi per farmaci che sono inutili o che sono in sovrabbondanza».
    Faccia qualche esempio...
    «Perché dobbiamo avere 70 farmaci anti-diabete? Se facessimo dei confronti e scegliessimo i più efficaci potremmo averne molti meno. Per trovare i soldi poi si potrebbe raddoppiare il costo delle sigarette. Oggi da noi è il più basso d'Europa. In Francia un pacchetto costa 12 euro, in Gran Bretagna 10 sterline».
    Non sarebbe una misura impopolare?
    «Raccoglieremmo miliardi di euro per la sanità. Anche perché dodici milioni di fumatori incidono tantissimo sul Servizio Sanitario Nazionale: abbiamo costi elevati per malattie che senza fumo sarebbero evitabili. Lo chiediamo da vent'anni. Idem per l'alcol».
    Cosa propone?
    «L'alcol è un altro fattore cancerogeno. Non si capisce perché non si fanno i festival delle sigarette ma si fanno quelli del vino. Non si fa niente di ciò che servirebbe davvero alla salute. La sanità è diventata un grande mercato. In Italia abbiamo 4,5 milioni di persone con diabete di tipo 2 e 180 mila morti all'anno per tumore. Il 40% di queste patologie sarebbe evitabile. Basta volerlo». —
  2. UN REAGALO IMMOTIVATO:   TFR
    Con silenzio assenso destinato ai fondi
    9,7 milioni
    Addio al Tfr? Fra le misure delle manovra, c'è l'introduzione di un semestre di silenzio-assenso per destinare il trattamento di fine rapporto dei lavoratori ai fondi di pensione integrativa (una strada già tentata nel 2007). La proposta, partita dal ministro del Lavoro Marina Calderone, aveva sul tavolo due ipotesi. La prima: conferire obbligatoriamente e automaticamente ai fondi pensione una fetta del Tfr – nella misura del 25% – di tutti i lavoratori o solo dei neoassunti. In alternativa, affidarsi a un meccanismo su base volontaria (opzione più gradita ai sindacati). Stando all'ultimo rapporto dell'Inps, l'ammontare di Tfr/Tfs accantonato è di 9,7 miliardi per i dipendenti pubblici mentre per il settore privato sfiora i 6,9 miliardi. Senza contare le piccole imprese che non lo versano alla tesoreria Inps (l'obbligo scatta dai 50 dipendenti in su) e che, anzi, hanno nel Tfr un'importante leva finanziaria. Secondo la relazione annuale Covip, oggi sono iscritti alla previdenza complementare 9,7 milioni di lavoratori italiani: solo il 36,9% della forza lavoro.
  3. UN GOVERNO DELIGITTIMATO : Banche
    I conti che non tornano

    gianluca paolucci
    «Aspettiamo di vedere il testo». All'indomani dell'annuncio del governo sul «contributo» di banche e assicurazioni alla manovra, nel mondo finanziario prevale la cautela. L'Abi (Associazione bancaria italiana), che in mattinata ha riunito il comitato esecutivo con all'ordine del giorno anche l'analisi della manovra, ha fatto sapere che si esprimerà solo «quando sarà possibile esaminare l'articolato». Perfino i commenti delle banche d'affari, che in mattinata sottolineavano l'impatto sostanzialmente neutro della misura, dopo le parole del ministro Giorgetti e dopo la diffusione del testo del Documento programmatico di bilancio (Dpb) hanno virato su un approccio più cauto: «Aspettiamo di vedere il testo». Una cautela che si è riflessa nell'andamento dei titoli del settore in Borsa: partenza in buon rialzo, flessione decisa durante la conferenza stampa del ministro dell'Economia, quando Giorgetti ha chiarito di ritenere «sacrifici» quelli chiesti al sistema bancario, lenta ripresa e chiusura poco mossa. Se Giorgetti e il viceministro Maurizio Leo hanno chiarito che i 3,5 miliardi di maggiori introiti riguardavano banche e assicurazioni e non solo le banche, il testo del Documento programmatico di bilancio inviato a Bruxelles nella tarda serata di martedì racconta un'altra storia.
    Secondo le tabelle allegate al Dpb, l'impatto della misura - calcolato sul pil reale del 2024 - sarà pari a zero per quest'anno, di circa 3,1 miliardi nel 2025 (quando si vedranno i suoi effetti in termini fiscali) e negativo per 1,35 miliardi e 1,75 miliardi rispettivamente nel 2026 e 2027. In sostanza, un anticipo di cassa che sarà restituito dallo Stato nei due anni successivi. Questa cifra comprende, hanno spiegato Giorgetti e Leo, il contributo delle imprese assicurative quantificato in conferenza stampa in un miliardo di euro. Anche in questo caso - come nel caso delle banche -, per quanto noto dovrebbe trattarsi di un anticipo: l'imposta prevista per alcuni tipi di polizze alla scadenza viene adesso spalmata anno per anno. Numeri diversi da quelli citati in conferenza stampa, che hanno causato un certo spaesamento anche negli uffici studi delle grandi banche. Tolto il miliardo a carico delle assicurazioni, per le banche l'anticipo sarebbe di circa 2 miliardi. Inferiore ai 2,5 miliardi citati in conferenza stampa ma concentrati in una unica annualità, il 2025 appunto. E non spalmati su due anni. «Per ora ci atteniamo ai numeri citati dal ministro», dice in serata un analista.
    Gran parte dei due miliardi a carico delle banche viene dalle cosiddete Dta, i crediti fiscali differiti, accumulatisi nei bilanci bancari nella stagione delle svalutazioni miliardarie per effetto della vendita delle sofferenze. Nei primi cinque gruppi bancari, questi crediti fiscali ammontano a 30,5 miliardi di euro, un bel tesoretto, che in questa stagione di ricchi utili servono ad abbattere il carico fiscale. Secondo le stime della Fabi, le minori deduzioni previste dalla manovra valgono 780 milioni per Unicredit e 913 per Intesa Sanpaolo. Una parte più piccola del contributo, inferiore ai 100 milioni, dovrebbe arrivare invece dalla sospensione degli sgravi fiscali sulle stock option. Anche in questo caso serve il condizionale, perché i testi normativi non ci sono ancora.
    Sta di fatto che nel documento di 38 pagine inviato a Bruxelles non mancano le curiosità. L'impatto sul pil della manovra, ad esempio, è stimato nello 0,3%. La spending review, nella forma della revisione della spesa dei ministeri, avrà un impatto positivo per 3,3 miliardi tra il 2024 e il 2026, nel 2027 rappresenterà un costo di circa 800 milioni. —
  4. BITCOIN=RICICLAGGIO ma PAOLO ARDOINO L'ad di Tether: "È una misura che colpisce soprattutto i giovani e le startup delle criptovalute"
    " L'aumento delle tasse su Bitcoin è un errore Farà scappare dall'Italia cervelli e capitali"

    Paolo Ardoino
    Arcangelo Rociola
    «La decisione del governo di portare le tasse sulle rendite da Bitcoin al 42% è illogica e pericolosa. Colpirà soprattutto i giovani e le aziende italiane nate in questo settore. Avrà un unico effetto: aumenterà la fuga di capitali e di cervelli dal nostro Paese». Nel mondo delle criptovalute, Paolo Ardoino è probabilmente l'italiano più celebre. È fondatore e guida di Tether, azienda dietro una valuta digitale dal valore stabile e ancorata al dollaro che vanta una capitalizzazione di 119 miliardi. Muove ogni giorno 53 miliardi di transazioni e solo nella prima metà del 2024 ha generato 5,2 miliardi di utili. Che giudizio dà alla decisione del governo?
    «È una scelta sbagliata, illogica e senza precedenti. Da italiano mi ferisce. Tassare le rendite più di tutte le altre è il culmine di una guerra al settore che va avanti da 10 anni».
    Perché illogica?
    «In conferenza stampa il viceministro Leo ha detto ai aumentano le tasse sulle rendite perché Bitcoin è diventato uno strumento più popolare. Cioè il principio è: visto che aumentano i suoi possessori, portiamo le tasse di chi li possiede dal 26% al 42%. È miope e pericoloso».
    In Italia si stima che i possessori di cripto siano 2,5 milioni, per circa 2,5 miliardi. Chi sarà più colpito?
    «I giovani, che sono la stragrande maggioranza dei possessori. A loro si sta dicendo che l'Italia tassa un'innovazione e la tassa più di altre cose. Questo scoraggerà ulteriormente chi vuole fare innovazione e creare aziende tecnologiche».
    Molti sui social dicono di voler lasciare l'Italia.
    «Non lo faranno tutti, ma molti penso di si. E poi sia chiaro, chi lascerà l'Italia sono i grandi possessori di Bitcoin, e sono tanti. Chi pagherà saranno i piccoli e medi risparmiatori».
    Che ne sarà delle aziende italiane del settore?
    «C'è un rischio sistemico. Una delle cose peggiori nella vita è non avere certezze. A queste aziende non solo non ne vengono date, ma vengono anche penalizzate più di altre. O venderanno o andranno via».
    Un concetto ricorrente nelle sue risposte è la fuga.
    «Bitcoin è un portafoglio digitale che ti porti ovunque. Il valore di Bitcoin è slegato dal Paese in cui ci si trova. È un modo diverso di intendere la ricchezza. E se un Paese offre condizioni migliori, uno va. Noi italiani siamo storicamente abituati».
    Lei perché è andato via?
    «Per necessità. Guadagnavo 800 euro come ricercatore. Ogni anno in attesa di un rinnovo. Ogni anno con la paura di non averlo. Ripeto, vivere senza certezze è la cosa peggiore».
    Oggi però è uno degli uomini più ricchi d'Italia. C'è chi pensa che la ricchezza dei possessori di cripto sia iniqua perché finora è sfuggita al fisco.
    «Conosco molta gente che ha cripto e vuole pagare le tasse. Anche al 26%, come avviene con gli altri investimenti. Ma mi faccia dire una cosa».
    Prego.
    «C'è una logica sbagliata in tutto questo. Io ho fatto impresa scommettendo su un'innovazione. L'Italia non ha mai premiato chi vuole fare innovazione. Non ha mai capito dove andava il mondo, anche prima delle criptovalute. Conosco menti incredibili nel nostro Paese che non vengono valorizzate, che a un certo punto si stancano e vanno via. E poi, se qualcuno riesce in qualcosa non solo non viene aiutato, ma criminalizzato».
    Darebbe un consiglio all'esecutivo?
    «Che facciano norme e leggi dopo aver studiato un settore. Si facciano aiutare da qualcuno. Quello che hanno fatto con le cripto ha dimostrato che non conoscono né l'industria, né il suo potenziale. E neppure le conseguenze enormi che avrà questa scelta sull'intero Paese»
  5. IL PREZZO DELLA SCELTA DEL TOSSICO MUSK : L'invito mancato da parte di Biden con Scholz, Macron e Starmer. La premier a Bruxelles minimizza: "Domani sarò in Libano, preferisco così" DISSE LA VOLPE ALL'UVA.
    Ucraina, l'Italia esclusa dal vertice Usa
    Ilario Lombardo
    Inviato a Bruxelles
    Per due volte in meno di una settimana Giorgia Meloni è stata esclusa dal vertice ristretto dei principali leader occidentali. La prima, solo virtualmente: perché la riunione, prevista venerdì scorso a Berlino, come preparatoria del summit di Ramstein sull'Ucraina, non si è mai tenuta, rinviata su richiesta di Joe Biden, costretto a restare negli Stati Uniti per affrontare le devastanti conseguenze dell'uragano Milton sulla Florida.
    Domani, sempre nella capitale tedesca, il presidente americano vedrà il primo ministro inglese Keir Starmer, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente francese Emmanuel Macron. Meloni non ci sarà, nonostante sia la presidente di turno del G7, e in altri casi il formato del vertice tra gli Usa e i più grandi Stati europei – il cosiddetto Quint – era stato allargato anche all'Italia.
    Meloni, da Bruxelles, prova a minimizzare, puntando su un appuntamento personale, una missione organizzata negli ultimi giorni: «Non potrei partecipare all'incontro perché nello stesso giorno sono in Libano e in Giordania. E penso che in questa fase sia ancora più utile parlare con gli attori della regione. Questo viaggio è la mia priorità».
    La premier a Beirut vedrà il primo ministro e il presidente del Parlamento, mentre non andrà a fare visita al contingente italiano della missione Onu, Unifil, nel Sud, nell'area degli scontri tra Israele e Hezbollah.
    «Troppo pericoloso», spiega il ministro Guido Crosetto, dopo gli attacchi dell'esercito israeliano ai caschi blu. Di certo il viaggio è una coincidenza perfetta, che, almeno in parte, copre un'assenza che in qualche modo va spiegata. Stando a fonti diplomatiche, il motivo va ricercato nella progressiva marginalizzazione dell'Italia sul fronte delle commesse militari. Ieri Biden ha annunciato un altro pacchetto di aiuti per l'Ucraina, di 425 milioni di dollari, e la spedizione di armi a lungo raggio, in grado potenzialmente di colpire obiettivi in Russia. Il contributo del governo italiano, invece, nei mesi è diminuito, l'entusiasmo si è raffreddato, sempre più condizionato dalla disaffezione dell'opinione pubblica verso le resistenza ucraina. La destra che guida il Paese è spaccata, ma nessuno dei tre partiti, né FdI, né Lega, né Forza Italia, è favorevole a far cadere il divieto di utilizzo sul territorio russo delle armi fornite a Kiev.
    Colpisce un altro aspetto: per due anni Meloni e Biden hanno avuto un'intesa senza sbavature, affettuosa in pubblico, solida in privato, nonostante i legami politici della premier con Donald Trump. E questo di domani potrebbe essere l'ultimo importante vertice di Biden prima del voto americano e dello tsunami che si abbatterà sul mondo e sull'Europa, se il tycoon repubblicano riconquisterà la Casa Bianca. Trump potrebbe ridefinire nuovamente i rapporti con la Russia di Vladimir Putin, non solo degli Stati Uniti ma anche degli alleati. Rapporti che si sono incrinati, come prova anche l'ultimo episodio denunciato da Mosca, che ha protestato per la decisione di negare i visti alla delegazione russa che doveva partecipare a Milano al 75esimo International Astronautical Congress. Un atteggiamento delle autorità italiane che è stato duramente criticato dalla portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova: «Consideriamo questa come un'altra manifestazione del corso russofobo dell'attuale leadership italiana che assesta un altro colpo alle relazioni con la Russia»
  6. Nello Stato chiave il Tycoon provò a sovvertire la vittoria di Biden nel 2020. Oggi sarebbe lui in vantaggio
    Georgia, 320 mila elettori hanno già scelto E il giudice blocca la regola del riconteggio

    marco liconti
    Washington
    A fronte di sondaggi poco affidabili – il New York Times ha dedicato una lunga analisi al problema – un'indicazione reale su chi vincerà la Casa Bianca potrebbe essere già presente nelle urne. È la pratica dell'early voting, il voto anticipato per posta e di persona alla quale gli americani, a partire dal 2000, fanno sempre più ricorso. Dopo il picco del 69% nel 2020 causa pandemia, nelle elezioni di midterm del 2022 il 50% dei partecipanti al voto avevano scelto questa modalità. In attesa dei dati finali – si avranno dopo l'Election Day del 5 novembre – fa scalpore il record di 328 mila voti anticipati fatto registrare in Georgia (Stato-chiave) nella prima giornata di apertura anticipata del voto. E sempre in Georgia, dove Donald Trump nel 2020 tentò di sovvertire l'esito del voto favorevole a Joe Biden («Trovatemi i voti», diede ordine alle autorità elettorali dello Stato), un giudice, Robert McBurney, ha bloccato la nuova regola voluta dai Repubblicani di riconteggiare a mano tutti i voti che verranno espressi nello Stato, per verificare che il numero delle schede coincida con quello degli elettori. Una richiesta che avrebbe ritardato di giorni l'annuncio del risultato. McBurney è anche il giudice che presiede il processo (ora fermo) a Donald Trump per le vicende di quattro anni fa. Il tycoon, che per anni ha accusato (senza prove) i Democratici di sfruttare l'early voting per falsificare il voto, in questa tornata elettorale ha cambiato completamente rotta. La sua campagna sta incoraggiando gli elettori a votare anticipatamente. Appelli espliciti sono stati lanciati in questo senso in Pennsylvania e North Carolina, anch'essi Stati-chiave per la conquista della Casa Bianca. Forse perché un recente sondaggio dell'Università di Harvard gli assegna un lieve margine su Kamala Harris nel voto anticipato (48-47). Comunque, una conferma di quanto in questa elezione ogni singolo voto possa spostare gli equilibri. Nei sette Stati-chiave, il calendario dell'early voting prevede le urne già aperte per Arizona, Georgia e in gran parte delle contee della Pennsylvania. Entro la fine di questa settimana si aggiungeranno North Carolina e Nevada, entro la prossima Wisconsin e Michigan. Nel frattempo, fioccano le cause legali sulle regole elettorali. Soprattutto negli Stati-chiave, Democratici e Repubblicani hanno già presentato nei tribunali decine di ricorsi, contestandosi reciprocamente presunti vantaggi. È un'anticipazione di quanto potrebbe accadere dopo il 5 novembre.
  7. LA STORIA INFINITA : I dialoghi tra il direttore generale Iorio e l'imprenditore Massimo Rossi: "Quando arrivano i pacchi?". Per gli inquirenti si trattava di mazzette
    Inchiesta Sogei, gli indagati al telefono "Dai che qui c'è da lavorare per tutti"

    irene famà
    roma
    «Sono arrivati i pacchi? » . Insistente Paolino Iorio, il direttore generale di Sogei, che contattava l'imprenditore Massimo Rossi con cui era in affari. Voleva sapere se erano arrivati i soldi, quel denaro che tramite Rossi pare si intascasse per favorire questa e quella società in gare e appalti. Intercettato al telefono dalla Guardia di finanza, si informava sui tempi. «Quanto devo ancora aspettare? » . Spazientito continuava a chiamare. E quelle telefonate, che l'hanno portato agli arresti domiciliari per una vicenda di corruzione, sono tutte raccolte in un'informativa agli atti della procura di Roma.
    Iorio, una lunga carriera come manager pubblico, dal primo settembre 2023 è a capo della Direzione ingegneria, infrastrutture, data center e dallo scorso marzo diventa il numero uno della società che si occupa della gestione dei servizi informatici della pubblica amministrazione controllata al 100% dal ministero dell'Economia. L'altro giorno viene arrestato: con sé 15mila euro in contanti appena consegnati dall'amico imprenditore. Agli inquirenti ha confessato di aver preso centomila euro. Tangenti? Assolutamente no. «Davo consigli, facevo attività di consulenza».
    Gli accertamenti dei finanzieri del Comando provinciale di Roma e del nucleo speciale polizia valutaria raccontano una storia diversa. Massimo Rossi voleva favorire le imprese legate a lui, alla sua famiglia e ai suoi amici. E pagava Paolino Iorio. In questo modo, si legge negli atti, con Sogei avrebbe stipulato una «serie di contratti» per oltre cento milioni. I due si incontravano un paio di volte al mese. «Dal novembre 2023», sostengono gli inquirenti della procura di Roma. Iorio pare abbia raccontato che gli scambi erano iniziati già a febbraio 2023. Altro aspetto al vaglio degli investigatori che al manager hanno sequestrato pure un cellulare di quelli vecchi. Acquistato apposta per parlare con Rossi "riservatamente", senza pericolo che venisse inoculato un trojan. La sim? Intestata alla moglie dell'imprenditore. Massimo Rossi, anche lui finito ai domiciliari, davanti ai pm ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere.
    Le indagini proseguono. Sogei ha inviato un'informativa alla Corte dei Conti. In una nota spiega di aver revocato «tutte le cariche, gli incarichi e le procure conferite all'ingegnere», di aver avviato degli accertamenti interni e di essersi rivolta a un legale per potersi costituire parte offesa in un eventuale procedimento penale.
    L'inchiesta, coordinata dagli aggiunti Giuseppe Cascini e Paolo Ielo e dai magistrati Lorenzo Del Giudice e Gianfranco Gallo, ruota intorno a gare e appalti truccati banditi da Sogei, dal ministero dell'Interno-Dipartimento della Pubblica sicurezza, dal ministero della Difesa e dallo Stato maggiore della Difesa. E il ministro dell'Economia Giorgetti commenta: «Aspettiamo il lavoro della magistratura». Mentre il senatore Boccia del Pd chiede «al Governo di spiegare in Parlamento».
    Diciotto le persone indagate, quattordici le società, di cui due quotate in Borsa, Olidata e Digital Value. Ed è proprio su Olidata spa, noto nome del mondo hi-tech, che gli accertamenti si soffermano. Due degli indagati, un ufficiale di Marina e un dipendente del ministero dell'Interno, erano soci occulti tramite le mogli. E cercavano di stringere dei patti per riuscire a inserire la società in svariati affari.
    «Dai che qui c'è da lavorare per tutti». Così l'ufficiale Antonio Masala avrebbe detto al telefono ai "suoi" in Olidata, convinto di essere riuscito a concludere un contratto di forniture con il colosso SpaceX, azienda aerospaziale statunitense. Come? In cambio di informazioni con Antonio Stroppa, l'uomo di Elon Musk in Italia.
    Nei guai è finito anche il rappresentante legale della Spa Cristiano Rufini. Lui assicura «la massima disponibilità a collaborare con la magistratura». E da Olidata si dicono «a completa disposizione degli inquirenti». —
  8. MAFIA ISTITUZONALE : 'inchiesta
    Anzio, la mafia e il vertice segreto al bar L'ex assessore indagato pilota le liste

    Il bel mare da cartolina è lontano. Una via di periferia anonima, con casette basse e qualche artigiano. A metà strada un bar senza tante pretese, tavolini di plastica, un ombrellone inutile con il sole autunnale. Anzio, 54 mila abitanti, paesone a sud della capitale, sembra lontano miglia da questo luogo. Distanti i ristoranti di pesce, la movida, il chiasso estivo, le spiagge dei romani ad agosto. Nessuno sguardo curioso. Qui un gruppetto di persone sta decidendo parte del futuro della città. È proprio di discrezione che c'è bisogno.
    Il Comune, sciolto per infiltrazione mafiosa due anni fa, sta per tornare alle urne, in un'elezione delicata e tesa. Il 17 e 18 novembre si voterà. Una decina di giorni prima arriverà la sentenza del processo Tritone, l'inchiesta della DDA romana - pm Giovanni Musarò e Alessandra Fini - che ha colpito, per la terza volta, le cosche di ‘ndrangheta radicate sul litorale da decenni.
    Nel bar nella periferia di Anzio martedì scorso si stavano decidendo le liste elettorali di una parte dello schieramento della destra. Discussioni animate sui nomi, i candidati che arrivano per firmare l'accettazione della candidatura, qualche caffè, tante telefonate. C'è chi ricorda i bei tempi passati: «Ho lavorato otto anni con Candido», racconta un trentenne del posto, con ostentato orgoglio. Il riferimento è all'ex sindaco Candido De Angelis, oggi indagato per scambio elettorale politico-mafioso. Qualcuno commenta gli ultimi arresti, o gli esiti di altri processi. Qui, sul litorale romano, politica e inchieste giudiziarie spesso viaggiano in parallelo. Due i comuni attualmente sciolti: oltre ad Anzio, la vicina Nettuno, mentre ad Aprilia - il cui sindaco è stato recentemente arrestato per un'altra indagine della Direzione distrettuale antimafia della capitale - è arrivata la commissione d'accesso da un paio di mesi.
    A gestire la delicata fase della chiusura di alcune liste elettorali nel paese sciolto per mafia ci sono i protagonisti della giunta colpita dal provvedimento del ministro Piantedosi e, in parte, dall'inchiesta della Procura di Roma. Assessori, consiglieri comunali, esponenti della politica locale, alcuni di loro troppo vicini ai vertici della Locale di ‘ndrangheta di Anzio e Nettuno. Con qualche nome ben noto alle cronache giudiziarie. Quando la riunione sta per iniziare arriva sorridente Gualtiero Di Carlo, già assessore all'ambiente. Insieme all'ex sindaco De Angelis è indagato oggi per voto di scambio politico-mafioso, un reato che prevede la pena detentiva da dieci a quindici anni, la stessa prevista per gli associati alle cosche. Si siede al tavolo dove verranno decisi i nomi dei candidati. Poco prima una giovanissima studentessa aveva firmato i moduli per presentarsi in una lista delle prossime elezioni: «Che partito devo mettere, zio?», chiede ad un altro ex assessore presente (non indagato), Bruno Tuscano. «Forza Italia», risponde, mentre al telefono dà indicazioni per raggiungere il piccolo bar. Volti nuovi, certo. Puliti, senza dubbio. Ma la macchina elettorale appare - in questa desolata strada di periferia, lontano da sguardi troppo curiosi - nelle mani della classe dirigente sporcata dalle inchieste dei magistrati antimafia. La presenza sicuramente più ingombrante nella riunione di martedì scorso - che La Stampa ha potuto documentare - era quella dell'ex assessore Gualtiero Di Carlo. Un passato da pugile alle spalle, Di Carlo è legato da un rapporto di amicizia con Davide Perronace, indicato dai magistrati romani come uno dei tre vertici della Locale di ‘ndrangheta, insieme a Giacomo Madaffari e Bruno Gallace. Nei confronti di Perronace il pubblico ministero Giovanni Musarò ha chiesto 24 anni di reclusione nel processo Tritone. I captatori informatici del Nucleo investigativo del comando provinciale dei Carabinieri di Roma hanno documentato i tanti incontri di Perronace con il mondo politico di Anzio. Strettissimi i rapporti con l'ex assessore Di Carlo, fotografato, tra l'altro, mentre abbraccia e bacia uno dei capi della Locale di ‘Ndrangheta. Quando, il 17 febbraio 2022, scatta l'operazione Tritone con 65 arresti, il politico di Forza Italia organizza subito una raccolta di fondi a favore della famiglia Perronace, donando personalmente 1.500 euro alla moglie di Davide. Appena tre giorni prima il boss calabrese presentava l'amico al cugino, come assessore del Comune di Anzio: «Mi ci ha messo lui, mi ha mandato a fare l'assessore all'ambiente, il potere è il suo, mica il mio», si scherniva Di Carlo. Ancora più inquietante la scena che trovano i carabinieri, all'inizio del 2022, durante un controllo a Perronace, all'epoca agli arresti domiciliari. Nel salotto di casa c'erano tanti politici locali, tra i quali lo stesso Di Carlo. «Ma che state facendo qua, il consiglio comunale? È meglio che andiamo via», è stato l'incredibile commento dei militari.
    Tra i pilastri dell'inchiesta Tritone c'è proprio l'ipotesi di un condizionamento delle elezioni comunali da parte dei vertici della Locale di ‘Ndrangheta. Nel 2018, quando si votò per i consigli di Anzio e Nettuno, gli investigatori stavano già ascoltando in diretta le conversazioni telefoniche tra gli esponenti di punta della politica locale e le famiglie mafiose. Protagonista all'epoca per la compilazione delle liste elettorali era Vincenzo Capolei, ex coordinatore locale di Forza Italia per il collegio elettorale di Anzio, Nettuno, Ardea e Pomezia, nonché fratello di un consigliere regionale di maggioranza, Fabio. Quando fu scelto dalla coalizione di destra il nome del candidato sindaco per il Comune di Nettuno «Capolei informò subito Madaffari Giacomo», ovvero il capo dell'organizzazione ndranghetista attiva sul litorale romano, scrivono i pm nella memoria presentata dopo la requisitoria del processo Tritone. Il candidato, Alessandro Coppola, venne poi eletto.
    Oggi Capolei giura di essere lontano dalla politica locale: «Io non c'ero alla riunione di Anzio ieri, sto in Toscana - spiega a La Stampa - può essere che c'era mio fratello, il consigliere regionale, non io… Io quest'anno mi sono messo proprio in vacanza…». Di sicuro carriera ne ha fatta: oggi è uno degli uomini di fiducia del senatore Claudio Fazzone, coordinatore regionale di Forza Italia.
  9. Cogefa Stop per mafia
    giuseppe legato
    La scure dell'Antimafia si abbatte sulla società Co.Ge.fa, colosso di grandi cantieri e delle infrastrutture autostradali finita alcuni mesi fa al centro di un'inchiesta della Dda di Torino che ha svelato l'infiltrazione della ‘ndrangheta nei cantieri deputati alla manutenzione della A32 Torino-Bardonecchia. Il documento di analisi della Prefettura, frutto di un lungo e articolato lavoro di un gruppo investigativo interforze, annota i rapporti che collocano questa società, destinataria di plurime (e milionarie) commesse pubbliche ad ambienti della criminalità organizzata calabrese. E mette nel mirino le contiguità – storiche e recenti – con esponenti di criminalità comune e mafiosa.
    Tutto ruota intorno alla famiglia Fantini il cui capostipite, fondatore di Cogefa, (e già amministratore di Sitalfa) Teresio Fantini, deceduto 18 anni fa, viene analizzato dagli investigatori nei suoi rapporti con Giuseppe Pasqua soggetto definito «ben introdotto nell'ambiente ‘ndranghetista del torinese ed operante a Brandizzo» nonché destinatario di una condanna risalente al 1982 per omicidio e a oggi indagato per associazione di stampo mafioso nell'ultimo blitz del Ros ribattezzato "Echidna". Ci sono ancora i fili che collegano Teresio (ma stavolta anche i figli Roberto e Massimo) ad Antonio Esposito meglio noto come "Tonino", precedenti penali per associazione a delinquere finalizzata all'usura in concorso con Rocco Lo Presti, boss di primissimo piano degli anni Ottanta (e fino alla sua morte) in Valsusa, conosciuto come "il ras di Bardonecchia" e con Luciano Ursino (esponente di spicco della ‘ndrangheta) entrambi organici alla cosca Mazzaferro-Ursino.
    In quel gruppo – fanno notare gli investigatori – Teresio veniva chiamato "Il Generale". Risulta agli atti che Esposito – insieme a un socio – abbia beneficiato di incarichi di guardiania dei cantieri e commesse lavorative per la sua società cooperativa "Dyana".
    Ancora a fondamento del provvedimento interdittivo figurano i rapporti tra membri della famiglia Fantini e l'imprenditore Gian Carlo Bellavia, attualmente agli arresti domiciliari per concorso eterno in associazione mafiosa che gli è contestato nell'operazione Echidna (ma già attenzionato nel procedimento "Platinum Dia").
    E secondo quanto si apprende da fonti investigative anche il ruolo di Roberto Fantini ha un peso sullo stop amministrativo e sul concreto rischio di infiltrazione mafiosa. Gli investigatori considerano Roberto, figlio di Teresio, un amico dei Pasqua, indagati in quanto (presunti) affiliati alla ‘ndrangheta. Giuseppe Pasqua «aveva con Fantini – scrive il gip nell'ordinanza di custodia cautelare – un rapporto privilegiato». Infine, un focus riguarda le cointeressenze economiche nei rapporti tra clienti e fornitori: gli inquirenti mappano almeno quattro società riconducibili a loro avviso alla famiglia Fantini (Cogefa, Trama srl, società agricola "La Teresina" e consorzio Edilmaco) che hanno avuto rapporti commerciali con imprese "controindicate" tra queste diverse sono già state oggetto di diniego di iscrizione alla white list della Prefettura. Per un importo dal 2019 ad oggi di circa 450 mila euro. L'interdittiva antimafia è un provvedimento amministrativo adottato dal Prefetto, di natura cautelare e preventiva previsto dal cosiddetto "Codice antimafia" (decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159). L'obiettivo è «impedire i rapporti contrattuali con la Pubblica amministrazione di società, formalmente estranee ma, direttamente o indirettamente, comunque collegate con la criminalità organizzata». Viene emessa ogni volta che siano stati rilevati tentativi di infiltrazione (sono sufficienti forti sospetti) da parte della criminalità organizzata volti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa coinvolta. A chi viene colpito dall'interdittiva è preclusa ogni possibilità di ottenere contributi, finanziamenti e mutui agevolati, concessi dallo Stato, da altri enti pubblici o dall'Unione europe.Il colosso delle costruzioni ha 400 dipendenti e 1.200 lavoratori al giorno in diversi appalti. Decine di cantieri in pericolo
    Dal Tenda alle opere per la Tav
    L'azienda: "Noi vittime, ora il ricorso"
    massimiliano peggio
    Alle otto di sera Cogefa annuncia: «Abbiamo già avviato tutte le azioni necessarie per impugnare il provvedimento emesso dalla Prefettura e richiedere la sospensiva presso il Tar per difendere la nostra reputazione e il futuro di dipendenti e collaboratori. Nonché per garantire la continuità delle attività aziendali e la corretta esecuzione delle commesse».
    Il tema è ampio e delicato. Cogefa è un colosso con 400 dipendenti diretti e 1200 lavoratori al giorno distribuiti nei vari appalti. In ballo ci sono (oltre agli appalti diretti) anche le partecipazioni ai consorzi di impresa in molti lavori pubblici. Uno per tutti al col di Tenda, dove l'appaltatore è Edilmaco. Oppure gli interventi al Moncenisio (tanto per fare due esempi): è possibile che anch'essi si debbano fermare. Commenta l'avvocato dell'azienda, Carlo Merani: «Cogefa in questo caso è una vittima. E il paradosso è che invece di aiutarla viene punita. Dico questo perché è la stessa Prefettura a scrivere nel documento che c'è la possibilità che l'azienda subisca, ripeto subisca, dei possibili tentativi di infiltrazione mafiosa». Nasce da qui, «la necessità» di presentare rapidamente il ricorso con la richiesta di sospensiva. Nel frattempo, però, ruspe e cantieri si fermano. Anche nelle opere dei privati, quelli che adottano per le assegnazioni gli stessi criteri degli enti pubblici.
    Ma cos'è Cogefa? È la testa di un impero che si occupa di grandi costruzioni, opere di rilevanza strategica: una produzione economica (a fine 2023) di oltre 214 milioni di euro. Seguendo le orme di partecipazioni e alleanze imprenditoriali si va dagli interventi complementari del traforo ferroviario della Torino Lione, al cantiere del nuovo tunnel del colle di Tenda, fino alla progettazione e realizzazione dei lavori di ottimizzazione della Torino-Milano con la viabilità locale.
    Il nome Cogefa emerge tra la opere collegate al cantiere Tav. È infatti nel raggruppamento di imprese che deve costruire l'impianto per il riutilizzo del materiale di scavo proveniente dal traforo ferroviario. Valore dell'intervento: oltre 648 milioni di euro.
    Il valore delle partecipazioni che fanno capo alla Cogefa supera i 6 milioni di euro. Tramite questo reticolato di società, si arriva a un altro tunnel, quello Cuneese, forse il più sfortunato. Quello del Colle di Tenda. Prima colpito dalla risoluzione del rapporto con il precedente appaltatore per clamorose magagne strutturali, poi le inchieste giudiziarie - che nulla hanno a vedere con l'attuale interdittiva antimafia - e infine l'alluvione dell'ottobre 2020. La Cogefa è collegata a quel cantiere tramite il Consorzio Edilmaco, di cui possiede il 50%. Ed è frutto di un tandem con un altro colosso delle costruzioni, la Mattioda Spa: è subentrato nell'appalto integrato per la «progettazione e l'esecuzione dei lavori del nuovo tunnel». Intervento problematico: l'alluvione di 4 anni fa ha distrutto il cantiere. Difficoltà così invasive da essere annotate nel bilancio societario. Di pregio anche la partecipazione alla società Alfa Batiment Sarl, nel Principato di Monaco, che realizza stabili di lusso. Tra le altre opere c'è palazzo Bernini a Torino.
  10. QUANDO C'ERA LA SOPRAELEVATA NON SUCCEDEVA, MA INTERESSI EDILIZI LA HANNO ELIMINATA:  Girone Baldissera
    pier francesco caracciolo
    Trenta minuti per percorrere un chilometro. Tanto ci hanno messo ieri mattina gli automobilisti di passaggio in piazza Baldissera, intricato snodo del quadrante Nord-Ovest di Torino. Il maltempo, che ha aumentato il numero di vetture in strada, sommato alla chiusura di due vie della zona, bloccate per la presenza di altrettanti cantieri: è nata così la "tempesta perfetta", che si è materializzata con code che, in corso Venezia, hanno raggiunto i tre chilometri di lunghezza.
    Il picco del traffico si è registrato tra le 8 e le 9, 30, quando centinaia di torinesi erano diretti a scuola o sul posto di lavoro. Gli agenti di quattro pattuglie della polizia municipale sono intervenuti per dirigere il voluminoso flusso di auto, riuscendo però solo a limitare i danni.
    Nel filmato girato da Carmela Ventra, consigliera in Circoscrizione 5, la coda di veicoli si perde all'orizzonte, sia in un senso di marcia che nell'altro. Il suono dei clacson delle vetture imbottigliate e la sirena di un'ambulanza impegnata a destreggiarsi tra i veicoli fanno da sottofondo al video. Il cuore dell'ingorgo, neanche a dirlo, è proprio la rotonda, dove le auto sono ferme una dietro l'altra.
    «Trentacinque minuti buttati e in ritardo sulla tabella di marcia già di prima mattina» scrive sui social Valerio Lomanto, presidente della Circoscrizione 6, rimasto imbottigliato nel traffico. A essere rallentati, oltre alle auto, i mezzi pubblici: «Sono rimasta un'ora alla fermata per portare mio figlio a scuola: inammissibile» scrive una mamma. «Oggi (ieri, ndr) tutta Torino ovest è bloccata» aggiunge Enrico Sola, automobilista. Ad essere chiuso al traffico, ieri mattina, uno dei controviali di corso Venezia, bloccato dal 16 settembre per un quadruplo intervento sulle condotte sotterranee. Interdetto alle auto, da lunedì scorso, anche l'imbocco di via Chiesa della Salute, che da piazza Baldissera dista 150 metri.
    Gli automobilisti dovranno convivere con l'attuale rotonda Baldissera, dove oggi passano cinquemila auto ogni ora, almeno fino all'inizio del prossimo anno. Entro la fine del 2024 il Comune metterà a bando i lavori per il restyling della piazza, finalizzati a snellire il traffico. I cantieri partiranno nel primo trimestre del 2025, con l'obiettivo di chiuderli in tredici mesi (dunque nel 2026). L'operazione costerà 7,5 milioni di euro, finanziata per 4,5 milioni con fondi della Città e per 3 milioni con le risorse assegnate dal Pn Metro Plus.
    Il progetto del Comune prevede di sostituire la rotatoria con un incrocio regolato da sei semafori. Il piano d'intervento contempla anche il ripristino dell'impianto tranviario (la linea 10) già presente lungo le vie Cecchi, Chiesa della Salute e Bibiana (il servizio sarà riattivato anche tra piazza Statuto e via Massari, dove oggi viene effettuato con autobus).
    La gestione dell'incrocio avverrà in modo dinamico, vale a dire con semafori intelligenti, in grado leggere in tempo reale i flussi di auto, pedoni e ciclisti e accendere le lampade rossa e verde di conseguenza. Ogni carreggiata, poi, sarà dotata di una corsia diretta a destra, per consentire di effettuare la manovra di svolta a monte dell'intersezione, senza dover impegnare l'incrocio.
    Nei prossimi mesi la Città si muoverà per illustrare ai torinesi i dettagli del cantiere. «Prima dell'inizio dei lavori convocheremo una serie di incontri pubblici» spiega Chiara Foglietta, assessora alla Viabilità. Saranno coinvolte, aggiunge l'assessora, le quattro Circoscrizioni il cui territorio ricade nella zona di piazza Baldissera (sono la Quattro, la Cinque, la Sei e la Sette). «Come sta avvenendo in questi mesi in via Po, non ci sarà mai una chiusura totale al traffico della zona – aggiunge Foglietta, con riferimento a piazza Baldissera – Si procederà per lotti, così da ridurre i disagi per gli automobilisti».
  11. TRIBUNALE INGIUSTO: Si spacca le vertebre a lavoro, per il pm il caso va archiviato: Cgil, Cisl e Uil contro la decisione
    La solidarietà dei sindacati all'operaio " Serve giustizia per Massimo Fasolio
    "
    Giovanni Turi
    «Serve giustizia per Massimo Fasolio. La responsabilità non è sua come singolo lavoratore che si è infortunato, ma di chi ha organizzato il processo di lavoro, indipendentemente dal contratto». Non le manda a dire il segretario generale della Cgil Piemonte, Giorgio Airaudo. I toni dei sindacati provinciali e regionali sono amareggiati. Ma anche di denuncia. Rimuginano e non accettano la storia di Fasolio, ex operaio metalmeccanico, oggi 61enne, che si è fratturato le vertebre sollevando pacchi a mano da 25 e 50 chili, inerme davanti alla richiesta della procura di Torino di archiviare il caso come infortunio sul lavoro.
    Una vicenda anticipata che porta a poche, dure conclusioni. Come quella della segretaria della Cisl Torino-Canavese, Cristina Maccari: «Valgono più i sacchi di paraffina della salute di un lavoratore. Un contratto di somministrazione di una settimana a 8 euro all'ora non guarda in faccia a nessuno, anzi rende chiunque ricattabile».
    Era questa la condizione di Fasolio: disoccupato da sei anni, alla prima chiamata dell'agenzia per il lavoro ha risposto subito presente. «Non poteva dire di no – continua Airaudo – Non aveva alternative. La precarietà sommata alle misure del governo sta portando a una stagionalità perenne. Se poi ai contratti dalla durata di pochi giorni, che rendono i lavoratori invisibili, aggiungiamo l'inadeguatezza dei salari italiani si arriva a episodi come questi». Duro anche il segretario della Uil Torino e Piemonte, Gianni Cortese. «Le aziende dovrebbero fare formazione e prevenire queste situazioni – spiega –Laddove non è possibile, servono più controlli. Anche se oggi la possibilità di un'ispezione sul luogo di lavoro è sotto il 5%, viste le carenze di organico tra gli ispettori». Poi, scandagliando la vicenda di Fasolio, aggiunge: «C'è una responsabilità dell'azienda – dice – Si ravvisa un'assenza degli ausili al sollevamento dei pesi, il che è anacronistico in un periodo in cui si parla di intelligenza artificiale e tecnologie che alleggeriscono il lavoro manuale». Si accoda Maccari che sottolinea come «il lavoratore non può auto valutarsi le condizioni di salute. Non comprendo la scelta della procura per cui l'operaio avrebbe dovuto dire di no. E poi le valutazioni sull'idoneità dovrebbero passare da un medico».
    Sulle denunce d'infortunio in Piemonte, gli ultimi dati Inail danno uno spaccato chiaro: nei primi 8 mesi del 2024 se ne contano 28. 328, +2, 6% rispetto all'anno precedente. Chiosa Federico Bellono, segretario generale della Cgil di Torino: «Questa sentenza non ci soddisfa e auspichiamo che il ricorso del lavoratore, a cui va la nostra solidarietà, venga accolto – sostiene – Ma il problema non è nei tribunali, ma fuori dalle aule di giustizia. Le persone sono sotto ricatto, hanno paura di perdere il lavoro e mantenerlo è più importante della tutela della propria salute. Ormai siamo di fronte a un sistema che mette al centro il profitto a ogni costo». —
  12. BANCOMAT ANTI AMBIENTE : «Indietro non si torna». Il progetto di mobilità sostenibile «A piedi tra le nuvole», tra Ceresole e il Colle del Nivolet, con tutta probabilità sarà definitivamente archiviato.
    Lo stop dell'estate appena trascorsa, voluto dall'Ente parco Gran Paradiso, potrebbe risultare propedeutico a una mezza rivoluzione, proprio come aveva anticipato, qualche mese fa, il direttore del Parco, Bruno Bassano. Rivoluzione che potrebbe passare (anche) dall'istituzione di un «pedaggio ambientale» per chi sceglie di salire in quota con il proprio mezzo a motore. Un po' quello che succede alle Tre cime di Lavaredo (tra Veneto e Trentino).
    «Per la prima volta in vent'anni, con la riapertura domenicale, abbiamo raccolto dei dati scientifici che a breve illustreremo nel dettaglio - conferma il presidente del Gran Paradiso, Mauro Durbano - presenteremo una proposta di regolamentazione organica del traffico verso il colle del Nivolet, valida tutti i giorni d'estate e non solo la domenica e i festivi».
    Negli ultimi due decenni, «A piedi tra le nuvole» ha visto la chiusura domenicale della provinciale 50 che dalla diga del Serrù si arrampica fino ai 2640 metri di quota del colle del Nivolet.
    «Auspichiamo che, dopo la pausa di riflessione di quest'anno, il Parco e il Comune di Ceresole Reale tornino a fare sistema con la Città metropolitana - dice in merito il vicesindaco metropolitano Jacopo Suppo - per salvaguardare, almeno nelle giornate festive dei mesi di luglio e agosto, un patrimonio naturale e un'infrastruttura viaria di grande valore, per la cui salvaguardia il nostro ente da sempre impegna ingenti risorse finanziarie e professionali».
    L'ex provincia, proprietaria della strada, ha ribadito dal canto suo l'impegno a proporre, soprattutto in ambiente montano, alternative alla mobilità motorizzata individuale: «Siamo disponibili ad un confronto per definire per il 2025 nuove modalità di regolamentazione estiva, considerando prioritaria la tutela dell'ambiente alpino ma anche la sicurezza della circolazione». Il confronto sicuramente ci sarà (allargato ai Comuni di Ceresole e Valsavarenche) ma il Parco Gran Paradiso non ha intenzione di fare passi indietro: «Apprezziamo la volontà di dialogare - conferma Durbano - ma questo non significa tornare al passato. Anzi sarà proprio l'occasione per proporre qualcosa di nuovo». Con la possibilità, come detto, di arrivare ad un «pedaggio ambientale» per chi sale in quota, anche solo con il pagamento dei parcheggi (oggi liberi e selvaggi) e l'istituzione di un numero chiuso per evitare gli «assalti» al colle.
    Intanto, da martedì 15 ottobre, per la provinciale 50 del Nivolet è iniziato il periodo di chiusura invernale che terminerà, neve permettendo, il 15 maggio del prossimo anno. Ci sono più di sei mesi per trovare una quadra in vista della prossima estate. —

 

 

17.10.24
  1. L'intervento
    Flavia Perina
    Multato perché invoca la pace La libertà vittima dell'eccesso di zelo
    «Quando ho messo lo striscione sul mio banco di miele ho pensato che non potevo più separare la mia attività lavorativa da una battaglia che sento urgente: quella per il ripristino dei diritti dei civili a Gaza. Così mi sono detto: perderò qualche cliente ma lo preferisco all'essere indifferente». Marco Borella ha 42 anni, è un apicoltore ed educatore comasco. Due giorni fa, davanti al suo banco al mercato di Desio dove vende il miele della sua azienda agricola, sono arrivati i Carabinieri che gli hanno fatto un verbale da 430 euro per aver esposto ed essersi rifiutato di rimuovere un cartello con la scritta "Stop bombing Gaza. Stop genocide".
    l1Lei si occupa di api. Cosa c'entra Gaza?
    «Per me non c'è giustizia ambientale senza giustizia sociale. I due temi non sono separati. Le api sono politica, esattamente come lo è lo smaltimento dei rifiuti, i trasporti. E a proposito di rifiuti, per ripulire Gaza ci vorranno anni».
    l2Come si è sentito quando sono arrivati i Carabinieri?
    «Ho cercato di rimanere tranquillo ma ero agitato. Sentivo di stare subendo un'ingiustizia. Ma ho spiegato le mie ragioni ai militari. Sarebbe stato ipocrita rimuovere lo striscione per quieto vivere».
    l3Perché la contestazione solo adesso, visto che lo striscione lo espone da due mesi?
    «Non so chi ha fatto la segnalazione alle forze dell'ordine. Non so se c'è un mandante politico. Mi hanno detto che qualcuno si è sentito offeso dal contenuto dello cartello. In ogni caso, non conteneva insulti, né incitamento all'odio. Per cui la contestazione (commi 1 e 11 del codice della strada, ndr) è per aver esposto un cartello che "distrae gli automobilisti". Ma il banco non guarda la strada».
    l4Cosa farà con il verbale?
    «Farò ricorso. Mi sono rivolto a un avvocato e finché non ci sarà la pronuncia non pagherò».
    l5Cosa pensa il suo legale?
    «Mi ha detto di star tranquillo. In ogni caso, il livello di intollerabilità della situazione in Palestina è a un livello tale che non potevo più stare zitto». —
  2. Siamo certi che sia solo eccesso di zelo la multa di 430 euro comminata dai carabinieri di Desio, Brianza, all'apicoltore Marco Borella che da mesi espone sul suo banco un cartello con due frasi in favore di Gaza: "Stop bombing" e "Stop genocide". Siamo certi che gli arriveranno le scuse, e ovviamente la rottamazione del verbale, e l'affetto delle organizzazioni agricole grandi e piccole, e le rassicurazioni della politica. Tranquillo, è stato un equivoco, Stop Bombing si può dire. Mica siamo a Kabul. Da noi ogni cosa che non sia un insulto o una minaccia si può dire, soprattutto se si dice a volto scoperto, senza bastoni, e per di più accompagnata dalla gentilezza del miele.
    Al momento non è ancora successo, ma siamo sicuri che succederà. Viviamo nell'Italia dell'Articolo 21, "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione", una frase che scolpisce il divieto di perseguire le opinioni per qualsiasi motivo, compresa (come è immaginabile sia successo a Desio) la protesta di chi non è d'accordo. E per di più siamo l'Italia che ama le api e gli apicoltori, ne ha fatto un tema anche politico, e pure sullo Stop Bombing, la fine dei bombardamenti sui civili di Gaza, la tregua, si è espressa ripetutamente ai massimi livelli, e anche se fosse stato il contrario: ma davvero può costituire un fastidio politico un cartello su una bancarella?
    Ecco, vorremmo che questa vicenda – dopo le scuse, la solidarietà, l'affetto – aiutasse anche a capire quanto l'eccesso di zelo può risultare irritante e dannoso per le istituzioni, ovunque. Irritante perché affoga nei verbali di caserma gli ultimi sprazzi di sogno personale, giusto o sbagliato che sia, chissà come sopravvissuti alla cultura dei social e dei reality. Borella, con la sua cooperativa tra i due rami del Lago di Como, la sua scelta di vita inconsueta – le api come simbolo di amore per il territorio e le relazioni umane – è uno degli imprevedibili romantici prodotti da una società che va da un'altra parte. Erano milioni ai tempi di Seattle e della Via Campesina, incendiarono le piazze no-global e poi sparirono, sconfitti da modelli più forti di loro. Non basta? Pure la multa agli ultimi giapponesi di quel tipo di scelta?
    Poi c'è il danno reputazionale, e anche quello non va sottovalutato. Una istituzione è forte quando usa la mano pesante con i più grossi, non con i piccoli, gli isolati, quelli che lanciano un messaggio con un cartello in un mercatino agricolo. E di grandi e grossi nella questione delle guerre ce ne sono tantissimi, parlano di odio, ritorsione e annientamento a milioni di persone. Attraverso i social incitano all'antisemitismo e alla violenza, diffondono notizie false, talvolta lavorano al servizio di autentiche centrali di disinformazione che minacciano le nostre democrazie. Nei loro confronti, anche in virtù della libertà di espressione, poco o nulla si è potuto fare ma è surreale che gli stessi principi che rendono incensurabile e inattaccabile il web non valgano per quattro parole scritte a mano in una piazza di paese.
    Sì, siamo sicuri che sia solo eccesso di zelo. Altri motivi non vengono in mente, sfugge pure quello della pubblica sicurezza (che avrà il suo da fare con le manifestazioni annunciate contro la multa) e dunque: stracciare in fretta quella multa, finirla lì prima possibile.
  3. "Sollevando pacchi mi sono rotto la schiena per i pm il caso va chiuso ma io voglio giustizia"
    Massimo Fasolio
    "
    elisa sola
    torino
    «Mi chiamo Massimo e sono un operaio. Ho 61 anni. E 34 di contributi. Ho passato la vita in fabbrica. Con turni di giorno e di notte. In catena di montaggio e in magazzino. Ma dal 2000 in poi le aziende in cui sono stato mi hanno lasciato a casa. Hanno chiuso o sono fallite. Mi sono sempre dato da fare. Ho mandato migliaia di curriculum. Solo che alla mia età non ti vuole più nessuno. Il giorno in cui mi sono spaccato le vertebre non me ne sono accorto subito. Ero disoccupato da sei anni. Mi hanno offerto un contratto di una settimana per otto euro lordi l'ora. Ero felice. Il primo giorno mi hanno messo a scaricare pacchi di paraffina da 50 chili. L'ho fatto per otto ore. Sono tornato a casa e mi sono seduto sul divano. Ho sentito delle scosse alla schiena. Da allora non sono più riuscito ad alzarmi per tre mesi». Massimo Fasolio non lavora dal 6 giugno del 2022. È stato il primo e l'ultimo giorno del suo ritorno in fabbrica. Addetto alla catena di montaggio, la mansione prevista. Lui ha fatto ciò che gli hanno chiesto. La frattura delle vertebre lo ha costretto a stare immobile, con il busto, per tre mesi. La procura di Torino ha chiesto l'archiviazione dell'infortunio sul lavoro perché «non è stato possibile risalire all'autore del reato, ben potendo il lavoratore rifiutare di effettuare le lamentate prestazioni di carico e scarico». L'avvocato Guido Anetrini, che assiste Fasolo, si è opposto alla richiesta, sulla quale deciderà il gup. «Siamo di fronte a una deriva dei diritti dei lavoratori che ci conduce verso il baratro - afferma il legale - eppure, e lo dico da liberale, la nostra Repubblica è fondata sul lavoro. Non può essere condiviso l'assunto per cui l'operaio avrebbe dovuto rifiutarsi».
    Fasolio, come sta?
    «Ho ancora mal di schiena».
    Dopo due anni dall'incidente?
    «Sì. Certi giorni quelle scosse le sento ancora. Ma non è quello il punto. Non voglio lamentarmi. Io vorrei lavorare. Non mi sono mai tirato indietro davanti a nessuna fatica nella mia vita».
    Lei ha sempre fatto l'operaio?
    «Sì. Sono stato in aziende metalmeccaniche. Dal 1983 al 2000 alle Fonderie Roz di Borgo San Paolo. Poi a Grugliasco. Ero operaio addetto ai trattamenti termici in catena di montaggio. La ditta è fallita nel 2013. Ci hanno messi in cassa integrazione, poi lasciati a casa».
    Come ha fatto a mantenersi, senza uno stipendio?
    «Ho preso il porto d'armi e ho fatto la guardia giurata. Giravo di notte nelle stesse fabbriche che mi avevano dato il lavoro e che erano ormai chiuse. Per mille euro e cinquanta al mese. Ho aperto e chiuso un'enoteca. Sono rimasto a casa, disoccupato, durante gli ultimi anni. Mandavo migliaia di curriculum e nessuno mi chiamava».
    Secondo lei perché?
    «Perché ero vecchio. Per loro. Non per me. Un giorno l'addetta di un'agenzia interinale me lo ha proprio detto. Avevo appena finito un colloquio, era andato bene. E ha aggiunto: Lei è piaciuto, ma sa, è per l'età... Eppure io non mi sono mai tirato indietro. A 14 anni lavoravo già, al bar della vecchia stazione di Porta Susa».
    Come ha fatto a resistere, economicamente?
    «È stato grazie a mio fratello che non sono finito in mezzo a una strada. Ha un posto fisso all'Iveco. Non vivo da solo ma con lui, nella stessa casa. Quando io non guadagnavo faceva lui la spesa e mangiavamo in due».
    Come ricorda il giorno dell'incidente?
    «Ero contento perché erano anni che nessuno mi chiamava. Mi hanno chiamato alle 10,30. Mi hanno chiesto due cose: se avevo le scarpe antinfortunistiche e se potevo iniziare alle 13. Ho detto sì».
    E poi cosa è successo?
    «Appena arrivato, con altri, ci hanno portato in una specie di capannone. C'era un Tir pieno di paraffina. Stavano aprendo il portellone dietro. E c'era da scaricare i pacchi. Uno più vecchio di me non lo ha fatto, perché non ce la faceva. Io ho iniziato con quelli da 25 chili. E poi con quelli da 50. Erano tonnellate di roba. Molto pesanti. Finito il turno sono andato in agenzia a firmare il contratto e sono tornato a casa. Ero felice».
    Era un contratto di una sola settimana?
    «Sì. Ma è normale nel nostro mondo. A volte ti fanno contratti da uno o due giorni».
    Cosa pensa della richiesta di archiviazione del suo infortunio?
    «Ci sono rimasto molto male. Ho ricevuto la raccomandata una mattina. Erano mesi che nessuno mi diceva più niente. Ho pensato che non era una cosa giusta. E sono andato da un avvocato. Io ho sempre lavorato e rispettato tutti. Non mi sono mai tirato indietro. E quel giorno non potevo rifiutarmi. So di essere nella ragione. Se fossi andato via, mi avrebbero accusato di non avere terminato il lavoro».
    Cosa si aspetta adesso?
    «Giustizia. Un risarcimento per la mia schiena e per il male che ancora ho. Penso alla pensione. Chissà se ci arriverò. Devo arrivare a 67 anni. Cosa avrei dovuto fare, più di così, non lo so. Mi sono fatto male lavorando. E se penso a quante volte ho rischiato, in fabbrica. Anni fa ci facevano salire su dieci pedane, una sopra l'altra, per raggiungere un silos. È tutto il sistema della sicurezza che non va. In Italia non esiste e non funziona». —

 

 

16.10.24
  1. Consulenze a Ernst & Young "Truccate le gare d'appalto"
    Dodici gare della Regione Lombardia truccate per 10 milioni di euro. Sei consulenti EY – anche in ruoli apicali nella compagine italiana del colosso – sono indagati dalla procura europea per turbativa d'asta. Per questo, la Gdf ha perquisito gli uffici milanesi e romani della società, ma anche le postazioni di alcuni consulenti in Regione, mentre i pm hanno sentito alcuni dipendenti dell'ente. Per l'accusa, EY si sarebbe aggiudicata le gare al centro delle indagini presentando le candidature degli «stessi gruppi di consulenti» con una «sovrapposizione di incarichi» tale da sommare una «quantità di ore di lavoro superiori a quelle che possono essere realizzate in un mese» da ognuno di loro. Si tratta di appalti, finanziati dal Fondo sociale europeo (Fse) e dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) tra il 2019 e il 2023. Progetti che miravano a seguire l'ente nell'intera gestione dei fondi, dall' assistenza tecnica ai corsi di formazione. Per i pm, la Regione è parte offesa, ma le indagini vogliono escludere eventuali responsabilità. «Esamineremo con attenzione quello di cui si parla e poi faremo valutazioni», è il commento del governatore Attilio Fontana.
  2. Nel mirino della Guardia di finanza i bandi gestiti dagli uffici sia dell'Interno sia della Difesa Sono diciotto le persone indagate: "Un giro di mazzette per pilotare le forniture informatiche"
    "Tangenti nei ministeri" Arrestato il dg di Sogei indagato l'uomo di Musk
    irene famà
    roma
    I lavori con il colosso SpaceX, l'azienda aerospaziale statunitense fondata da Elon Musk, e la gara da 180 milioni per la ristrutturazione della rete del comparto della Difesa. E ancora. La gara per le licenze software dei server Natanix, all'avanguardia della tecnologia di cloud. Ecco. Per raccontare «l'articolato sistema corruttivo» smascherato da un'inchiesta della procura di Roma bisogna partire da qui. Dai bandi finiti al vaglio degli inquirenti e dai personaggi coinvolti. Arrestato Paolino Iorio, direttore generale di Sogei, la società che si occupa della gestione dei servizi informatici della pubblica amministrazione controllata al 100% dal ministero dell'Economia. Il manager è stato fermato lunedì sera mentre intascava una mazzetta da 15 mila euro. Denaro in contanti, chiuso in una busta, appena consegnato dall'imprenditore Massimo Rossi, pure lui finito ai domiciliari.
    Indagati in diciotto, con reati che spaziano dalla corruzione alla turbativa d'asta, e quattordici società, di cui due quotate in Borsa, Olidata e Digital Value. Tra gli altri Andrea Stroppa, classe '94, referente di Elon Musk in Italia, che in questa storia avrebbe pure potuto consultare un documento riservatissimo della Farnesina in cui si valutava l'utilizzo delle tecnologie satellitari fornite dal dall'azienda americana SpaceX. Nell'elenco anche Antonio Angelo Masala, ufficiale della Marina distaccato presso il VI Reparto Sistemi dello Stato Maggiore della Difesa, e Amato Fusco, dipendente del ministero dell'Interno. E altri personaggi che, a capo di società minori, sono accusati di aver dato copertura contabile ai flussi di denaro utilizzato per pagare le tangenti.
    «Un sistema corruttivo con ramificazioni sia all'interno del ministero della Difesa, sia in Sogei, sia al ministero dell'Interno», è scritto negli atti. I finanzieri del Comando provinciale di Roma e del nucleo speciale polizia valutaria hanno intercettato flussi finanziari anomali tra alcuni imprenditori e dirigenti. Scattano le intercettazioni telefoniche e ambientali e il numero uno di Sogei in auto parla da solo, si racconta, si "confessa".
    Personaggio chiave, in questa vicenda, è Massimo Rossi, dominus di un gruppo temporaneo di impresa. È lui, secondo la procura di Roma diretta da Francesco Lo Voi, a creare relazioni, tenere i contatti, far girare i soldi. E tra le varie gare e i vari appalti ci si aggira intorno ai 300 milioni di euro.
    Con il manager Iorio, dal novembre 2023 si incontrano due volte al mese per scambiarsi decine di migliaia di euro. Rossi vuole favorire le imprese legate a lui, alla sua famiglia e ai suoi amici. Così paga. E con Sogei avrebbe stipulato «una serie di contratti» per un valore complessivo di oltre cento milioni. In particolare: «Sogei spa si è impegnata ad acquistare prodotti e servizi forniti da Italware srl per 98.617.126,37 euro e da Itd Solution spa per 5.772.010,11».
    Sogei, in una nota, «esprime piena fiducia nella magistratura, a cui sta prestando totale supporto», e si dichiara indiscutibilmente estranea ai fatti. «Se questi fossero acclarati in maniera definitiva l'azienda si dichiarerà parte lesa e si tutelerà nelle sedi competenti».
    Denaro, potere, influenze, contatti sono sullo sfondo di questa vicenda complessa. Un esempio è il caso che riguarda SpaceX. L'ufficiale della Marina viene a scoprire il progetto del governo di acquistare il sistema satellitare» Starlink. Lo scorso 29 agosto è in riunione e attorno al tavolo si valuta «il progetto finalizzato all'impiego, con scopi militari prima e dual use dopo, delle tecnologie satellitari fornite dall'azienda americana». Così aggancia Stroppa. Gli invia anche un «documento riservato redatto a margine della riunione». Gli propone una sorta di collaborazione: lui assicura informazioni confidenziali, «in cambio accetta la promessa da Stroppa della conclusione di un contratto di fornitura tra Spacex e Olidata spa», nota società di informatica. «Questa vicenda - si legge negli atti - è sintomatica di un accordo concluso, o in corso di conclusione, al fine di far beneficiare Olidata Spa degli affari del gruppo statunitense». E dalla Farnesina precisano: «Non si tratterebbe di un documento "riservato" secondo la classificazione di legge della documentazione "riservata" e "segreta". Dovrebbe trattarsi di un documento interno, un elenco di necessità espresse dal ministero (il numero delle ambasciate e consolati) da collegare al sistema se eventualmente fosse andata avanti la procedura».
    Stroppa affida una replica ai social: a un utente che su X gli chiede: «Puoi rispondere alle accuse che ti riguardano?», lui risponde: «Certo, non vedo l'ora». —
  3. Valentina Patrignani , sposata con l'ufficiale di Marina Antonio Masala, deteneva azioni in Olidata per tre milioni di euro
    Soci occulti attraverso mogli e compagne Così il sistema faceva affari anche in Borsa

    roma
    C'è un nome che torna nei vari appalti finiti al centro dell'inchiesta della procura di Roma. Ed è quello di Olidata spa, società di informatica quotata in borsa. Centrale, a quanto emerge dagli atti, per comprendere questo giro di appalti truccati, denaro e interessi. L'ufficiale di Marina Antonio Masala ne era «socio occulto» tramite la moglie Valentina Patrignani, pure lei indagata, «titolare di azioni per oltre tre milioni di euro». Così anche il dipendente del ministero dell'Interno Amato Fusco, che «tramite la compagna era titolare di azioni per 10 mila euro». Così si spiegherebbe almeno parte dell'interesse a inserire Olidata nelle «catene delle vendite».
    Il 30 gennaio 2024, il raggruppamento temporaneo di imprese che fa capo all'imprenditore Massimo Rossi, finito agli arresti domiciliari, si aggiudica l'ampia gara di ristrutturazione delle infrastrutture della rete del comparto della Difesa. E Antonio Masala, «l'Antonio della Difesa» per gli amici d'affari, si muove. Incontra Rossi, fornisce informazioni utili. Poi, «come illecito compenso per l'opera prestata nella gestione della procedura», Olidata spa viene inserita «dalle imprese aggiudicatarie nella catena di vendita con proventi quantificabili in oltre 4 milioni e mezzo».
    Stesso schema sarebbe stato attuato dal dipendente del Viminale e direttore della Centrale dei servizi logistici e della gestione patrimoniale della Polizia di Stato. Ad aprile 2024, il ministero dell'Interno apre la gara per le licenze software per il server Natanix, tecnologia di cloud. Fusco, secondo le accuse, incontra l'imprenditore Rossi. L'affidamento va ad Itd Solution e ad un'altra srl coinvolta nell'indagine. Olidata spa viene inserita nella catena di vendita.
    A febbraio 2024, invece, la stessa gara viene bandita dalla Direzione di Intendenza della Marina Militare. Qui è l'ufficiale Masala che si attiva. Anche qui «otterrà» dei favori. «Riceverà - si legge negli atti - un'indebita utilità attraverso partecipazioni occulte a società formalmente riferibili alla moglie».
    Olidata spa, che vede indagato il rappresentante legale Cristiano Rufini, torna anche nella questione di Spacex. L'ufficiale di Marina contatta l'uomo di Elon Musk in Italia, gli assicura informazioni utili. In cambio? «Un contratto di fornitura con Olidata».
    Lo Stato Maggiore della Difesa assicura «il massimo supporto alle autorità inquirenti». E aggiunge: «I presunti comportamenti per i quali si indaga non sono certamente compatibili con i valori e i principi fondanti delle Forze Armate italiane».
    Borsa Italiana comunica che da oggi, fino a successivo provvedimento sulle azioni ordinarie, a Digital Value spa e Olidata spa non sarà consentita l'immissione di ordini senza limite di prezzo. I titoli ieri hanno chiuso rispettivamente in calo del 10,46% e del 13,33%, dopo che le sedi delle due società sono state perquisite per le ipotesi di corruzione e turbata libertà degli incanti nell'ambito di diverse procedure di appalto e affidamento in materia di informatica e telecomunicazioni, bandite da Sogei, dal ministero dell'Interno-Dipartimento della Pubblica sicurezza, dal ministero della Difesa e dallo Stato maggiore della Difesa.
    L'inchiesta prosegue. I finanzieri del Comando provinciale di Roma e del Nucleo speciale polizia valutaria, a casa e negli uffici degli indagati e delle società, hanno sequestrato tablet, smartphone, computer, pennette usb e documentazione di ogni tipo, digitale e cartacea, per ricostruire i flussi finanziari delle operazioni finite nell'indagine. Al vaglio le fatture relative alle operazioni considerate inesistenti, i contratti e i bilanci. Si analizzano i conti. Mentre nelle chat, in particolare WhatsApp e Telegram, e nelle email si cercano le parole chiave. Va da sé i nomi delle società e delle persone indagate, soprannomi compresi come «Cr7» o «biondina». C'è pure la ricerca «AS Roma»: tra le utilità promesse in cambio di favori potrebbero risultare anche i biglietti per le partite di calcio.
  4. il retroscena
    Poche ore prima del blitz degli inquirenti aveva preannunciato che i "poteri forti" erano in azione A Palazzo Chigi scattano le verifiche sul 31 enne che lavorava con il governo all'accordo Starlink
    Stroppa, l'ex hacker evoca complotti "Vogliono fermare Elon e Giorgia"

    ilario lombardo
    roma
    «Giorgia Meloni capisce che il futuro è questo. Coinvolgendo le aziende italiane si creano lavoro e investimenti, con Starlink si connettono i cittadini e le Pmi fuori dai grandi centri abitati. Chi prova a ostacolarla dovrebbe vergognarsi». Alle tre e quaranta di pomeriggio del 13 ottobre, Andrea Stroppa scrive questo tweet su X, il social di proprietà di Elon Musk, suo mito, suo mentore, suo datore di lavoro. Un follower gli chiede: «Se veramente qualcuno si sta opponendo, sarebbe bene chiamarli pubblicamente a renderne conto». «Se sarà necessario –è la risposta – al momento giusto». È come se Stroppa sapesse qualcosa e volesse anticiparlo. Poche ore dopo, alle sette e mezza di sera, diventa ancora più esplicito: «Stiamo lavorando per far diventare Italia grande partner di SpaceX. Qualcuno – anche nei palazzi – sta provando a fermarci. Fate sentire la vostra voce! ». Passano solo venti ore da questo sfogo, e scatterà il blitz della Guardia di Finanza: così si verrà a sapere che Stroppa è indagato dalla procura di Roma. Senza mai staccare le dita da X, lui non si scompone, dice di non vedere l'ora di rispondere sulle accuse dei pm, e ripubblica, autocitandosi, il suo tweet, con un'aggiunta: « "Qualcuno sta provando a fermarci". Un giorno scriverò un libro». Segue faccina che ride.
    I palazzi. I poteri forti. Meloni tirata in ballo come vittima predestinata di un complotto. Trame evocate, ma senza nessun nome. Sembra il calco di uno dei tanti discorsi della premier in questi primi due anni di governo, sempre prontamente rilanciati nelle batterie delle dichiarazioni dei parlamentari di FdI, nei quali Meloni ha adombrato cospirazioni e intrighi ai suoi danni, senza mai portare una prova. La magistratura sospettata di muoversi per fini politici diventa così il naturale bersaglio della destra che governa e dei suoi principali sponsor. Lo fa Elon Musk in difesa di Matteo Salvini, imputato per aver tenuto in mare un barcone pieno di migranti. E lo fa Andrea Stroppa appena entrano in gioco gli interessi di Musk.
    Meloni è in Senato quando la notizia dell'inchiesta Sogei diventa pubblica. Le girano i primi articoli. A Palazzo Chigi scatta l'allarme per verificare ingressi e contatti con Stroppa, l'uomo che sta trattando l'accordo con il governo per integrare il sistema satellitare di Musk, Starlink, alla rete della banda ultralarga. La sua biografia racconta l'ascesa rapida di un ragazzo di trentuno anni di Torpignattara, prima periferia romana, cespuglio di capelli disordinato, spesso vestito in tuta Adidas, un hacker, un classico nerd che prima della guerra in Ucraina coltivava relazioni con pirati informatici russi, cooptato dalla politica, esperto di cybersecurity per Matteo Renzi nel 2017 (scoperto dall'amico e appassionato del settore Marco Carrai), diventato poi il braccio operativo di Musk in Italia, «referente della multinazionale SpaceX» scrivono i magistrati. Di fatto, un lobbista che sui social si fa chiamare Claudius Nero's Legion, dal nome del generale romano del 200 a. C, e che si muove agevolmente tra i ministeri, con un'interlocuzione costante che si intensifica nell'ultimo anno quando Meloni entra nell'orbita del pianeta Musk. Stroppa è a Palazzo Chigi con il guru sudafricano quando Mister Tesla incontra la premier. È con lui quando viene accolto tra gli applausi come ospite d'onore ad Atreju, la festa annuale di FdI. È con lui alla serata di gala del 23 settembre all'American Council di New York, mentre l'uomo più ricco del mondo siede al tavolo con Meloni dopo averle consegnato il Global Citizenship Award. Quando c'è Musk, c'è Stroppa, colpito come per osmosi dall'infatuazione politica del miliardario per Meloni e per Donald Trump.
    A Palazzo Chigi si minimizza l'imbarazzo ma non si negano le verifiche. La rete di Stroppa si allarga ai ministeri Esteri, Difesa, Interno, Imprese e Made in Italy. La premier chiede che sia il sottosegretario con delega ai Servizi, Alfredo Mantovano, a occuparsene. Anche perché dalle carte spunta un documento della Farnesina – definito «segreto» dai pm – che un indagato, l'ufficiale della Marina Militare Antonio Masala, ha passato a Stroppa. Il ministero guidato da Antonio Tajani conferma, con una precisazione, però: non si tratta di un documento riservato ma a uso interno. Ed è un elenco di ambasciate e consolati da collegare a Starlink per «migliorare il livello delle comunicazioni di installazioni della presidenza del Consiglio, degli Esteri, della Difesa in aree problematiche, soprattutto nel Mediterraneo». È solo una piccola parte del grande affare che Stroppa esalta quasi quotidianamente su X, e di cui si fa vanto con gli indagati, interessati a entrarci con la società Olidata. Un accordo pubblico-privato che il governo sovranista di Meloni sta accarezzando per colmare i ritardi nei progetti del Pnrr sulla rete ultraveloce, che valgono 6 miliardi di euro. Lo conferma il sottosegretario all'Innovazione tecnologica Alessio Butti che ha ammesso una prima sperimentazione per portare il servizio "space-based" in aree remote, difficilmente raggiungibili dalle infrastrutture terrestri. Le resistenze di Telecom e Open Fiber, gli operatori che gestiscono la rete e che temono l'avanzata di Musk, sembrano ormai superate dalla volontà politica dell'esecutivo. Meloni è decisa ad andare avanti, nonostante i rischi evidenziati dal Pd con un'interrogazione alla premier e al ministro del Made in Italy Adolfo Urso, e con le dichiarazioni rilasciate da Lorenzo Guerini. L'ex ministro della Difesa e presidente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui Servizi, a fine settembre, durante gli Stati generali sullo Spazio, ha invitato il governo a riflettere su cosa comporti per la sicurezza dell'Italia affidare a un privato, proprietario di satelliti a bassa quota, i dati dei cittadini

 

15.10.24
  1. 10 ANNI DI PROTEZIONI E SILENZI, obiettivo LIBANO e poi IRAN con gli USA:  Dagli insediamenti a oggi: tutti gli affronti. Oggi consultazioni al Consiglio di sicurezza sul Libano
    Quelle 174 violazioni del diritto internazionale Tel Aviv da dieci anni sfida le Nazioni Unite
    alberto simoni
    corrispondente da washington
    Israel Katz, capo della diplomazia di Gerusalemme, dice che l'87% degli israeliani concorda con la decisione dell'esecutivo di considerare il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres «persona non grata». «Non cambieremo rotta», ha detto su X confermando che la decisione del 3 ottobre è irreversibile.
    La storia delle relazioni fra Onu e Israele tracima di incomprensioni, denunce, schermaglie, scontri e lo Stato ebraico si è sempre sentito bersaglio degli umori dell'Assemblea generale, storicamente più vicina ad abbracciare causa palestinese e discorsi dei leader dell'Olp e poi Anp che si sono avvicendati sul palco.
    Celebre fu quello di Arafat del 13 novembre del 1974, il capo palestinese pronunciò il discorso del «mitra e dell'ulivo». Quest'anno Mahmoud Abbas, che di Arafat è stato successore all'Anp, ha chiesto l'espulsione di Israele dalle Nazioni Unite in un discorso concluso fra gli applausi.
    È in questo clima che il sentimento di avversione di Netanyahu per l'Onu germoglia. «In dieci anni – disse Netanyahu il 27 settembre a Palazzo di Vetro – l'Assemblea ha formalmente denunciato Israele 174 volte, cento volte più che tutte le denunce riservate agli altri Paesi messi insieme, è uno scherzo!». Segno di pregiudizio per gli israeliani, fatti incontrovertibili di alcuni comportamenti imputabili – dal sostegno ai coloni, agli insediamenti, sino ovviamente alla campagna militare a Gaza – a Gerusalemme.
    Per Netanyahu, «l'Onu è uno stagno di odio antisemita e qui si accusa lo stato ebraico di ogni cosa».
    A Palazzo di Vetro solo gli Stati Uniti sono i veri alleati: pronti a bloccare in Consiglio di Sicurezza ogni risoluzione danneggi l'alleato e a prediligere azioni bilaterali per indurre Israele a moderare le sue azioni. Successe così nel maggio del 2021 quando Washington mise il veto a un risoluzione sulla West Bank sostenendo di voler lavorare sul canale privato con Israele.
    Oggi ci saranno consultazioni – in programma da tempo – a porte chiuse in Consiglio di Sicurezza su una risoluzione del 2004 (la 1559) che riguarda la sovranità territoriale del Libano. La sottosegretaria Rosemary DiCarlo riferirà che benché in 20 anni il contesto è mutato, la risoluzione – che già chiedeva il disarmo delle milizie libanesi e non, due anni prima della Risoluzione 1701 (quella che ha rafforzato l'Unifil) – rimane ancora attuale. Non è previsto alcun voto. Il piatto forte, ovvero la riunione d'emergenza chiesta dalla Francia su Unifil, non è ancora in calendario. Si capirà ancora una volta quanto Netanyahu può contare sull'alleato Usa e quanto la comunità internazionale sarà in grado di premere su Israele per fermare l'offensiva. Netanyahu vede Unifil come un ostacolo alla distruzione di Hezbollah, «la quintessenza del terrorismo nel mondo di oggi», disse il 27 ottobre. «Ha tentacoli ovunque e attacca Israele ferocemente da 20 anni. Ora è troppo» aggiunse prima di denunciare che per 18 anni Hezbollah non ha rispettato la risoluzione 1701. Linea condivisa dagli Usa. Che, tuttavia, hanno espresso sabato sera in una telefonata fra Austin e Gallant «profonda preoccupazione» per gli spari sui caschi blu.
    L'Unrwa (Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi) è altro terreno di scontro permanente. Per Israele è il veicolo con cui i miliziani di Hamas sfruttano connivenze e copertura internazionale per colpire gli ebrei. L'Onu risponde che non «ci sono sufficienti evidenze» a dimostrare che «il personale Unrwa abbia partecipato» all'eccidio del 7 ottobre.
    Dove l'Onu vede violazioni del diritto internazionale (gli insediamenti nella West Bank, le operazioni a Gaza, l'invasione del Libano, le condizioni dei prigionieri palestinesi per citare solo alcuni casi recenti), Netanyahu fiuta un'ideologia perversa e distorta della realtà e la negazione del diritto di Israele di difendersi sancito dall'articolo 51 della Carta Onu.
    L'Unrwa, dicono gli israeliani citando loro inchieste, ha avuto 30 membri dello staff coinvolti nel 7 ottobre e centinaia di dipendenti hanno gioito per la strage. Nel 2004 Peter Hansen, allora commissario dell'Unrwa disse in un'intervista a una tv canadese: «Sono sicuro ci sono membri di Hamas sul libro paga dell'Onu». Per poi precisare che comunque Hamas è un'organizzazione politica e non solo militare. Ismail Haniyeh era un insegnante pagato da Unrwa, diversi quadri di Hamas sono stati formati in questa struttura. Pistola fumante secondo il Bibi-pensiero del cieco sostegno Onu per i palestinesi. Schermaglie, anche violente. Ma ora gli spari su Unifil aprono nuovi e incerti scenari.
  2. INASCOLTATI : per la soluzione a due stati
    Schlein e Conte: "Israele si fermi ora il governo riconosca la Palestina"
    «Dopo i violenti attacchi dei giorni scorsi alle postazioni Unifil, l'ennesimo sconfinamento di carri armati dell'Idf verso le posizioni delle forze di pace dell'Onu. Netanyahu va fermato, le sue azioni criminali non possono essere più tollerate». Lo ha detto la segretaria del Pd, Elly Schlein, in una nota diffusa ieri. «Il governo italiano riconosca subito lo Stato di Palestina per iniziare a costruire la soluzione dei due popoli, due Stati». Il leader dei 5 Stelle, Giuseppe Conte, dichiara: «Fermiamo la follia di Netanyahu, prendiamo decisioni serie per imporre il cessate il fuoco e la soluzione due popoli due Stati per Israele e Palestina.
  3. Fuoco
    Mamma Fatima
    "
    sulle
    famiglie

    inviato a beirut
    Sama ha tredici mesi e da 28 giorni i medici lottano per salvare il suo viso dalle terribili ustioni che hanno bruciato tutta la parte sinistra. Le medicazioni sono dolorose e quando comincia a piangere, sempre più forte, l'infermiera tira la tenda che chiude la stanzetta al primo piano del reparto ustionati all'Hopital Libanais de Geitaoui, un quartiere cristiano di Beirut, non lontano dal porto. È sdraiata su un fianco, con il suo pannolino, gli occhi spalancati, i capelli castani tirati da un lato, la fronte e la guancia bucherellate da macchie rosse, che devono rimarginarsi nel modo giusto. L'infermiera tira meglio la tenda, fino in fondo.
    Sarà una lunga lotta, ma almeno Sama non rischia la vita e non l'ha persa, come tanti nel suo villaggio. L'ospedale è nuovo, luccicante. Una struttura privata, pulitissimo, con aria condizionata, cartelli in inglese e arabo, le pareti in granito grigio, nitide come specchi. L'hanno ricostruito dopo la terribile esplosione del 4 agosto 2020, che ha devastato la parte bassa del quartiere, la più esposta all'onda d'urto. Le cure sono costose, e solo chi ha una buona assicurazione può permettersele. Ora però è diverso. C'è la guerra, e dal Sud continuano ad affluire feriti, soprattutto ustionati. Gente che non ha più nulla e viene curata gratis.
    «Eravamo sulla veranda, io e mio marito, i suoi amici», racconta Fatima, la mamma di Sama. Ha 36 anni, il velo nero ricamato ai bordi che le cinge il volto e copre i capelli e le spalle. Indossa una maglietta nera e pantaloni dello stesso colore, forse troppo attillati per una donna del Sud sciita. Glieli hanno regalati perché ha perso tutto nel bombardamento del suo villaggio, Deir al-Qanoun. «Abbiamo visto esplodere la casa di fronte – continua – così, di colpo, senza sentire nulla prima. Le bambine erano scese nel cortile e hanno preso la botta in pieno, non le vedevo più per il fumo, io e mio marito eravamo per terra, ma illesi, poi ho visto la plastica che copriva la veranda prendere fuoco». Si mette a piangere. Poi, dal telefonino, mostra le foto delle bimbe, Sama e la più grande, sette anni, appena arrivate all'ospedale, tutte coperte di bruciature. «La casa era in fiamme, abbiamo raccolto un po' di vestiti e li abbiamo messi in macchina, stavamo per salire e scappare quando un altro colpo l'ha distrutta, allora siamo corsi verso i campi, con loro due tra le braccia».
    Qualcuno li ha raccolti per strada e portati al primo ospedale decente, nello Chouf, ma non era abbastanza attrezzato. Poi, per fortuna, si è liberato un posto qui a Geitaoui. La dottoressa che le ha in cura non si ferma un attimo da più di un mese. «La prima ondata è stata quella dei cercapersone – ricorda –. Sono arrivati in tanti, con ustioni al volto, la vista compromessa. È stato molto brutto. Eravamo a disagio». Si ferma un attimo, e beve un altro sorso di caffè. «Sapevamo che erano di Hezbollah, ed Hezbollah non ama essere riconosciuto. E invece adesso li vedevamo in faccia, registravamo i loro nomi nel registro. Non ero tranquilla, anche se, certo, erano persone da curare». Si ferma di nuovo e riflette.
    «Ho fatto il giuramento di Ippocrate, ma ho avuto anche brutti pensieri». E cioè? «In questo quartiere l'esplosione al porto ha fatto tante vittime. L'ospedale è stato mezzo distrutto. Ed Hezbollah ha le sue responsabilità per quello che è successo quattro anni fa e soprattutto per questa guerra dove ha trascinato tutto il Libano. Ben gli sta, ho pensato».
    All'inizio non ha provato molta pietà ma una storia le ha fatto cambiare idea. «Una giovane di 22 anni – spiega – aveva perso tutte e due gli occhi. Aveva preso il cercapersone che squillava per portarlo dal padre, uno del partito, e le è esploso in faccia. Quando me l'hanno portata, e ho saputo, ho avuto un colpo al cuore, che destino terribile, che ingiustizia». Anche su Nasrallah ha pensieri ambivalenti. «L'esplosione che l'ha ucciso mi ha ricordato quella del porto, mi sembrava un giusto contrappasso. Ma tutto sommato mi fa anche pena. È che questa guerra ci porta troppo dolore e noi libanesi ne abbiamo vissuto già abbastanza».
    Fatima, la mamma di Sama, l'aspetta in una saletta vicino all'ingresso del pronto soccorso. Vuole sapere se la piccola tornerà come prima, avrà una vita normale. Viene da un villaggio dove Hezbollah la fa da padrone, e che adesso non esiste più. «Io non so niente di politica – sembra quasi giustificarsi –. Non abbiamo mai visto nulla, vivevamo tranquilli». In una grossa busta di plastica trasparente al suo fianco ci sono indumenti di ricambio. Da quasi un mese vive nell'ospedale. Dorme nella stanzetta della bambina, lei su una brandina a fianco al letto, il marito sul pavimento, sopra una coperta. Non sa se un giorno potrà ricostruire la sua casa. Vuole solo vivere, possibilmente in pace.
  4. progetto Albania
    Le falle

    del
    dall'inviato a Gjadër
    Mare calmo, visibilità ottima. «Niente, ancora niente», dice il direttore del porto Sender Marashi. Stanno smontando il luna park, qualcuno fa il bagno. Fra questi pescherecci che tornano carichi di sgombri e sardine, uno dei prossimi giorni attraccherà una nave della Marina Militare italiana. Porterà il primo carico di migranti della missione Albania. Una missione piena di incognite e di problemi. Si vedono tutti. A occhio nudo. In queste giornate di attesa e cielo terso.
    Roulette mediterranea
    È una questione di fortuna. Si capisce bene. Ogni singola persona che tenterà l'attraversata per arrivare in Europa avrà quattro possibili livelli di rischio e di sventura. Scampata la morte per annegamento, potrebbe essere portata indietro dalla Guardia Costiera libica finanziata dal governo italiano: altre torture, altre violenze, altri soldi da pagare. Il terzo livello di rischio è incontrare una motovedetta italiana. Perché da lì è probabile il trasbordo sulla nave hub della Marina, quindi una lenta navigazione verso l'Albania. Che non è ancora Europa, anche se sogna di farne parte. Per questo essere salvati da una nave Ong diventerà presto, per distacco, la migliore delle possibilità. Le Ong non vanno in Albania. Poco importa se verrà assegnato un porto di sbarco lontanissimo, come scelta punitiva. Genova, Ravenna, Ancona sono comunque Italia, sono pur sempre Europa.
    Paesi sicuri
    Possono essere deportati in Albania solo uomini adulti provenienti da Paesi considerati «sicuri». Ma l'Italia considera sicuri anche Egitto, Tunisia e Bangladesh. Mentre una sentenza del 4 ottobre della Corte di giustizia dell'Unione europea fissa altri parametri. Perché un Paese possa essere considerato sicuro, deve esserlo in qualsiasi parte e per qualsiasi cittadino. Chiedete a quel ragazzo tunisino a cui è stato tagliato un testicolo per ritorsione, dopo che aveva messo incinta la sua fidanzata, se tornare in Tunisia per lui sia effettivamente sicuro. Come si comporteranno i giudici che dovranno decidere sui singoli casi?
    Un destino in pochi giorni
    La procedura accelerata per chiedere il diritto d'asilo dovrà durare al massimo 28 giorni. Servono interpreti preparati. Servono informazioni precise che mettano le persone nelle condizioni di esercitare un diritto. Serve sapere chiaramente – per esempio – che in caso di diniego della commissione, il tempo per presentare ricorso è stato appena ridotto a 7 giorni. Fare tutto questo in Albania, in video collegamento, secondo molti giuristi discrimina fra migranti e migranti, il che è anticostituzionale. Di sicuro un migrante in Albania sarà molto più solo. Più indifeso.
    Avvocato d'ufficio o di fiducia
    Per esempio: vallo a trovare un avvocato di fiducia, stando dentro le gabbie del centro di detenzione di Gjadër. Devi difenderti in lingua italiana, in un Paese che parla albanese, mentre tu ne parli un'altra ancora. Da queste gabbie il diritto alla difesa appare fortemente indebolito.
    Un piccolissimo Stato italiano in terra d'Albania
    Lo dicono gli agenti di guardia: «Oltre il cancello cambia nazione». Lo dice il premier albanese Edi Rama: «Quei centri non ci riguardano». Non si capisce quindi cosa succederà in caso di rivolte, di incendio, di tentatitivi di fuga. O, più semplicemente, se una persona dentro si sentirà male e avrà bisogno di cure urgenti dall'altra nazione. Oltre le gabbie.
    Prigionieri di fatto
    «L'accordo con l'Italia prevede che nessun migrante uscirà mai da lì», dice sempre il premier albanese Edi Rama. Ma l'Italia non può costringere all'infinito un migrante dentro a quelle gabbie. Si prevedono molti viaggi di ritorno: Adriatico coast to coast.
    Il conto salato
    Per costruire l'hotspot al porto di Shëngjin e il centro di trattenimento di Gjadër, il governo Meloni ha già stanziato 65 milioni di euro. Il costo di gestione previsto è di 120 milioni all'anno. Ma è un costo ipotetico. Sottostimato. Perché nessuno sa quanti trasbordi – effettivamente – verranno fatti. Quanti poliziotti saranno impiegati in trasferta, quanti costi vivi e variabili dovranno essere sostenuti.
    Il miraggio delle espulsioni
    Nella prima metà del 2024 in Italia sono stati firmati 13.330 ordini di rimpatrio. Le espulsioni eseguite 2. 242. Questi sono i numeri reali. Cosa sarà dei migranti con il foglio di via in terra albanese? La probabilità che il governo italiano debba accompagnarli sul suolo italiano, per poi abbandonarli al loro destino, è molto alta.
    Ma allora perché?
    Per rimpatriare direttamente dall'Albania alcune nazionalità, pochissime. Quasi soltanto migranti tunisini, grazie all'accordo fra governi. Questo sembra l'obiettivo. Serve una foto simbolica. «Siamo nel propagandistico» dicono gli studiosi del fenomeno migratorio. Ma mentre il governo cerca la foto, il rischio è creare una zona franca. Sarà difficile testimoniare quello che accadrà lì dentro. I centri in Albania nascono per essere "un altrove". Un posto senza testimoni. —Nel decreto Flussi inserito un articolo per espellere anche chi non ha mai messo piede in Italia
    Quella norma ad hoc per i respingimenti "Il diritto al ricorso sarà solo sulla carta"
    serena riformato
    ROMA
    Mentre a Shengjin e Gjader si erigevano le mura dei centri, in Italia il governo ha silenziosamente cercato di costruire un impianto normativo per legittimare il sistema Albania. Nel decreto Flussi, approvato il 3 ottobre, almeno due norme sono state scritte ad hoc per le strutture albanesi. La più importante è all'articolo 13: l'esecutivo amplia le ipotesi di respingimento alla frontiera fino a comprendervi i migranti che in Italia non ci abbiano nemmeno mai messo piede. Finora, il questore poteva decidere l'espulsione – tramite la procedura accelerata, 28 giorni per esaminare la domanda – solo per gli stranieri bloccati alla frontiera o appena entrati nel Paese. Ma l'ipotesi non avrebbe compreso, formalmente, i migranti che verranno portati in Albania prima ancora di aver fatto ingresso in Italia. Con il codicillo inserito appositamente nel decreto Flussi, invece, il respingimento differito potrà essere applicato agli irregolari «rintracciati a seguito di operazioni di ricerca o soccorso in mare» durante le «attività di sorveglianza» dei confini esterni dell'Ue. Prima ancora di sbarcare. Che l'aggiustamento sia pensato per l'Albania è confermato anche da altre piccole modifiche: sempre in base all'articolo 13 del provvedimento, la decisione di rigetto della domanda di protezione porterà al respingimento anche «qualora la procedura si svolga direttamente alla frontiera o nelle zone di transito». Per Gianfranco Schiavone, giurista dell'Asgi, «con il decreto Flussi il governo italiano ha cercato di rafforzare la possibilità di espellere i migranti che transiteranno in Albania». Comprimendone i diritti. All'articolo 17 del provvedimento, infatti, si prevede anche un dimezzamento del tempo concesso allo straniero per presentare ricorso nel caso la sua domanda di protezione sia stata rifiutata: da 15 a 7 giorni. «La decisione di impugnare un diniego non rientra nei doveri dell'avvocato d'ufficio», spiega Schiavone: «Il migrante in 7 giorni dovrebbe trovarsi un legale in Italia, contattarlo non si sa come e convincerlo a depositare l'atto in pochi giorni». Secondo il giurista, «lo scopo di questa operazione è lasciare il diritto al ricorso sulla carta, ma svuotarlo di effetto.

 

14.10.24
  1. Chiara Gribaudo
    Le prospettive
    "Brandizzo ci ha dato una lezione non parliamo di errori umani"

    serena riformato
    roma
    «Dopo le tragedie, vorremmo che non ci fosse solo una corale indignazione, ma si imparasse qualcosa: quello che è successo a Brandizzo non deve accadere mai più». Chiara Gribaudo, vicepresidente Pd, alla Camera presiede la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia con questo obiettivo: dissezionare le stragi degli ultimi anni, comprenderne le cause e individuare le debolezze su cui intervenire. A settembre, la commissione ha pubblicato un rapporto sull'incidente di Brandizzo, dove 5 operai furono travolti da un treno mentre lavoravano sui binari. «La magistratura cercherà i colpevoli - specifica Gribaudo -. Noi cerchiamo le opportunità di miglioramento».
    La relazione riconosce il «comportamento umano» come «causa principale» della strage di Brandizzo. La politica cosa può fare?
    «Siamo certi che quelle persone, in quel momento, non dovevano stare sui binari. Ma ci vuole prudenza a parlare di "errore umano". Dietro la definizione arida c'è un problema più ampio: è l'organizzazione del lavoro che mette i dipendenti nelle condizioni di sbagliare».
    In che modo?
    «Influiscono i vincoli di orario, la spinta a fare in fretta, la percezione che si dà del rischio, anche solo nel linguaggio. La tendenza generale è certificare il rispetto delle norme dal punto di vista burocratico e poi vivere quotidianamente una realtà ben diversa. È un problema di formazione, di clima e cultura della sicurezza».
    Servono più corsi?
    «Non riguarda solo gli operai, ma anche i capi. Oggi, per la Giornata nazionale per le vittime degli infortuni sul lavoro sarò a Casteldaccia, nel Palermitano, dove a maggio cinque lavoratori sono morti respirando un gas mortale nel corso della manutenzione fognaria. Fra loro c'era il proprietario della ditta in subappalto».
    Ecco, le scatole cinesi dei subappalti quanto incidono sul fenomeno?
    «Purtroppo, se andiamo a vedere i dati, nella catena degli appalti e dei subappalti si concentra il maggior numero di infortuni. C'è sempre il rischio che si creino lavoratori di serie A e serie B. Non c'è dubbio che qualcosa vada ripensato. Con il Codice degli appalti si è fatto un primo passo. Ma non è abbastanza».
    Cosa bisognerebbe fare di più?
    «Nel rispetto dell'autonomia della magistratura, mi chiedo se sia opportuno che le stazioni appaltanti, dopo eventi particolarmente drammatici, possano continuare ad affidare le lavorazioni a imprese responsabili di inadempienze con gravi conseguenze».
    Nei primi otto mesi del 2024 l'Inail ha contato 680 morti sul lavoro, con un aumento del 3,5% sull'anno precedente. Com'è possibile che i numeri siano in crescita anziché diminuire?
    «Purtroppo, i dati Inail sono anche parziali perché non considerano il lavoro nero. Queste cifre ci dicono quanto sia importante non limitarsi alle norme spot annunciate dopo gli eventi tragici, e poi lasciar passare mesi senza prestare troppa attenzione al problema. Servirebbe un cambio di passo radicale. Per questo, dal 29 al 31 ottobre la Commissione d'inchiesta che presiedo organizzerà gli Stati generali su salute e sicurezza sul lavoro in Italia, in collaborazione con la presidenza della Camera».
    Come si svolgeranno?
    «Sarà presente il presidente della Repubblica e interverrà il commissario europeo per il Lavoro uscente Nicolas Schmit. Faremo tavole rotonde con tutte le istituzioni che si occupano del tema, dagli ispettori alla magistratura, passando per le associazioni di categoria. Approfondiremo i problemi dell'edilizia e dell'agricoltura, ma anche delle molestie sui luoghi di lavoro. E ci sarà anche un focus specifico sulla necessità di un massiccio investimento sulle nuove tecnologie».
    Come possono incidere sulla sicurezza?
    «Torno ai risultati della nostra inchiesta su Brandizzo. Oggi esistono meccanismi sofisticati che permettono ai treni di rallentare la velocità, se percepiscono la presenza di persone sui binari. Avrebbero evitato l'immane tragedia della notte fra il 30 e 31 agosto 2023. In altri Paesi, questi strumenti sono già operativi». —

 

 

13.10.24
  1. PUTIN CONTINUA AD UCCIDERE :   «Un colpo terribile», dice Volodymyr Zelensky mentre incontra Papa Francesco, «una notizia sconvolgente», secondo la diplomazia dell'Unione Europea, un «crimine di guerra» come viene qualificato dalla magistratura di Kyiv. La notizia della morte della giornalista ucraina Viktoria Roschina in un carcere russo, a 27 anni, è arrivata proprio mentre la sua famiglia aspettava di poterla riabbracciare: dopo lunghe trattative, era stata inclusa nella lista dei prigionieri da scambiare tra Russia e Ucraina. Invece, dopo lunghi silenzi, le autorità penitenziarie russe hanno infine comunicato al padre della cronista, Volodymyr Roschin, che sua figlia è deceduta, in circostanze e per cause sconosciute, mentre veniva trasferita dal carcere di Taganrog, nel Sud della Russia, in una prigione moscovita.
    Una fine terribile per una reporter diventata famosa per le sue inchieste scomode: aveva indagato la strage sul Maidan durante la rivoluzione in piazza del 2014, ed era andata più volte nei territori occupati dai russi per raccontare i crimini contro la popolazione civile. Cronista della tv Hromadske e della Ukrainskaya Pravda, Roschina aveva iniziato a fare la giornalista a 16 anni e veniva descritta dai colleghi come molto coraggiosa e determinata. Era già finita nelle mani dei militari russi nel 2022, mentre cercava di entrare nella Mariupol assediata dalle truppe di Mosca, ed era stata rilasciata dopo qualche giorno di prigionia, costretta a girare un video in cui ringraziava i militari di Putin per «averla salvata». Nonostante questa esperienza, portare la testimonianza degli ucraini rimasti sotto l'occupazione russa era diventata la sua missione: si era infiltrata nei territori occupati ed è proprio lì che era sparita, il 3 agosto 2023. Le autorità russe avrebbero ammesso di averla arrestata soltanto nel maggio 2024, ed era stata inserita ufficialmente nella lista dei prigionieri della Croce Rossa internazionale. Il 28 agosto scorso Volodymyr Roschin aveva chiesto ufficialmente ai russi notizie di sua figlia, e giovedì scorso ha ricevuto una mail (datata 2 ottobre) nella quale gli veniva comunicato che era deceduta il 19 settembre.
    Difficile immaginarsi una causa "naturale" di questa morte: il 6 ottobre Victoria avrebbe dovuto compiere appena 28 anni. Ma il carcere giudiziario numero 2 di Taganrog, dove era rinchiusa da più di cinque mesi, è celebre come "l'inferno in terra", dice Tetyana Katrychenko della ong ucraina "Media per i diritti umani". È uno dei penitenziari dove vengono tenuti i prigionieri ucraini, civili e militari, e gli ex detenuti che ci sono passati raccontano di «torture terribili per costringerli a confessare crimini che non hanno commesso». Manganelli, martelli e scosse elettriche sono gli strumenti utilizzati contro i prigionieri, insieme alla denutrizione e alle umiliazioni, come testimoniato da decine di uomini e donne ucraini che vi sono passati. Un carcere talmente pesante che perfino le autorità russe hanno deciso di sostituirne la direzione, dopo la morte di diversi detenuti. Prima, Viktoria era stata incarcerata nella prigione di Berdyansk, nei territori ucraini sotto occupazione russa, un altro penitenziario noto per torture e maltrattamenti degli ucraini.
    Un inferno dal quale però Roschina avrebbe dovuto uscire a breve, «avevamo fatto tutto il possibile per farla tornare a casa», ha dichiarato ieri il portavoce dello spionaggio militare di Kyiv Andriy Yusov.
    Secondo alcune indiscrezioni, la giornalista avrebbe dovuto venire scambiata già il 13 settembre. Qualcosa è andato tragicamente storto. Troppe torture, troppi maltrattamenti, o forse qualche vendetta dei servizi russi: Viktoria aveva indagato sui membri dei reparti speciali Berkut fuggiti in Russia dopo aver sparato sulla folla a Kyiv. Un indizio inquietante è il fatto che la Russia non restituirà, almeno per ora, il suo corpo: bisognerà attendere «uno scambio dei cadaveri di persone trattenute», recita la lettera ricevuta dal padre, quindi un nuovo negoziato, che durerà mesi, per fare tornare a casa la giovane reporter. Ci sono altri 25 giornalisti ucraini che restano nelle mani dei carcerieri russi, ha ricordato ieri durante l'incontro al Vaticano Zelensky, parte di quegli almeno 1.700 civili (tra cui più di 400 donne) imprigionati nei territori occupati dai militari di Mosca.
  2. Howard Kakita Il superstite: "Solo i testimoni comprendono l'enormità di quel disastro"
    Illusione STUPENDA  "Se Putin e Kim ascoltassero la mia storia non vorrebbero più usare le armi nucleari"
    TAipei
    «Sono incredibilmente felice». Howard Kakita ha 86 anni. Il 6 agosto 1945 ne aveva sette e si trovava a poco più di un chilometro dall'epicentro dell'esplosione della bomba atomica sganciata su Hiroshima dall'Enola Gay. Il premio Nobel per la Pace alla Nihon Hidankyo e a tutti gli hibakusha è stato annunciato quando in California, dove vive, era notte fonda. Appena appresa la notizia, dice a La Stampa di avere una speranza: «Spero che questo risultato rafforzerà gli sforzi globali volti a fermare la proliferazione delle armi nucleari e a promuovere un divieto totale del loro utilizzo». Lui quell'obiettivo lo persegue da decenni, tra le file della American Society of Hiroshima-Nagasaki A-Bomb Survivors, «la cui missione è strettamente in linea con quella della Nihon Hidankyo».
    Eppure, da qualche tempo quanto accade nel mondo sembra andare verso il riarmo e maggiori rischi di uno scontro nucleare.
    «Spesso mi sono chiesto se alcuni dei leader mondiali abbiano mai visto o ascoltato quello che è successo a noi. Forse no. Sono convinto che questo Nobel darà più visibilità alla nostra causa. Certo, purtroppo non credo che il premio basti per cambiare la mente di Vladimir Putin e Kim Jong-un, né che possa risolvere improvvisamente il conflitto in Medio Oriente. Ma io spero ci sia di aiuto per continuare a evitare che le armi atomiche vengano utilizzate, come fatto negli ultimi 80 anni».
    Che cosa ricorda del 6 agosto 1945?
    «Era un lunedì. Io e mio fratello stavamo andando a scuola, quando altri bambini ci dissero che le lezioni erano state cancellate perché c'erano degli aerei nemici nelle vicinanze. Ne fummo felici. Quando abbiamo sentito che un aereo stava venendo verso Hiroshima, io e mio fratello salimmo in cima al tetto della casa dove vivevamo coi nostri nonni per vedere le scie. Per nostra fortuna, mia nonna ci disse di scendere. Quando è arrivata la bomba, non ricordo il lampo, né il botto. Ricordo le fiamme sui pezzi di casa caduti sopra di me, l'odore di fumo. Non ero gravemente ferito e sono riuscito a tirarmi fuori. Mio nonno e altri uomini presero i secchi per cercare di spegnere un incendio, senza rendersi conto che l'intera città era completamente scomparsa. Allontanandoci, c'era un'enorme sfilata di persone simili a zombie. Alcune con orrende ferite, altre morte. Io mi ammalai a causa delle radiazioni, ma in qualche modo sopravvissi. Anche se le ferite psicologiche sono state più complicate da curare».
    Il direttore della Nihon Hidankyo ha paragonato la Gaza di oggi al Giappone del 1945. Che effetto le fa quanto sta accadendo nel mondo?
    «È da un paio d'anni, dopo la guerra in Ucraina, che mi chiedo come sia possibile che siamo in questa situazione. E le cose sono persino peggiorate. La Russia e la Corea del Nord minacciano di usare bombe nucleari, la Cina ne vuole avere mille entro la fine del decennio. Per non parlare dei rischi tra Israele e Iran, o tra Pakistan e India. Abbiamo 13 mila armi nucleari nel mondo, 13 mila. Se ascoltassero davvero le nostre storie non ne vorrebbero di più».
    Ha fiducia nell'ascolto e nella comprensione delle nuove generazioni, per evitare che si ripeta la tragedia?
    «Vado spesso a parlare nei licei e nelle università. I giovani mi sembrano molto interessati, ma a meno che tu non sia davvero testimone di qualcosa del genere, è difficile comprendere del tutto la grandezza del disastro. Noi la capiamo. Tra noi sopravvissuti, da quanto è iniziata la guerra in Ucraina diverse persone non riescono più a dormire, per il timore di dover rivivere quell'orrore».
  3. La barca e il canone del Palafuksas al centro dell'inchiesta con 10 indagati
    Ci sarebbero anche delle intercettazioni telefoniche a corredo delle accuse sollevate dall'aggiunto Enrica Gabetta e dal sostituto Giovanni Caspani nei confronti - anche - dell'imprenditore del gusto Umberto Montano e della super dirigente del dipartimento Commercio del Comune di Torino Paola Virano. L'inchiesta dello Scico della Polizia e della Squadra Mobile di Torino vede 10 persone iscritte nel registro degli indagati. La presunta corruzione lega le posizioni di Virano e Montano. Lei lo avrebbe consigliato su come rientrare da un debito di poco più di 500 mila euro e si sarebbe interessata per abbassare (di un milione circa) i canoni della concessione degli spazi del Palafuksas ricevendo in cambio il prestito di una barca durante un weekend di vacanza all'Isola d'Elba. g.leg. —

 

 

 

12.10.24
  1. MESSAGGIO FORTE E CHIARO : MONITORIAMO I VOSTRI  CONTI dalla filiale di Intesa Sanpaolo a Bitonto: il dipendente 50enne è stato licenziato Dal procuratore antimafia alla presidente del Consiglio, oltre 3500 conti controllati in tutta Italia
    La banca
    La difesa di Coviello
    Il bancario insospettabile spiava Meloni, politici e pm Ora si indaga sui mandanti
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    irene famà
    inviata a bari
    Insospettabile. Dietro il suo sportello di una filiale di Intesa Sanpaolo spiava i conti correnti di persone illustri. Illustrissime. La premier Giorgia Meloni, sua sorella Arianna, il suo ex compagno Giambruno. E ancora. I ministri Daniela Santanché e Guido Crosetto. Il procuratore della Direzione nazionale antimafia Giovanni Melillo e carabinieri e militari della Guardia di finanza. Quello di Vincenzo Coviello, cinquantenne di Bitonto, era un monitoraggio quotidiano. Settemila gli accessi abusivi effettuati dal 21 febbraio 2022 al 24 aprile 2024: trecento al mese, circa quindici al giorno, su oltre 3500 clienti portafogliati di 679 filiali sparse in tutta Italia.
    Sbirciava, questo è certo. Perché? Per chi? Difficile credere alla semplice ossessione. Alla raccolta spasmodica di dati solo per farsi "grande" con gli amici al bar. Secondo i primi accertamenti della procura di Bari, guidata da Roberto Rossi, Coviello avrebbe consultato conti correnti e anagrafiche. Ma quei dati non li avrebbe né scaricati né condivisi con altri della banca né salvati su supporti informatici. Insomma: nessun dossier mirato da condividere come quelli del caso Striano, l'ex tenente della finanza indagato per aver scaricato migliaia e migliaia di file segreti dalle banche dati della Dna e delle forze dell'ordine.
    Vincenzo Coviello per Intesa Sanpaolo si occupava della clientela legata al business agro-alimentare con accesso a conti di società e di aziende su tutto il territorio nazionale. «Quei dati li ho consultati perché è il mio lavoro farlo», avrebbe detto per giustificaris. Eppure l'alert è scattato lo stesso.
    A banca Intesa Sanpaolo funziona così: il dipendente «autorizzato» gestisce i dati della clientela e i sistemi di controllo automatizzati monitorano i comportamenti e segnalano quelli anomali. Ad esempio, se una stessa persona viene cercata troppe volte. Insomma, se le consultazioni assumono un particolare rilievo quantitativo o qualitativo. A quel punto scatta l'allarme. E così è stato per Coviello. Gli analisti informatici del mega centro di controllo che monitora i flussi telematici di tutto l'istituto bancario da Moncalieri, comune alle porte di Torino, riscontrano le anomalie. E la banca avvia un'indagine interna. A seguire il procedimento disciplinare, che è una procedura lunga e scrupolosa. Poi il licenziamento lo scorso 8 agosto.
    Oltre ad avere adottato «tempestivamente nei confronti del dipendente le opportune iniziative disciplinari», la Banca fa sapere di avere «provveduto ad informare le autorità competenti». Immediata la segnalazione al Garante della privacy e poi la denuncia in procura. Insieme a un correntista di Bitonto che sarebbe stato avvisato dal direttore dei numerosi accessi sul suo conto.
    Consultazioni random per mera curiosità? Dai primi accertamenti, risulta che Coviello abbia tenuto sotto controllo guadagni e spese di politici, magistrati, sportivi, esponenti delle forze dell'ordine. E l'elenco è davvero lungo. Compaiono, così raccontano le prime informazioni, anche il presidente del Senato Ignazio La Russa, l'ex ministro Raffaele Fitto, ora alla Commissione Ue, il governatore della Puglia Michele Emiliano e quello del Veneto Luca Zaia e il procuratore della Repubblica di Trani Renato Nitti.
    Vincenzo Coviello era seriale. Non ha scaricato o copiato nulla, è vero. Ma quei dati, in gran segreto, nascosto dietro il computer e dietro quella teca di vetro che separa i dipendenti dai clienti, li ha consultati. Forse appuntati. E ora gli investigatori dei carabinieri della procura di Bari stanno cercando di ricostruire la questione. Di risalire ai possibili mandanti. E di capire se il funzionario ha agito da solo o con l'aiuto di qualcuno.
    I numeri di questa sorta di spy story sembrano enormi. E lo sono, se messi a confronto di un insospettabile funzionario. È doveroso, però, ricordare che Intesa Sanpaolo gestisce circa 13 milioni di clienti e al giorno transazioni che si aggirano intorno ai 20 miliardi. In questa vicenda, ciò che colpisce sono i nomi dei personaggi spiati. E c'è chi si spinge a ipotizzare un coinvolgimento degli investigatori privati. Faro degli inquirenti, che hanno acquisito documenti e file e continuano ad ascoltare testimoni, anche su eventuali pagamenti o altre utilità.
    E la storia, con i dovuti distinguo, ricorda anche quella di Carmelo Miano, l'hacker di Gela che dalla sua camera a Roma, a 24 anni, ha violato i server del ministero della Giustizia e ha messo le mani su fascicoli coperti da segreto di quattro procure. «Ho rubato le email dei pm perché avevo attacchi d'ansia», avrebbe detto agli investigatori della procura di Napoli.
    Ansia. Curiosità. Poi c'è chi ipotizza un grande complotto. E chi pensa a diversi mandanti impegnati a intercettare le persone giuste al posto giusto. Per ottenere le informazioni che desiderano. —
  2. Produzione al palo: -3,2% su base annua "Una Caporetto per la nostra industria"
    La produzione industriale dell'Italia resta al palo. Ad agosto, secondo l'Istat l'indice destagionalizzato della produzione industriale è aumentato dello 0,1% rispetto a luglio. Ma in termini tendenziali, la produzione industriale è scesa del 3,2% rispetto a un anno fa. Le associazioni dei consumatori Unc e Codacons parlano di «Caporetto» per l'industria tricolore. «Siamo al 19esimo calo tendenziale consecutivo» dicono i consumatori. Su base tendenziale, le flessioni maggiori si rilevano nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-14,2%), nella fabbricazione di macchinari (-11,6%) e nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-10,8%). Confcommercio parla di «situazione delicata» a cui si deve reagire e la Cgil chiede al governo di convocare subito un tavolo di confronto con imprese e sindacati a Palazzo Chigi.
  3. QUESTO E' IL FUTURO DI MIRAFIORI: Gli schiavi
    del
    tessile
    niccolò zancan
    inviato a seano (prato)
    Ecco quello che si deve sapere. «Mi chiamo Ehtisham Hussain, ho 29 anni, sono pachistano. Il mio lavoro nel distretto della moda di Prato consiste in questo: chiudo scatole, carico scatole, scarico scatole, metto i capi sugli attaccapanni e poi chiudo altre scatole, le carico e le scarico ancora. Ogni giorno. Per dodici ore al giorno. Sette giorni su sette. Guadagno 1200 euro al mese. Ma senza riposo, senza malattia. Quando devo andare in questura per il documento, il capo mi toglie 50 euro dalla paga. Ogni volta che c'è un problema, il capo mi toglie 50 euro dalla paga. Quando finisco il turno, devo lavare i bagni e i pavimenti».
    Ehtisham Hussain lavora in uno dei distretti economici italiani più redditizi del mondo per una paga di 3 euro e 33 centesimi all'ora. Ecco perché da domenica è in sciopero con altri lavoratori nelle sue stesse condizioni. Sono i dipendenti di cinque aziende della zona che chiedono di poter lavorare otto ore al giorno e di poter avere un giorno di riposo settimanale. Mercoledì notte stavano facendo un picchetto davanti ai cancelli della ditta di confezioni "Lin Weidong" a Seano, quando è arrivata la squadraccia di picchiatori.
    «In quel momento c'erano in tutto otto persone» spiega adesso la coordinatrice di "Sudd Cobas", Sarah Caudiero. «Due lavoratori e due sindacalisti erano a dormire nelle tende, due lavoratori e altri due dei nostri erano qui ai tavolini per il turno sveglia». La squadraccia di picchiatori è arrivata alle spalle. Scavalcando una rete. Era buio pesto. Notte nera. «Per prima cosa hanno urlato: "Fermi tutti, polizia!". Poi hanno iniziato a picchiare con dei bastoni. Avevano felpe scure, cappucci in testa. Picchiavano. Picchiavano tutti. Prima di scappare, hanno detto: "La prossima volta vi spariamo"».
    Erano italiani. «Leggera inflessione dialettale toscana», precisa chi si è preso quelle mazzate sulla schiena. Ieri pomeriggio le vittime del pestaggio - quattro persone con contusioni e lividi - sono state sentite in procura. E sempre da ieri, un'auto dei carabinieri resta di scorta davanti al presidio dei lavoratori. È qui che incontriamo Ehtisham Hussain: «Siamo tutti stanchi, troppo stanchi. Io mando 500 euro al mese a casa per fare vivere la mia famiglia. Quando arrivano i miei soldi, loro vanno a fare la spesa. Sono il più grade di cinque fratelli. Tutti dipendono dal mio lavoro in Italia». Ma quale lavoro? Quale tipo di lavoro?
    Il tessile: 10 mila aziende (compreso l'indotto) grandi, medie e piccolissime, 35 mila lavoratori emersi. Ma ogni volta che uno nomina questo distretto deve sempre ricordare i sei operai bruciati vivi nel laboratorio di Prato dove lavoravano e pure dormivano, deve sempre ricordare Luana D'Orazio stritolata da un orditoio a Montemurlo perché il sistema di sicurezza era stato manomesso per non rallentare l'impianto. E adesso? Ecco questi nuovi lavoratori picchiati mentre cercavano di affermare la loro stessa esistenza in vita. Avete paura? «No» risponde la sindacalista Sarah Caudiero. «Siamo abituati. Non è la prima volta che riceviamo minacce o peggio. A marzo un caporale di una ditta della logistica, "la AccaSrl", ha picchiato i lavoratori per farli uscire dal sindacato, mentre cercavamo un accordo per lavorare 8 ore al giorno invece che 12. Abbiamo contato sei aggressioni fra la primavera e l'estate».
    Era il distretto dei cinesi al servizio dei grandi marchi della moda internazionale. Ma adesso i lavoratori più poveri sono tutti pakistani e afgani. Sono loro che stanno cercando di portare all'attenzione di tutti quello che sta succedendo. Lo sciopero di domenica ha coinvolto i lavoratori di cinque marchi: stireria Tang, logistica Tredesi, tessitura Sofia, la fabbrica di cerniere Linzhong e - appunto - confezioni Lin Weidong. Le prime quattro hanno aperto un tavolo di trattativa. La quinta, per ora, rifiuta qualsiasi possibile accordo. Per conto di chi sono arrivati i picchiatori? A nome di chi stavano minacciando i dipendenti in sciopero?
    La procura indaga, la politica si indigna. La sindaca di Prato, Ilaria Bigetti, dice: «È inaccettabile che chi manifesta per i propri diritti sia intimidito e aggredito». Tutti chiedono chiarezza. Mentre i lavoratori sfruttati, che erano già scesi in strada la notte del pestaggio, torneranno a manifestare domenica.
    Per capire quello che ancora succede nel distretto del tessile più famoso d'Italia bisogna sempre tenere a mente il caso Montblanc. Erano lavoratori in committenza di due pelletterie di Campi Bisenzio, impiegati dodici ore al giorno, sette giorni su sette, che confezionavano borse vendute a 1200 euro al pezzo. Quando hanno protestato, la casa madre ha tagliato i ponti: «Perché l'appaltatore non ha rispettato gli standard delineati nel nostro codice di condotta per i fornitori». E loro - i lavoratori sfruttati - sono finiti per strada. Disoccupati.
  4. Due giorni di perquisizioni negli uffici dall'assessorato al Commercio; nel mirino anche i bandi per l'assegnazione dei posti al settore ittico
    Favori e consulenze al patron di Mercato centrale Indagata LA INTOCCABILE Virano, super dirigente del Comune
    giuseppe legato
    giulia ricci
    Il mercato coperto e quello ittico finiscono nel mirino della procura di Torino. A vario titolo bandi – in ipotesi d'accusa - sospetti , interessamenti per rideterminazioni di canoni di concessione, consigli su fideiussioni e per "rientrare" da esposizioni debitorie e – in cambio – regalie e favori. E nell'inchiesta del procuratore aggiunto Enrica Gabetta e del pm Giovanni Caspani, finiscono due nomi rilevanti. Si tratta dell'imprenditore Umberto Montano, presidente e Fondatore del brand "Mercato centrale", un format di grande successo aperto nel 2014 a Firenze ed esportato nel giro di 7 anni in altre tre città d'Italia: a Roma nel 2016, a Torino nel 2019 e a Milano nel 2021. E proprio Torino è costata a Montano un avviso di garanzia per corruzione. In questa contestazione figura in concorso Paola Virano, dirigente (con la carica di direttore) del dipartimento commercio della Città a sua volta accusata – solo di turbativa – per il bando relativo all'assegnazione del mercato ittico. Ma andiamo con ordine: l'altroieri e ieri mattina i poliziotti della Sisco (Sezione investigativa del Servizio centrale operativo) della polizia e della Squadra Mobile di Torino hanno notificato 10 ordini di esibizione ad altrettanti indagati, acquisito documenti anche a Firenze, dove il brand Mercato Centrale è nato e nella sede dell'assessorato al Commercio del Comune di Torino. I filoni dell'inchiesta sono tre, ma quelli più rilevanti conducono alla super-dirigente (già riferimento della macchina comunale in passato per le politiche urbanistiche) e all'imprenditore del gusto la cui iniziativa d'impresa a Torino – al contrario delle altre sedi con fatturati alle stelle e numeri di pubblico rilevanti – non ha riscosso per nulla successo. Doveva essere un locale stellato alla portata di tutti, ma il suo rapporto con Torino non è mai decollato. E questo nonostante all'epoca l'iniziativa contava su nomi di assoluto spessore del panorama della cucina e del gusto: Davide Scabin in testa (del tutto estraneo alla vicenda in oggetto). Secondo l'ipotesi d'accusa - da dimostrare in giudizio – Virano avrebbe dato consigli a Montano su come gestire il rientro da un debito pari a poco più di 500 mila euro con Soris e - sempre su richiesta di Montano - si sarebbe impegnata (senza ancora risultati concreti) per rivedere i costi della convenzione che regolava la concessione degli spazi su canone. Con un ipotetico risparmio di circa un milione di euro. In cambio Virano avrebbe ricevuto delle regalie – pare l'utilizzo di una barca – durante un weekend di vacanza trascorso all'Isola D'Elba dove la dirigente ha anche una dimora estiva. Il secondo fronte è quello del mercato ittico. Attualmente chiuso, più bandi (base d'asta 2,6 milioni) per l'assegnazione ad operatori di mercato sono andati deserti. L'ipotesi di turbativa, di cui Virano risponde insieme ad altre tre persone riguarderebbe un presunto intervento della dirigente per far abbassare l'iniziale importo fideiussorio a garanzia della partecipazione all'investimento che avrebbe potuto favorire o meno alcuni operatori. Il legale di Virano, Roberto Capra commenta: «La mia assistita è molto serena perchè ha sempre e solo lavorato per il bene della città e siamo fiduciosi che gli accertamenti in corso daranno conto della ‘assenza di qualsiasi ipotesi di responsabilità». In coda altri indagati a Trofarello in un terzo filone dell'inchiesta che coinvolge l'attuale segretario comunale in ordine a presunti reati in materia urbanistica.
  5.  professionisti da giovedì scorso non hanno più messo piede nell'ospedale
    Visite private in orario di lavoro Oftalmico, licenziati due medici

    Caterina stamin
    Timbravano come se stessero svolgendo regolare attività lavorativa per l'ospedale. Peccato che in quelle ore, in cui erano pagati con i soldi pubblici, visitassero pazienti privatamente. Per questo due giovani oculisti dell'ospedale Oftalmico sono stati licenziati "per giusta causa" dall'Asl Città di Torino. «A seguito di approfondite verifiche, abbiamo preso provvedimenti nei confronti di due professionisti - conferma Carlo Picco, direttore generale dell'Asl - perché agivano in libera professione durante l'orario d'ufficio».
    Per legge è prevista la netta separazione tra l'attività in orario di servizio dei medici ospedalieri e la loro libera professione. Una norma volta a evitare che i professionisti "rubino" tempo all'orario per cui sono pagati dai cittadini e durante il quale devono svolgere la loro attività da dipendenti. Nel caso in questione l'indagine, durata mesi, ha preso in considerazione le "bollature" di due anni consecutivi, dal 2022 al 2023. Per tutto questo periodo di tempo, i due specialisti dell'Oftalmico - Riccardo B. e Alessandra M. - in orario di "intramoenia"(ossia privato) più volte non si sarebbero "stimbrati dall'ospedale": non avrebbero, quindi, sospeso il loro orario di lavoro di dipendenti pubblici, mentre svolgevano la libera professione privata. Così facendo, i due medici avrebbero anche ricevuto un doppio compenso: dall'ospedale e dai privati cittadini che, ignari di tutto, si sono rivolti a loro.
    A mettere fine alle loro truffe alcuni controlli a campione dell'Asl su diversi professionisti dell'ospedale: sono state esaminate le prestazioni in intramoenia dei due oculisti e comparati gli orari. Quindi, una settimana fa, entrambi i medici hanno ricevuto la mail dall'Asl Città di Torino, che gli comunicava l'immediata interruzione della loro attività lavorativa "per giusta causa". Da giovedì scorso non hanno più messo piede all'Oftalmico. Dall'Asl è partita la segnalazione all'autorità giudiziaria. I professionisti potranno ricorrere contro il provvedimento di licenziamento, proposto dalla Commissione di disciplina alla direzione generale. Ma, viste le ripetute violazioni, sarà per loro difficile dimostrare la buona fede.

 

11.10.24
  1. MAFIA E STADI :   L'Antimafia
    Inter e Milan
    Le indagini
    su
    Grazia Longo
    Roma
    Sullo scandalo esploso dopo l'inchiesta della procura di Milano "Doppia curva", che ha portato all'azzeramento dei vertici delle tifoserie di Milan e Inter, interviene ora la Commissione antimafia. A Palazzo San Macuto hanno già acquisito gli atti relativi alle indagini e oggi il capogruppo Pd Walter Verini presenterà ufficialmente la richiesta di un Comitato che possa occuparsi della questione. La sua costituzione avverrà molto presto. «La presidente della Commissione Chiara Colosimo mi ha già comunicato per le vie brevi che accoglierà la mia richiesta - annuncia il senatore dem -. È dunque probabile che dopo la lettura delle carte si procederà alle audizioni dei presidenti dei club milanesi e delle persone utili alla ricostruzione della vicenda».
    L'idea del Comitato nasce dall'esigenza di una struttura più agevole e snella rispetto all'assemblea plenaria. E l'obiettivo è quello di estendere i lavori anche alle altre squadre per affrontare la piaga delle infiltrazioni mafiose nel mondo del calcio. «Dobbiamo affrontare un problema che non è solo milanese - precisa Verini -. È noto che in moltissimi stadi italiani c'è questa situazione, in un connubio pericolosissimo tra ultrà, criminalità e criminalità organizzata. E le società spesso chiudono gli occhi».
    Di qui l'idea di un Comitato che affronti, in un tempo definito, il tema criminalità negli stadi, i rapporti con la criminalità organizzata, le responsabilità delle tifoserie e cosa fare per sradicare questi fenomeni. «Ovviamente non ci vogliamo sostituire alla magistratura che fa la sua parte - prosegue -, come la fanno anche le forze dell'ordine. La Commissione antimafia accende un faro sul problema e il Comitato, dopo le audizioni può avanzare, magari dopo sei mesi di attività, delle proposte al Parlamento per liberare il calcio dalla criminalità organizzata che non ha niente a che fare con il calcio, ma è solo delinquenza».
    Verini pone l'accento sugli affari loschi che la criminalità organizzata macina intorno agli stadi attraverso il bagarinaggio, il merchandising, i parcheggi. Denaro che confluisce in attività illegali come il traffico di droga e il riciclaggio: «La collusione con la ‘ndrangheta è una miscela esplosiva molto pericolosa. La Federcalcio, la Lega, le società di calcio devono prendere coscienza e recidere questi collegamenti. Occorre restituire gli stadi ai tifosi e non lasciarli nelle mani dei delinquenti».
    All'attenzione del Comitato, inoltre, anche i pericolosi rapporti delle tifoserie con l'estremismo nero. «Un aspetto che, come la vicinanza ad ambienti mafiosi, riguarda varie città d'Italia, tipo Verona, Bergamo, Torino, Roma - aggiunge -. In merito, infine, al silenzio, spesso per quieto vivere, delle società di calcio, do atto al presidente della Lazio Claudio Lotito di aver reciso i rapporti con gli ultras, tanto da dover vivere sotto scorta».
  2. LI AVEVO SCONSIGLIATI A PEVERARO MA COME AL SOLITO MI RISE IN FACCIA : Il Comune ricorre in giudizio per 4 contratti con Jp Morgan e Dexia Crediop Un altro è con Intesa Sanpaolo. Il primo cittadino: "Resta partner strategico"
    La Città fa causa alle banche per i maxi-derivati del 2000 "Sono contenziosi ordinari"
    ANDREA JOLY
    Cinque cause a tre diversi istituti bancari per interrompere un salasso da quasi 200 milioni (e che rischia di salire di altri 50). La Città, stretta da anni nella morsa di cinque contratti derivati, ha deciso di fare ricorso alle banche con cui sono stati sottoscritti tra il 2006 e il 2007 dagli assessori al Bilancio Paolo Peveraro (fino a quando divenne vicepresidente della Regione con Mercedes Bresso) e Gianguido Passoni all'epoca di Sergio Chiamparino sindaco. L'obiettivo è quello di fronteggiare i debiti ed eventuali ulteriori rialzi dei tassi d'interesse. Tra speculazione e crisi economiche, infatti, quelli che sembravano affari 18 anni fa si sono rivelati una scommessa sconveniente per il Comune. Così, dopo la ricognizione della situazione la decisione di fare ricorso.
    A confermarlo è stato lo stesso sindaco Stefano Lo Russo, ieri, a margine della sua visita al mercato di Porta Palazzo. «È un fatto tecnico in mano agli avvocati, ma è una cosa ordinaria», ha precisato rispondendo alle domande dei giornalisti. Dei cinque contratti derivati citati in giudizio, due erano stati sottoscritti con la multinazionale statunitense di servizi finanziari Jp Morgan; due con l'istituto di credito specializzato nella concessione di mutui e prestiti a lungo termine per la realizzazione di grandi infrastrutture Dexia Crediop; uno con Intesa Sanpaolo.
    La Città «ha tanti contenziosi e di tutti i tipi, dalle buche alle multe - ha ricordato Lo Russo - Da sindaco vorrei averne meno, ma quelli che ogni settimana esaminiamo sono molti e questo è uno di quelli». E ha poi aggiunto, sollecitato sulla stretta collaborazione per numerosi progetti con Intesa Sanpaolo Intesa, come «resti un partner strategico della Città con il quale i rapporti sono eccellenti e con cui lavoriamo benissimo, continuiamo a lavorare e continueremo a farlo in futuro. Questo è un caso molto specifico». Il primo cittadino ha infine concluso citando il caso del contenzioso col ministero di Grazia e giustizia sul pagamento degli emolumenti della polizia municipale: «Non ha certo impedito di avere un buon rapporto in seguito».
    L'iniziativa si inserisce nelle numerose azioni intentate dal Comune per ridurre il debito della Città: «mettere a posto i conti» è tra le priorità di Lo Russo fin dai primi giorni di insediamento. L'assessora Gabriella Nardelli, anche alla luce del Patto per Torino siglato col governo Draghi per garantire l'equilibrio finanziario con risorse straordinarie fino a 113 milioni di euro, in questa prima parte di mandato ha studiato i bilanci e la rinegoziazione dei mutui. Nell'ambito dell'analisi della situazione finanziaria è emerso che i contratti stipulati non solo avevano procurato un buco da quasi 200 milioni, come filtra dagli uffici, ma forte anche di una serie di sentenze della Cassazione favorevoli ai ricorrenti si poteva recuperare almeno in parte la cifra persa.
    L'avvocatura della Città, filtra dalle prime indiscrezioni, ha affidato la pratica allo studio "Cedrini & Zamagni". Obiettivo: recuperare parte dei milioni persi e smettere di versarne altri. —
  3. GIUSTIZIA ? La decisione del giudice di Brescia sull'esposto del magistrato, a lungo nella Procura di Torino. Resta aperta la posizione dell'ex procuratore
    "Non c'è prova di complotto anti Padalino" Ma gli atti su Spataro finiscono a Milano

    elisa sola
    «Non vi sono elementi per ipotizzare con un minimo grado di fondatezza, tale da meritare il vaglio di un processo, che il magistrato Andrea Padalino sia stato vittima di un complotto ordito dai colleghi torinesi e della procura di Milano».
    Lo scrive la gip Angela Corvi, del tribunale di Brescia, nel provvedimento con cui ha archiviato la posizione di sette pubblici ministeri in servizio nelle due città, all'epoca dei fatti al vaglio delle indagini. La questione , però non è chiusa. La giudice ha trasmesso le carte alla procura di Milano perché si valuti un ultimo episodio, per il quale il nome di Armando Spataro, ex capo della procura di Torino e in pensione al dicembre del 2018, fu iscritto nel registro degli indagati per rifiuto in atti di ufficio. In questo caso la gip Corvi ha preso atto che, per ragioni di «competenza funzionale», non ha titoli per pronunciarsi, dal momento che non ci sono magistrati milanesi interessati.
    Il fascicolo era stato aperto dopo un esposto dello stesso Padalino. Il magistrato, quando era in servizio a Torino come pubblico ministero, era stato indagato per una vicenda di presunti favori in procura. Al processo, celebrato a Milano, fu assolto.
    Il caso di cui adesso dovranno occuparsi gli inquirenti di Milano, riguarda un presunto divieto impartito dall'allora procuratore capo Armando Spataro ai pubblici ministeri che stavano indagando sul collega Padalino per i presunti favori nel Palazzo di giustizia di Torino. A parlare del «divieto», come si ricava dalla lettura degli atti, sono stati Anna Maria Loreto, succeduta a Spataro alla guida della procura di Torino, e tre pubblici ministeri. La procura di Brescia ha già fatto presente che a proprio parere non si configurano illeciti di carattere penale.
    Padalino, nell'esposto che diede il via alle indagini, lamentò, fra l'altro, il mancato invio da parte di Spataro ai pm di Milano dei resoconti di due procuratori aggiunti (Paolo Borgna e Patrizia Caputo) che avrebbero potuto scagionarlo subito, senza passare per il vaglio di un processo. Il gip del tribunale di Brescia, a proposito, riporta ampi stralci di una relazione presentata nel 2023 da Anna Maria Loreto, da cui si dedurrebbe che i pm torinesi chiesero più volte nel 2017 di ascoltare Borgna come testimone, «vedendosi sempre opporre un netto rifiuto» da parte di Spataro. «In luogo della testimonianza - affermava Loreto - Spataro si determinò a chiedere a Borgna di redigere una relazione assicurandolo, su sua richiesta, che non sarebbe mai entrata nel fascicolo». Il documento, che non conteneva accuse contro Padalino, venne fatto leggere ai tre pm torinesi che stavano lavorando al caso, con il «divieto» di inserirlo negli atti di indagine. Una volta classificato «a protocollo riservato», fu chiuso in cassaforte. Dopo il pensionamento di Spataro fu Borgna, diventato reggente della procura, a trasmetterlo alla procura di Milano il 7 marzo 2019. —

 

 

10.10.24
  1. valentino Girlanda Sindaco di Bevilacqua: "In struttura pubblica avrei aspettato 18 mesi"
    "Cinquemila euro per non perdere la vista Ho dovuto chiedere un prestito in banca"
    Paolo Russo
    roma
    Sarà che la sanità non è più nelle mani dei sindaci come ai tempi delle vecchie Usl, ma non si può dire che per il primo cittadino di Bevilacqua, nel Veronese, qualcuno abbia avuto un occhio di riguardo. La vista anzi ha rischiato proprio di perderla a causa delle liste di attesa.
    Valentino Girlanda, 63 anni, è un paziente fragile. «Qualche anno fa ho infatti subito il trapianto di rene. Poi durante i controlli periodici ai quali mi devo sottoporre, ho scoperto che quelle prime difficoltà nel vedere rischiavano di diventare un problema decisamente grave a detta del medico». In entrambi gli occhi si erano formate due cataratte. Un male comune a una certa età, solo che al sindaco è avanzato velocemente, «limitandomi in breve tempo e in modo significativo la vista. Una situazione anomala, causata dai farmaci anti-rigetto che devo assumere da quando sono stato trapiantato», precisa Girlanda. Che a quel punto decide di prenotare una visita dall'oculista «anche perché di li a poco avrei dovuto rinnovare la patente di guida, che in quelle condizioni non mi avrebbero concesso. In regime pubblico però i tempi di attesa andavano da due a tre mesi». Troppi, «così sono andato a farmi visitare all'ospedale di Legnano ma in forma privata, sborsando per questo i primi 100 euro». Una bazzecola rispetto a quello che sarebbe seguito. «L'oculista mi consiglia di sottopormi subito ad intervento chirurgico e chiama il centro unico di prenotazione della Ulss. La risposta però è stata una doccia fredda: il primo posto libero era disponibile solo dopo un anno e mezzo. E pensare -aggiunge- che il mio medico nel fare richiesta aveva specificato che non c'era tempo da perdere perché la situazione avrebbe potuto peggiorare rapidamente, rendendo incerto l'esito dell'intervento». Questo perché se non operata la cataratta può causare un aumento della pressione oculare con danni irreversibili all'occhio.
    «A quel punto, per non rischiare di rimanere cieco, sono andato a un centro privato di Verona, dove dopo un paio di settimane mi hanno effettuato una seconda visita pagata altri 100 euro e poi, a distanza di 20 giorni, sono stato operato, sborsando ben 5.000 euro. Ho dovuto chiedere un prestito in banca per fare subito il bonifico ma non posso fare a meno di pensare che senza una buona pensione ora non vedrei più». —
  2. GRAZIE A SPERANZA PD E DRAGHI :    Collasso della sanità, pagano le famiglie 4,5 milioni di italiani rinunciano a curarsi
    Il 23 dicembre 1978 il Parlamento approvava a la legge 833 che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in attuazione dell'art. 32 della Costituzione. Un radicale cambio di rotta nella tutela della salute delle persone, un modello di sanità pubblica ispirato da princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità e finanziato dalla fiscalità generale. Un SSN che ha permesso di ottenere eccellenti risultati di salute e di aumentare l'aspettativa di vita e che tutto il mondo continua a guardare con ammirazione. Già nel marzo 2013, in occasione del lancio della campagna "Salviamo il Nostro Ssn", la Fondazione Gimbe aveva previsto che la perdita del SSN non sarebbe stata annunciata dal fragore improvviso di una valanga, ma si sarebbe manifestata come il lento e silenzioso scivolamento di un ghiacciaio, attraverso, lustri, decenni.
    Un processo inesorabile che avrebbe eroso il diritto costituzionale alla tutela della salute. E se fino alla pandemia la sostenibilità del SSN è rimasto un tema tra addetti ai lavori, oggi la tenuta della sanità pubblica, prossima al punto di non ritorno, coinvolge 60 milioni di persone. I principi fondanti del SSN sono stati traditi: l'universalismo è lettera morta, visto che i Livelli essenziali di assistenza (Lea) non sono esigibili da tutti; l'uguaglianza e l'equità sono ormai un miraggio, viste le profonde diseguaglianze nell'accesso a servizi e prestazioni. Il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate si sta inesorabilmente sgretolando.
    Innumerevoli problemi gravano sulla vita quotidiana delle persone: interminabili tempi di attesa, pronto soccorso affollatissimi, impossibilità a iscriversi ad un medico di famiglia vicino casa, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata e impoverimento delle famiglie sino alla rinuncia alle cure. I dati del 7° Rapporto Gimbe sul Ssn - presentati presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica - documentano che la sanità pubblica fa acqua da tutte le parti. Un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889 euro rispetto alla media dei paesi Ocse membri dell'Unione europea, con un gap complessivo che sfiora i 52,4 miliardi, frutto del costante definanziamento attuato da tutti i governi negli ultimi 15 anni. E il futuro non è affatto roseo: secondo il Piano strutturale di bilancio approvato dal governo nel 2026 il rapporto spesa sanitaria/Pil scenderà al 6,2%. Esplode la spesa pagata di tasca propria dai cittadini: nel 2023 è aumentata del 10,3%, 3,8 miliardi in più del 2022. Un impatto sulle famiglie che, oltre a rendere sempre meno esigibile il diritto universale alle cure, nel 2023 ha costretto quasi 4,5 milioni di persone a rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui circa 2,5 milioni per motivi economici.
    La crisi motivazionale di medici e infermieri che abbandonano il Ssn ha generato una carenza di personale che compromette qualità e accessibilità dei servizi sanitari e aggrava i disagi per i pazienti. Tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre 11.000 medici e si stima che nel solo primo semestre del 2023 altri 2.564 medici abbiano abbandonato il servizio pubblico.
    Ma la crisi colpisce soprattutto il personale infermieristico: l'Italia conta solo 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, uno dei numeri più bassi d'Europa. Riguardo i Lea, le prestazioni che il Ssn è tenuto a fornire a tutte le persone, nel 2022 solo 13 Regioni hanno rispettato gli standard, con un divario sempre più marcato tra Nord e Sud. Le uniche Regioni del Mezzogiorno promosse sono Puglia e Basilicata, che si posizionano comunque in fondo alla classifica. E la mobilità sanitaria riflette questo squilibrio, con i pazienti del Sud che migrano verso le Regioni del Nord, gravando ulteriormente sui bilanci già fragili delle aree meno sviluppate: in dettaglio, nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un debito di quasi 11 miliardi. Diseguaglianze regionali su cui incombe lo spettro dell'autonomia differenziata che legittimerà tali divari.
    Nel frattempo, altrettanto in sordina, si è involuta la percezione pubblica del valore del Ssn: salute non più un bene supremo da tutelare secondo il dettato costituzionale, ma una merce da vendere e comprare. Una pericolosa involuzione che spiana la strada ad una sanità regolata dal libero mercato, dove le prestazioni saranno accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà sottoscritto costose polizze assicurative. Che, in ogni caso, non potranno mai garantire nemmeno ai più abbienti una copertura globale come quella offerta dal Ssn. E senza una rapida inversione di rotta, il "ghiacciaio" continuerà inesorabilmente a scivolare: da un Servizio sanitario nazionale fondato per la tutela di un diritto costituzionale, a 21 Sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato.
    Il Paese corre un rischio gravissimo: perdere il Ssn non significa solo compromettere la salute delle persone, ma soprattutto mortificarne la dignità e ridurre le loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi. È per questoche la Fondazione Gimbe ha realizzato il Piano di rilancio del Ssn: un programma chiaro in 13 punti che prescrive la terapia necessaria a salvare il nostro Ssn "malato". Un piano che mantiene come bussola l'articolo 32 della Costituzione e il rispetto dei principi fondanti del Ssn, mettendo nero su bianco le azioni indispensabili per potenziarlo con risorse adeguate, riforme coraggiose e una radicale e moderna riorganizzazione. Per attuare questo piano, la Fondazione Gimbe ha invocato un nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni ideologiche di partito e avvicendamenti dei governi, riconoscendo nel Ssn un pilastro della nostra democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico dell'Italia. Un patto che chiede ai cittadini di diventare utenti informati e responsabili, consapevoli del valore del Ssn, e a tutti gli attori della sanità di rinunciare ai privilegi acquisiti per salvaguardare il bene comune.
    Perché se la Costituzione tutela il diritto alla salute di tutti, la sanità deve essere per tutti.
  3. Aggirato il veto di Orban sul piano del G7: per il rimborso si useranno i beni russi congelati In forse l'arrivo di Biden al summit di Ramstein. Ipotesi incontro Zelensky -Meloni a Roma
    Maxi-prestito all'Ucraina l'Ue va avanti senza gli Usa "Garantiamo 35 miliardi"

    Viktor Orban
    MARCO BRESOLIN
    INVIATO A LUSSEMBURGO
    I governi dell'Unione europea hanno superato le titubanze interne e hanno deciso di andare avanti con il maxi-prestito all'Ucraina concordato dal G7 prima dell'estate. Anche se al momento non c'è la garanzia assoluta che gli Stati Uniti faranno la loro parte nel piano d'aiuti da 45 miliardi che sarà rimborsato con gli utili generati dai beni russi congelati. L'amministrazione americana ha subordinato il suo contributo alla modifica del meccanismo sanzionatorio dell'Ue, che prevede un rinnovo ogni sei mesi: Washington ha chiesto di estenderlo a 36 mesi, in modo da avere maggiore prevedibilità ed evitare che due volte l'anno il congelamento dei beni finisca ostaggio dei veti di un Paese. Ma il governo ungherese continua a opporsi a questa modifica.
    Per uscire dallo stallo, all'Ecofin di ieri i ministri delle Finanze si sono trovati d'accordo sulla proposta avanzata da Ursula von der Leyen in occasione del suo viaggio a Kiev del 20 settembre scorso: l'Ue si impegnerà a erogare «fino a 35 miliardi di euro» - vale a dire la propria quota da circa 17,5 miliardi più quella degli Stati Uniti - nella speranza che Washington si accodi in un secondo momento. I restanti dieci miliardi dovrebbero essere "coperti" da Regno Unito, Canada e Giappone. I tre testi legislativi che attiveranno il meccanismo finiranno oggi sul tavolo del Coreper, l'organismo che riunisce i 27 ambasciatori Ue: per la loro approvazione è sufficiente la maggioranza qualificata, mentre quello che modifica le tempistiche per le sanzioni richiede l'unanimità. Ed è proprio questo il motivo per cui si è deciso di "spacchettarli", mettendo da parte il tema delle sanzioni.
    «Ne riparleremo a novembre – ha tenuto il punto Mihaly Varga, ministro delle Finanze ungherese –. Noi crediamo che la questione dell'estensione delle sanzioni debba essere decisa dopo le elezioni americane. Dobbiamo vedere in quale direzione andrà la futura amministrazione Usa perché, come si può vedere dalla campagna, ci sono due modi assolutamente diversi per risolvere il problema: uno in direzione della pace e l'altro in direzione della guerra». In sostanza, per dare il suo via libera, il governo ungherese aspetta di vedere cosa farà la Casa Bianca, la quale però non prenderà una decisione fino a quando l'Ungheria non avrà sbloccato la questione delle sanzioni. Un cortocircuito che sembra non avere una via d'uscita.
    A Bruxelles c'è il timore che gli Stati Uniti potrebbero non entrare mai nel meccanismo del prestito: si tratta di uno scenario probabile in caso di vittoria di Trump. Per questo nelle prossime settimane continuerà il pressing sulla Casa Bianca per convincere il presidente Joe Biden a giocare d'anticipo e mettere così al sicuro i fondi. Ieri era stato annunciato per sabato un incontro a Berlino tra i leader di Usa, Regno Unito, Francia e Germania proprio per discutere della situazione in Ucraina prima del vertice a Ramstein, dal sostegno militare a quello finanziario. Ma poche ore dopo Biden ha cancellato la sua presenza per via dell'uragano Milton. Il vertice si sarebbe dovuto tenere nel formato Quad, dunque senza l'Italia. In serata, però, è arrivata la notizia di una possibile visita di Volodymyr Zelensky a Roma, prevista per domani, per incontrare Giorgia Meloni.
    Tornando al maxi-prestito all'Ucraina, il primo dei tre regolamenti Ue consentirà di introdurre un meccanismo per raccogliere sui mercati i 45 miliardi definiti dall'accordo siglato dal G7. Servirà anche il via libera del Parlamento europeo, che si esprimerà a fine ottobre: la prima tranche dei fondi sarà così erogata a Kiev entro la fine dell'anno, mentre le restanti nel corso del 2025. Gli altri due regolamenti modificheranno invece la destinazione d'uso dei proventi generati dai beni russi congelati, che valgono a circa 3 miliardi di euro l'anno. Prima dell'estate, l'Ue aveva deciso di utilizzare il 90% di questi fondi per il sostegno militare e il 10% per la ricostruzione, ma ora le proporzioni si sono invertite: il 95% servirà per ripagare il prestito (nell'arco dei prossimi 40 anni) e solo il 5% per finanziare l'invio di armi. —
  4. LO AVEVO INTUITO : Brescia, otto mesi a De Pasquale e Spadaro. Il legale: "Precedente pericoloso per l'autonomia dei magistrati"
    "Nascosero le prove alla difesa" condannati i pm del processo Eni

    monica serra
    milano
    Con l'accusa di rigetto di atti d'ufficio, il Tribunale di Brescia ha condannato a 8 mesi i pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, ora alla procura europea. Si è chiuso così, almeno in primo grado, il processo ai due magistrati che avrebbero omesso di depositare atti favorevoli alle difese nel procedimento Eni Nigeria, in ogni caso terminato con l'assoluzione di tutti gli imputati, compresi i vertici della compagnia petrolifera.
    «Questa sentenza rappresenta un precedente pericoloso, perché mette in discussione i principi fondamentali dell'autonomia e della discrezionalità delle scelte processuali di un pubblico ministero» ha dichiarato il difensore Massimo Dinoia, alla lettura del dispositivo di una decisione contro cui ha già annunciato di fare appello, mentre in quel momento i due pm hanno preferito non essere presenti in aula.
    Travolto a maggio dalla decisione del plenum del Csm di non confermarlo nelle funzioni semi-direttive nella procura di Milano, dove fino ad allora ha rivestito il ruolo di procuratore aggiunto a capo del pool reati economici internazionali, De Pasquale è stato l'unico pm in Italia ad aver ottenuto la condanna dell'ex premier Silvio Berlusconi per frode fiscale. Nel giugno del 2021, con il collega Spadaro, ha scoperto di essere indagato con la notifica di un decreto di perquisizione informatica eseguita su computer e dispositivi nel suo ufficio, al quarto piano del palazzo di giustizia.
    Per l'accusa, tra febbraio e marzo del 2021, i due magistrati avrebbero omesso «volontariamente» di depositare al processo «informazioni, prima verbali e poi documentali» che avrebbero minato la credibilità del ex dirigente Eni Vincenzo Armanna, coimputato ma anche testimone «valorizzato» dai pm. Due, in particolare: un video e delle chat trovate nel cellulare di Armanna dal collega Paolo Storari (anche lui finito sotto processo a Brescia per rivelazione del segreto d'ufficio, poi assolto) che in quel momento indagava sul presunto complotto Eni e che le aveva inviate per mail ai due colleghi. Chat che dimostravano che Armanna avrebbe pagato un poliziotto nigeriano, chiamato come testimone per confermare le accuse a Eni. «Si trattava solo della bozza di una memoria informale» si sono difesi in aula i pm. Nella requisitoria, i colleghi Francesco Milanesi e Donato Greco con il procuratore Francesco Prete hanno sostenuto che avrebbero dovuto «adempiere agli obblighi di legge», ossia non tanto «selezionare» gli elementi di prova ma depositarli tutti alle parti processuali. Invece «con il loro comportamento omissivo», «nascondendo» atti favorevoli agli imputati, avrebbero «leso il diritto di difesa».
    Il Tribunale presieduto da Roberto Spanò li ha condannati a 8 mesi con sospensione della pena e non menzione, e ha stabilito che il risarcimento alla parte civile Gianfranco Falcioni, ex vice console onorario in Nigeria, da versare in solido con la Presidenza del Consiglio, sarà liquidato in seguito al giudizio civile. Entro 45 giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza, solo dopo la difesa potrà fare appello.
  5. Inchiesta sugli ultrà Inzaghi e Zanetti tra i primi testimoni
    Tra una settimana o poco più parte delle carte
    dell'inchiesta sulle curve di San Siro, che ha azzerato i vertici ultrà della Nord interista e della Sud milanista, arriveranno alla Procura federale della Figc, che dovrà verificare, sul fronte della giustizia sportiva, eventuali condotte "rilevanti" da parte di Inter e Milan o dei loro tesserati. In queste ore, saranno ascoltati l'allenatore nerazzurro Simone Inzaghi, il vicepresidente del club Javier Zanetti e il capitano del Milan Davide Calabria. In seguito dovrebbero essere sentiti il centrocampista interista Hakan Çalhanoglu e l'ex difensore nerazzurro, ora al Psg, Milan Skriniar.
  6. Il presidente della Provincia di Imperia è indagato per abuso d'ufficio nell'inchiesta sulla compravendita di un'ex bocciofila. Si va verso lo stralcio
    Silurò la dirigente che non voleva firmare Scajola si salva grazie alla riforma Nordio

    mattia mangraviti
    imperia
    La riforma Nordio che ha cancellato il reato di abuso d'ufficio salva anche il presidente della Provincia di Imperia Claudio Scajola. L'ex ministro, infatti, risulta iscritto nel registro degli indagati con l'accusa di abuso d'ufficio nell'inchiesta sulla compravendita di un'ex bocciofila, a Imperia. La sua posizione, però, verrà stralciata alla chiusura delle indagini, a meno che nel frattempo non venga modificata l'ipotesi di reato, dato che l'abuso d'ufficio è stato abolito lo scorso agosto.
    Il ddl del ministro della Giustizia Nordio ha eliminato la norma del codice penale che puniva il pubblico ufficiale che, violando consapevolmente leggi, regolamenti o l'obbligo di astensione, provoca un danno ad altri o si procura un vantaggio patrimoniale. Nel 2020 l'articolo era stato modificato specificando che il reato non si poteva configurare in presenza di margini di discrezionalità amministrativa nell'adozione di un provvedimento. Una disposizione ora cancellata del tutto.
    A Imperia, l'inchiesta per falso e abuso d'ufficio vede indagati Rosa Puglia, segretario generale della Provincia, Manolo Crocetta, dirigente del settore legale, Michele Russo, dirigente del settore Infrastrutture, Pier Carlo Gandolfo, geometra del settore Infrastrutture, e Fulvio Modugno, ingegnere del settore Infrastrutture. Oggetto dell'indagine presunte irregolarità nell'acquisizione, da parte della Provincia, dell'ex bocciofila di proprietà di un privato, Pietro Salvo.
    Nel mirino il valore dell'immobile che presenterebbe criticità per la presenza di vincoli urbanistici e di costruzioni abusive. In particolare l'ex Bocciofila, in base all'ipotesi dei pm sarebbe all'origine della decisione del presidente Scajola di sollevare dall'incarico una dirigente della Provincia, Patrizia Migliorini, perché si sarebbe rifiutata di firmare l'approvazione del progetto di demolizione - a carico della Provincia, per 48 mila euro - degli abusi edilizi commessi dal privato e il successivo atto di affidamento dei lavori.
    Secondo quanto contestato dalla procura Migliorini, dopo la posizione contraria assunta, sarebbe stata oggetto di un crescente "pressing" da parte della segretaria generale Rosa Puglia e di Scajola, culminato con la destituzione dall'incarico e la nomina del collega Michele Russo, più gradito all'ex ministro.
    Proprio nell'ambito delle pressioni contestate dagli inquirenti, la segreteria del presidente della Provincia, nonché sindaco di Imperia, avrebbe inviato a Migliorini una mail con, scansionata, la perentoria annotazione scritta da Scajola: «I dirigenti risolvono; se non riescono se ne vadano, questo è il dovere!!!». Secondo la procura una mail dal «degradante contenuto minatorio».
    In base alla ricostruzione degli inquirenti, la Provincia avrebbe quindi acquistato l'ex bocciofila da Pietro Salvo per 115 mila euro, accollandosi, dopo il rifiuto del proprietario a eseguirli, anche i lavori di demolizione degli abusi edilizi, 48 mila euro. Un totale di 163 mila euro, a fronte del prezzo, 30 mila euro, al quale Salvo aveva rilevato l'ex impianto nel 2010.
    Un'operazione fortemente contestata prima dal consigliere provinciale di opposizione Domenico Abbo («se c'è un abuso edilizio del privato, perché paga la Provincia la demolizione? ») e successivamente dalla funzionaria Migliorini che, in una nota inviata al suo Crocetta scrive: «Ritengo che l'amministrazione provinciale si stia accollando un onere non solo economico che spetterebbe al proprietario con conseguente maggiori costi rispetto al valore della perizia di stima».
    L'acquisto dell'area di corso Roosevelt, quest'ultima oggetto anche di un'inchiesta per corruzione che ha portato agli arresti dell'ex vicepresidente della Provincia Luigino Dellerba e di due imprenditori, Vincenzo e Gaetano Speranza, è stato voluto fortemente da Scajola per realizzarvi un parcheggio il cui progetto prevede la realizzazione di 28 posti auto. —
  7. I CINESI DELLA JAC AL POSTO DELLA FIAT: Il mercato
    I cinesi di Jac cercano casa per produrre a Torino

    claudia luise
    I cinesi di Jac sbarcano a Torino. Non una visita di cortesia, ma un viaggio lungo e articolato della dirigenza della casa automobilistica statale con sede ad Hefei, con funzionari governativi al seguito, per valutare la possibilità di aprire uno stabilimento produttivo in Piemonte. La visita è in programma per metà novembre e si stanno fissando gli incontri con istituzioni, università e rappresentanze imprenditoriali con lo scopo, oltre che di aprire una sponda produttiva in Europa, anche di cercare nuove partnership per la diffusione e la commercializzazione. Jac nel 2023 ha registrato ricavi intorno ai 5,8 miliardi di euro (in crescita del 23,7% sull'anno) e le sue vendite in Cina raggiungono il mezzo milione di veicoli. La sua gamma è composta soprattutto da veicoli elettrici: city car, suv e commerciali.
    La scelta di Torino non è casuale: Jac è da vent'anni a Pianezza, con un centro di ricerca e sviluppo che nel tempo ha avuto collaborazioni anche con Pininfarina per la J5. Ed è stato sempre un manager di Jac a fondare nel capoluogo piemontese, nel 2017, la Xev che poi ha lanciato la minicar elettrica Yoyo (tra i partner c'è Eni). In Italia ha collaborato pure con la DR Automobiles per commercializzare alcuni modelli di Suv riomologati secondo le normative antinquinamento europee: così è nata la DR 4. Il produttore orientale è anche entrato in un gruppo controllato al 50% da Volkswagen e che produce con marchio Sol i veicoli elettrici di Seat. La delegazione cinese sarà composta, oltre che dai manager della Jac, anche dal sindaco della città di Hefei, con il ministro dell'industria della provincia di Anhui, dove ha sede l'headquarter del prodottore (nato come Anhui Jianghuai Automobile). «Cerchiamo di giocare la nostra parte - spiega il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, che venerdì interverrà in commissione consiliare per fare un punto sullo stato di salute dell'automotive - che è quella di portare il più possibile nella nostra città occasioni di produzione e di lavoro, ovviamente dentro un quadro che sta cambiando e cambia molto rapidamente».
  8. sanita'
    Costi elevati il 9 per cento rinuncia alle cure

    Sanità: aumenta la frattura tra Nord e Sud del Paese. Aumenta la spesa per le famiglie. E aumenta anche il numero di quanti sono costretti a rinunciare alle cure. E' la sintesi del Rapporto che la Fondazione Gimbe pubblica periodicamente per monitorare lo stato di salute della nostra sanità. Restando al Piemonte, la percentuale di famiglie che nel 2023 ha rinunciato alle prestazioni sanitarie è pari al 8,8%. In diminuzione rispetto al 2022 (si attestava al 9,6%) ma comunque al di sopra della media nazionale, ferma al 7,6%. Quanto al personale sanitario, in Piemonte infatti (dato 2022) si contano 2,09 medici dipendenti ogni mille abitanti contro una media Italia di 2,11. Migliore la situazione nel comparto degli infermieri dipendenti: 5,4 unità ogni mille abitanti contro una media Italia pari a 5,1. Rapporto medici-infermieri: in Piemonte è pari a 2,59 ogni mille abitanti contro una media Italia ferma a 2,44. Edilizia sanitaria: entro il 2026 dovranno essere in funzione 82 case di comunità ma per ora ne sono state dichiarate attive 17, il 21%, contro una media nazionale peraltro ferma al 19%. Centrali Operative Territoriali: delle 43 da varare entro il 2024 ne risultano funzionanti a pieno regime 27, il 63% del totale (contro una media Italia ferma al 59%). Ospedali di Comunità: 27 da attivare entro il 2026, ad oggi siamo a zero contro una media italiana pari al 13% di opere realizzate. Terapie intensive e semintensive: al 31 luglio la Regione aveva realizzato il 57% dei posti letto aggiuntivi di terapia sub-intensiva, contro una media italiana ferma al 52%. ale.mon .

 

 

09.10.24
  1. Ordinario a soli 29 anni: il padre Annibale è stato presidente della Corte su indicazione di An
    Il giovane costituzionalista figlio d'arte che ha ispirato il premierato a Meloni
    f
    rancesco grignetti
    roma
    Cortese, discreto, sempre attento al confine tra decisione politica (di cui è rispettosissimo) e consulenza giuridica, Francesco Saverio Marini è l'uomo che sussurra di riforme costituzionali all'orecchio di Giorgia Meloni. Sono quasi coetanei, lui nato a Roma nel 1973 e lei nel 1977. L'area politica, poi, è comune, essendo Marini il figlio di Annibale Marini che come lui è stato professore di Diritto all'università romana di Tor Vergata ed è stato giudice costituzionale dal 1997 al 2006 (e nell'ultimo anno anche presidente della Corte) su indicazione di Alleanza nazionale.
    Di Francesco Saverio si dice che sia il padre della riforma sul premierato. E in effetti, dalla sua postazione a palazzo Chigi – da dove salterebbe alla Corte costituzionale con inedito passaggio diretto – ha pilotato i testi che il governo ha portato in Parlamento. E fin dai primi incontri che Giorgia Meloni ebbe con l'opposizione fu evidente che non era un caso se quel giovane professore le sedeva accanto.
    Il mantra della stabilità li accomuna, la leader e il suo consigliere giuridico. Diceva spesso Marini in quei giorni: «L'instabilità dei governi è il vero macro-problema italiano». Con quale forma arrivarci, però, in fondo conta poco per entrambi. E spiegava la riforma così: «Siamo rimasti nel solco del parlamentarismo». Per aggiungere: «Il nostro intento è quello di garantire stabilità e governabilità preservando per quanto possibile la nostra tradizione costituzionale e gli equilibri istituzionali esistenti». Per quanto possibile, appunto.
    Di suo, Marini ci mette anche una robusta sponda cattolica. È significativo il bastione dell'università di Tor Vergata, da sempre nell'alveo dei movimenti cattolici romani: qui era professore suo padre Annibale; qui insegna suo fratello Renato, ordinario di diritto privato; e qui Francesco Saverio si laurea, è nominato cultore della materia, professore associato, ordinario a soli 29 anni e ora è anche pro-rettore. Rettore peraltro era Orazio Schillaci, ministro della Salute.
    Le uniche sortite fuori da Tor Vergata sono nel 1998 alla facoltà di Giurisprudenza della Libera Università Maria Santissima Assunta-Lumsa e poi dal 2006 al 2011 nella facoltà di diritto canonico dell'Università lateranense. Dapprima è stato nominato giudice istruttore e giudice dell'esecuzione civile presso il tribunale della città del Vaticano, poi giudice applicato del tribunale del Vaticano, di recente il Papa lo ha nominato magistrato ordinario.
    Nel 2021 è vicepresidente del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti, membro laico nominato dal Parlamento. Il suo studio di brillante amministrativista ha molti clienti importanti. Dal 2006 al 2011 ha curato il contenzioso costituzionale della Regione Valle d'Aosta e oggi presiede il Comitato paritetico Stato-Regione Valle d'Aosta.
    Ad introdurlo negli ambienti romani che contano è stato anche Antonio Catricalà, amico del padre, che anche lui nel tempo ha insegnato a Tor Vergata. Così dal 2009 al 2011 Francesco Saverio Marini è stato consigliere giuridico dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in anni della presidenza Catricalà. Lo avrebbe poi seguito come capo della segreteria tecnica quando l'ex presidente dell'Antitrust divenne sottosegretario alla presidenza del consiglio nel governo Monti nel 2011 e 2012. Giovane sopraffino tecnico al servizio di un aborrito (da Meloni) governo tecnico.
  2. ennesimo blitz da inizio settembre al cantiere nella cascina malpensata, dove nascerà il centro didattico
    Meisino, quarto stop degli attivisti
    pier francesco caracciolo
    Per la quarta volta in un mese hanno bloccato i cantieri nel Meisino. Questo hanno fatto, ieri mattina, attivisti e residenti nella zona di Sassi. Una decina di loro, alle 8.30, si sono parati davanti alla gru che, da circa un'ora, all'interno del parco stava arando una fetta di prato a ridosso di corso Sturzo. Così facendo, hanno indotto gli operai incaricati dalla Città a interrompere i lavori, che in quel punto del parco prevedono la realizzazione di una passerella pedonale nell'ambito del progetto per la realizzazione di un «centro per l'educazione sportivo-ambientale».
    È stata così bloccata sul nascere quella che doveva essere la ripartenza del cantiere nel verde del parco, dove i lavori erano fermi dal 24 settembre. Uno stop, quello delle ultime due settimane, deciso dalla Città per verificare l'eventuale presenza di ricci nel Meisino, poi esclusa dopo un accertamento di un pool di esperti. Quello delle 8.30 non è stato l'unico presidio anti-cantiere di giornata. Nel pomeriggio, alle 15, la scena si è ripetuta: da una parte una gru, di nuovo diretta verso il verde a ridosso di corso Sturzo, dall'altra una decina di attivisti del comitato Salviamo il Meisino. Gli operai, in nessuno dei due casi, hanno forzato la mano. Anche perché, a differenza dei giorni scorsi, l'area non era presidiata in forze dalla Polizia (presenti solo due agenti).
    Hanno però proseguito i lavori nella cascina Malpensata, destinata a diventare la base operativa del futuro centro didattico-ambientale, al cui interno i cantieri non si sono mai fermati. Un progetto, quello del Comune, da 11,5 milioni di euro, di cui gli attivisti non vogliono sentir parlare. Le venti strutture ludico sportive previste nel verde, a loro dire, devasterebbero una riserva naturale con caratteristiche uniche, a Torino, in termini di fauna e flora. Per questo presidiano il parco dal 6 settembre, data di apertura del cantiere. La prima volta avevano rallentato i lavori il 9. Quella mattina l'ingresso delle gru nel parco era stato bloccato per tre ore da un presidio pacifico, poi sgomberato dalle forze dell'ordine. La seconda due giorni dopo, quando le operazioni degli operai erano state fermate per circa mezzora. La terza il 24 settembre scorso, proprio nel verde a ridosso di corso Sturzo: in quel caso gli operai avevano fatto dietrofront.

 

 

08.10.24
  1. NON MERITOCRAZIA MA APPARTENENZA:  coop nere
    La rete
    delle
    L'ex Nar Luigi Ciavardini è una sorta di faro per la destra romana. Appena si entra nel mondo che gira attorno a Fratelli d'Italia il rischio di trovare le sue tracce è decisamente alto. Così fu per la presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo, ritratta sui social insieme allo stragista di Bologna, o per l'ex portavoce del governatore del Lazio Marcello De Angelis, imparentato direttamente con Ciavardini. Fabio Tagliaferri, l'amministratore delegato della Ales Spa, il braccio operativo del ministero della Cultura, nella sua carriera politica più recente ha visto passare il mondo imprenditoriale dell'ex Nar nei suoi uffici di assessore di Frosinone, che ha occupato fino alla nomina in Ales da parte dell'ex ministro Gennaro Sangiuliano, arrivata lo scorso febbraio. Tutto è accaduto a Frosinone, città da anni governata dalla destra, vero e proprio feudo politico di Fratelli d'Italia, un bacino elettorale in grado di decidere elezioni e nomine nell'intera regione. Tagliaferri, il 3 luglio 2017, ha ricevuto la delega ai Lavori pubblici e alla Manutenzione nel comune a sud di Roma, carica di peso mantenuta fino all'ottobre del 2021. Per quasi un ventennio è stato uno dei protagonisti della destra nella capitale ciociara.
    Il mondo imprenditoriale legato all'ex Nar si è incrociato per alcuni anni con la gestione dei parchi, dei viali e dei giardini di Frosinone – attraverso una serie di affidamenti partiti dagli uffici dell'allora assessore Tagliaferri – grazie ad una cooperativa sociale, la Essegi 2012. La società – che tra il 2019 e il 2020 ha avuto complessivamente più di 3 milioni di euro di fatturato – si occupa di inserimento dei detenuti ed ha come principale figura di riferimento Germana De Angelis, la moglie dell'ex Nar Luigi Ciavardini. A Frosinone, durante il mandato di Tagliaferri, ha ricevuto diverse decine di incarichi: dalla manutenzione ordinaria della viabilità, fino al supporto per le attività elettorali. I legami con la famiglia del terrorista nero appaiono anche con una seconda cooperativa, la Agm, aggiudicataria nel 2020 di altri affidamenti diretti. Una sorta di passaggio di consegne. In questo caso uno dei soci dell'epoca era Andrea Ciavardini, il figlio di Luigi. Il secondo socio – presidente del consiglio di amministrazione all'epoca dell'affidamento da parte dell'assessorato guidato da Tagliaferri – era Manuel Cartella, nominato durante la giunta Zingaretti vice garante delle carceri, legato anche lui al mondo di Luigi Ciavardini. Cartella – secondo i documenti consultati da La Stampa – risulta aver avuto il potere di firma nella cooperativa Essegi 2012 ed ha avuto un ruolo attivo nella Polisportiva "Gruppo Idee", l'associazione promossa nel 2009 da Luigi Ciavardini, fondata, tra gli altri, dalla moglie Germana De Angelis.
    Le determinazioni per gli affidamenti, come prevede la normativa sulle amministrazioni pubbliche, sono state firmate dal dirigente dell'assessorato Lavori pubblici. La legge poi permette di non effettuare la gara per le cifre sotto la soglia europea qualora gli affidatari siano cooperative sociali, come nel caso della Essegi 2012 e della Agm. Secondo alcuni comunicati stampa pubblicati \sul sito del comune di Frosinone un input di tipo politico era però arrivato negli anni precedenti l'inizio degli affidamenti, con la firma di un protocollo d'intesa tra l'associazione "Gruppo Idee" (riconducibile a Luigi Ciavardini) e l'ex sindaco Nicola Ottaviani.
    Nonostante il fatturato milionario, la Essegi 2012, destinataria dei fondi per la manutenzione del verde pubblico da parte dell'assessorato guidato all'epoca dall'ad della Ales, ha avuto negli ultimi due anni diversi incidenti di percorso, che hanno portato alla liquidazione. Prima è stata oggetto di verifiche ed interventi da parte del Tribunale civile di Roma, per poi finire al centro di un'ispezione dell'organismo di vigilanza del ministero dello sviluppo economico. Germana De Angelis, nominata nel 2018 membro del Cda della cooperativa, aveva fornito dati anagrafici «falsi o errati», come si legge in un provvedimento di annullamento di quella nomina da parte del Tribunale di Roma. Alla camera di Commercio aveva comunicato di essere nata nel 1976, invece che nel 1962; di conseguenza il codice fiscale inserito risultava diverso da quello originale. La sua nomina nel Cda è stata quindi revocata dal giudice del Registro delle imprese il 18 marzo 2023. Nell'agosto del 2022 il ministero dello Sviluppo economico ha avviato una verifica della gestione della società, ritenuta anomala; dopo la relazione degli ispettori, è stato decretato lo scorso anno la liquidazione coatta, per non aver rispettato «le finalità mutualistiche tipiche delle società cooperative».
    Le due cooperative scelte dagli uffici dell'assessorato ai Lavori pubblici del Comune di Frosinone hanno salde radici nell'estrema destra romana. La Essegi 2012 aveva nel Cda, oltre alla moglie di Ciavardini, Simona Catalano e Giulia Acciarini. Secondo un'informativa della Digos di Roma, la Catalano era una nota militante di Forza Nuova, sposata a sua volta con il responsabile di un'associazione romana legata al mondo Skinheads. Acciarini – estranea al mondo della destra – è la moglie di Manuel Cartella, il vice garante delle carceri della Regione Lazio, socio del figlio di Ciavardini: secondo quanto riferito dalla Digos di Roma, è membro di quella stessa associazione estremista della Catalano, "Casa d'Italia Monteverde". In altre parole, lo stesso giro, legato a doppio filo al mondo dell'ex Nar.
    La cooperativa Essegi 2012 ebbe un ruolo chiave anche nel garantire a Gilberto Cavallini – altro terrorista nero condannato in secondo grado per la strage di Bologna, oggi in attesa del giudizio della Cassazione – la possibilità di uscire dal carcere, grazie ad un contratto di assunzione firmato nel 2014. coop nere
    La rete
    delle
    L'ex Nar Luigi Ciavardini è una sorta di faro per la destra romana. Appena si entra nel mondo che gira attorno a Fratelli d'Italia il rischio di trovare le sue tracce è decisamente alto. Così fu per la presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo, ritratta sui social insieme allo stragista di Bologna, o per l'ex portavoce del governatore del Lazio Marcello De Angelis, imparentato direttamente con Ciavardini. Fabio Tagliaferri, l'amministratore delegato della Ales Spa, il braccio operativo del ministero della Cultura, nella sua carriera politica più recente ha visto passare il mondo imprenditoriale dell'ex Nar nei suoi uffici di assessore di Frosinone, che ha occupato fino alla nomina in Ales da parte dell'ex ministro Gennaro Sangiuliano, arrivata lo scorso febbraio. Tutto è accaduto a Frosinone, città da anni governata dalla destra, vero e proprio feudo politico di Fratelli d'Italia, un bacino elettorale in grado di decidere elezioni e nomine nell'intera regione. Tagliaferri, il 3 luglio 2017, ha ricevuto la delega ai Lavori pubblici e alla Manutenzione nel comune a sud di Roma, carica di peso mantenuta fino all'ottobre del 2021. Per quasi un ventennio è stato uno dei protagonisti della destra nella capitale ciociara.
    Il mondo imprenditoriale legato all'ex Nar si è incrociato per alcuni anni con la gestione dei parchi, dei viali e dei giardini di Frosinone – attraverso una serie di affidamenti partiti dagli uffici dell'allora assessore Tagliaferri – grazie ad una cooperativa sociale, la Essegi 2012. La società – che tra il 2019 e il 2020 ha avuto complessivamente più di 3 milioni di euro di fatturato – si occupa di inserimento dei detenuti ed ha come principale figura di riferimento Germana De Angelis, la moglie dell'ex Nar Luigi Ciavardini. A Frosinone, durante il mandato di Tagliaferri, ha ricevuto diverse decine di incarichi: dalla manutenzione ordinaria della viabilità, fino al supporto per le attività elettorali. I legami con la famiglia del terrorista nero appaiono anche con una seconda cooperativa, la Agm, aggiudicataria nel 2020 di altri affidamenti diretti. Una sorta di passaggio di consegne. In questo caso uno dei soci dell'epoca era Andrea Ciavardini, il figlio di Luigi. Il secondo socio – presidente del consiglio di amministrazione all'epoca dell'affidamento da parte dell'assessorato guidato da Tagliaferri – era Manuel Cartella, nominato durante la giunta Zingaretti vice garante delle carceri, legato anche lui al mondo di Luigi Ciavardini. Cartella – secondo i documenti consultati da La Stampa – risulta aver avuto il potere di firma nella cooperativa Essegi 2012 ed ha avuto un ruolo attivo nella Polisportiva "Gruppo Idee", l'associazione promossa nel 2009 da Luigi Ciavardini, fondata, tra gli altri, dalla moglie Germana De Angelis.
    Le determinazioni per gli affidamenti, come prevede la normativa sulle amministrazioni pubbliche, sono state firmate dal dirigente dell'assessorato Lavori pubblici. La legge poi permette di non effettuare la gara per le cifre sotto la soglia europea qualora gli affidatari siano cooperative sociali, come nel caso della Essegi 2012 e della Agm. Secondo alcuni comunicati stampa pubblicati \sul sito del comune di Frosinone un input di tipo politico era però arrivato negli anni precedenti l'inizio degli affidamenti, con la firma di un protocollo d'intesa tra l'associazione "Gruppo Idee" (riconducibile a Luigi Ciavardini) e l'ex sindaco Nicola Ottaviani.
    Nonostante il fatturato milionario, la Essegi 2012, destinataria dei fondi per la manutenzione del verde pubblico da parte dell'assessorato guidato all'epoca dall'ad della Ales, ha avuto negli ultimi due anni diversi incidenti di percorso, che hanno portato alla liquidazione. Prima è stata oggetto di verifiche ed interventi da parte del Tribunale civile di Roma, per poi finire al centro di un'ispezione dell'organismo di vigilanza del ministero dello sviluppo economico. Germana De Angelis, nominata nel 2018 membro del Cda della cooperativa, aveva fornito dati anagrafici «falsi o errati», come si legge in un provvedimento di annullamento di quella nomina da parte del Tribunale di Roma. Alla camera di Commercio aveva comunicato di essere nata nel 1976, invece che nel 1962; di conseguenza il codice fiscale inserito risultava diverso da quello originale. La sua nomina nel Cda è stata quindi revocata dal giudice del Registro delle imprese il 18 marzo 2023. Nell'agosto del 2022 il ministero dello Sviluppo economico ha avviato una verifica della gestione della società, ritenuta anomala; dopo la relazione degli ispettori, è stato decretato lo scorso anno la liquidazione coatta, per non aver rispettato «le finalità mutualistiche tipiche delle società cooperative».
    Le due cooperative scelte dagli uffici dell'assessorato ai Lavori pubblici del Comune di Frosinone hanno salde radici nell'estrema destra romana. La Essegi 2012 aveva nel Cda, oltre alla moglie di Ciavardini, Simona Catalano e Giulia Acciarini. Secondo un'informativa della Digos di Roma, la Catalano era una nota militante di Forza Nuova, sposata a sua volta con il responsabile di un'associazione romana legata al mondo Skinheads. Acciarini – estranea al mondo della destra – è la moglie di Manuel Cartella, il vice garante delle carceri della Regione Lazio, socio del figlio di Ciavardini: secondo quanto riferito dalla Digos di Roma, è membro di quella stessa associazione estremista della Catalano, "Casa d'Italia Monteverde". In altre parole, lo stesso giro, legato a doppio filo al mondo dell'ex Nar.
    La cooperativa Essegi 2012 ebbe un ruolo chiave anche nel garantire a Gilberto Cavallini – altro terrorista nero condannato in secondo grado per la strage di Bologna, oggi in attesa del giudizio della Cassazione – la possibilità di uscire dal carcere, grazie ad un contratto di assunzione firmato nel 2014.
  2. Ecco i falsi nell'inchiesta su 25 direttori (ed ex) della Città della Salute I pm: "Dissero al Mef che era tutto ok, ma i bilanci non erano veritieri"
    "Tutte le menzogne dei manager indagati alla Corte dei conti"

    elisa sola
    Non solo i bilanci falsificati. I crediti non riscossi e i "disordini" contabili accumulati anno dopo anno, dando consistenza a un passivo totale milionario. Ma ci sarebbero anche le false comunicazioni riferite alla Corte dei conti, al Mef e alla Regione, tra i reati contestati dalla procura di Torino nei confronti dei vertici della Città della salute.
    Nelle quaranta pagine dell'atto di conclusione indagini, notificato nelle scorse ore a 25 direttori (o ex) dell'azienda ospedaliera, a dirigenti e membri dei collegi sindacali, oltre alle contestazioni di falso, relative ai bilanci dell'ultimo decennio, e di truffa, che riguarda il mancato accantonamento del 5 percento delle visite intramoenia, ci sono alcuni capi di imputazione sulle presunte "bugie" che sarebbero state scritte, sullo stato dell'arte dei conti del polo sanitario, alla Corte dei conti. È uno degli aspetti sui quali hanno indagato i pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni, che ad alcuni ex componenti del collegio sindacale, in totale sette, contestano il reato di falso ideologico in atto pubblico. «In concorso tra loro – scrive la procura - con più omissioni e azioni di un medesimo disegno criminoso in qualità di pubblici ufficiali, disattendendo i principi di diligenza professionale e correttezza che reggono l'assolvimento delle funzioni di vigilanza e controllo proprie del Collegio sindacale, hanno violato la normativa e gli obblighi di revisione e controllo previsti dal Mef». Le mancate verifiche riguarderebbero una serie di obiettivi di bilancio che vanno raggiunti e comunicati anno dopo anno. Tra le inadempienze, ci sarebbero quelle sul mancato controllo dell'esistenza di una contabilità separata per i soldi incassati con le attività di libera professione. Nessuno, in sostanza, avrebbe distinto i conti, generando una mescolanza ambigua che, ora, è al vaglio degli inquirenti.
    Ma non è finita. Uno dei fatti più gravi - secondo i pm - è descritto negli ultimi capi di imputazione dell'atto giudiziario. Gli indagati avrebbero mentito alla Corte dei conti, spedendo questionari con risposte false. I membri del collegio sindacale per legge devono relazionarsi alla Corte, ogni anno, inviando una relazione sul bilancio di esercizio e le risposte di un dettagliato questionario. Ora, secondo l'ipotesi dell'accusa, gli esponenti dei collegi sindacali della Città della salute, insieme ad alcuni ex direttori generali, avrebbero - dal 2014 al 2021 - «attestato falsamente di avere compiuto fatti e adottato comportamenti di vigilanza e controllo, dei quali i predetti atti erano destinati a provare la verità, attestando la corretta organizzazione e gestione contabile dell'Azienda e la corretta applicazione delle leggi sull'esercizio della libera professione». Gli indagati avrebbero anche accertato falsamente che «i sistemi amministrativo contabili fornivano ragionevole certezza al bilancio», tra cui appunto, l'esistenza di una «contabilità separata per l'attività intramoenia» e di avere svolto «puntuali verifiche sulla corretta applicazione della legge Balduzzi». Insomma, sulla carta, sarebbe stato tutto perfetto. Conti in ordine, bilanci puliti e normativa rispettata. Ma secondo la procura la realtà sarebbe stata ben diversa. Gli ex direttori Pier Paolo Zanetta, Silvio Falco e all'attuale Giovanni La Valle, secondo gli inquirenti, avrebbero anche scritto risposte false sui questionari di rilevazione Alpi recepiti dalla Regione Piemonte, inducendo in errore quindi, la Regione stessa e il Mef. Entrambi gli enti figurano parti offese in questa indagine, insieme alla stessa azienda di Città della salute al ministero della Sanità. Tutti gli indagati
    Ecco tutti i nomi dei manager indagati dalla procura che nei giorni scorsi hanno ricevuto l'avviso di chiusura indagine, atto che prelude a una richiesta di rinvio a giudizio. Hanno 20 giorni di tempo per chiedere di essere sentiti dai pm. Sono Mario Albertazzi, Valter Alpe, Vincenzo Altamura (Collegio sindacale), Lorenzo Angelone, Davide Benedetto, Paolo Biancone, Fabrizio Borasio, Beatrice Borghese, Andreana Bossola, Rosa Alessandra Brusco, Giacomo Buchi (Collegio sindacale), Angelo Del Favero, Maurizio Dall'Acqua, Eugenia Grillo, Giovanni La Valle, Pier Luigi Passoni, Andrea Remonato (Collegio sindacale), Lucia Scalzo, Margherita Spaini (Collegio sindacale), Giuseppe Stillitano, Renato Stradella, Alessia Vaccaro (Collegio sindacale), Nunzio Vistato, Gian Paolo Zanetta.

 

 

07.10.24
  1. L'intervista
    "Le banche pronte ad aiutare i conti ma ora il governo abbatta il debito "
    Gian Maria Gros-Pietro
    Le misure
    La crisi ai confini
    "
    I divari salariali
    TORINO
    Nessuna chiusura di fronte alla richiesta di sacrifici da parte del governo. «Il sistema bancario italiano ha sempre avuto come principio quello di venire incontro al sistema economico e sociale», dice Gian Maria Gros-Pietro. «Tuttavia», spiega il presidente di Intesa Sanpaolo, riguardo l'intervento di cui si starebbe discutendo al Ministero del Tesoro «ci si attende che non abbia impatti sul conto economico». Perché già ora quello del credito è il settore «che paga le imposte più elevate tra le società per azioni».
    Presidente, a ogni stagione si parla di tassare gli extraprofitti di banche e assicurazioni. Che ne pensa?
    «Nei principi contabili internazionalmente accettati, il concetto di extraprofitti non esiste. I profitti sono la differenza tra i ricavi e i costi, può essere positiva o negativa, l'extra non è aritmeticamente determinabile. Capisco, però, che ci si riferisca a un concetto morale: si parla di profitti non meritati, perché dipendono da qualcosa che non hai fatto tu. Nel caso delle banche, però, c'è stato il periodo dei tassi di interesse negativi, una situazione innaturale, in cui si stava "sott'acqua". Non ha senso considerare "extraprofitto", immeritato, il miglioramento rispetto a una situazione eccezionalmente negativa e assurda, nella quale chi prestava denaro, anziché essere remunerato, "pagava" la controparte affinché si godesse il prestito».
    È un'apertura al governo?
    «Una disponibilità c'è, certamente».
    Che manovra servirebbe, davvero, per i conti del Paese?
    «Comincio dal messaggio del Presidente della Repubblica a Cernobbio: bisogna abbattere il debito. Una delle strade, come ha proposto tempo fa il nostro consigliere delegato Carlo Messina, passa dalla vendita di una parte del patrimonio immobiliare pubblico che, se gestito in maniera più attiva e con investitori istituzionali, verrebbe valorizzato. Tutto questo unito al controllo dell'avanzo primario, che rimane imprescindibile».
    Una boccata d'ossigeno potrebbe arrivare già nei prossimi giorni, quando si riuniranno i vertici della Bce. È l'ora di un nuovo taglio dei tassi?
    «L'attività produttiva sta rallentando, l'inflazione scende: ci sono tutti gli elementi per un taglio dei tassi di interesse. Penso che la Bce continuerà con riduzioni di un quarto di punto. Ne farà una adesso e una più avanti».
    Dietro il cambio di passo di Francoforte, però, sembra esserci soprattutto la frenata della Germania. Preoccupante per l'Europa, per l'Italia e, in particolare, per il Nord-Ovest, che è un importante fornitore dell'industria tedesca. Quanto sarà grave il contraccolpo?
    «Possiamo aspettarci difficoltà, anche se non così gravi. Il rallentamento tedesco è legato a tre fattori: l'enorme rilevanza delle esportazioni per Berlino, la forte concentrazione su alcuni settori produttivi, come quello dell'automobile, e l'internazionalizzazione delle catene produttive, soprattutto nell'Est Europa».
    Ma l'Italia, oggi, è ancora così dipendente dalla Germania?
    «In parte sì, ma rispetto all'economia tedesca, il nostro settore industriale, e in particolare quello manifatturiero, è molto più diversificato, sia dal punto di vista merceologico che geografico, e flessibile. Abbiamo una struttura produttiva che può adattarsi rapidamente».
    Restiamo tra Roma e Berlino. Cosa pensa della possibile acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit e delle polemiche che ha scatenato?
    «Viviamo una situazione di forte dinamismo, cosa che non si riscontra allo stesso modo in altri Paesi. Se si dice che l'Europa ha bisogno di banche più grandi, e questo vale anche per la Germania. Finora, in Europa, le grandi operazioni transnazionali sono state fatte quasi tutte qui da noi: quando Crédit Agricole ha acquisito Cariparma, quando Bnp Paribas ha rilevato una banca di Stato come Bnl e quando, per un soffio, Banca Intesa e Sanpaolo Imi non sono finite nelle mani di Crédit Agricole e Santander».
    Ma quella doppia acquisizione sfumò...
    «Vero, ma non per intervento del governo. Bensì perché due grandi banche italiane si sono guardate allo specchio e hanno deciso di intervenire, fondendosi tra loro».
    Dunque Unicredit-Commerzbank va fatta...
    «È un'operazione di cui – secondo le forze produttive di quel Paese – la Germania ha bisogno. Dopo una prima levata di scudi, sono cominciate a emergere opinioni favorevoli, sia da parte dei clienti delle banche sia dai regolatori. Più di questo non penso si possa dire».
    I più recenti dati Ocse indicano che in Italia, all'inizio del 2024, si è registrato un aumento retributivo significativo, pur permanendo un notevole divario rispetto ad altri Paesi. Quali misure si potrebbero adottare per colmare questa distanza?
    «Il recupero del potere d'acquisto è fondamentale. Intesa Sanpaolo lo ha sostenuto durante il rinnovo del contratto collettivo dei bancari. Serve maggiore produttività, che consenta di pagare salari internazionalmente competitivi. Abbiamo ottime università, ma rischiamo di regalare all'estero i nostri talenti: una perdita di valore che bisogna fermare. Dobbiamo attrarre e trattenere il capitale umano diminuendo il divario di retribuzione tra il nostro e quello di altri Paesi».
    Le imprese lamentano ritardi, le amministrazioni locali troppa burocrazia. Teme che il Pnrr finisca per essere un'occasione mancata?
    «Certamente abbiamo un problema di burocrazia, ma il Pnrr può essere uno strumento che ci aiuta a superarlo. Il problema è l'interazione con le istituzioni, le cui autorizzazioni non arrivano tempestivamente. Anche questo va superato. Uno degli obiettivi di questo strumento è fare dell'Europa un posto in cui si può lavorare meglio. Detto ciò, potrebbe esserci qualche ritardo – la spesa già realizzata si limita a poco più di un quarto di quanto sarà disponibile (26%) – ma l'Italia è uno dei Paesi sopra la media in termini di assegnazione dei fondi. E questo anche grazie al lavoro del ministro Raffaele Fitto, oggi passato alla Commissione».
    Avete appena presentato un libro sulla storia del Sanpaolo. In un quadro economico così incerto, quali sono le strategie adottate da voi per affrontare le sfide attuali e future?
    «Nel grattacielo di Torino, al piano sotto a quello del mio ufficio, c'è l'Innovation Center, cinghia di trasmissione tra la banca e il mondo dell'innovazione. Attraverso esso controlliamo Neva, un operatore di venture capital. Abbiamo sottoscritto il suo primo fondo con 100 milioni di euro e il presidente Luca Remmert e l'ad Mario Costantini ne hanno raccolti altri 150 sul mercato. Recentemente, abbiamo dato via al secondo fondo in cui noi contribuiamo con 200 milioni e intendiamo raccoglierne sul mercato altri 300. Siamo sicuri che ce la faremo, perché i risultati, anche economici, del primo fondo sono ottimi. Un gruppo grande come il nostro ha la possibilità di investire in conoscenza. Noi guardiamo a lungo termine e questo libro lo evidenzia. Oltre all'innovazione, bisogna essere in grado di affrontare il cambiamento climatico, la distruzione di risorse non riproducibili e l'inquinamento. Cambiare il nostro modo di fare è un'urgenza, ma il processo deve essere socialmente tollerabile».
  2. Quel blitz sui giudici che mina il pluralismo
    Donatella Stasio
    Lo sblocco, improvviso e unilaterale, dell'elezione del quindicesimo giudice della Corte costituzionale conferma, se ce ne fosse bisogno, un tratto identitario del governo Meloni, quello di un potere autoritario, insofferente al pluralismo e ai diritti delle minoranze e, quindi, anche a chi quei diritti è chiamato a tutelare. Come la Corte costituzionale. Che la premier ha deciso di conquistare, forte di una maggioranza "qualificata" ottenuta grazie ai cambi di casacca di alcuni parlamentari. Appropriarsi della Corte significa appropriarsi delle nostre libertà, dei nostri diritti civili e sociali, messi a dura prova in questi due anni di governo. Significa farne ciò che si vuole, senza avere la spada di Damocle di una censura successiva. Significa eliminare ogni argine al proprio potere "assoluto". Ed è quanto sta accadendo sotto i nostri occhi, in un clima politico e mediatico di indifferenza che, forse, è ancora più preoccupante del tentativo delle destre di appropriazione indebita della Corte.
    Lo aveva detto a gennaio: sarebbe stata lei "a dare le carte" nella partita sull'elezione parlamentare dei giudici costituzionali, uno già scaduto a novembre 2023 e altri tre in scadenza a dicembre 2024. Detto, fatto: dopo aver tenuto la Corte zoppa per quasi un anno, ora Giorgia Meloni decide di incassare la sua prima vittoria, senza neanche giocare la partita con l'opposizione, come farebbe chi ha ben chiari i suoi doveri istituzionali rispetto a un organo di garanzia come la Consulta. Un fedele interprete di quei doveri avrebbe cercato subito un candidato che, al di là dell'orientamento culturale, fosse «meritevole, per cultura giuridica, esperienza, stima e prestigio, di assumere quell'ufficio così rilevante», per dirla con le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e sul quale far convergere anche i voti dell'opposizione. Ma la premier non ci pensa proprio a far sedere al tavolo Schlein e compagni. Il trasformismo politico dei parlamentari le ha regalato i 363 voti necessari ad eleggersi da sola i giudici costituzionali, ovvero la maggioranza "qualificata" dei 3/5 di deputati e senatori: un quorum alto – persino più alto di quello richiesto per eleggere il Capo dello Stato – stabilito proprio per garantire la più ampia convergenza politica, in considerazione della funzione "contromaggioritaria" delle Corti costituzionali, nate, dopo l'esperienza tragica del nazifascismo, come limite al potere assoluto e come garanzia del pluralismo e delle minoranze.
    Ma tant'è. Forse anche in vista dell'udienza del 12 novembre in cui la Corte deciderà i ricorsi regionali contro l'Autonomia differenziata, Meloni ha "ordinato" ai gruppi di maggioranza di presentarsi puntuali martedì prossimo alla Camera per votare il "suo" giudice, il primo dei quattro da sostituire, che sarà il "suo" consigliere giuridico, il costituzionalista Francesco Saverio Marini, figlio di Annibale, già giudice ed ex presidente della Corte nel 2005, designato sempre dalla destra.
    Un governo che si sceglie da solo i componenti degli organi di garanzia, sulla base di una maggioranza numerica non uscita dalle urne ma dal cambio di casacca politica di alcuni parlamentari, è assolutamente fuori dalle dinamiche di una democrazia costituzionale. Il che rende concreto il rischio di avere alla Corte non dei giudici ma dei "soldatini" con un preciso mandato politico. Un po' come i giudici della Corte suprema americana voluti da Trump all'epoca della sua presidenza, che il New York Times non chiama più Justice ma Mister, perché quello che era il baluardo della rule of law è diventato il baluardo di una linea politica. Bisogna impedire che avvenga la stessa cosa con la nostra Corte.
    Secondo Massimo Cacciari, stiamo facendo l'abitudine alla guerra e questo rende più difficile la difesa dei principi dello stato di diritto. Le guerre stanno rafforzando unilateralmente i governi, silenziando i Parlamenti e aprendo la strada a regimi autoritari in nome della sicurezza. Anche da noi. Pensiamo al Ddl del governo Meloni, impregnato di cultura del "nemico", che in nome della sicurezza criminalizza anche il dissenso. E pensiamo al divieto di manifestare in piazza. Inquietante, ha scritto ieri Vladimiro Zagrebelsky, ricordando che manifestare il dissenso è «un'esigenza propria del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura senza i quali non esiste società democratica». Eppure, siamo a questo. La Corte costituzionale è, per sua natura, un argine contro questa lenta erosione dei diritti e della democrazia ma i cittadini non lo sanno, altrimenti riempirebbero le piazze, come hanno fatto in altri Paesi, e il governo non tenterebbe di appropriarsene o di fare ostruzionismo alle sue sentenze (vedi il fine vita). Purtroppo, là dove le piazze non si sono riempite, le democrazie si sono svuotate. Perciò, come dice Cacciari, non accontentiamoci di sopravvivere.
  3. Torino, chiuse le indagini su Città della salute. I pm: boom delle visite in intramoenia, danno patrimoniale da 7 milioni di euro
    "Molinette, dieci anni di bilanci truccati Così i direttori incassavano i loro bonus"

    elisa sola
    torino
    Buchi dichiarati, che in realtà erano voragini. Crediti non incassati da anni. Anche da un milione e mezzo di euro. Conti che sembravano puliti. Obiettivi che apparivano raggiunti, con riscossione di bonus. Ma era – o meglio, sarebbe stata – tutta una grande farsa. Almeno questa è la tesi della procura di Torino, che ieri ha chiuso un'inchiesta colossale sui bilanci degli ultimi dieci anni dell'azienda ospedaliero universitaria della Città della salute. Sarebbero falsi. Scritti sulla base di omissioni e dichiarazioni non vere. «In modo da indurre – mettono nero su bianco i pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni – i destinatari delle comunicazioni sociali, compresi i cittadini, a celare il reale andamento economico e patrimoniale» dell'azienda.
    I due magistrati torinesi hanno fatto notificare nelle scorse ore 25 avvisi di garanzia a molti vertici – ed ex – della struttura. Per i presunti bilanci falsi sono indagati l'attuale direttore generale della Città della salute, Giovanni La Valle e i suoi predecessori Silvio Falco, Gian Paolo Zanetta e Angelo Del Favero. Devono rispondere dello stesso reato anche direttori sanitari e amministrativi ai posti di comando negli ultimi dieci anni e vari componenti dei collegi sindacali. Per ogni bilancio esaminato dai carabinieri del nucleo investigativo compaiono anomalie. Cifre che non tornano. Il filo rosso che collega i documenti contabili di un decennio è la falsificazione dei passivi. Nel 2014, per esempio, il risultato di esercizio generale dichiarato relativamente al settore della libera professione era di meno 12 milioni e 753 mila euro. Ma in realtà, il "rosso" reale, sarebbe stato – secondo la procura – più profondo: di meno 14 milioni e 127 mila euro.
    La maggior parte delle cifre "false" per i pm sarebbe relativa alle attività intramoenia dei medici a libera professione, che svolgono in ospedale visite al di fuori del normale orario di lavoro, a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa.
    I conti non tornano, secondo gli inquirenti, perché alcuni indagati avrebbero, commettendo (anche) il reato di truffa, violato la normativa sulla cosiddetta "quota a fondo Balduzzi". Anziché incassare il 5 percento del compenso dei liberi professionisti, destinandolo ad attività di prevenzione o alla riduzione delle lunghe liste d'attesa, i direttori della Città della salute avrebbero evitato di riscuotere sette milioni di euro dal 2015 al 2022. I fatti di reato precedenti al 2018 sono prescritti, quindi l'ammanco relativo a questa contestazione è di un milione e 700 mila euro. Sull'intramoenia si era innescato un circolo vizioso. Più le attività di libera professione si moltiplicavano, più si allungavano i tempi delle liste d'attesa, e viceversa. Le relazioni sulla libera professione sarebbero mandate, con dati falsi, alla Regione Piemonte (persona offesa nel procedimento insieme alla Città della salute e ai ministeri dell'Economia e della Sanità), che avrebbe elargito premi e bonus ai direttori, leggendo che avevano raggiunto determinati obiettivi. Tra cui, paradossalmente, quelli del «miglioramento dei tempi di attesa».
    Al di là di questo, ci sarebbero altre anomalie nei bilanci dell'ente. Una serie di crediti non riscossi risalenti a vicende giudiziarie, fallimenti, o fatti misteriosi ancora da accertare. Nel 2015, per esempio, gli indagati avrebbero omesso di svalutare i crediti nei confronti del fallimento di Ristor matik, società che gestiva la distribuzione di bibite e alimenti. L'importo complessivo è di un milione e 212 mila euro. Nessuno sa dove siano finiti quei soldi. E perché nessuno ha provato a riscuoterli. E ancora. Nel bilancio del 2017 sarebbero stati svalutati crediti nei confronti della Fondazione Ordine Mauriziano per quasi tre milioni di euro. Mancherebbe anche, nelle casseforti, un milione di euro che Michele Di Summa, cardiochirurgo condannato, avrebbe dovuto risarcire a Città della salute. È solo uno dei tanti misteri dell'indagine. —
  4. I boss al telefono: i Belfiore mirano al parcheggio dell'Allianz
    «Mi volevo prendere il parcheggio dello stadio di Torino, ma c'è la famiglia Belfiore che sono di San Luca e sono forti anche a Torino, hai capito?». Le mire di espansione di Giuseppe Caminiti, gestore-ombra dei parcheggi intorno a «San Siro», sono rimaste solo idee che non si sono mai concretizzate. Più volte l'ultrà nerazzurro-narcotrafficante, arrestato due volte la scorsa settimana per associazione per delinquere e per un omicidio del 1992, con l'imprenditore Gherardo Zaccagni ha pensato di poter entrare nel controllo delle aree di sosta dello Juventus Stadium. Come emerge dall'inchiesta della Dda milanese, che ha azzerato i direttivi delle Curve di Inter e Milan, a frenare le voglie di Caminiti sarebbe stato il suo protettore Giuseppe Calabrò, detto "dutturicchiu", eminenza grigia al Nord-Ovest delle famiglie di ‘ndrangheta. «Lo avevo chiesto a Peppe (Calabrò, ndr) e m'ha detto: "Pino.. non è giusto. Torino va bene, però magari se ci sono gli altri che mangiano non puoi tirargli via il mangiare dalla bocca. Tu ha già Milano. Tieniti Milano». A.SIR. —

 

 

 

06.10.24
  1. - Alla fine dell’estate del 2024 se n’è andato all’età di quasi 91 anni Bruno Sacco. Italiano di nascita (viene alla luce a Udine il 12 novembre del 1933) e tedesco di adozione, il suo nome è strettamente legato a quello della Mercedes, dove è entrando come designer nel 1958 dopo gli studi in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino e alcune esperienze alla Ghia e alla Pininfarina. Dal 1975 è lui il capo del centro stile di Sindelfingen e resta responsabile di ogni auto (ma anche autobus e camion) con la stella fino al suo pensionamento nel 1999. In oltre 40 anni di lavoro ha firmato modelli iconici, che resteranno per sempre nella storia dell’automobile. Ho avuto il piacere di cenare con lui 40 anni fa e lo ricordo molto piu' dispobile ed affabile  a rispondere alle mie domande , come Giugiaro , al contario di Ramaciotti, capo designer di Pininfarina e Marchionne che quando piu' mi evita.
  2. Il ministro: coinvolte grandi imprese estere
    Urso rilancia sul nucleare: "Si parta ora" Sui chip verso investimenti per 10 miliardi
    Nucleare e semiconduttori sono al centro dei progetti del ministero delle Imprese e del Made in Italy, guidato da Adolfo Urso. «Il nucleare di terza generazione avanzata e poi quello di quarta generazione, infine il sogno che renderemo realtà della fusione nucleare, sono opportunità, anche e direi soprattutto, per l'Italia», ha spiegato il ministro. Secondo cui «sarà un processo di medio termine, ma che dobbiamo iniziare da subito».
    Allo stesso tempo, si punterà anche sulle nuove tecnologie. In particolare, i chip. «Nel 2024 chiuderemo accordi per quasi 10 miliardi di investimenti nei semiconduttori. Il rilancio della nostra tecnologia passa dal coinvolgimento di grandi imprese estere sia a Taranto, e negli altri siti di acciaieria d'Italia, che a Piombino», ha evidenziato.
  3. l caso
    Salassi
    tabacchi
    "
    Maria Castellone vicepresidente Senato
    Paolo Russo
    Una super tassa di scopo sulle sigarette per finanziare la sanità. L'idea non è nuova ma questa volta, con la caccia aperta ai fondi per asl e ospedali, potrebbe avere più chance di tagliare il traguardo. Perché non solo l'appoggiano gli oncologi e le opposizioni, ma riscuote consensi anche in frange della maggioranza.
    L'idea lanciata dai medici oncologi dell'Aimo della vice presidente del Senato, la pentastellata Maria Domenica Castellone, prevede di aumentare di 5 euro il costo di un pacchetto di sigarette per ricavarne un gettito di 13,2 miliardi da mettere sul piatto della sanità, riducendo contemporaneamente consumi e tumori. E realizzando un extra gettito che consentirebbe di riallineare il finanziamento della sanità rispetto al Pil agli standard europei. L'ipotesi non la disegna nemmeno il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che sa però quanto poco favore incontri nel Palazzo dell'Economia, dove temono non solo un crollo dei consumi e quindi del gettito legato alle accise sulle bionde, ma anche un drastico calo della produzione nazionale di tabacco e dell'occupazione a questa collegata. Una analisi contraddetta dalla Castellone, «perché in realtà solo l'1% della produzione del tabacco consumato in Italia è prodotto nel nostro Paese, mentre la produzione nostrana è oramai altamente automatizzata».
    Ma in caso di muro da parte del Tesoro, 5S e il Pd, che appoggia l'iniziativa, hanno già un piano B. «Stiamo lavorando anche a una seconda ipotesi di un aumento limitato a meno di un euro a pacchetto che consentirebbe comunque di introitare circa 3 miliardi di euro», rivela la vice presidente del Senato. Somma che corrisponde a quanto Schillaci va cercando per finanziare la prima tranche del suo piano di assunzioni di medici e infermieri più la detassazione al 15% della indennità di specificità medica, che prendono tutti i camici bianchi ospedalieri, che in tal modo metterebbero in tasca circa 250 euro in più al mese. Un incentivo utile ad arginare la loro fuga dalla sanità pubblica. L'idea di tassare le sigarette per curare la sanità non piace comunque solo alle opposizioni. Come ammette la stessa Castellone, «ci sono stati contatti con ampie frange della maggioranza e l'idea ha trovato consensi soprattutto tra le fila di Fratelli d'Italia, dove al contrario non è vista di buon occhio l'idea alla quale starebbe lavorando il Mef di finanziare con nuove tasse la sanità pubblica». La tassa sulle bionde, maxi o mini che sia, dovrebbe entrare in manovra con un emendamento. Ma nel caso questo non fosse approvato c'è un'altra strada che si potrebbe seguire.
    «Grazie ad un cambio di regolamento del Senato, se ci sono proposte di iniziativa popolare che raccolgono 50mila firme, queste - spiega Castellone - possono essere discusse in aula entro tre mesi dalla data in cui sono depositate. Possiamo coinvolgere i cittadini su questo argomento». E i sondaggi dicono che non sarebbe un'impresa raggiungere il quorum. Secondo un'indagine del 2024 commissionata dall'Istituto farmacologico Mario Negri, il 62% degli italiani sarebbe favorevole a una tassa sul tabacco per finanziare l'Ssn. Anche la Banca mondiale approva, considerando la sovrattassa una delle più efficaci forme di lotta al tabagismo, visto che a un aumento del 10% del prezzo corrisponde un calo del 4% dei consumi.
    «Chiediamo alle Istituzioni di approvare una tassa di scopo sulle sigarette, con il duplice obiettivo di disporre di ulteriori risorse per l'Ssn e di ridurre il consumo di tabacco, perché il tabagismo è un fattore di rischio anche per altre neoplasie, per malattie cardiovascolari e respiratorie», afferma il presidente dall'Aiom, Francesco Perrone. E i numeri gli danno ragione, perchè 9 diagnosi di tumore al polmone su 10 sono causate dal fumo, al quale in Italia possono essere attribuiti 40mila nuovi casi l'anno, che diventano 93mila considerando anche le altre forme di cancro, che costano al paese 26 miliardi in cure.
  4. Morte
    I precedenti
    sui
    binari

    filippo fiorini
    San Giorgio di Piano
    Tre ore prima dell'alba di ieri, tra una fila di more selvatiche e 9 colleghi che saldavano una rotaia, Attilio Franzini è finito sotto a un treno. Probabilmente perché aveva appena rallentato per attraversare la stazione di San Giorgio di Piano, l'intercity partito da Bologna e diretto a Trieste era praticamente impossibile da sentire, se non all'ultimo secondo. Il 47enne è stato colpito di spalle.
    La sua squadra operava su un binario morto, il 4. Tra loro e il trasfertista di Formia, Latina, c'era un'altra via di manovra, il binario 3, che come il precedente si estende poco oltre la lunghezza delle pensiline della stazione ed è transennato a nord e sud. Poi, il binario 2, soppresso nella notte per garantire la sicurezza del cantiere. Attilio era sul numero 1, l'unico attivo. Perché?
    Una torre faro mobile con generatore annesso. Una troncatrice per rotaie. Il carrello di servizio appoggiato a un muro e una tanica blu:
    Questo è quel che resta del posto di lavoro in cui è caduta la più recente delle oltre 370 morti bianche registrate quest'anno in Italia. È sotto sequestro dalle 4,30 di ieri. Un'indiscrezione proveniente dall'indagine per omicidio colposo, che la procura di Bologna ha aperto contro ignoti e che sta conducendo attraverso la Polfer, sostiene che i colleghi di Franzini abbiano detto che stava trasportando degli attrezzi verso un capanno. Ma non c'è nessun capanno in quella direzione e gli attrezzi sono tutti sul lato sicuro della massicciata. Un'altra fonte riferisce invece che nessuno dei sopravvissuti abbia spiegato perché uno di loro stava in mezzo a un binario aperto.
    Se tutte le persone presenti in loco, in servizio sui treni e nelle centrali di controllo avessero seguito alla lettera quanto indicato nelle oltre 200 pagine del documento "Istruzione per la protezione nei cantieri" che Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) aggiorna dal 1986 a oggi, se tutti i meccanismi avessero funzionato correttamente, il fatto non sarebbe accaduto. Qualcosa, però, è andato ancora una volta tragicamente storto. A qualche ora dall'incidente, con il traffico attorno al nodo già ripreso e solo qualche ritardo sui convogli in viaggio tra Bologna e Venezia, è possibile affermare solamente che i semafori e i segnali acustici funzionano.
    Qualche anno fa, Franzini aveva lavorato alla nettezza urbana di Formia. In seguito, è passato alla Salcef, una società per azioni di Roma che aveva in appalto le riparazioni in cui ha perso la vita. Tanto questa società, come Rfi, e il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, hanno espresso «cordoglio e vicinanza alla famiglia», offrendo collaborazione e rimettendosi all'esito dell'inchiesta per esprimere ulteriori commenti. Attilio non era sposato e non aveva figli. Suo fratello Emanuele l'aveva sentito al telefono poco prima che incominciasse il suo ultimo turno di lavoro. «Si era lamentato della pioggia e del freddo». Si è raccomandato con lui che stesse in riguardo e poi, le chiamate del giorno dopo non hanno più ricevuto risposta.
    Oltre a Emanuele, lascia un altro fratello, Andrea, e il padre, Gino. Il sindacato Fiom-Cgil ha indetto uno sciopero di 4 ore alla Salcef. Molte altre associazioni di lavoratori ed esponenti politici hanno denunciato il preoccupante susseguirsi di morti bianche, usando termini come «strage» o «guerra». Hanno denunciato le storture derivanti dal sistema dei subappalti e accusato il governo di non fare abbastanza per la sicurezza. Nei primi 5 mesi del 2024, l'Inail ha contato 369 vittime, un aumento del 3, 1% rispetto al 2023.
    Per il contesto in cui è avvenuta, la morte di Franzini ricorda la strage di Brandizzo: in quella stazione, la notte del 30 agosto 2023 Michael Xanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Aversa, Saverio Giuseppe Lombardo e Kevin Laganà, operai in subappalto, morirono investiti da un treno, mentre riparavano i binari della Torino-Milano.
    Massimo, padre dell'ultimo di questi cinque uomini, ha detto: «Nessuno sta facendo un bel niente. Tutti promettono, a partire dai politici, e poi si continua a morire. Brandizzo non ci ha insegnato nulla».
  5. Si è concluso il processo d'appello Platinum sulle infiltrazioni della 'ndrangheta a Volpiano Pene fino a sei anni e undici mesi per Mario Vazzana, al fratello Giuseppe sei anni e otto mesi
    Condannati i "boss imprenditori" Assolto l'agente della municipale

    andrea bucci
    ludovica lopetti
    Si è concluso con tre condanne e due assoluzioni il secondo grado del processo Platinum sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Canavese, tra Volpiano e Chivasso. Ieri la Corte d'Appello ha confermato le condanne inflitte in primo grado per associazione mafiosa nei confronti dei fratelli imprenditori Mario e Giuseppe Vazzana. Erano proprietari di un impero tra hotel, auto e conti correnti per un totale di oltre otto milioni di euro, disseminato tra Chivasso, dove gestivano un bar, Volpiano - dove avevano un ristorante, una tabaccheria e due locali - e il Canavese.
    Considerati 'ndranghetisti di rango (quantomeno dal 1991) e legati alla potente enclave mafiosa degli Agresta, per i Vazzana ieri la Corte ha confermato le condanne in primo grado, infliggendo a Giuseppe Vazzana sei anni e otto mesi e al fratello Mario sei anni e undici mesi. È stata confermata, inoltre, la condanna a dieci mesi verso Antonio Agresta.
    Al processo è stato invece assolto Paolo Busso, agente della polizia municipale di Volpiano accusato di aver ‘abbuonato' sei multe a Giuseppe Vazzana (condannato a 6 anni e 8 mesi) e aver tratto in inganno una funzionaria dell'anagrafe per ottenere un indirizzo. Busso era accusato di abuso d'ufficio. È stato assolto «perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato» in seguito alla riforma Nordio. Riguardo alla seconda contestazione di cui doveva rispondere, la Corte ha giudicato «di particolare tenuità» l'accesso abusivo a sistema informatico che, secondo l'accusa, avrebbe commesso il vigile, che dovrà risarcire di mille euro il comune di Volpiano (assistito dall'avvocato Giulio Calosso).
    «È stata ridata dignità a una persona che non meritava di essere implicata in una vicenda molto più grossa di lui», ha commentato l'avvocata Gabriella Vogliotti, che difende Busso, dopo la sentenza.
    Con la stessa formula - «il fatto non è più previsto dalla legge come reato» - è stato assolto anche Domenico Aspromonte, che era imputato per la bancarotta dell'hotel La Darsena. In primo grado era stato condannato a sei mesi.
    Per Aspromonte il pm Valerio Longi aveva contestato l'associazione di stampo mafioso e l'estorsione in relazione a una vicenda relativa al ristorante Lago Reale. Durante le trattative per acquistare un'altra attività commerciale attraverso la srl omonima, Aspromonte e i fratelli Mario e Giuseppe Vazzana avrebbero chiesto un forte sconto sul prezzo d'acquisto - 200 mila euro a fronte di 290 mila chiesti dai venditori - per via di un presunto abuso da sanare, minacciando di fare «un lago di sangue». Il tribunale ha riqualificato il reato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni e aveva prosciolto gli imputati per difetto di querela, visto che le vittime non avevano denunciato e il reato non è procedibile d'ufficio. «Non hanno escluso la sussistenza dei fatti, cancellati i reati, ma non i favori», commenta l'avvocato Calosso. Al processo, oltre a Volpiano, si è costituito parte civile anche il Comune di Chivasso, assistito dall'avvocato Andrea Castelnuovo. «Non c'è spazio per nessuna attività legata direttamente o indirettamente alla criminalità organizzata nel territorio cittadino», ha detto.—

 

 

05.10.24
  1. tenuta a gaza da un miliziano legato a isis
    L'Idf libera una yazida rapita 10 anni fa
    L'esercito israeliano ha annunciato il salvataggio di una donna yazida di origine irachena che era stata rapita dieci anni fa ed era tenuta prigioniera nella Striscia di Gaza da un miliziano di Hamas con legami con lo Stato Islamico (Isis). Le forze israeliane hanno spiegato che il miliziano è stato ucciso durante la guerra a Gaza, forse a causa di un bombardamento israeliano, e la donna, identificata come Fawzia Amin Sido, 21 anni, ha poi colto l'occasione per fuggire. La giovane donna è stata trasferita prima in Giordania e infine in Iraq, dove si trova la sua famiglia. L'attivista yazida irachena Nadia Murad, premio Nobel per la pace 2018, ha affermato su X che «questa ragazza yazida è stata rapita nel 2014. Dopo la caduta del califfato in Iraq e Siria (rispettivamente nel 2017 e nel 2019), l'Isis l'ha trasferita a Gaza. Ma non è l'unica detenuta a Gaza dall'Isis».
  2. UNA RETE MISTA AV E NORMALE NON E' SICURA LO VEDRETE AL PROSSIMO INCIDENTE :Non c'è una vera linea per l'alta velocità noi appesi a un chiodo per altri 10 anni
    Andrea Giuricin
    L'Italia spaccata in due da un chiodo apre una riflessione sul sistema ferroviario italiano che è e rimane un esempio a livello globale per quanto riguarda la liberalizzazione dell'alta velocità.
    Il guasto di ieri deve ancora essere compreso completamente, anche perché sembra una vicenda abbastanza assurda. Al di fuori di quanto le indagini in corso indicheranno circa le responsabilità, ci sono diversi fattori per i quali i guasti creano dei problemi così vasti sia in termini temporali che in termini geografici.
    In primo luogo, è chiaro che il Pnrr ha degli effetti importanti proprio sulla situazione attuale, perché i quasi 30 miliardi di euro d'investimenti (compresi i soldi derivanti dai fondi europei Cef), hanno un impatto con migliaia di cantieri aperti contemporaneamente.
    Questi cantieri provocano ritardi e cancellazioni sia per il settore passeggeri che per il settore merci, che in realtà in questo momento è in grandissima sofferenza con perdite di quasi 100 milioni di euro come ricorda spesso l'associazione Fercargo.
    I lavori, come quelli di questa estate che hanno portato ad avere allungamenti dei tempi di percorrenza per l'alta velocità tra Roma e Milano, sono necessari per migliorare la nostra infrastruttura che per tanti anni non ha visto grandissimi lavori.
    Questi lavori sulla rete, che continueranno fino al 2026 e oltre, creano problemi aggiuntivi quando ci sono dei guasti all'infrastruttura, perché eliminano di fatto i buffer esistenti (come se non ci fossero più delle vie alternative).
    Tornando al guasto di ieri, c'è da fare una puntualizzazione importante. L'incidente è successo nel nodo urbano di Roma, il più trafficato d'Italia e che, come ogni nodo urbano, vede insistere il traffico non solo dell'alta velocità, ma anche di treni regionali, intercity e finanche treni merci.
    Il traffico misto nei nodi è una caratteristica italiana e provoca complicazioni che ad esempio in Giappone, Spagna o Francia non esistono, perché in quei paesi, l'alta velocità viaggia completamente su linee dedicate e separate dal restante traffico.
    Il nodo di Roma, al minimo problema rischia di andare in difficoltà perché il traffico è molto denso. Solo nella stazione di Roma Termini ogni giorno transitano circa 1000 treni e di questi solo 300 treni sono ad alta velocità.
    La gran parte del traffico è dato dai treni pendolari che nel caso della stazione principale di Roma incidono per quasi i due terzi del traffico complessivo.
    Quindi si comprende che c'è necessità non solo di diminuire i guasti, e anche per questo ci sono i grandi investimenti di RFI, ma anche di avere strategie di corto, medio e lungo termine.
    Partiamo dal lungo termine e in questo caso si parla di grandi opere infrastrutturali. Si può pensare al nodo di Firenze, storicamente molto trafficato e in questo caso si sta costruendo un passante con la nuova stazione di Belfiore, dando una soluzione alternativa come succede ormai da qualche anno anche a Bologna. Ci vorrebbe probabilmente un passante per l'alta velocità anche a Milano, ma è chiaro che per queste opere ci vogliono lustri e non anni.
    Ci sono poi soluzioni di medio termine, quale ad esempio la soluzione tecnologica dell'Ertms alta densità. Questo sistema di segnalamento permette di avere più treni a distanziamento minore ed in sicurezza sulle stesse linee esistenti. Di fatto si crea nuova capacità proprio in quei nodi dove la capacità inizia ad essere scarsa.
    Infine, nel breve termine c'è da risolvere il problema della congestione nelle due principali stazioni italiane, vale a dire Roma Termini e Milano Centrale. In questo caso la soluzione passa attraverso una prioritizzazione del traffico che deve essere fatta in funzione di criteri socio-economici. I treni "meno importanti" devono fermarsi nelle stazioni di Roma Tiburtina e Milano Garibaldi, andando a risolvere parzialmente e nel breve periodo i problemi delle stazioni congestionate.
    C'è però da essere franchi e ricordare che, con i tanti lavori sulla rete attuale, i problemi continueranno ad esserci per i prossimi anni. —
    *Docente di Economia dei trasporti all'Università Bicocca
  3. nove indagati. Perquisite le sedi di roma, milano e firenze
    Indagine sugli appalti concessi dall'Anas Accuse di corruzione per 846mila euro
    monica serra
    milano
    Mazzette in cambio di gare da centinaia di milioni di euro. È questa l'ipotesi della procura che indaga su un presunto sistema di appalti pubblici truccati che ruota attorno ai fratelli Stefano, Luigi e Marco Liani. Il primo è tuttora responsabile della struttura Anas Toscana, gli altri due «ex funzionari pubblici che, in virtù del ruolo rivestito in Anas, dopo aver interrotto il rapporto lavorativo con la società pubblica per passare all'imprenditoria privata, continuavano a operare nel settore dell'edilizia pubblica e della costruzione e manutenzione di strade e autostrade attraverso società a loro riconducibili» come si legge nei decreti con cui ieri il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf ha perquisito le tre società riconducibili alla famiglia Liani e i nove indagati coinvolti nell'inchiesta: 4 di loro sono ancora oggi funzionari Anas. Acquisizioni di documenti sono state condotte invece nelle sedi di Anas di Roma, Milano e Firenze. Ma anche negli uffici del Consorzio stabile Sis di Torino che fa capo alla famiglia Dogliani.
    Quattro gli episodi su cui stanno lavorando i pm coordinati dalla procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano, che ipotizzano a vario titolo le accuse di corruzione, turbativa d'asta e rivelazione del segreto d'ufficio. Il primo ruota attorno al Consorzio stabile Sis che non risulta indagato.
    Si sarebbe aggiudicato nel 2019 un appalto da oltre 388 milioni di euro per i lavori sulla SS340 Regina – Variante Tremezzina mentre «intratteneva rapporti di lavoro personali» per cui pagava fatture a Stefano Liani (486 mila euro) e al collega Eutimo Mucilli (360 mila euro). Somme per i pm «funzionali a garantire fedeltà e benevolenza dei due alti dirigenti pubblici». Gli altri episodi riguardano invece due lotti della A4 Brescia-Soave; i 33 km della SS 469 Sebina occidentale (un appalto da 2 milioni e mezzo di fatto subappaltato alla Nuove iniziative spa di Marco Liani) e quello per i lavori della Statale 412 della Val Tidone.
  4. l'allarme nel Rapporto aris: 6 pazienti su 100 vittime di infezioni durante la degenza
    "Settemila decessi l'anno per gli errori in corsia"
    paolo russo
    Un milione di ricoverati l'anno è vittima di errori in corsia. E tra i sei e i settemila muoiono a causa di questi. Un intervento o una terapia sbagliati, ma in oltre sei casi su dieci per colpa delle infezioni contratte proprio in ospedale. Per uso improprio dei cateteri, per scarsa igienizzazione degli ambienti e degli impianti di aerazione. O perché non si fanno i tamponi in ingresso ai pazienti fragili che possono così portare in corsia i super batteri resistenti agli antibiotici, come la Klebsiella o il Clostridium difficile. Fatto è che i nostri nosocomi sono molto meno sicuri di quel che dovrebbero. A denunciarlo è un Rapporto dell'Aris, l'associazione degli ospedali cattolici. Una pandemia silente che per ogni 100 pazienti ricoverati – si legge nel rapporto- ne colpisce 6,3, vittime di infezioni durante la degenza in ospedale. Su un totale di oltre 10 milioni di ricoveri annuali oltre 600 mila si infettano e almeno l'1%, ossia seimila e più di questi pazienti, va poi incontro al decesso. Morti evitabili in oltre il 50% dei casi con una corretta adesione alle linee guida di prevenzione, quelle per le infezioni del sito chirurgico in particolare.
    Se errori ed infezioni dilagano nei nostri ospedali, altrettanto rapidamente lievitano i contenziosi giudiziari, che oramai marciano al ritmo di 30 mila cause l'anno, mentre sono 3,8 milioni i casi pendenti nei tribunali. Una mole di contenziosi che finisce per costare 11 miliardi l'anno, spingendo verso la cosiddetta "medicina difensiva", quella che per paura di incappare in una causa fa prescrivere o operare ai medici anche quando non serve e li frena a farlo quando invece servirebbe ma i rischi per i pazienti sono troppo alti. —

 

 

 

04.10.24
  1. la procura di firenze: non ha comunicato i 42 milioni in regalo
    "Processate Dell'Utri per i soldi da Berlusconi"
    La procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio per Marcello Dell'Utri e per la moglie Miranda Ratti in relazione alla mancata comunicazione delle variazioni patrimoniali, cosa cui Dell'Utri era tenuto per la legge Rognoni-La Torre come condannato con sentenza definitiva per concorso esterno in associazione di tipo mafioso nel 2014. Le accuse, a vario titolo, sono di trasferimento fraudolento di valori e di mancata comunicazione delle variazioni le quali, nei saldi di un decennio, la Dda di Firenze ha stimato per un ammontare di 42.679.200 euro. Nel marzo 2024 la Dda aveva ottenuto il sequestro preventivo di 10,8 milioni di euro individuati nei flussi nei conti correnti di Dell'Utri e di sua moglie. Per l'accusa le movimentazioni di denaro da Berlusconi verso i conti di Miranda Ratti erano in realtà a favore di Dell'Utri, ma lui non avrebbe comunicato niente alle autorità.
  2. LUIGI CHIAPPERO Parla l'avvocato che denunciò il racket per conto della Juventus
    "Stop al monopolio delle curve nel tifo bisogna vietare le trasferte ai gruppi"
    giuseppe legato
    torino
    In passato, ha assistito la Juventus in un lungo percorso di denuncia a proposito di minacce e intimidazioni degli ultrà alla società concluso con le condanne dei tifosi. Ed è dunque, l'avvocato Luigi Chiappero un tecnico sul tema stadi e curve.
    Cosa sta succedendo negli stadi italiani?
    «Direi che finalmente ci si sta muovendo per capire cosa succede all'interno delle strutture che non sono più zone franche. Il caso di Milano si configura come un intervento quanto mai opportuno».
    Dica la verità, le sembra un film già visto: ultrà che ricattano personale delle società, criminalità comune e organizzata che scalano le gerarchie del tifo…
    «La fermo subito».
    Per dire cosa?
    «Che a Torino la chiarezza è stata fatta anni fa senza che ci scappasse il morto per merito di un'azione congiunta di procura, questura e società».
    Perché siamo arrivati a questo punto?
    «Sono state tollerate situazioni che in fondo andavano bene a tutti. Perché fa piacere vedere le curve colorate che fanno festa negli stadi. Ma è ora di cambiare mentalità».
    E come si cambia la testa del tifoso?
    «Comprendendo che il tifo non è appannaggio dei gruppi organizzati, ma è di tutti. Mi passi la battuta: abbiamo in Italia una tradizione canora internazionale e non mi pare il caso di appaltare a un ultrà il lancio dei cori salvo poi sentire che il primo è "Noi non siamo napoletani"? Io, il Napoli, lo voglio battere 4-0 sul campo».
    Gli arresti risolvono da soli la questione?
    «Le investigazioni hanno liberato gli spazi che ci erano stati tolti per una nuova democrazia negli stadi. Sta a noi, tifosi comuni e appassionati riappropriarci di essi. Serve un cambio culturale. E poi c'è il tema trasferte»
    Cosa c'entrano le trasferte?
    «Ci vuole una uniformità di trattamento da parte di tutte le questure d'Italia: per esempio a Torino c'è molta rigidità nel senso che chi viene da fuori e non è in regola viene fermato fuori dallo stadio».
    E poi?
    «E poi è impensabile che delle persone per bene, che stanno a Torino e domenica prossima vogliono vedere il loro Cagliari in curva debbano aspettare un'ora per uscire dallo stadio scortati da un numero imponete di forze dell'ordine. Piuttosto si vietino le trasferte ai gruppi organizzati».
    Basta questo?
    «Ovviamente no. Una volta fatti gli interventi che stiamo vedendo bisogna essere in grado di mantenere la situazione regolarizzata. Sento dire che qualcuno vuole dare più potere ai privati, non è questa la strada».
    Per intenderci: non basta aumentare il numero degli steward?
    «Un ragazzo di 22 anni, anno più anno meno, pagato pochi euro l'ora, euro più euro meno, non può fronteggiare situazioni che già sono difficili per chi della tutela della sicurezza ne ha fatto un mestiere».
    Cosa devono fare le società?
    «C'è un profilo tecnico oltre che di merito: devono mettere a disposizione degli stadi moderni che abbiano tecnologie tali da mettere gli inquirenti nelle condizioni di intervenire con fermezza: e in Italia ci sono pochissime strutture attrezzate per questo».
  3. Feletto, il titolare di una ditta di materiale elettrico insospettito per gli ammanchi in magazzino La indagini dei carabinieri hanno portato a perquisizioni e denunce: due uomini e una donna
    Dipendenti infedeli in fabbrica rubavano per rivendere sul web

    alessandro previati
    Avevano organizzato tutto nei minimi dettagli: dal furto dei materiali fino alla vendita online sottoprezzo. A metterli nei guai, prima ancora delle meticolose indagini dei carabinieri di Rivarolo, ci ha pensato la frequenza stessa dei furti che, alla fine, ha insospettito i responsabili dell'azienda.
    Tre persone, due uomini di 33 e 44 anni e una donna di 46, sono stati denunciati per ricettazione in concorso dai militari dell'Arma. Uno dei complici è un dipendente di una ditta di Feletto, la Zeca, alla quale, secondo le indagini, era solito sottrarre dai magazzini, turno dopo turno, materiali elettrici di vario tipo. In particolare torce, lampade, avvolgi tubi e cavi. Tutti oggetti facili da rivendere via internet per i quali c'è sempre una grande richiesta. L'indagine lampo è nata a seguito della denuncia del titolare dell'azienda che, insospettito dagli ammanchi consistenti nel magazzino della propria ditta, ha deciso di rivolgersi ai carabinieri di Rivarolo. Ed è allora che i militari hanno individuato l'autore dei furti in un dipendente della ditta in questione, scoprendo quasi subito dei rapporti piuttosto stretti fra questo ed un altro operaio, ex dipendente della stessa azienda. Una serie di controlli a spot, nel corso delle ultime settimane, hanno permesso di acquisire la certezza del coinvolgimento dei due. Così l'altro giorno è scattata una perquisizione a carico del dipendente dell'azienda di Feletto, proprio al termine del turno di lavoro. I sospetti si sono concretizzati quando gli investigatori, nascosto nell'auto, hanno ritrovato del materiale appena sottratto dal magazzino. A quel punto sono scattate ulteriori perquisizioni, nelle abitazioni dei due uomini e della fidanzata di uno dei due.
    I militari hanno così potuto recuperare un'ingente quantità di materiale sottratto precedentemente allo stabilimento di Feletto, per un valore complessivo di circa 50 mila euro. Alcuni pezzi, trovati a casa della donna, erano già impacchettati e pronti per essere spediti a seguito della vendita on-line. Tutta la refurtiva è stata sequestrata in attesa della restituzione al legittimo proprietario. I tre, invece, incensurati e residenti in Canavese, sono stati denunciati a piede libero alla procura di Ivrea. Secondo le indagini la loro attività era iniziata già nella primavera dello scorso anno ed ora sono in corso ulteriori accertamenti per ricostruire la filiera dei clienti che (probabilmente) in buona fede, attraverso alcune piattaforme online, hanno acquistato i materiali rubati. Tutte transazioni probabilmente tracciate che serviranno a chiarire il giro d'affari messo in piedi dai tre. La facile vendita online, seppur a prezzi scontati, ha evidentemente convinto i componenti della banda a continuare con i furti, forse aumentando anche la frequenza dei «prelievi» non autorizzati dal magazzino. Un errore perché in questo modo l'imprenditore di Feletto si è accorto degli ammanchi e i carabinieri di Rivarolo sono riusciti ad incastrarli.

 

 

03.10.24
  1. Liste d'attesa
    la grande illusione
    Paolo Russo
    roma
    «Decreto fuffa» lo aveva definito Elly Schlein, vista la pochezza di risorse stanziate in piena campagna elettorale dal governo per abbattere le liste di attesa. Ora a distanza di 4 mesi dal suo varo, il DL venduto come toccasana per accorciare i tempi per visite e tac è ancora fermo al palo, perché mancano tutti i provvedimenti attuativi previsti per mettere le gambe al "piano Schillaci".
    Tanto per cominciare non c'è traccia del provvedimento che dovrebbe definire le modalità di applicazione della norma "salta code". Nucleo centrale del decreto, nel quale si stabiliste il diritto dell'assistito ad ottenere in automatico il rimborso delle prestazioni ottenute dal privato quando il pubblico non rispetta i tempi massimi stabiliti dal Piano nazionale liste di attesa. In teoria un passo avanti rispetto a oggi, perché al momento prima si anticipano i soldi e poi si chiede il rimborso con tanto di Pec e prova documentale di non aver ottenuto la prestazione nei tempi massimi stabiliti per legge. Un percorso arzigogolato che rende di fatto inesigibile il diritto. Che tale resterà fino a quando non verrà alla luce il decreto attuativo che spiega come saltare la fila senza sborsare denaro. Anche perché nessuno a fino ad ora visto il protocollo d'intesa Salute-Mef-Regioni che deve indicare come impiegare le risorse non spese in passato per abbattere le liste di attesa. Parte di 500 milioni, probabilmente insufficienti a finanziare il "salta code", ma che così resteranno ancora chissà per quanto inutilizzati. L'intesa era attesa entro 60 giorni dal varo del decreto legge ma non ce n'è nemmeno traccia.
    Missing è poi il decreto attuativo di un altro tassello fondamentale, quello che fa scattare i poteri sostitutivi dello Stato quando le Regioni sono inadempienti nell'applicare le misure taglia liste. In un primo momento il provvedimento, fortemente voluto da Schillaci, affidava al suo ministero poteri ispettivi e sanzionatori, che arrivavano ad attribuire agli ispettori ministeriali il compito di far scattare sanzioni e persino le manette nei casi più gravi. Una stretta che aveva fatto insorgere i governatori che erano riusciti ad ottenere da Giorgia Meloni il depennamento della norma, mitigato però dai poteri sostitutivi dello Stato, senza i quali anche il resto del castello rischia di sgretolarsi, lasciando in ogni caso alle regioni il doppio ruolo di controllori e controllati. La definizione dei poteri sostitutivi doveva essere messa nero su bianco entro il 7 luglio ma ancora si è in attesa di un testo. Così come manca il decreto, previsto entro 30 giorni, che dovrebbe provvedere alla «Classificazione e Stratificazione della popolazione», ossia a programmare l'offerta delle cure. Aspetto non trascurabile del piano taglia tempi di attesa.
    L'unico decreto attuativo messo per ora nero su bianco è quello che contiene le linee guida per realizzare la piattaforma nazionale sulle liste d'attesa, essenziale per monitorare i tempi di attesa reali per visite specialistiche e accertamenti diagnostici, visto che quelli riportati dai siti regionali risultano essere spesso poco attendibili. Un tassello importante del piano, perché bisogna prima sapere dove le cose non vanno per poter poi intervenire. Secondo il decreto di giugno le linee guida dovevano essere adottate entro 60 giorni dal suo varo, ossia al massimo il 29 agosto. Da pochi giorni abbiamo il testo che è però ben lungi dall'essere approvato dalla Conferenza delle Regioni, che ne ha appena iniziato l'esame a livello tecnico. Con il risultato che, secondo quanto ammesso dallo stesso ministero della Salute, la piattaforma non sarà operativa prima di gennaio, se non febbraio. Come dire che fino ad allora non sarà possibile sapere chi rispetta i tempi e chi no e quindi nemmeno mettere in atto le misure pensate per accorciare i tempi.
    «Questo ritardo sul piano è inaccettabile, incomprensibile e insostenibile per i cittadini che si misurano tutti i giorni con il problema di attese troppo lunghe per curarsi. Se Regioni e governo ritardano ancora bisogna pensare a un commissario straordinario per le liste d'attesa», propone Tonino Aceti, presidente di Salutequità. Tentando così di tirare fuori il decreto liste di attesa dalle sabbie mobili in cui lo tiene impantanato la burocrazia.
  2. L'affaire
    Scajola

    mattia mangraviti
    imperia
    Una nuova grana, fonte di più di qualche imbarazzo, si abbatte su Claudio Scajola. La causa sull'ineleggibilità a sindaco di Imperia approda davanti alla Cassazione. È l'ultimo capitolo di una vicenda nata dal ricorso presentato da tre consiglieri comunali di opposizione, Ivan Bracco, Luciano Zarbano e Lucio Sardi, contro l'elezione dell'ex ministro dell'Interno e che rischia di complicarsi ulteriormente per una recente pronuncia della Corte dei Conti sull'ingresso del Comune di Imperia in Rivieracqua, società consortile incaricata della gestione del servizio idrico in provincia di Imperia. Un doppio incarico che potrebbe rivelarsi incompatibile, un caso di conflitto d'interessi piuttosto imbarazzante, almeno a detta della magistratura contabile.
    Al centro della vicenda c'è l'incarico di commissario ad acta assegnato a Scajola dalla Regione Liguria con decreto firmato dal presidente Giovanni Toti: una nomina che, a detta dei ricorrenti, era incompatibile con il ruolo di primo cittadino. In primo grado il Tribunale di Imperia ha respinto il ricorso in quanto «non ravvisabile alcuna forma di controllo istituzionale da parte del commissario sul Comune di Imperia», accogliendo di fatto la tesi difensiva del legale dell'ex ministro, il vice sindaco di Genova Pietro Piciocchi. La causa è poi approdata in Appello dove la Corte, a sorpresa, non è entrata nel merito e ha annullato la sentenza di primo grado per un problema di notificazione rimandando gli atti al Tribunale di Imperia. In sostanza i ricorrenti, secondo i giudici di secondo grado, avrebbero erroneamente chiamato in causa Scajola in quanto sindaco di Imperia e non come persona fisica. Da qui la nullità dell'intero procedimento.
    Ma è la Corte dei Conti a rimettere tutto in discussione. Dando il via libera all'ingresso del Comune di Imperia in Rivieracqua, scrive che l'operazione «è stata avallata dal commissario». Scajola che avalla Scajola, insomma. E, ancora, che «sulla base delle proiezioni fornite dal commissario (sempre Scajola, ndr) in esito all'operazione il Comune di Imperia (e dunque nuovamente l'ex ministro, ndr) dovrebbe acquisire una partecipazione in Rivieracqua spa pari al 28,63%». Ma non è tutto. Perché anche la delibera con la quale il Consiglio comunale ha approvato l'ingresso del Comune in Rivieracqua lascia qualche dubbio. L'aula, infatti, trasmette l'atto al commissario ad acta «per quanto di competenza» e «dichiara la deliberazione immediatamente eseguibile al fine di rispettare il termine del 30 aprile 2024 stabilito dal commissario ad acta». Il Consiglio comunale presieduto da Scajola, insomma, invia gli atti a Scajola per rispettare i termini stabiliti da Scajola.
    Considerazioni che per lo meno aprono qualche interrogativo sul fatto che non sia ravvisabile «alcuna forma di controllo istituzionale da parte del commissario sul Comune di Imperia». Una pronuncia che rischia di mettere più di un dubbio al Tribunale nuovamente chiamato a esprimersi sulla presunta ineleggibilità del sindaco.
    Scajola in un primo momento si era lasciato andare a toni trionfalistici: «Altra sconfitta per Bracco e Zarbano, la verità viene sempre fuori». Ora ha deciso di impugnare la sentenza di Appello davanti alla Cassazione. A oggi, però, la situazione risulta radicalmente cambiata rispetto al passato dato che la pronuncia della Corte dei Conti rischia di mettere il sindaco in una posizione piuttosto scomoda, almeno sulla carta.
    Per Scajola si tratta dell'ennesima querelle giudiziaria nel corso di una lunga carriera politica contraddistinta da grandi successi e rovinose cadute. Dalle polemiche per il G8 (era ministro dell'Interno quando morì Carlo Giuliani) alla casa al Colosseo pagata in parte a sua insaputa da un imprenditore (fu assolto in primo grado e poi prosciolto per prescrizione), dal caso Biagi, ucciso dalle Nuove Br (di lui disse «era un rompicoglioni») all'arresto per aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena (condannato in primo grado a due anni di carcere, poi prosciolto per prescrizione). Un percorso tortuoso che però non ha impedito all'ex ministro di recitare a Imperia ancora un ruolo da grande protagonista. Sindaco, presidente della Provincia e commissario dell'autorità idrica, tira le fila della politica ponentina con all'orizzonte un ritorno nei salotti che contano, tra i vertici dell'amata Forza Italia dell'amico Tajani. —

 

 

 

 

02.10.24

  1. L'incontro con Fink, ad del fondo. Un comitato per gli investimenti su AI, energia e trasporti
    Meloni chiede il soccorso della grande finanza
    Cabina di regia a Chigi per i soldi di BlackRock
    ilario lombardo
    roma
    «No alla grande finanza internazionale» urlava Giorgia Meloni dal palco di Vox a Marbella, il 12 giugno 2022. Due anni dopo, il governo guidato dalla leader di Fratelli d'Italia apre il portone di Palazzo Chigi e il mercato italiano al più grande fondo finanziario del mondo. Il bagno di realtà del governo – e dei soldi a disposizione – vale più delle promesse elettorali dal facile suono populista. I soldi del Pnrr finiranno nel giro di un paio di anni e le casse dello Stato saranno ancora più strizzate dalle nuove regole fiscali europee. Il privato, anche se è lo squalo globalista, vecchio nemico di tanti comizi di Meloni, torna molto utile oggi. Un comitato composto dai principali collaboratori della premier sarà l'interlocutore formale e istituzionale di BlackRock. È il risultato dei 35 minuti di colloquio tra Meloni e Larry Fink, il numero uno del fondo con sede a New York che gestisce oltre 9 trilioni di dollari di patrimonio globale, 102 miliardi per conto di clienti italiani. I due si erano già visti a Borgo Egnazia, nel corso del G7, durante la Partnership for Global Infrastructure and Investment, copresieduta dalla presidente del Consiglio e dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden.
    Secondo una nota di Palazzo Chigi, il gruppo di lavoro che verrà costituito a breve sarà una sorta di cabina di regia e avrà il compito di individuare e «coordinare i progetti che andranno sviluppati in collaborazione» con BlackRock. Dovrebbero farne parte quasi sicuramente il consigliere diplomatico Fabrizio Saggio e il capo di gabinetto Gaetano Caputi. Di fatto riguarderà società partecipate e settori strategici, a partire ovviamente dall'Intelligenza Artificiale, ambito a cui la premier italiana ha dedicato importanti colloqui già durante la missione a New York, a margine dell'Assemblea Onu, dove ha incontrato non solo il supermiliardario Elon Musk, ma anche i vertici di Google, Open Ai, Motorola. Meloni e Fink hanno analizzato i margini di investimento nell'ambito di sviluppo di data center e delle correlate infrastrutture energetiche di supporto. Si tratta di trovare enormi bacini di alimentazione. Secondo fonti finanziarie vicine al fondo, gran parte dell'incontro – al quale era presente anche il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti – si è focalizzato proprio su questo, in particolare su come gestire i nuovi centri di elaborazione sul territorio nazionale. È il cuore del business che fa gola ai giganti digitali, compresa Microsoft che con BlackRock sta già investendo su infrastrutture informatiche ed energetiche.
    In tal senso, spiegano le stesse fonti vicine al dossier, «non si può escludere una collaborazione con Enel, con il fine ultimo di raccogliere la sfida energivora dell'AI». I dialoghi sono a un «buon stadio d'avanzamento», ma l'intenzione di BlackRock è quella di mantenere la massima prudenza. «Si tratta di un dossier molto delicato, che ha richiesto una discussione dettagliata sui prossimi passaggi».
    Il colosso statunitense è già ampiamente presente, con i suoi miliardi, in grandi aziende e banche italiane. E dal momento che è il secondo azionista di Enel, dopo lo Stato italiano, circolano indiscrezioni riguardo a un'ulteriore salita nel capitale della società energetica guidata da Flavio Cattaneo. Oltre agli utilizzi delle reti per pompare energia dentro i data center per l'AI, un interesse particolare è quello delle colonnine di ricarica per i veicoli a trazione elettrica. Un ambito che, salvo sorprese, potrebbe essere discusso prima della fine dell'anno. Negli stessi mesi in cui, dopo aver conquistato il 3 per cento di Leonardo, dovrebbero finalizzarsi le trattative con Sace, gruppo assicurativo-finanziario di sostegno alle imprese nazionali controllato dal Ministero dell'Economia: in ballo c'è la gestione di asset fino a 3 miliardi di euro. Ma gli obiettivi di Fink sono tanti altri. Nel confronto con Meloni sono stati toccati possibili partecipazioni pure nel settore idrico, nei trasporti (BlackRock è già dentro Italo), in strutture portuali aeroportuali, e si è discusso di un ruolo di primo piano all'interno del Piano Mattei. Meloni cerca risorse per finanziare tutti i progetti di sviluppo che faticano a essere avviati con i Paesi africani. E Fink ha già un'idea su quali strumenti utilizzare. BlackRock sta lavorando a un secondo fondo sulla finanza climatica, al quale vuole che partecipi anche l'Italia. —

  2. la fed punta a due tagli del costo del denaro entro l'anno
    Draghi: verso una stagione di tassi alti
    MARCO BRESOLIN
    CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
    L'epoca dei tassi d'interesse negativi non tornerà. Anzi, «vivremo in un periodo in cui avremo pressioni da deficit troppo alti e un eccesso di domanda», quindi «potenzialmente con livelli d'inflazione più alti e tassi più alti». È la previsione di Mario Draghi, l'uomo che per 8 anni ha gestito la politica monetaria a capo della Bce in una fase critica per l'economia europea. Pur rispondendo con un «no, grazie» a chi ha provato a rimetterlo per un attimo nei panni del banchiere centrale, Draghi è tornato brevemente sulla questione durante una discussione organizzata dal think tank Bruegel e dedicata al suo rapporto sulla competitività realizzato per conto della Commissione. Poche ore dopo, intervenendo al Parlamento europeo, Christine Lagarde ha mantenuto le carte coperte sulla decisione che sarà presa a ottobre dalla Bce, mente oltre oltreoceano Jerome Powell, presidente della Fed, prevede altri due tagli dei tassi, per un totale di 50 punti entro l'anno, visto che l'economia Usa «è solida».
    Draghi ha molto insistito sulla necessità di aumentare gli investimenti, ricordando che la cifra di 800 miliardi annui citata nel report è frutto di «una stima prudente». Ha ribadito che una quota significativa dovrà essere costituita da fondi pubblici, ma che gli Stati non hanno i mezzi per poterla sostenere e che bisognerà agire a livello europeo. Se necessario, anche con l'emissione di debito comune.
    Alla luce delle reazioni negative in alcune capitali, il tema resta controverso, ma Draghi avrà la possibilità di confrontarsi con i 27 leader Ue al vertice informale che si terrà all'inizio di novembre a Budapest . L'appuntamento cadrà a poche ore dall'elezione del nuovo presidente Usa e Draghi ha messo in guardia l'Europa dai rischi del protezionismo. Quella dell'Ue, ha sottolineato, «è un'economia aperta e se facessimo come gli Usa ci danneggeremmo da soli».
    Su una cosa, però, è tornato a martellare: «Tutti i nostri Paesi sono troppo piccoli per essere all'altezza delle sfide attuali». Serve «una sovranità europea» perché «la sovranità nazionale è troppo debole come concetto». Ed è in questa chiave che dovrebbe maturare lo scambio già alla base del Next Generation EU: cessione di una parte della sovranità (riforme concordate a livello europeo) in cambio di risorse comuni. Anche perché, secondo Draghi, «l'attuazione delle riforme ridurrà l'ammontare degli investimenti necessari».

  3. I nerazzurri intercettati
    Marco Ferdico
    "
    La mafia d i San Siro
    I rossoneri intercettat
    i
    Gherardo Zaccagni
    Andrea Beretta
    Luca Lucci
    monica serra
    andrea siravo
    milano
    Parcheggi, biglietti, trasferte, merchandising. Ricchi business criminali che garantiscono una montagna di soldi dentro e fuori San Siro, e che con la passione sportiva non hanno nulla a che vedere. Del resto, come diceva intercettato il capo ultrà nerazzurro Andrea Beretta: «Lo sai benissimo. .. io non faccio le cose per lo striscione... a me non me ne frega un emerito c…! Nessuno lavora per il popolo». Affari milionari ottenuti con le botte e le minacce («Non mi tradire sennò mi tocca ammazzarti») che le Curve di Inter e Milan si spartivano in base a un «patto di non belligeranza» che ha moltiplicato i «comuni profitti». E ha fatto diventare il Meazza «terra di nessuno» piegando i club a una «situazione di sudditanza rispetto agli ultrà», come sottolinea il gip Domenico Santoro nel provvedimento che, all'alba di ieri, ha azzerato i direttivi delle Curve.
    Sono 19 in tutto le misure cautelari: 16 in carcere, 3 ai domiciliari nell'indagine della Dda, diretta da Alessandra Dolci. A cui si aggiungono una pioggia di Daspo del questore Bruno Megale. Tra gli arrestati figurano i capi della Nord, Andrea Beretta – già in carcere per l'omicidio di Antonio Bellocco, ucciso con venti coltellate il 4 settembre a Cernusco sul Naviglio – e Marco Ferdico con il padre Gianfranco. Ma anche i capi della Sud, il narcos Luca Lucci e il fratello Francesco. Sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere – in alcuni casi aggravata dalla agevolazione mafiosa – dedita a una sfilza di estorsioni per fare la cresta su biglietti, abbonamenti, ingressi gratuiti e mettere le mani su servizi di catering e di vendita di bevande nello Stadio. Ma anche aggressioni e pestaggi contro steward, tifoserie rivali, bagarini e magliettari per imporre il loro predominio.
    Pesanti pressioni sono state esercitate sulle società di Inter e Milan che, come ha specificato il procuratore Marcello Viola sono considerate «parti lese» in queste indagini. Ma che hanno più volte ceduto alle intimidazioni e ora rischiano il commissariamento con l'apertura di un procedimento di prevenzione e la nomina di due consulenti della procura che le aiuteranno a munirsi dei «necessari anticorpi per evitare che col cambio dei volti sulla balaustra la situazione si ripeta», specifica il pm Paolo Storari che ha coordinato le indagini con la collega Sara Ombra. Nonostante i divieti di legge, negli atti dell'inchiesta della Squadra mobile sono certificati i contatti dei capi della Nord con il calciatore slovacco Milan Skriniar che hanno provato a convincere di restare all'Inter mentre «tremava dalla paura». Ma anche con l'allenatore Simone Inzaghi e l'ex calciatore ancora vicino alla squadra Marco Materazzi. Emblematico l'episodio della finale di Champions contro il Manchester City. I capi della Nord pretendono dal club 1.500 biglietti da rivendere. Sotto la minaccia di «non andare a Istanbul e non tifare», Marco Ferdico telefona anche a Inzaghi e gli chiede di intervenire: «Te la faccio breve mister...ci hanno dato mille biglietti...noi abbiamo bisogno 200 in più per esser tranquilli...ma non per fare bagarinaggio mister... arriviamo a 1200 biglietti?». È l'allenatore a rispondere: «Parlo con Ferri con Zanetti con Marotta… poi ti faccio sapere qualcosa... gli dico che ho parlato con te e che tanto avevi già parlato con Ferri e Zanetti… Marco io mi attivo e ti dico cosa mi dicono». Il capo ultrà chiede poi l'intercessione di Materazzi che si impegna: «Fammi... fammi provà… fammi provà». È sempre lui a rivelargli il motivo del dietrofront del club: «I biglietti da 80 li rivendono a 900… questo mi è stato detto, tienilo per te». Alla fine, la società cede a pochi giorni dal match.
    Al direttivo nerazzurro viene anche contestata l'aggravante dell'agevolazione mafiosa per aver favorito la cosca dei Bellocco di Rosarno dopo l'omicidio dell'ex leader della Curva Vittorio Boiocchi, con la scalata dell'erede Antonio Bellocco, Toto u'Nanu, che ha garantito i guadagni alla famiglia in Calabria anche per finanziare i detenuti fino alla morte, per mano di Beretta. Come accertato dalla polizia, era stato Ferdico a procurargli casa e lavoro fittizio col compito di arginare gli appetiti degli altri gruppi criminali. Ma il potere assunto da Bellocco, lo «spacchioso calabrotto» era sempre più ingombrante. Diceva Beretta intercettato: «A parte che tu di stadio non capisci un c… devi solo firmare e lascia fare a noi...tu fai quello che devi fare, cioè mandare via i tuoi paesani…».
    Capitolo a parte è quello relativo alla gestione dei parcheggi su cui ha indagato anche la Gdf e gestito soprattutto da Giuseppe Caminiti, legato al boss di 'ndrangheta Giuseppe Calabrò, u'dutturicchio. Insieme hanno permesso all'imprenditore Gherardo Zaccagni con la «società Kiss and Fly» di accaparrarsi i parcheggi dello stadio in cambio del pagamento di un obolo di 4 mila euro al mese ai capi della Curva. Un affare per cui è indagato anche il consigliere regionale di centrodestra Manfredi Palmeri, ex manager di «M.I. Stadio srl» ed ex componente della commissione antimafia del Comune. È lui l'uomo identificato da Zaccagni per intercedere con la dirigenza rossonera e ottenere la gestione dei parcheggi in cambio di un quadro da 10 mila euro che ieri è stato sequestrato a casa sua nel corso della perquisizione. Contro di lui si ipotizza la corruzione tra privati.
    «Non è giusto dire che tutti gli ultrà sono criminali – è il commento del procuratore della Dna Giovanni Melillo – ma che una componente non secondaria del mondo ultrà pratichi attività criminali è sotto gli occhi di tutti. Bisogna smettere di far finta di niente». —

  4. Il cantante, non indagato, fino a un paio di giorni fa si è fatto fotografare con due degli arrestati
    I legami di Fedez con narcos e picchiatori Il business dei concerti in giro per l'Italia

    monica serra
    milano
    Dai servizi di sicurezza all'intera organizzazione di eventi e concerti in Italia e all'estero. Sono tante «le ambizioni imprenditoriali» del narcos Luca Lucci, come emerge dall'indagine dell'Antimafia che ha azzerato le Curve milanesi. «Il suo ruolo di capo della Sud gli ha consentito di tessere, relazioni di carattere lavorativo nel settore musicale con noti artisti italiani come Fedez, Emis Killa, Lazza, Tony Effe, Cancun, Gue Pequeno» permettendogli di moltiplicare «in maniera esponenziale e con pochissimi controlli i guadagni» fino a gestire «i concerti di questi artisti, sia sul territorio nazionale, sia internazionale». E ora il gip Domenico Santoro chiede alla polizia di approfondire queste relazioni pericolose.
    Prima tra tutte, quella con Fedez, che in questa inchiesta non è indagato ma che fino a due giorni fa si è fatto fotografare in un hotel di Parigi in compagnia del suo bodyguard Christian Rosiello e dell'amico picchiatore Islam Hagag, noto come Alex Cologno, dopo gli scatti di quest'estate su un lussuoso yacht a Porto Cervo. Entrambi sono finiti in carcere: frequentazioni compromettenti che anche l'ex moglie, Chiara Ferragni, ha in più occasioni criticato.
    Per il gip c'è un «rapporto consolidato» tra Federico Lucia e il narcos Lucci (quello della stretta di mano con Salvini). A lui si rivolge Fedez per avere un bodyguard, per introdurre a San Siro la bibita Boem che promuove con Lazza. E sempre con lui progetta una scalata (finita in nulla) per acquisire la discoteca Old Fashion, tanto da assicurare al telefono: «Ho già chiamato Boeri», il presidente della Triennale, proprietaria degli spazi del locale. Fedez va a trovare Lucci anche due giorni dopo il pestaggio del personal trainer dei vip, Cristiano Iovino, in via Traiano, dopo una rissa al The Club, nata nell'ambito della disputa con Nicolò Rapisarda, in arte Tony Effe, sfociata nel dissing delle ultime settimane. Una spedizione punitiva a cui ha partecipato anche Rosiello, tra botte e minacce di morte alla vittima: «Chiedi scusa…devi chiedere scusa, noi torniamo e ti ficchiamo una pallottola in testa…».
    Il caso si è chiuso con una transazione stragiudiziale e Iovino - che chiamano Jimmy palestra - non ha denunciato. È sempre Fedez a spiegare la situazione a Lucci: «Son proprio stupidi, vabbè, quando torna il Tony...niente dobbiamo e basta… – spiega Fedez intercettato – è semplice la cosa frate! Tony ha un amico, tutti sanno che quello è amico suo, l'amico di Tony si fa male e Tony siccome deve fare il ragazzetto ghetto non può permettersi che si sappia che un suo amico si è fatto male senza che lui poi l'abbia difeso! Perché, a casa mia, lo difendi quando c'ha bisogno non dopo, però… adesso ha fatto brutto a Lazza… far brutto a Lazza, vuol dire far brutto a mio figlio, ti pare!?».
    Ma c'è di più. E si è scoperto nelle pieghe dell'indagine. Facendo leva sull'intraprendenza del suo fedelissimo Hagag e ai suoi rapporti col mondo criminale calabrese, è stato Lucci a organizzare una serie di concerti di Fedez ad agosto soprattutto nel Sud Italia. Tanto che il nome del picchiatore Hagag «è comparso sul sito ticketone.it in qualità di organizzatore del concerto di Fedez previsto per il 6 agosto del 2024 al Calura di Roccella Jonica e di tutti gli altri eventi previsti nel mese di agosto in quel locale e in altri locali notturni calabresi, grazie alla mediazione della Why Event di Lucci»

  5. Il vicepremier nel 2018 era stato immortalato con il capo della tifoseria Luca Lucci arrestato ieri
    Le amicizie pericolose che sfiorano Salvini "La violenza deve restare fuori dagli stadi"

    FRANCESCO MOSCATELLI
    ANDREA SIRAVO
    MILANO
    Per Matteo Salvini l'inchiesta sugli ultras milanesi non è un bel modo per cominciare la settimana del raduno leghista previsto per domenica prossima a Pontida. Una settimana che, nelle sue intenzioni, dovrebbe essere di rilancio dell'azione politica sui fronti dell'immigrazione (il 18 ottobre a Palermo è attesa l'arringa del suo legale Giulia Bongiorno nel processo Open Arms) e del sovranismo (domenica sul «sacro pratone» ci saranno il premier ungherese Viktor Orban e l'olandese Geert Wilders).Perché se è bene chiarire che né il segretario né altri esponenti del Carroccio sono stati anche solo sfiorati dalle indagini, è inevitabile che il blitz della Dda milanese riporti a galla il legame tra Salvini e la Curva Sud del Milan, a cominciare dalla celebre foto del dicembre 2018 in cui l'allora ministro dell'Interno stringeva la mano a Luca Lucci, il leader indiscusso dal 2009 del tifo organizzato rossonero con già due condanne definitive per droga dopo gli arresti nel 2018 e nel 2021.
    «Io ho fotografie con circa 100 mila persone - ha detto ieri mattina Salvini a margine di un convegno sulla gestione idrica che si svolgeva a Milano -. Vado allo stadio da quando sono piccino e con milanisti ho alcune migliaia di foto, sperando che siano tutte persone per bene. Però mi fido assolutamente delle forze dell'ordine, penso anche agli scontri prima del derby di Genova. Io sono un tifoso appassionato però la violenza e la mafia devono stare assolutamente fuori dagli stadi». Quindi ha aggiunto: «Io vado allo stadio da quando ho cinque anni e se qualcuno usa lo stadio per farsi gli interessi suoi, poi con puzza di mafia, camorra e ‘ndrangheta, va assolutamente isolato, beccato e allontanato». Una presa di distanza molto netta che a qualcuno, però, potrà sembrare tardiva. Un anno e mezzo fa, infatti, il segretario e vice-premier era tornato a far parlare del suo rapporto con gli ultras rossoneri per aver difeso pubblicamente la protesta (vietata dalla giustizia sportiva) andata in scena dopo una clamorosa sconfitta della squadra allenata allora da Stefano Pioli allo stadio Picco di La Spezia. «Penso e spero che ci siano cose più importanti di cui occuparsi», disse Salvini.
    Tra i tifosi che avevano costretto giocatori e mister a un'umiliante tirata d'orecchie sotto la curva degli ospiti c'era Francesco Lucci, fratello di Luca arrestato ieri sulla pista di Orio al Serio appena sceso da un volo che lo riportava in Italia da Dubai. La violenza è il dna dei fratelli Lucci. «C'ho una sete di sangue che solo Dio lo sa!», si rammarica Luca, detto il «Toro» tornando a San Siro nel novembre 2023. Non sulla balaustra del secondo anello Blu ma in tribuna. Quella che lo ha fatto resistere a tentativi di detronizzazione di Giancarlo Lombardi, detto Sandokan. L'ex fedelissimo divenuto nemico. «Gli dico "non dividiamo la curva"… eh allora lui mi dice "Allora mi dai sotto come avevamo detto prima". Ho detto: "Non ti do neanche sotto" … Io gli dico no su tutto», si sfoga Lucci con Loris Grancini, capo del gruppo ultras dei Viking della Juventus. Tra le preoccupazioni c'era anche quella di essere nuovamente arrestato quando a luglio 2023 scopre un'ambientale in casa sua: «Sicuro sono indagato per associazione, capirai questi fino a che non mi massacrano non son contenti», profetizza ai suoi parenti il Toro. —

  6. Partite le audizioni nell'inchiesta che ha condotto in carcere il dipendente della Filca, Ceravolo I segretari nazionali della sigla (non indagati) saranno sentiti come persone informate sui fatti
    Mafia, tessere e sindacato i vertici della Cisl in procura

    giuseppe legato
    Nei prossimi giorni i vertici del sindacato Cisl (e Filca Cisl) saranno sentiti in procura come persone informate sui fatti. La cornice delle audizioni notificate a tre dei massimi rappresentanti della sigla confederale è quella dell'inchiesta Factotum che ha portato in carcere la scorsa settimana Domenico Ceravolo, dipendente del sindacato edili a Torino e dallo scorso 13 febbraio componente della segreteria provinciale. L'accusa per Ceravolo è quella di associazione a delinquere di stampo mafioso. Di questo lo accusano i pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni titolari del fascicolo. A Torino, in procura, arriveranno Mauro De Lellis, segretario provinciale della Filca (da 4 giorni promosso responsabile regionale), Ottavio De Luca e il segretario nazionale della Cisl Luigi Sbarra (non indagati). La notizia delle convocazioni è emersa da ambienti sindacali.
    Considerato uomo vicino a Franco D'Onofrio, anche lui finito in manette con l'accusa "di dirigere la rete della ‘ndrangheta in Piemonte", Ceravolo, assistito dal legale Christian Scaramozzino, si professa innocente. Il tema delle audizioni però non sarà questo. E basta leggere gli atti finora pubblici su questa inchiesta per cogliere come il focus il comportamento del sindacato nei suoi confronti. Per i pm «è dimostrata la consapevolezza da parte dei vertici Filca Cisl dell'appartenenza/vicinanza di Ceravolo al contesto 'ndranghetistico». Lo dimostrerebbero i benefit che gli vengono riservati come ad esempio il pagamento del viaggio per andare in Calabria a deporre come teste della difesa di un boss nell'aula bunker di Lamezia Terme per testimoniare nel maxi-processo Rinascita Scott. Le spese di viaggio vengono "coperte" dal sindacato. Gli investigatori sottolineano nel decreto di fermo che «tale esborso, che non può di certo ritenersi una spesa attinente le attività istituzionali dell'ente». Di più: che di questo «non è stato tenuto all'oscuro il vertice romano dell'organizzazione sindacale stessa». Ancora: «Che i nominati responsabili della Filca Cisl (non indagati, ripetiamo) fossero a conoscenza del motivo inerente la trasferta calabrese di Domenico Ceravolo. Con le prossime audizioni si chiarirà un altro punto emerso agli atti che riguarda il trojan (un virus informatico) inoculato dal Nucleo di polizia economica della Finanza nel telefonino di Ceravolo. Secondo gli inquirenti ci sarebbe stato «un accertato diretto interessamento dei vertici sindacali a favore di Ceravolo allorquando sono emersi chiari segnali di una possibile attività investigativa svolta nei confronti di quest'ultimo». Ovvero: «Dopo l'inoculamento del trojan sul telefono aziendale del dipendente è uno dei vertici della Filca Cisl a contattare il gestore Vodafone «per rappresentare alcune anomali che stava riscontrando su quel telefono: «Senta, la chiamo per un problema che ha il proprietario, l'intestatario di questo numero. Non riusciamo a disinstallare o quantomeno a bloccare un ... un'applicazione che è "Assistenza in linea" che continua a lavorare in background, volevamo capire se era possibile disattivarla tramite il servizio o c'è qualche anomalia». Per gli investigatori «è un chiaro segnale di aver compreso che si trattasse di un trojan». Pochi giorni dopo a Ceravolo arriverà un cellulare nuovo: «Questo costa 1300/1400 euro». Chiosano i pm: «Tale dispositivo, avrebbe reso impossibile un nuovo tentativo di inoculazione». —

  7. Il risanamento prevede la decontaminazione del terreno dai veleni
    Parte la maxi bonifica dell'ex area Thyssen Sei anni di cantiere

    diego molino
    Il futuro dell'ex Thyssenkrupp, una ferita ancora aperta sull'asse di corso Regina Margherita, è tutto da scrivere. Un primo bagliore di luce si intravvede adesso, visto che nei prossimi giorni partiranno le opere di bonifica di tutta l'area. Un cambio di passo annunciato dall'assessore all'Urbanistica Paolo Mazzoleni, nel corso di una commissione che si è svolta ieri a Palazzo Civico, dopo una serie di ritardi e rinvii sul cronoprogramma dei lavori. Non sarà un processo breve: gli interventi di messa in sicurezza operativa avranno una durata di sei anni e dovrebbero concludersi nel 2030, mentre il costo complessivo sarà di 4,5 milioni di euro, a carico degli attuali proprietari di Arvedi Ast.
    Parte dunque l'iter per preparare il futuro di questa porzione di città dove 17 anni fa, nella notte del 6 dicembre del 2007, scoppiò un incendio all'interno della fabbrica che provocò la morte di sette operai. La bonifica sarebbe dovuta partire già nello scorso luglio, ma la proprietà aveva chiesto - e ottenuto – dal Comune una proroga di tre mesi. Oggi invece Arvedi Ast ha comunicato alla Città di aver individuato un operatore e un direttore dei lavori. Il piano di risanamento del terreno prevede un mosaico di attività che sono mirate alla riduzione della presenza di cromo esavalente e del rischio che possa fuoriuscire dal perimetro dell'ex sito industriale. Un'altra parte di opere serviranno al controllo delle emissioni di acqua contaminata, all'eliminazione degli idrocarburi e all'impermeabilizzazione di una parte scoperta del vecchio stabilimento, per prevenire il rilascio di sostanze inquinanti all'interno della falda.
    Questo per ciò che riguarda le operazioni di bonifica dell'area. Al contempo, però, si lavora anche per disegnarne la futura vocazione. Nello scorso mese di marzo, il consiglio comunale decise di approvare una delibera con cui si stabiliva una variante al piano regolatore, prevedendo una successiva destinazione d'uso dei terreni a parco urbano, che possa collegarsi alla vicina area del parco della Pellerina. Un documento contro cui i proprietari di Arvedi hanno presentato ricorso al Tar, come ha spiegato l'assessore Mazzoleni in commissione: «In merito al ricorso la Città si è costituita in giudizio, riteniamo che la delibera approvata sia assolutamente solida e difendibile, anche se la variante non è ancora stata approvata».
    Nei mesi scorsi il progetto del "verde su soletta" aveva attirato però anche diverse critiche di alcuni comitati di cittadini, che al contrario chiedevano una bonifica in profondità dell'ex sito industriale. Al momento non ci sono invece conferme sul fatto che Arvedi abbia trovato un nuovo acquirente per l'area. —

 

 

 

 

 

01.10.24
  1. FUOCO SOTTO IL VESTITO CINESE : 

    La BYD ha avviato una procedura di richiamo per 97.000 auto elettriche prodotte tra il novembre del 2022 e il dicembre del 2023: il problema, che potrebbe portare a un rischio di incendio, riguarda un difetto di fabbricazione relativo alla centralina del servosterzo delle Dolphin e delle Yuan Plus. Stando ai dati della China Association of Automobile Manufacturers, l’associazione dei costruttori cinesi, nel 2023 i due modelli sono state le vetture più vendute dalla Casa, forti di 750 mila unità.

     

    Interventi già in corso. La Casa cinese sta richiamando nelle proprie officine tutte le vetture coinvolte per risolvere il problema con l’installazione di una nuovo componente. Al momento non è ancora chiaro se il problema riguarda anche gli esemplari esportati all’estero, ed eventualmente in quale percentuale. Per la BYD si tratta del secondo richiamo nel giro di due anni: nel 2022 una piccola quantità di Tang plug-in aveva segnalato un difetto nella batteria di trazione.

  2. NON COMPRERI MAI QUESTE AUTO :    SONO A BORDO QUINDI LI HAI GIÀ PAGATTI - La connessione a Internet delle auto moderne (grazie a una scheda sim, come quella dei telefonini) ha aumentato il numero di servizi disponibili, fornisce informazioni in tempo reale (per esempio sul traffico) e permette di aggiornare l’elettronica di bordo senza passare in officina. Bello? Sì, ma non sempre: le case, infatti, possono “gestire” alcuni accessori a distanza, attivandoli solo a pagamento. L’auto può avere i fari a matrice di led (ad abbaglianti accesi riconoscono la presenza di altri veicoli e creano un cono d’ombra per non accecare), ma che lavorano come luci “normali” a meno di pagare un abbonamento. Stesso discorso per le sospensioni a controllo elettronico e per il cruise control adattativo: potresti avere già a bordo tutti gli elementi (e quindi, in pratica, averli pagati), ma col software bloccato dalla casa.

    E IN CASO D'INCIDENTE TI COSTA DI PIÙ - Se poi fai un incidente, potresti trovarti a pagare cifre altissime e ingiustificate: un faro a matrice di led (anche se non attivato) è molto più caro di uno “passivo”. E anche i sensori del cruise adattativo sono cari da riparare… Le case offrono queste funzioni per un certo periodo o per sempre. Qui trovate alcuni esempi, col prezzo indicativo. Infatti, soltanto dopo aver inserito il numero di telaio della propria auto (nell’app o nel negozio virtuale) si può sapere cosa si può avere e cosa no, e quanto costa.

    AUDI: POCHI, SOFISTICATI “OPTIONAL”


    L’offerta si concentra su tecnologie raffinate e dall’hardware costoso (come i fari “intelligenti” o il sistema di parcheggio automatico).

    Fa eccezione lo Smartphone Interface: Android Auto e Apple CarPlay senza filo. Un mese, per la Q5, costa € 18; per sempre, € 470 (€ 20 e € 550 rispettivamente per le A6, A7 Sportback e Q7). In auto di questo tipo, l’accessorio dovrebbe essere di serie.
    L’assistente al parcheggio, che aiuta nella manovra azionando in automatico lo sterzo, nel caso della eTron e Q8 eTron costa € 9,99 al mese e 500 per sempre.
    I fari matrix led (che attivano la luce abbagliante senza accecare chi si incrocia o si segue) per la suv Q8 e-tron costano € 70 per un mese; sbloccarli per sempre, € 2.240.

    BMW: NEL NEGOZIO ONLINE C’È DAVVERO DI TUTTO


    Le funzioni sono solo per le vetture con connessione a internet Connected Drive. Qui mostriamo i prezzi del negozio online, ma bisogna verificare costi e disponibilità per la propria auto.

    Active Cruise Control con funzione Stop&Go: regola in automatico la velocità e la distanza dal veicolo che precede, costa € 899 (per sempre).
    Aggiornamento mappe: il rinnovo è annuale: € 89. Assistente abbaglianti (attivazione automatica): un mese, € 9; un anno, € 99; tre anni, € 149; per sempre, € 199.
    BMW drive recorder: riconosce gli incidenti e salva automaticamente le immagini precedenti al sinistro. Un mese, € 15; un anno, € 59; tre anni, € 129; per sempre, € 299.
    Driving assistant plus, la guida assistita di Livello 2 (mantiene in automatico velocità, corsia e distanza dal veicolo che precede). Un mese costa, € 49; un anno, € 429; tre anni, € 649; per sempre, € 929.
    Real Time Traffic Information: informa in tempo reale sul traffico. Un anno: € 69.
    Traffic camera information: gli autovelox fissi e i rilevatori di semaforo rosso vengono segnalati sul display centrale. Rinnovo annuale a € 39.
    Gli ammortizzatori a controllo elettronico potrebbero essere già in auto, ma non è detto che funzionino. Per attivarli: € 29 per un mese; € 209 per un anno; € 429 per sempre.

    DS: L’APP PER ELETTRICHE? € 40 ALL’ANNO


    Il Connect Plus è di serie per i primi tre anni e comprende, fra le altre, tre funzioni per le elettriche e le plug-in che restano sempre attive: programmazione della ricarica, controllo dell’autonomia e attivazione del “clima” via app. Dopo i primi tre anni, il resto diventa a pagamento.
    L’Intelligenza artificiale ChatGPT costa € 1,5 al mese o € 15 all’anno;
    Le informazioni in tempo reale su traffico, autovelox e parcheggi, € 9,9 al mese o € 109 all’anno;
    L’app E-Routes per la pianificazione del viaggio con suggerimento delle soste per la ricarica, € 4 al mese o € 40 all’anno.

    FORD: NELLE ELETTRICHE È QUASI TUTTO COMPRESO


    Disponibilità e prezzi per il proprio veicolo si ottengono solo dopo aver inserito il numero di telaio nel negozio virtuale o nella app.

    Connettività premium: musica online e comandi vocali Alexa. Per le Mustang Mach-E prodotte dal 2021 e le Focus dal 2022, 90 giorni di prova gratuita e poi 4,99 €/mese.
    Ford Secure: in caso di furto dell’auto, questo servizio la localizza (per le Mustang Mach-E prodotte dal 2021 e le Focus dal 2022); un anno di prova gratuita, poi 5,99 €/mese.
    Navigazione connessa: informazioni su traffico, prezzi e disponibilità di colonnine, distributori e parcheggi. Dopo un anno di prova gratuita, € 5,99 al mese; di serie per le elettriche.

    MERCEDES: PACCHETTI SU MISURA


    Per semplificare la scelta, la casa di Stoccarda propone il Connect Package: costa € 14,90 al mese (ma i primi 30 giorni sono gratuiti), oppure € 149,00 all’anno. Include, fra l’altro, Internet radio, notifica di furto, rilevamento dei danni da parcheggio, previsioni del tempo e giochi, nonché l’attivazione del “clima” e l’apertura di finestrini e tetto in vetro dall’app.

    Dalla primavera, le A, B, GLA ed EQA sono proposte anche in versione Digital Edition: una serie speciale che costa 1.464 euro in più rispetto all’auto “base”e che comprende 41 funzioni normalmente attivabili online (a pagamento), comprese quelle del Connect Package indicate qui sopra. A queste si aggiungono accessori di valore, come il pacchetto di assistenza alla guida (cruise control adattativo, monitoraggio dell’angolo cieco e altri aiuti elettronici); il collegamento senza filo ad Android Auto o Apple CarPlay; il sistema di parcheggio assistito con telecamere a 360° (l’auto sterza in automatico e può entrare e uscire dal parcheggio senza guidatore a bordo); il pacchetto Guard 360° (localizzazione della vettura e supporto in caso di furto dell’auto). Nelle Digital Edition è di serie anche la verniciatura metallizzata.

    VOLKSWAGEN: UNA SOLA "CADUTA DI STILE"


    Le possibilità di scelta sono limitate, perché quasi tutto è di serie: è una scelta della Volkswagen Italia per semplificare la vita dei clienti. In Germania, infatti, nel negozio virtuale ci sono molti più accessori a pagamento.

    Da noi si pagano solo il navigatore (685 euro per Polo, T-Cross, T-Roc, Taigo e 679 euro per Passat e Tiguan) e i controlli vocali (€ 275 per tutte, per sempre).
    E comunque, dal momento che Android Auto e Apple CarPlay sono di serie ed entrambi sono dotati di navigazione e comandi vocali intelligenti, si può fare a meno di quelli della Volkswagen.
    Il tasto per scaldare i sedili, € 97
    La Passat e la Tiguan si possono avere con il Travel Assist (aggancia la corsia e il veicolo davanti e può fare il sorpasso in automatico, € 395 euro per sempre) e i sedili riscaldabili, € 96,9 per sempre. Nel caso dei sedili, non si paga nemmeno un software, ma solo il tasto (virtuale) per attivarli

 

  1. DOPO ANNI HANNO CAPITO LA SPIA CINESE :   QUESTIONE DI SICUREZZA - Mentre la Cina chiede all’Italia di adottare Huwaei come fornitore di servizi di telecomunicazioni in cambio di un investimento per la fabbrica della Dongfeng (qui per saperne di più), l’Europa potrebbe presto seguire l’esempio degli Stati Uniti, che pochi giorni fa hanno annunciato l’intenzione di mettere al bando i software cinesi e russi dalle auto destinate al loro mercato (qui la news). Anche Bruxelles starebbe infatti pensando a introdurre blocchi verso tecnologie provenienti da paesi considerati “nemici”. Condividendo le preoccupazioni di Washington, la danese Margrethe Vestager, che nella commissione europea è a capo delle questioni legate alla digitalizzazione, ha annunciato che “è legittimo esaminare se quel tipo di tecnologia possa essere o meno utilizzata in modo improprio quando si tratta di questioni di sicurezza”. Le auto connesse, ha detto Vestager, possono registrare e comunicare dati sensibili: per questi alla UE “stanno esaminando la questione, anche con i nostri esperti di sicurezza economica”.

    NON TUTTI SONO D’ACCORDO - Nelle prossime settimane i funzionari europei per la sicurezza informatica presenteranno una bozza con le misure proposte sulla connettività dei veicoli, che potrebbe trasformarsi in un documento non vincolante, cioè dipendente in larga misura dalla volontà da parte dei singoli governi di trasformarli in restrizioni effettive. Sulla questione c’è però dibattito, perché le aziende europee hanno avvertito che le misure adottate negli USA potrebbero avere effetti negativi al settore automobilistico del Vecchio Continente, obbligando le case a trovare nuovi fornitori. Inoltre i costruttori hanno paura di irritare Pechino, in particolare i marchi tedeschi che sul mercato cinese fondano una buona parte dei loro ricavi.

    PROTEZIONE DEI DATI - Intanto un’altra norma europea sulla sicurezza informativa ha già avuto un impatto in Europa: infatti a luglio è entrata in vigore una normativa secondo la quale i produttori europei devono implementare un sistema di gestione della sicurezza informativa per proteggere i dati degli utenti. Secondo l’analista automobilistico Matthias Schmidt, subito si sono viste le conseguenze del provvedimento, che ha intaccato presto le vendite di auto cinesi: per esempio, afferma Schmidt, la MG (di proprietà della cinese SAIC) a luglio non ha immatricolato alcun veicolo. La stessa norma ha avuto ripercussioni anche sui costruttori europei: il ritiro dal mercato della Porsche Macan con il motore a combustione sarebbe legato proprio all’impossibilità di soddisfare i nuovi requisiti.
  2. Scuola
    a pezzi
    Elisa Forte
    Sessantanove crolli in 12 mesi: nelle scuole italiane questo numero non era stato mai raggiunto negli ultimi 7 anni. Il record di crolli (quasi 6 al mese) è un dato dello scorso anno scolastico. Oltre ai danni e all'interruzione delle lezioni, sono rimasti feriti (per fortuna senza gravi conseguenze) 9 studenti, 3 docenti, 2 collaboratori scolastici, un'educatrice e 4 operai. A dare ascolto al racconto dei numeri, nella scuola le cose da migliorare paiono davvero essere molte di più rispetto a quelle che funzionano. L'ultimo dettagliato Rapporto ImparareSicuri di Cittadinanzattiva non ha solo messo a nudo le crepe dell'edilizia scolastica. Dati, raffronti, grafici e schede compongono una mappa del cattivo stato di salute degli istituti. La diagnostica degli edifici scolastici, in Italia sono 40.133, restituisce un quadro sconcertante se si analizzano l'agibilità (il 59,16% non ha il certificato), l'antincendio (la prevenzione è carente nel 57,68% degli istituti) e il collaudo statico (manca nel 41,5% dei casi). E sono ancora troppo poche (solo l'11,4%) le scuole progettate secondo le norme antisismiche.
    Poi, «se c'è di mezzo l'edilizia di scorporo, la situazione peggiora. Se gli edifici sono stati costruiti con materiali scadenti, non solo la manutenzione diventa costosa, ma, a volte, cercare le cause di alcuni problemi comporta tempi lunghi», spiega il preside Giovanni Cogliandro. Basta vedere quel che è successo all'Istituto che dirige, il Comprensivo Mozart di Roma, in Viale Castelporziano, poco distante dalla tenuta del Presidente della Repubblica. In alcune classi pioveva. «Per risalire alle origini delle infiltrazioni – racconta Cogliandro – il Comune, finora sempre pronto a intervenire, ha dovuto fare decine di interventi. Alla fine è stato scoperto che la guaina dell'intera scuola era stata montata al contrario». «Colpa dell'edilizia di scorporo – precisa –. Se i controlli latitano si costruisce al risparmio e i guai sono nostri. Così noi presidi per proteggerci da eventuali danni intasiamo le pec delle istituzioni con continue segnalazioni. Siamo costretti a comportarci come si fa nella medicina difensiva».
    C'è ancora tanto da fare anche per abbattere le barriere architettoniche. «In questo nuovo anno scolastico sono 331.124 gli alunni con disabilità (4,68% dei 7.073.587 del totale studenti), in aumento rispetto al precedente in cui erano 311.201. Solo il 40% delle scuole risulta accessibile per chi ha disabilità motorie. Situazione ancora più grave per gli alunni con disabilità sensoriali: le segnalazioni visive ci sono nel 17% delle scuole mentre i percorsi tattili sono presenti solo nell'1,2%», commenta Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.
    I crolli record dell'ultimo anno sono stati 28 al Nord, 13 al Centro e 28 al Sud. A La Spezia nella scuola media Fontana è rimasta ferita una tredicenne per il crollo di intonaco nel bagno. Si stava lavando le mani, quando un metro quadro di materiale si è staccato: ha riportato escoriazioni alla fronte e al braccio. Un mese prima, tragedia sfiorata a Chiavari: si è aperta una voragine di 12 metri quadrati nel corridoio della scuola Della Torre. Fortunatamente nessuno si è fatto male. Mancavano pochi giorni alla chiusura dell'anno scolastico, era il 3 giugno scorso e a Venezia è crollato il controsoffitto affrescato del '700 in un'aula del liceo Benedetto Tommaseo. E un violento temporale ha fatto cedere il controsoffitto alla Media di Cerro del Lambro in Lombardia.
    A volte, fuori dalla scuola, se la manutenzione del verde non è una priorità, si rischia di finire sotto un albero. A Rivalta, in Piemonte, è venuto giù un cedro. Un grosso albero di pino si è piegato davanti all'ingresso di una scuola ad Anzio. Mentre un altro pino in Sardegna ha oltrepassato la recinzione della scuola e ha abbattuto un palo dell'Enel. A Roma, il preside Cogliandro gioisce perché «finalmente ha le facciate con l'intonaco nuovo» ma lotta contro i parassiti degli eucalipti nel cortile. E nel Viale della scuola stanno tramontando anche i pini marittimi, lascito dei Savoia. «Sono altissimi e a volte cascano». La cura verde, dentro e fuori la scuola, resta una chimera. «I bambini stanno perdendo ore di studio, fanno dalle 8.30 alle 12.30, vanno a mensa e due ore dopo escono. Da quasi un mese viene negato un diritto inalienabile». Francesca Rizzi è la responsabile del comitato genitori della scuola primaria Gino Capponi di Milano. Suo figlio frequenta la quinta elementare in via Pestalozzi 13 e ancora non potrà fare lezione fino alle 16.30.
    La prima campanella è suonata da quasi quattro settimane ma il tempo pieno stenta a partire in diverse scuole primarie milanesi, per il ritardo con cui si stanno assegnando le cattedre. I genitori si sono organizzati per pagare educatori che tengono i bambini a scuola fino alle 16.30. Le 24 classi usciranno tutte alle 14.30 anche per questa settimana» denuncia Francesca Rizzi. Le famiglie stanno pagando 50 euro a settimana per avere il servizio integrativo di WeMove, in attesa del tempo pieno che non partirà almeno fino al 4 ottobre.
    Alla Leonardo da Vinci fino a pochi giorni fa mancavano 5 cattedre. «Per 13 giorni siamo dovuti ricorrere alla Cooperativa Bracco» racconta Daniela Faggion, presidente dell'Associazione Amici della Leonardo. Su 650 alunni, 300 famiglie hanno pagato 2,50 euro al giorno. Non tutti hanno potuto aderire a causa della mancanza di spazi. Sette aule sono inagibili per lavori che non riescono a partire ma che hanno ridotto gli spazi.
    «Abbiamo già iniziato le chiamate, due docenti arriveranno lunedì - spiega il preside Antonio Re -. I tempi sono lunghi, quasi un mese, tra il primo e il secondo turno di chiamata. In questo tempo non abbiamo più potuto chiamare perché spettava all'Ufficio scolastico».
    Alla base delle assegnazioni ci sono i bollettini pubblicati dagli uffici scolastici regionali, il primo a fine agosto, il secondo a fine settembre. «Con il secondo bollettino, i posti non coperti sono stati restituiti alle scuole che ora devono fare la ricerca del candidato - spiega Massimiliano Sambruna, segretario Cisl Scuola Milano Lombardia -. Non è funzionale non lasciare l'autonomia alle scuole di poter usare le proprie graduatorie di istituto dopo il primo bollettino. La singola scuola così si prenderebbe in carico la rinuncia e nominerebbe dalle proprie graduatorie di istituto». Il secondo bollettino è stato pubblicato il 26 settembre e le nomine dovrebbero arrivare questa settimana. A Milano, con 325 istituzioni scolastiche, di cui 180 istituti comprensivi per il 95% a tempo pieno, c'è anche un tasso di rinuncia della nomina del 40%. «Basterebbe dire nell'ordinanza ministeriale che dopo il primo bollettino spetta alle scuole e già si ridurrebbero i tempi» conclude il segretario.
  3. Nel giacimento di Bayan Obo, vicino alla Mongolia, si sviluppano oltre 15 materie prime critiche per superconduttori, laser, magneti e fibre ottiche
    Alla Cina lo scettro delle terre rare Ha la metà della produzione mondiale
    Lorenzo Lamperti
    «Il Medio Oriente ha il petrolio, noi abbiamo le terre rare». È il 1987, Deng Xiaoping è in viaggio nella Mongolia interna, estremo nord della Cina. Il piccolo timoniere visita Bayan Obo, letteralmente «città del cervo». Già allora, quei terreni erano dominio esclusivo di minerali critici oggi alla base dello sviluppo di dispositivi tecnologici utili alla transizione energetica. Deng intuisce che coltivare quelle terre rare, in un'era in cui la Cina «nasconde la sua forza», può garantire un vantaggio strategico.
    Oggi, Bayan Obo ospita il più grande giacimento di terre rare del mondo ed è responsabile di circa il 50% della produzione globale. Numeri mostruosi. Neodimio, lantanio, terbio e altri 14 elementi diventati cruciali per la realizzazione di superconduttori, magneti, laser, fibre ottiche. E soprattutto di veicoli elettrici, pilastro delle «nuove forze produttive», il mantra dello sviluppo voluto da Xi Jinping. D'altronde, attualmente Pechino produce circa il 60% dei metalli delle terre rare del mondo e circa il 90% delle terre rare raffinate presenti sul mercato. Un tempo non era così. Tra il 1965 e il 1995, era la californiana Mountain Pass ad avere la leadership, prima che la concorrenza dei fornitori cinesi coi loro prezzi al ribasso la costringesse persino a chiudere per qualche anno.
    La Cina non è l'unico Paese a possedere terre rare, visto che ne ospita il 36% dei depositi, ma ha saputo costruire un sistema integrato di estrazione e raffinazione senza eguali, dotato di processi ormai completamente automatizzati. Il tutto chiudendo un occhio sugli effetti collaterali del boom industriale. La lavorazione delle centinaia e centinaia di fabbriche nei pressi dei giacimenti sono molto inquinanti. Solo a Bayan Obo, ogni anno vengono scaricati rifiuti da circa 7 milioni di tonnellate di minerali. Costo del lavoro basso e normative ambientali meno severe rendono sì la Cina uno dei principali inquinatori al mondo, ma anche il grande burattinaio dei materiali utili alla transizione energetica.
    Secondo l'ultimo report di Global Energy Motor, tra marzo 2023 e marzo 2024 la Cina ha installato più energia solare di quanta ne abbia installata nei tre anni precedenti messi insieme, e più di quanta ne abbia installata il resto del mondo messo insieme per il 2023. Pechino ha 339 gigawatt di energia solare ed eolica in costruzione. Per avere un paragone, negli Stati Uniti i gigawatt in costruzione sono 40. Tra l'altro, i dati si riferiscono soli ai parchi solari con una capacità di almeno 20 megawatt, vale a dire solo il 40% della capacità solare cinese.
    Il dominio cinese si basa anche sul controllo degli snodi estrattivi all'estero. Per esempio in Indonesia, che rappresenta oltre il 25% della produzione mondiale di nichel, elemento cruciale delle batterie agli ioni di litio che alimentano i veicoli elettrici e immagazzinano le energie rinnovabili. Nel giro di un decennio, la Cina ha investito nel Paese del Sud-Est asiatico circa 14,2 miliardi di dollari, di cui 3,2 miliardi solo nel 2022. Nelle isole indonesiane di Sulawesi e Halmahera, le aziende di Pechino hanno costruito raffinerie, fonderie, una nuova scuola di metallurgia e un museo del nichel. Controllando la catena di approvvigionamento del nichel, la Cina è riuscita a ridurre i costi di produzione delle batterie e ad aumentare la propria competitività sul mercato globale dei veicoli elettrici. Nella Repubblica Democratica del Congo, le aziende cinesi controllano l'80% della produzione di cobalto, poi raffinato in patria e venduto ai produttori di batterie di tutto il mondo. Negli ultimi anni, Pechino è entrata con decisione anche in Sudamerica. Soprattutto in Bolivia, dove ha firmato accordi da quasi 2 miliardi per l'estrazione di litio.
    L'Occidente ha scoperto, forse troppo tardi, che l'eccessiva dipendenza da terre rare e minerali critici cinesi può portare a seri rischi. Nonostante le indagini antidumping e l'innalzamento delle tariffe, a oggi il 95% dei pannelli solari è di produzione cinese. Il copione rischia di ripetersi, su percentuali inferiori, coi veicoli elettrici. La Cina ha peraltro mostrato di essere disposta a utilizzare le terre rare in guerre commerciali o diplomatiche. Per esempio nel 2010, quando a causa delle tensioni sulle isole contese Senkaku/Diaoyu, Pechino ha stoppato tutte le esportazioni verso il Giappone. Nel settembre 2023 sono entrate in vigore delle restrizioni all'export di gallio e germanio, due metalli fondamentali per la produzione di microchip avanzati su cui Pechino è arrivata a contare rispettivamente il 94 e il 75% della produzione mondiale. Il prossimo 1° ottobre, invece, entrano in vigore nuove norme che affermano che le terre rare appartengono allo Stato. Scopo: proteggere le forniture in nome della sicurezza nazionale, controllando in modo sempre più diretto il flusso verso l'esterno. Bloccare alcuni di questi elementi potrebbe rappresentare un'arma quasi definitiva sull'industria tecnologica verde.
    Basti pensare ai magneti permanenti, fondamentali sia per la mobilità elettrica sia per i sistemi di armamento come i jet da combattimento: il 94% di quelli che arrivano in Unione Europea provengono dalla Cina. L'Occidente sta provando a reagire diversificando le catene di approvvigionamento e stimolando maxi investimenti di estrazione tra Stati Uniti (dove Mountain Pass è tornata a fornire il 14% della produzione mineraria globale di terre rare) e Australia (6%). Anche l'Europa si muove, soprattutto al Nord con progetti in Svezia ed Estonia. Ma per svincolarsi davvero dalla dipendenza nei confronti della Cina potrebbe essere tardi.
  4. A mancare sono i fondi per gli alberi
    Il monito del Wwf sugli investimenti green "Ora l'Italia aumenti le risorse del Pnrr"

    Investire un miliardo di euro da dedicare al verde urbano ed extra-urbano, triplicando gli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). È questa la richiesta che il Wwf (World wide fund for nature) lancia in occasione di Urban Nature. Aumentare la quantità di verde urbano e mantenerlo in salute, è considerato fondamentale per la sicurezza la salute dei cittadini. «Finora non è stato fatto abbastanza», ha spiegato Alessandra Prampolini, direttrice generale di Wwf Italia. Con la Nature Restoration Law, ha aggiunto, «gli Stati europei hanno concordato di piantare fino a 3 miliardi di alberi entro il 2030, ma ad oggi, in Italia, la cifra stanziata nel Pnrr (330 milioni di euro) consentirà di intervenire solo su alcune città piantando 6,6 milioni di alberi, cifra lontana dall'obiettivo nazionale. Pianificare investimenti in questa attività non è quindi più rimandabile e la legge di Bilancio è il momento giusto per farlo». Oggi e non domani.
    Il Wwf spiega perché si tratta di un investimento. I finanziamenti che lo Stato potrebbe integrare a quelli a oggi previsti da Pnrr italiano possono essere prelevati dai 22,4 miliardi di euro di Sussidi Ambientalmente Dannosi. Ovvero, da quei soldi pubblici che, secondo le stime del Ministero dell'Ambiente, lo Stato utilizza in attività economiche che hanno un impatto negativo sull'ambiente e sulla salute.
  5. Sardegna
    Mario Tozzi
    controvento
    C'è una straordinaria terra nel mezzo del mare Mediterraneo che potrebbe essere la prima grande isola e la prima regione del mondo ad abbandonare i combustibili fossili e a essere totalmente neutra rispetto alle emissioni clima alteranti, la prima carbon-free, la più bella. E la prima regione a non dipendere più da altro che non da sé stessa. Un obiettivo che si potrebbe raggiungere coinvolgendo profondamente i territori, generando informazioni corrette: tanto per cominciare non guardando più al gas per paura dell'abbandono del carbone, perché qui ci sono potenziali di vento e sole non paragonabili ad altre regioni. E perché qui, a differenza del resto, il gas non è mai arrivato e il nucleare non lo vuole nessuno. Un obiettivo ambizioso, che comunque non si avvera, anzi, sembra allontanarsi. Perché?
    Eppure non dovrebbe essere così difficile scegliere: da un lato uno scenario "fossile" con l'isola che lascia tutto così com'è, con la produzione di energia elettrica da centrali a carbone (le peggiori possibili) oppure a gas, con costi, a lungo termine, destinati inevitabilmente ad aumentare. Con i trasporti che continuerebbero ad essere inquinanti, le ferrovie che rimarrebbero quelle che sono e le industrie, sostenute dai soldi pubblici, ancora più inquinanti. Con le emissioni di gas serra che aumenterebbero e la qualità dell'aria nei centri urbani o nelle aree industriali che non migliorerebbe.
    In più, in Sardegna, sarebbe inevitabile la realizzazione di un gasdotto (la "Dorsale", perché l'isola oggi non ha distribuzione di gas) che costituirebbe una enorme spesa a carico dei contribuenti (con le comunità locali che dovrebbero poi anche farsi carico, a proprie spese, delle derivazioni necessarie per condurre il gas nei propri paesi) e non porterebbe benefici ai cittadini sardi, costringendoli a restare ancorati ai combustibili fossili per molti decenni, e comportando la costruzione di rigassificatori costieri, invece di poter scegliere da subito le fonti rinnovabili e l'efficienza.
    Nell'altro scenario ("rinnovabile"), si può immaginare che nel 2040 l'isola sarà alimentata solo da fonti rinnovabili, in cui domineranno principalmente il fotovoltaico e l'eolico (soprattutto off-shore, grazie all'elevato potenziale ventoso). Gli impianti eolici off-shore galleggianti, oggi scagionati dall'essere killer di uccelli (la caccia ne uccide molti di più), verranno situati a 25 km dalla costa, evitando ogni tipo di impatto paesaggistico, e obbligando alla istituzione di aree marine protette che ripopoleranno il mare. Gli impianti idroelettrici verranno rinnovati e si produrrà anche una piccola quota di energia elettrica da onde e correnti marine. Le biomasse locali di filiera molto corta giocheranno un ruolo importante nei sistemi di riscaldamento dei piccoli centri. Entrerà in funzione una rete elettrica intelligente e sostenuta da sistemi di accumulo diversificati. Si diffonderanno sistemi di riscaldamento a pompa di calore, ma anche sistemi solari termici integrati con caldaie ad alta efficienza, e la cottura dei cibi avverrà con cucine a induzione. Si vedrà un massiccio incremento di mezzi di trasporto collettivo elettrici e le industrie energivore resteranno attive solo se compatibili con un modello economico circolare, quale la produzione di alluminio da riciclo e non dalla bauxite.
    Questo scenario green comporterà benefici tangibili per la salute e l'ambiente con una drastica riduzione dei gas serra. Con una "Sardegna rinnovabile" si avranno molti più posti di lavoro rispetto ai livelli di occupazione dell'obsoleto sistema fossile riducendo lo spopolamento delle aree interne.
    Verrebbe spontaneo scegliere il secondo scenario: il passaggio diretto dall'energia da fonte fossile a quella da rinnovabile è sempre la scelta migliore. Ma la transizione energetica nell'isola è più complicata e conflittuale del previsto. Inoltre, in Sardegna, forse più che altrove, c'è il timore che si faccia scempio di paesaggio, tradizioni e identità attraverso un numero improponibile di installazioni di pannelli e pale che sono già state avanzate. Però non si può non denunciare chi, per interessi economici legati all'energia fossile, sta cavalcando la protesta contro le rinnovabili (diffondendo anche notizie false), confondendo richieste con progetti operativi e puntando su un modello energetico in continuità con quello attuale, dal carbone al metano, che non risolve una situazione grave che vede oggi l'energia prodotta in Sardegna provenire per il 75% da fonti fossili (con molto carbone).
    L'isola ha uno dei mix energetici più sporchi d'Italia: le rinnovabili sommate non vanno oltre il 25%, ma è anche un'esportatrice netta di elettricità, con trasferimenti verso penisola e Corsica che, sommati alle perdite, valgono il 40% del totale prodotto. D'altro canto, la Sardegna oggi è la quinta regione italiana per potenza eolica installata (1.186 MW, 2023) e al settimo posto per kW eolico per kmq (49 kW/kmq, la media italiana è 41). Ha 618 impianti, ma poco più di una trentina sono quelli di grande taglia, sopra al MW. Per dire che, finora, l'eolico non ha affatto "infestato" la regione.
    Non si può non dare ragione alla presidente Alessandra Todde, quando dice che sulle energie rinnovabili bisogna andare avanti salvaguardando il territorio. Questo vuol dire pianificare e quindi individuare obiettivi e percorsi per raggiungerli, a partire dalla identificazione delle aree idonee e da una diversa inclusione delle voci del territorio. E vuol dire farlo subito, non in un anno e mezzo. Ma il processo di decarbonizzazione non può essere più rinviato, così come la pianificazione, non dimenticando che le energie rinnovabili rimangono la prima e migliore risposta, perché il cambiamento climatico è una priorità assoluta e, alla fine, incide negativamente anche su biodiversità e paesaggio. Proprio al fine di sostenere le energie rinnovabili, non va lasciato spazio a processi speculativi che, in assenza di una pianificazione pubblica, possono portare a localizzazioni sbagliate e ad un eccesso di richieste: in Sardegna proprio questo eccesso, nonostante sia evidente che la gran parte delle richieste avanzate non si concretizzerà, ha finito per avvelenare il dibattito. Se tutte le richieste infatti si trasformassero in impianti, si supererebbe di undici volte il consumo elettrico isolano, calcolato sui consumi attuali, e quindi al netto di future opere di elettrificazione. Uno scenario difficilmente sostenibile.
    C'è un'isola del Mediterraneo che si trova di fronte a un bivio: fossili o rinnovabili? La sfida è frenare la speculazione senza ritardare la transizione, ma deve essere chiaro che vanno comunque abbandonati per sempre e il prima possibile i combustibili fossili.

 

 

30.09.24
  1. Carabiniera suicida indagine archiviata Ma la famiglia presenta reclamo
    «Non sono ravvisabili gli estremi di condotte penalmente rilevanti che abbiano potuto determinare o rafforzare la realizzazione del proposito suicidario». La gip del tribunale di Firenze ha così archiviato l'inchiesta sul suicidio della carabiniera di 25 anni avvenuto il 22 aprile nella Scuola dell'Arma del capoluogo toscano che frequentava. La giudice ha accolto la richiesta del pm che aveva aperto un fascicolo senza ipotesi di reato. Ma nulla è ancora definito. «L'inchiesta è stata archiviata a nostra insaputa - afferma l'avvocato dei parenti della 25enne, Riziero Angeletti -. Non sono stato informato e non ho potuto oppormi all'archiviazione». La difesa ha fatto reclamo. «Il pm ha ritenuto di non avvisarmi. A suo parere, non avevo depositato la memoria nel sistema. Ma poi ha usato anche gli argomenti nella mia memoria per motivare la sua richiesta». E ora? «Il tribunale dovrà deliberare sulla correttezza del comportamento del pm». —
  2. Patti Smith a pranzo
    La regina della cucina di Langa "Sono rinata con tajarin e pallapugno Il mio segreto? Non cambiare mai"
    I consigli della madre
    Il taylorismo della raviola
    Gemma Boeri
    La beffa del Barolo
    Il miracolo si ripete tutti i giovedì mattina. Sbucano come fantasmi in cima alla strada del paese. Avvolte in pesanti cappotti e nella nebbia di Langa. Arrivano alla spicciolata, ognuna immersa nei suoi pensieri. La magia è che nessuno le ha chiamate, nessuno le chiama mai. Semplicemente ci sono. Si materializzano come sacerdotesse di un rito antico e, soprattutto, immutabile. Gemma le chiama «le mie ragazze».
    Non si chiede l'età a una signora: «Te la dico io, così facciamo più in fretta: 76 anni. Da 38 sono qui a fare a mano agnolotti e tagliatelle. È il mestiere che mi piace di più». Il laboratorio della sua osteria è in fondo alla sala. I clienti più curiosi possono vedere dietro il vetro una piccola comunità al lavoro. «Facciamo agnolotti e tajarin per tutta la settimana». Quanti? I tajarin, le tagliatelle fini tipiche della cucina piemontese, non si misurano a peso: «Noi le calcoliamo a uova. Le facciamo al mercoledì e al giovedì pomeriggio: 360 uova e una sfoglia di pasta lunga dieci metri tirata con il mattarello da mia nuora». Per gli agnolotti il calcolo è diverso: «Lo ha fatto un nostro amico in base al peso: ogni settimana, al giovedì mattina, produciamo a mano 11.000 agnolotti del plin». Ecco il senso del miracolo: una quindicina di persone che in quattro ore, dalle otto a mezzogiorno, producono 11.000 agnolotti, tre al minuto per ciascuno. Il taylorismo applicato alla cucina. «Ma è tutto fatto rigorosamente a mano, è questa la differenza». Soprattutto per i tajarin: «Lì capisci tutto. Mia nuora non è una macchina. Quando tira la sfoglia fa una gran fatica ma non ha rulli, ha la forza fisica. E la pasta mantiene la sua struttura, non si deforma. Ha un'altra consistenza e si impregna di ragout in modo diverso».
    Da ragazza Gemma Boeri voleva fare la sarta. Taglio e cucito, altro che agnolotti: «Quello della sartoria è il mestiere che mi aveva indicato mia mamma. Era una donna pratica e saggia. Diceva: "Gemma devi lavorare, guadagnare dei soldi tuoi. Così quando sarai sposata e vorrai comperarti un paio di calze non dovrai andare a fare l'elemosina da tuo marito"». Ma per lavorare bisogna studiare. E per studiare bisogna pagarsi i corsi: «Per questo sono andata a fare la cameriera al ristorante che c'era qui sotto, il ristorante Gallo, quello storico di Roddino». Una folgorazione? «Quasi. Ho scoperto che il mestiere di cucinare era bellissimo. Ma intanto avevo terminato il corso di sarta e sono andata a Torino, dove lavorava mio marito, a tagliare e cucire. Ho messo su un negozio in borgo San Paolo». Quella della città non è stata una bella esperienza: «Nel frattempo era nato mio figlio. La Torino degli Anni Sessanta era piena di smog. Dovevo mettere i teli quando stendevo le lenzuola dal balcone per evitare che diventassero subito nere. Mio figlio aveva la bronchite, non era una situazione accettabile. Così ho scelto di tornare qui, tra le mie colline di Langa». Scelta controcorrente negli anni del boom economico quando erano le povere campagne del Cuneese a trasferirsi a Torino in cerca del lavoro sicuro dell'industria. «Certo, controcorrente. Ma inevitabile. C'era di mezzo la salute di mio figlio. Ho detto a mio marito: "Io torno a Roddino". Lui all'inizio si è portato il lavoro qui, poi ha cominciato a fare il pendolare».
    Gemma torna al paese e cerca lavoro. All'inizio se la cava con qualche riparazione di cucito «poi l'occasione della vita. Il circolo Endas del paese cercava una cuoca che gestisse il ristorante. Lì è cambiato tutto». Grazie alla pallapugno. Lo sport nazionale della Langa, quello che si chiama anche pallone elastico e che ha avuto i suoi campioni in Felice Bertola, da Grottasecca, sulla montagna che si arrampica verso il confine ligure, e Massimo Berruti, da Rocchetta Palafea, nel Monferrato. Sport che oggi si pratica negli sferisteri: «Ma qui non c'era l'impianto. Negli Anni Sessanta e Settanta si giocava nella cuntrà, nella strada del paese. Veniva la gente a vedere le partite, a fare il tifo e poi arrivavano all'osteria dell'Endas a mangiare le raviole», il nome langarolo degli agnolotti. Meglio, degli agnolotti del plin, quelli più piccoli «quelli che oggi molti preferiscono perché più croccanti. Arrivavano a tutte le ore, anche alle due di notte: "Dai Gemma facci un piatto di raviole". Poi stavano lì a raccontarsela, a bere una bottiglia di vino fino alle quattro del mattino. Io mi sveglio presto. Dormivo poche ore ma ne valeva la pena».
    Perché in fondo le tagliatelle, gli agnolotti, il buon vino, sono tutte scuse per la principale attività di questi paesi: raccontarsela, come si dice da queste parti. Anche oggi, al giovedì mattina, intorno ai grandi tavoli dove nascono gli agnolotti. Tra un foglio di pasta, uno spruzzo di farina e una ciotola di ripieno («rigorosamente carne di vitello dei macellai del paese»), Alfio racconta per l'ennesima volta l'incredibile cantonata del sindaco di Sinio. Una di quelle storie che si raccontano ai bambini per insegnare che prima di prendere una decisione è importante pensarci bene. Alfio ricorda che «negli Anni Sessanta si stava creando il consorzio dei Comuni del Barolo. Serralunga, che aveva allora poche vigne e molti boschi, era entrata. Sinio, al confine, non voleva entrare: "Non mi mischio con quelli di Serralunga", disse il sindaco di allora e sdegnosamente rifiutò. Oggi una giornata di terra nei paesi del Barolo vale 1,2 milioni di euro. Fuori da quel confine il prezzo è di 25.000. Per molti anni quel sindaco è stata l' imprecazione di tutto il paese».
    Pur senza la ricchezza dei Comuni del Barolo, Roddino, 400 anime su un cocuzzolo a 600 metri di altezza, sta conoscendo una vera e propria rinascita. Anche grazie ai due figli di Gemma: Marco, oggi sindaco, e Daniele che governa la complessa logistica dell'osteria: «Abbiamo prenotazioni fin oltre Natale. A novembre faremo il click-day per le domeniche di inizio 2025. In genere nei primi due minuti arrivano 200-300 prenotazioni. L'unica possibilità, in alternativa, è cercare di prenotare in settimana». Inconvenienti di una fama ormai consolidata. Gemma non si monta la testa: «Io vivo qui, faccio la vita che ho sempre fatto. Spesso arrivano personaggi famosi che io non riconosco. Me lo dicono i miei figli o gli altri clienti: "Hai visto chi è seduto a quel tavolo?". Così un giorno è arrivata una signora già avanti negli anni. Con i capelli tutti bianchi e lunghi. Vedevo che molti la fotografavano. Quando sono andati via ho chiesto: "Ma chi è quella signora anziana? Era Patti Smith"». Altre volte arrivano annunciati ed è più semplice. Alle pareti ci sono le fotografie con Gino Paoli, Gerard Depardieu, l'inossidabile maestro Vessicchio, Michael Hucknall, frontman dei Simply Red. C'è anche Lady D, circondata da cuoca e personale dell'osteria. Quando è venuta Diana? L'officina degli agnolotti è attraversata da un mormorio allegro. Una signora solleva dal tavolo due occhi che sorridono: «Lady D sono io. Diversi anni fa. Mi ero fatta la stessa pettinatura. Con la somiglianza ci giocavo un po'"». Grandi risate.
    Gemma, perché vengono qui da tutti i continenti? Qual è il tuo segreto? «Il mio segreto è non cambiare mai. In un mondo in cui tutto è instabile, dove quel che è vero oggi diventa falso domani, se resti uguale a te stesso vinci». Dunque un pubblico anziano? «Niente affatto. Vengono tanti giovani. Magari gli altri giorni della settimana mangiano al Mc Donald ma vengono qui per assaporare il gusto della cucina della nonna». Non cambiare mai, la sintesi di una vita. In fondo Gemma ci ha provato: è andata ad abitare in città, ha tentato di trovare un nuovo mestiere. Ma alla fine un elastico invisibile l'ha riportata qui, sul cocuzzolo. Non sei stanca di proporre tutti i giorni lo stesso menù? «Ho provato a cambiare sai? Ma mi sgridano. Ho provato a sostituire l'insalata russa con l'insalata di pollo. I clienti protestano: ma come, sono venuto fin qui per l'insalata russa».
    Alla mezza il miracolo è finito. «Le ragazze» e i loro mariti hanno stivato nel freezer una ventina di sacchi di agnolotti. È l'ora del pranzo (come è tradizione nei paesi piemontesi) e la discussione prosegue davanti ai mitici piatti di Gemma. La tavolata riceve con quel pasto la paga di una mattinata di lavoro. Un baratto prelibatissimo che si ripete ogni settimana. Racconta Gemma: «Era cominciato tanti anni fa, quando mia mamma stava male. Avevo lasciato l'osteria dell'Endas per mettermi qui in proprio. Ma dopo la morte della mamma come facevo da sola? Allora amici e parenti hanno cominciato a venire a dare una mano. E continuano ancora oggi». Lo racconta Clelia, una vita a lavorare tra i bambini dell'ospedale Regina Margherita di Torino: «Per molti di noi venire qui è soprattutto un modo di stare insieme. Nelle campagne è sempre stato così. Era un'altra vita, anche a tavola. Qui nessuno ha mai saputo che cosa fosse l'impiattamento. E nei lavori della campagna le famiglie si sono sempre aiutate. La difficoltà di uno può essere la difficoltà di tutti». Arriva una coppia di turisti brasiliani. «Non avete la prenotazione, siamo pieni mi dispiace», dice il figlio. «Ma ci chiamiamo Boeri come la signora. E siamo venuti fin qui per mangiare i tajarin e la carne cruda». Gemma, intenerita trova un posto. Poi si gira e sussurra: «Visto? Perché dovrei cambiare il menù?». —
  3. Dopo la P38, ecco una semiautomatica 7.65 nascosta nella cantina del capo 'ndrangheta D'Onofrio. Dei sei arrestati, cinque restano in carcere
    Nella casa del boss trovata un'altra pistola Confronto con le armi dei delitti di mafia

    giuseppe legato
    Il 28 febbraio 2024, in via Bellini 12 a Moncalieri, nella casa del signor Franco D'Onofrio, considerato dagli investigatori "un dirigente della ‘ndrangheta in Piemonte", è in corso una conversazione di interesse investigativo con l'ex rapinatore Claudio Russo. Alle 15.28 la microspia ambientale registra Russo che fa le lodi di qualcosa che D'Onofrio in mano: «È l'ultimo modello ed è bella Franco» dice. Il rimando è ovviamente a una pistola che D'Onofrio detiene nascosta in una zona di pertinenza del condominio. "Compare Franco" la deve spostare perché – dice lui stesso – vicino al luogo in cui la nascondeva «ho visto l'altro giorno che c'erano degli operai». Il conciliabolo va avanti a lungo al fine di trovare il miglior nascondiglio. Ma il bunker eretto dai due per nascondere la semiautomatica 7.65 cade dopo due giorni di perquisizione no stop da parte dei finanzieri del Gico (gruppo speciale del Nucleo di Polizia economica della Finanza). È la seconda arma trovata nella disponibilità di D'Onofrio, 64 anni, ex Colp (Comunisti organizzati in lotta per il proletariato) transitato in una sliding doors criminale nella mafia calabrese di cui negli ultimi 15 anni avrebbe scalato a piè pari le gerarchie. E che fosse nel palazzo di via Bellini gli investigatori lo avevano capito 48 ore prima quando hanno trovato nascosta in un mattone forato del contro-soffitto dei locali comuni della cantina e murata una P38 Smit&Wesson a tamburo, perfettamente oliata carica coi proiettili. Nello slot ricavato per nasconderla c'erano però altre 20 munizioni di una 7.65 ed è per questo che la perquisizione si è protratta per giorni sempre in locali attigui a quelli in cui è stata trovata la prima arma. Era distante una decina di metri, in un foro nel muro. Segue – agli atti – la ricostruzione di come D'Onofrio in quei giorni abbia lavorato alacremente per ricavare il nascondiglio e della conferma definitiva che la Finanza ottiene quando «si sente distintamente il rumore dello scarrellamento».
    A D'Onofrio la semiautomatica era stata consegnata da Russo. «Portamela dopo Pasqua quella cosa così la porto là sotto e poso pure quest'altra che ho» dice D'Onofrio. E l'altro: «Te la porto la sera però perché con il buio è meglio». La consegna avverrà il 4 aprile, seguirà «interrogazione di D'Onofrio al comando vocale di Google per comprendere – scrivono gli investigatori – se quella 7.65 si possa considerare un'arma da guerra». Richiesta è tutt'altro che non lineare «se si considera il diverso trattamento sanzionatorio». Poco dopo sempre D'Onofrio si recherà a una ferramenta di corso Roma per comprare «uno scalpello largo, che non server a me – dirà al commesso – ma a uno che me lo ha chiesti e non so cosa debba fare». Compra anche due sacchetti di cemento a presa rapida da un chilo «'che la porta del palazzo a furia di aprire e chiudere si è scassata tutta».
    Non servivano certo agli investigatori conferme sulla confidenza del «dirigente della ‘ndrangheta» con le armi certificata da plurime declaratorie di responsabilità a partire dagli anni Ottanta ad oggi. Servirà invece capire se le due pistole sequestrate (e contestate) a D'Onofrio possano configurarsi come cosiddette "parlanti", verranno inviate agli specialisti per confrontarle e capire eventuali "match" coi delitti di mafia (ma non solo) avvenuti a Torino (e non). E di omicidi, fatti di sangue e misteri ancora avvolti dal buio è costellata la storia criminale della città da decenni. Ieri i giudici di Torino e Genova, all'udienza di convalida, hanno emesso ordinanza nei confronti di D'Onofrio, del sindacalista Domenico Ceravolo (difeso dal legale Christian Scaramozzino) e di Giacomo Lo Surdo (legale Domenico Peila). Restano in carcere.

 

29.09.24
  1. Nell'inchiesta della Dda spuntano insospettabili contatti tra D'Onofrio e Cristoforo Piancone: un collegamento che risale agli Anni di piombo
    l'inchiesta sulle presunte infiltrazioni della 'ndrangheta
    Il boss e il brigatista del delitto Casalegno due incontri segreti dopo quasi 47 anni
    La Filca Cisl promuove il capo di Ceravolo
    giuseppe legato
    Un sinistro – e nemmeno tanto sottile – filo rosso continua a cucire più di 40 anni di storia criminale di Torino. Mette insieme segmenti distanti che non si sono mai toccati e che invece continuano a parlarsi perlomeno in alcuni dei loro interpreti (o ex).
    E al centro, come un abile sarto di relazioni, c'è Franco D'Onofrio, 64 anni, residente a Moncalieri, finito in manette nei giorni scorsi per mano del Gico della Guardia di Finanza (pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni) con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso «essendo – si legge agli atti - dirigente della ‘ndrangheta in Piemonte».
    Se fosse un film sarebbe «Sliding doors» con le porte girevoli che – perlomeno nei contatti anche recenti – lo vedono incontrare affiliati alle ‘ndrine ed ex componenti della colonna torinese delle Brigate Rosse. Uno di questi è Cristoforo Piancone (non indagato ndr) già condannato per concorso in sei omicidi tra cui quello del vicedirettore de La Stampa Carlo Casalegno. Fu lui dopo il barbaro assassinio del giornalista, a telefonare all'Ansa per rivendicare il delitto.
    I militari del comando provinciale della Finanza guidati dal Generale Carmine Virno, hanno tracciato due incontri tra D'Onofrio e Piancone. Il 21 aprile e l'11 ottobre del 2023. Entrambi hanno avuto luogo nella casa di D'Onofrio dove i militari hanno ritrovato anche una Smit&Wesson calibro 38 con 5 proiettili nel tamburo. Di cosa abbiano parlato non è noto nemmeno agli investigatori perché nonostante siano riusciti a installare una microspia ambientale in casa del presunto boss, le voci non si sentono. L'uomo di collegamento tra i due è Claudio Russo che a sua volta figura insieme a Piancone in una rapina commessa alla sede della MPS nel 2007 con la quale svelò al mondo come l'ex killer delle Br, nonostante le brillanti relazioni dei tribunali di Sorveglianza che ne lodavano il percorso carcerario con tanto di concessione della semilibertà, non fosse rinsavito e avesse ancora una certa confidenza con il crimine e con le armi. Che è poi la stessa che viene riconosciuta da sentenze a Franco D'Onofrio, attivista dei Colp (Comunisti organizzati nella lotta per il proletariato) negli anni 80 e poi autore di una singolare scalata ai vertici della malavita organizzata certificata dalla condanna definitiva nel processo Minotauro. Per armi è stato condannato in un'inchiesta stralcio della Dda (Pm Roberto Sparagna) che ha incrociato le risultanze dell'operazione della Dda di Milano "Tramonto"), 2007, pm Ilda Boccassini, sulle Nuove Brigate Rosse con le intercettazioni di Minotauro. Nella prima indagine finì una conversazione tra due sodali. Parlano di armi:. «Mi ha detto Franco, se ti interessano, che ci sono dei Kala, sia piccoli che lunghi. Ce ne sono 10. Però devi dirmelo entro giovedì» spiega uno. E l'altro: «Digli se può tenerli. Quanto vuole?». Il pm annota: «Da questa conversazione si ha conferma che Franco dispone di armi di elevata potenzialità offensiva che è disposto a mettere nella disponibilità del gruppo». Franco è Francesco D'Onofrio. Nel capo di imputazione contestato al boss finisce un'altra conversazione maturata anni dopo nelle cuffie dell'antimafia in cui un affiliato intercettato con il boss del Canavese Bruno Iaria, confidava: «Io le ho viste le armi di compare Franco. Gli sono arrivate con il camion dalla Macedonia». La condanna è diventata definitiva il 13 febbraio 2023. Ma D'Onofrio non incontra solo Piancone. Dalle ceneri del passato salta fuori anche Pancrazio Chiruzzi (non indagato ndr), rapinatore leggendario. Che D'Onofrio contatta, nel corso della presunta pianificazione di una rapina, per chiedere consigli «su allarmi e centraline». Siamo ad aprile 2024. I pm lo identificano come uno «dei più efferati autori di reati contro il patrimonio». Ancora armi, ancora il passato, ancora quel filo rosso.
  2. NON CI CREDO CHE LE PORTE DEL GTT SARANNO APERTE PER UN CURIOSO, LO SO PER ESPERIENZA SU FIAT: «Preferisco un giro in pullman a una Porsche». La passione per il trasporto pubblico di Tommaso Di Micco, 13 anni, è grande così. Ed è nata in Borgo San Paolo, «a bordo di un bus della linea 56, quando di anni ne aveva appena tre» racconta mamma Alessandra. «Per farlo felice bastava girare per la città su un mezzo pubblico - spiega - E lui, ogni cosa che vedeva, ci riempiva di domande».
    La stessa scena si è ripetuta ieri, quando è stato ospite di Gtt alla centrale operativa di corso Pastrengo a Collegno. Il suo viaggio nel cervello della metropolitana è iniziato dopo che l'amministratrice delegata del Gruppo Torinese Trasporti Serena Lancione ha saputo del progetto per l'esame di terza media di Tommaso: un modellino sulla metropolitana del futuro sotto casa sua, in Borgata Lesna a Grugliasco, con tanto di mappa con le future fermate. «La metro che ho ideato è composta da tre linee - ha spiegato - e collega tutta la prima cintura, da Settimo a Orbassano, da Moncalieri a Caselle ma anche Borgaro, Alpignano, Orbassano...». E, ovviamente, «Grugliasco. Della fermata sotto casa mia ho creato anche il modellino di legno insieme a mio nonno Silvio». «Questo modellino ha un solo difetto - ha aggiunto un dipendente di Gtt - manca uno dei nostri treni». «Rimedieremo presto», ha promesso Lancione.
    Per un pomeriggio Tommaso ha lasciato perdere i compiti assegnati dai suoi insegnanti al liceo scientifico Curie-Vittorini di Grugliasco, dove frequenta il primo anno, per presentare il suo progetto con tanto di mappa proiettata su un maxischermo. Ha citato i nomi delle fermate, le diramazioni, anche le piazze dove ha previsto «i terminal per i bus extra urbani che permetteranno ai viaggiatori di raggiungere anche i Comuni più lontani, senza metro». E ha insistito sul collegamento «con l'aeroporto di Caselle, anche se so che è stata appena inaugurata la linea del treno».
    Dopo gli applausi dei presenti, la parola è passata a Lancione: «Ci fa piacere aver invitato Tommaso perché siamo orgogliosi di incontrare chi sogna in grande per il futuro del trasporto pubblico. E quando si sogna, tutto inizia da qui: da un foglio bianco. Poi arrivano gli studi di fattibilità, i calcoli sul costo-opportunità, la ricerca dei finanziamenti. Ma Tommaso ha fatto un ottimo lavoro». È l'ad a fare da Cicerone a Tommaso nei lunghi corridoi della centrale operativa di Gtt. A partire dalle officine, dove i treni della metropolitana arrivano per la manutenzione. «Non sapevo che avessero delle ruote larghe un metro», dice chi ha accompagnato Tommaso. I treni sono sollevati a cinque metri da terra, Tommaso va sotto, osserva la scocca. Poi si arriva nel deposito, «dove presto arriveranno quattro nuovi treni. E per la metro a Cascine Vica ne chiederemo altri 12». «Quanto costano?», chiede Tommaso. «Quattordici milioni l'uno».
    Il momento clou è arrivato nella sala controllo: qui, su 24 monitor, vengono costantemente monitorati il flusso dei treni e tutto ciò che accade nelle stazioni della metro. Tommaso scopre chi risponde alle chiamate d'emergenza dalle stazioni, come vengono affrontati i problemi. «E abbiamo anche riorganizzato i vertici, dopo gli ultimi problemi. Magari da grande ne farai parte anche tu», lo sfida Lancione.
    Tommaso osserva, attraversa i binari del «chilometro dove vengono provati i nuovi treni», riempie di domande i vertici Gtt presenti. Mille curiosità che porterà ai suoi compagni di classe e agli amici della pallanuoto oggi, «anche se non tutti amano la metro come me», ha ammesso. «Io anche quando viaggio coi miei genitori, da Copenhagen a Parigi, la prima cosa che voglio vedere è la metropolitana». Prossima tappa? «Forse Londra». Sul lavoro da grande, invece, non ha dubbi: «Progettare nuove metro». Le porte di Gtt sono già aperte. —

 

28.09.24
  1. L'ad Donnarumma apre ai sindacati: "Miliardi in sicurezza e formazione" I dubbi della Corte di Cassazione sulla patente a punti: in utile e dannosa
    Strage di Brandizzo la svolta di Ferrovie "Freno ai subappalti"
    LEONARDO DI PACO
    TORINO
    «Per il prossimo piano industriale del gruppo ci siamo dati un obiettivo: identificare quelle aree, relative agli interventi di manutenzione, dove è opportuno avere in casa il know how tecnico e tecnologico per intervenire piuttosto che affidarsi a soggetti esterni». L'amministratore delegato e direttore generale del gruppo Fs, Stefano Donnarumma, cerca di pesare le parole. Ma il messaggio è chiaro: per evitare che si ripetano stragi sul lavoro come quella di Brandizzo, Rfi cercherà di mettere un freno al sistema di appalti e subappalti. Una tematica definita «delicata» dall'ad, anche perché spesso legata «all'abbattimento dei costi, che per definizione non è mai favorevole alla qualità».
    La promessa di Donnarumma arriva durante il convegno «Brandizzo un anno dopo. Manutenzione ferroviaria: cultura della sicurezza, investimenti e sistema appalti» organizzato ieri a Torino da Filt Cgil nazionale e regionale del Piemonte. Secondo il top manager di Rfi, in carica dalla fine di giugno, «in materia di sicurezza l'azienda ha una tradizione storica, con molte procedure e investimenti ma siamo impegnati a cercare di migliorare ancora».
    Questo si tradurrà «in un aumento dei controlli nei cantieri» e in un piano industriale che destinerà «miliardi in formazione e nella sicurezza industriale».
    I sindacati incassano la promessa dell'ad. Ma rilanciano: «Sulla salute e sicurezza sul lavoro nelle ferrovie serve una svolta anche contrattuale, che promuova i lavoratori che rispettano le regole, e non come spesso accade oggi penalizzandoli» dice il segretario generale della Filt Cgil, Stefano Malorgio. «Inoltre – aggiunge Malorgio – serve da parte di Fs un impegno sia nella internalizzazione delle attività che nella cancellazione dei subappalti e nella qualificazione delle imprese, perché mentre ci sono stati passi avanti per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro, su questi temi bisogna concretizzare. Si tratta di capire insomma se, ad un anno dalla strage di Brandizzo, siamo in grado di imboccare la strada di un progetto che ci porti a far sì che le cause che hanno provocato l'incidente non si ripetano più».
    All'incontro sì è anche parlato del provvedimento, voluto dal governo, che dal primo ottobre introduce una "patente a punti" nell'edilizia come criterio fondamentale per valutare l'idoneità dell'azienda nella partecipazione a gare d'appalto, bandi pubblici per la concessione di incarichi, nonché per richiedere incentivi e bonus. Un provvedimento che secondo Bruno Giordano, magistrato di Cassazione ed ex direttore dell'Ufficio Nazionale del Lavoro, «è inutile e dannoso» perché «nei requisiti per l'autocertificazione non c'è nulla che riguardi gli appalti, il titolo IV o articolo 26 (del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, ndr). Strano che dopo stragi accomunate da problemi legati a sistemi di appalti e subappalti si chiede di autocertificare tutto tranne se un'azienda è in regola in materia di appalti». Anche un altro magistrato e giurista, Raffaele Guariniello, solleva dei dubbi sulla reale utilità della misura «soprattutto in relazione al fatto che la legge prevede l'obbligo della patente solo nei cantieri temporanei e non negli appalti interaziendali».
    Poi rilancia una vecchia proposta: l'idea di istituire una procura nazionale deputata alla sicurezza sul lavoro. «È necessaria perché In Italia ci sono oltre 120 procure, molte delle quali non sono specializzate o non hanno le risorse sufficienti per gestire casi come quelli di Brandizzo».
    All'evento era presente anche Chiara Gribaudo, presidente della commissione bicamerale sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro: «Serve uno sforzo in più, soprattutto in termini di investimenti in tecnologia e di formazione professionale affinché sia consapevole, provata non solo sulla carta, e riscontrabile». ù
  2. Sullo smartphone del delegato finito in manette era stata inserita l'applicazione dagli investigatori. Lui se ne accorse e il cellulare fu sostituito
    Il giallo del trojan sul telefonino del sindacalista "I vertici della Cisl chiesero aiuto per rimuoverlo"

    giuseppe legato
    Il 6 febbraio 2023 i finanzieri del Gico coordinati dalla Dda di Torino sono così convinti che Domenico Ceravolo, 46 anni, sindacalista della Filca Cisl edili finito in manette per associazione a delinquere di stampo mafioso, c'entri più di qualcosa con la ‘ndrangheta che decidono di "inoculare" un virus informatico (un trojan) nello smartphone del dipendente della sigla confederale.
    Pochi giorni prima (era il gennaio 2023) il sindacalista deve recarsi in Calabria a tutti i costi. È stato convocato come teste della difesa di un boss nell'aula bunker di Lamezia Terme per testimoniare nel maxi processo Rinascita Scott, culminato con ben 345 arresti per mafia. Le spese di viaggio vengono – il dato è singolare – sostenute dal sindacato. I pm sottolineano agli atti come «di tale esborso, che non può di certo ritenersi una spesa attinente le attività istituzionali dell'ente, non è stato tenuto all'oscuro il vertice romano dell'organizzazione sindacale stessa». Ma vi è anche di più: «Che i nominati responsabili della Filca Cisl (non indagati ndr) fossero a conoscenza del motivo inerente la trasferta calabrese di Domenico Ceravolo lo si coglie compiutamente da una telefonata con cui lo stesso racconta a uno dei vertici nazionali che lo avrebbe informato «dell'esito dell'udienza».
    L'aria, al sindacato, non pare delle migliori perché a questa notizia «si aggiungono – scrivono i pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni - le notizie stampa pubblicate a seguito della cattura del latitante Pasquale Bonavota ove emerge come all'interno dell'abitazione del boss sia stato rinvenuto, in uso a quest'ultimo, il documento d'identità proprio di Domenico Ceravolo.
    Per i magistrati che hanno coordinato gli investigatori si tratterebbe «di un accertato diretto dei vertici sindacali a favore di Ceravolo allorquando sono emersi chiari segnali di una possibile attività investigativa svolta nei confronti di quest'ultimo». Di cosa parlano gli inquirenti è presto detto: «Dopo l'inoculamento del trojan sul telefono aziendale di Ceravolo è uno dei vertici della Filca Cisl a contattare il gestore Vodafone «per rappresentare alcune anomali che stava riscontrando su quel telefono: "Senta, la chiamo per un problema che ha il proprietario, l'intestatario di questo numero. Non riusciamo a disinstallare o quantomeno a bloccare un ... un'applicazione che è "Assistenza in linea" che continua a lavorare in background, volevamo capire se era possibile disattivarla tramite il servizio o c'è qualche anomalia». Per gli investigatori «è un chiaro segnale di aver compreso che si trattasse di un trojan».
    In contemporanea – aggiungono – si verifica un altro intervento di un dirigente nazionale: «Quest'ultimo ha dato disposizione al personale informatico della Filca Cisl che opera nella sede centrale di Roma di avviare la pratica per l'acquisto di un nuovo cellulare da dare in uso a Ceravolo. Il 4 marzo il sindacalista poi arrestato entrerà in possesso di un nuovo smartphone: «Mi è arrivato ieri è un Samsung S23 Ultra, l'ultimo è. Costa 1400 euro, l'hanno pagato loro». Chiosano i pm: «Tale dispositivo, dunque, avrebbe non solo sostituito quello sul quale era stato installato il trojan ma avrebbe reso maggiormente complicato (se non impossibile) un nuovo tentativo di inoculazione da parte della polizia giudiziaria atteso che si tratta di un modello di ultimissima generazione. Stesso acquisto sarà sostenuto dalle casse sindacali per "il braccio destro di Ceravolo", un altro dipendente Filca Cisl. «Tale agire – concludono i finanzieri del comando provinciale guidati dal Generale Carmine Virno - è del tutto ragionevole ipotizzare che derivi dall'intenzione di rendere quanto maggiormente complicata l'intercettazione delle quotidiane conversazioni».

 

 

27.09.24
  1. Al fronte col filantropo che aiuta l'Ucraina "Dai calzini ai missili, ci penso sempre io"
    Amed Khan
    "
    Francesco Semprini
    PAVLOGRAD (Ucraina)
    Amed arriva all'appuntamento poco dopo mezzogiorno, il sorriso del fare e il cronico entusiasmo fanno a pugni con la stanchezza lenita solo da qualche ora di sonno. «Ieri – dice – siamo stati coi "ragazzi degli Himars" sino a tarda sera». I "ragazzi degli Himars" sono i militari delle unità delle forze armate ucraine che si occupano del funzionamento di questi sistemi d'arma divenuti centrali non solo sui fronti di battaglia, come qui in Donbass, ma anche nel dibattito tra gli alti vertici politici e militari di Kiev e degli Alleati occidentali. Amed invece è Amed Khan, filantropo attivo nei teatri bellici e nelle aree di crisi, oggi principale sostenitore privato della causa ucraina.
    Il suo motto è «dai calzini ai generatori», qualsiasi cosa serva, a militari e civili ucraini, la sua Fondazione provvede a fornirla. «Faccio tutto da solo, a volte qualche amico partecipa a iniziative – chiosa –, ma sono incline a non chiedere nulla a nessuno, intervengo in maniera diretta, senza seguire complicati protocolli, lavoro sulla velocità degli approvvigionamenti».
    Amed va oltre gli esseri umani, talvolta si occupa di animali, come Jack il pastore tedesco che ha resistito all'occupazione russa nell'Oblast di Kharkiv, asserragliato in un sottoscala. «Quando lo abbiamo trovato era depresso, malnutrito, spaventato, aveva trascorso troppo tempo sotto i bombardamenti», dice il filantropo che si è preso carico dell'animale sino a quando a chiederne l'affidamento è stato l'amico Amos Bocelli (figlio di Andrea). Come sta Jack? «Ci ha lasciato, era già su con l'età, ma almeno ha vissuto i suoi ultimi anni come si deve, davanti al mare, nella tenuta di Forte dei Marmi del Maestro».
    Il suo legame con l'Ucraina ha radici più profonde del conflitto in corso. Khan collabora col governo degli Stati Uniti dagli anni Novanta, lavora nei campi dei rifugiati in Ruanda, poi con l'allora presidente Bill Clinton ancora in Africa, e, successivamente, con la Fondazione Clinton in altre zone disagiate. Vira quindi in finanza per raccogliere fondi e crea la sua attività filantropica, da lì inizia un nuovo percorso sui fronti caldi del Pianeta. «Sono stato in Iraq, Siria, Somalia, ho accolto rifugiati, costruito case per loro – racconta –, ho organizzato l'evacuazione degli afghani nel 2021 con sei voli charter miei, subito dopo l'arrivo dei talebani». La sua frequentazione dell'Ucraina inizia dal 2005, vanta l'amicizia con Vitali Klitschko, il «sindaco-pugile» di Kiev. Ed è con l'ufficio del presidente Volodymyr Zelensky che ad agosto del 2021 organizza l'evacuazione degli afghani collaborando con le forze speciali ucraine. Nei mesi successivi rimane in contatto con le autorità di Kiev fungendo da collegamento ufficioso con alcuni ambienti dell'amministrazione americana in merito a tematiche umanitarie. «Il 24 febbraio scoppia la guerra – racconta – eravamo preparati e avevamo già predisposto misure preventive per evacuare diverse persone dal Paese, in particolare amici e personalità di rilievo».
    Da quel momento il suo impegno diventa incessante. «Ormai trascorro molto più tempo qui che a casa mia a New York, ma a me piace così. C'è chi ha lo yacht, l'elicottero, vetture di lusso e magioni in giro per il mondo, io ho le missioni, crisi umanitarie o zone di guerra, cerco di esserci sempre –, dice col ghigno di che esorcizza sacrificio e fatica –. È tanto lavoro ma anche tanta gioia», come quando una grande casa-famiglia femminile di ragazzine dai 7 ai 17 anni viene distrutta da un missile russo. «Sarebbero state tutte separate, date in affidamento ad altre strutture nel Paese o fuori, per loro significava essere strappate da quella che era diventata la loro casa e la loro famiglia». Khan decide di provvedere alla ricostruzione della struttura, ottiene i permessi, porta i materiali e grazie al lavoro di volontari e professionisti ridona luce alla struttura. «Le responsabili mi mandano costantemente i video di bimbe e ragazze che studiano e giocano, prima o poi farò loro una sorpresa».
    Più in su con l'età sono invece i "ragazzi degli Himars" che Amed sostiene fornendo loro vettovagliamento, ma anche mezzi per muoversi e provvedere alla loro esigenze più immediate. Il buon samaritano del Donbass ha persino provveduto a prendersi cura della moglie e del figlio del soldato Artem. «Il bimbo, Damir, ha bisogno di sostengo particolare, così ho fatto avere loro il visto, la mamma, Oksana, lavora per la mia organizzazione e il ragazzino va a scuola e fa sport seguito con tutte le attenzioni del caso». Ad oggi le attività di Khan si concentrano in questa parte di Ucraina, tra la Pokrovsk che i russi tentando di aggirare avanzando dal fianco sud-est, mentre si incuneano verso la strada che collega Myrnograd a Kramatorsk. Città chiave della regione di Donetsk presa di mira ieri dai bombardamenti delle forze di Vladimir Putin che hanno causato due morti e 15 feriti.
    «Il problema – dice – sono le armi a lungo raggio, ci sono postazioni al di là del confine che supportano le operazioni militari di Mosca in questa regione, come le basi da cui partono i cacciabombardieri con le bombe plananti (Fab). Per neutralizzarle c'è bisogno di quelle armi e di utilizzarle a lunga gittata». Quando si parla di politica, il "buon samaritano" diventa agguerrito: «Gli Stati Uniti non vogliono che l'Ucraina perda, ma nemmeno che vinca, è una constatazione, hanno calibrato tutte le forniture, non vogliono nemmeno che collassi la Russia, vogliono mantenere lo status quo». Ancor più impietoso è quando si parla di elezioni americane. Cosa si aspetta? «La politica estera dell'establishment è fatta da sapientoni delle Ivy League che non hanno esperienza di come va il mondo. Non mi aspetto nulla quindi, comunque vada il 5 novembre». —
  2. Torino, la procura chiede una relazione a Fastweb per capire che cosa non ha funzionato
    Roua e il giallo del braccialetto "Da chiarire il mancato allarme"
    ELISA SOLA
    CATERINA STAMIN
    TORINO
    «La natura delle esigenze cautelari da soddisfare inducono a ritenere necessario, laddove il presidio elettronico non fosse reperibile o immediatamente installabile, ripristinare, ovvero mantenere nelle more la massima misura cautelare carceraria, richiesta dal pm». Abdelkader Ben Alaya, il muratore di 48 anni che tre giorni fa ha ucciso a Torino la moglie Roua Nabi, era «pericoloso». Così scriveva la gip Ersilia Palmieri il 2 luglio, ordinando i domiciliari con l'obbligo di portare il braccialetto elettronico. Ma quel dispositivo, così urgente e fondamentale tanto da spingere la giudice a scrivere un'intera pagina riguardo ad esso, di un'ordinanza di sei, non ha funzionato la notte in cui Roua è stata ammazzata. Una sola coltellata vicino al cuore e davanti ai suoi due bambini. Uno dei filoni dell'indagine sull'ennesimo femminicidio punta dritto al nodo cruciale di una tragedia che forse si sarebbe potuta evitare. Perché il braccialetto elettronico non ha suonato? Il pm Giuseppe Drammis, titolare dell'indagine, ha ordinato accertamenti di natura tecnica considerati dagli stessi inquirenti di particolare complessità. La richiesta di una relazione è stata inoltrata anche alla compagnia telefonica Fastweb.
    Lo spettro delle ipotesi è ampio. Potrebbe essere subentrato un problema tecnico, come l'assenza di segnale. Oppure l'indagato – come a volte accade, anche se raramente – potrebbe essere stato in grado di schermare il dispositivo, mandandolo in tilt. Ma c'è anche chi ipotizza che il braccialetto, più banalmente, possa essere stato difettoso per sua natura. È già capitato, a chi indaga, di incappare in dispositivi "fallati". Se emergesse che invece lo strumento funzionava, si aprirebbero altri fronti. E nuove domande. Era mai stato attivato, quel braccialetto, quando venne assegnato a Ben Alaya lo scorso luglio? E ancora. Se era attivo, le forze dell'ordine come avrebbero dovuto controllare? Non si esclude la pista dell'errore umano.
    Tutti sentivano le urla tra le quattro mura di quel palazzo di periferia dove Ben Alaya non avrebbe dovuto avvicinarsi, perché glielo aveva imposto il giudice. Che gli aveva assegnato un dispositivo dotato di una sim collegato alla centrale operativa della Questura. Ogni segnale arriva lì. E così è stato anche lunedì sera. Alla centrale il dispositivo manda una segnalazione quando mancano circa due ore all'omicidio. Come da procedura, partono i controlli incrociati per capire se l'uomo abbia superato i limiti imposti dal giudice, i 500 metri di distanza. Una vicina racconta di aver visto l'uomo nel palazzo intorno alle 18.30. «Non sapevo non vivessero insieme, lui era sempre qui», dice Gaia Lo Nigro. Ma intorno alle 21, dalla geolocalizzazione del braccialetto non risulta che Abdelkader e Roua fossero insieme. Oltre due ore più tardi il vicino di casa viene svegliato dai pugni sulla porta di una bambina che chiede aiuto per sua madre. Il ragazzo apre la porta di casa. Stesa a terra sul pianerottolo, in una pozza di sangue, c'è Roua Nabi. Ha una ferita al torace che Salvato, su indicazione dell'operatrice del 112, prova a tamponare con un asciugamano. Ma tutto si rivela inutile, Roua muore al San Giovanni Bosco. E da allora le domande si moltiplicano. Cosa non ha funzionato? Ieri l'assassino, difeso dall'avvocato Gianluigi Marino, non ha risposto alle domande del gip. È rimasto in silenzio.
  3. ALICE RAVINALE Consigliera regionale di Avs "Qui come altrove serve più coraggio sull'ambiente"
    "Protesta legittima condivisa da tanti La Città adesso continui il dialogo"
    ANDREA JOLY
    «Chi amministra, qui come in tutta Italia, deve avere più coraggio nel fare politiche ambientaliste». La consigliera regionale di Alleanza Verdi e Sinistra Alice Ravinale, già capogruppo di Sinistra Ecologista in Comune, è finita nel mirino di chi protesta per il parco del Meisino: «Prendo atto e capisco la frustrazione. Ma noi portiamo avanti le istanze ambientaliste in politica, per cambiare lo status quo».
    È scontro tra Città e attivisti. Da che parte state voi?
    «Quando si arriva a questo livello di incomunicabilità tra le parti, con tanto di presenza delle forze dell'ordine in cantiere, è una sconfitta per tutti. In Piemonte dovremmo saperlo bene, dopo la Tav. Ed è lo stesso copione visto con le alberate in corso Belgio».
    L'assessore Carretta mente quando dice che le interlocuzioni sono durate due anni?
    «È vero che ci sono stati confronti ma su un progetto che, a causa dei paletti del Pnrr, di fatto era già deciso. E si poteva discuterne prima, almeno in una riunione di maggioranza».
    Quindi da che parte state?
    «Chi protesta vuole mantenere la vocazione naturalistica del Meisino senza trasformarlo in una cittadella dello sport. È un punto di vista che va tenuto in considerazione».
    E cosa avreste proposto voi?
    «Di concentrare i fondi Pnrr per lo sport altrove, magari in un campo da calcio libero per tutti non esistendone più in tutta la città. O in una piscina».
    E il centro per l'educazione ambientale?
    «Quello è un elemento giusto che apprezziamo, ma il resto del progetto ha un impatto. E la sua prima versione è stata cambiata non poco dopo le modifiche richieste dall'ente parco. Ora sembra rispettare i parametri, ma può migliorare».
    Pronti a ricevere nuove accuse di ipocrisia?
    «La nostra posizione l'abbiamo sempre espressa e accettiamo le critiche. Cerchiamo di svolgere un ruolo di dialogo e di ponte. È difficile, ma necessario. Si sbaglierebbe a tirare dritto, oggi, senza provare ad apportare quelle modifiche migliorative che chiedono in tanti, non solo chi protesta».
    Pochi attivisti, però, interrompono i lavori. Condividete questo metodo di protesta?
    «Le proteste non violente sono ovviamente legittime e dobbiamo difendere il diritto al dissenso, soprattutto di fronte al ddl sicurezza del governo Meloni. Ed è sbagliato derubricarla a protesta di pochi: sempre più torinesi hanno perplessità sul futuro del Meisino».
    Il Pd in Comune sbaglia politica ambientalista?
    «Non do patenti di errori, ogni partito ha la sua linea. Noi vorremmo più radicalità e nettezza. Sul limite dei 30 chilometri orari in città e le restrizioni ai veicoli, Parigi e Londra sono state rivoluzionate in pochi anni. Noi vorremmo andare a quel ritmo. Anche in risposta al governo regionale di destra: basta vedere lo scempio che sta facendo la giunta Cirio sul piano di qualità dell'aria». Manifestanti ai cancelli fin dall'alba. Le opere proseguiranno per qualche giorno all'interno della Cascina Malpensata
    Ennesimo blitz degli attivisti al Meisino Fermati i lavori nell'area verde del parco
    Pierfrancesco caracciolo
    Sono stati sospesi, ieri mattina, i lavori all'aperto nel parco del Meisino. In queste aree, su cui gli interventi erano in corso dal 6 settembre, gli operai non metteranno più mano almeno per qualche giorno. Il mini stop deciso dalla città bloccherà, per il momento, una parte del progetto - da 11,5 milioni di euro - per la costruzione di un centro per l'educazione sportiva e ambientale nel parco. Quella, cioè, che prevede la realizzazione di 20 strutture sportive immerse nel verde.
    La sospensione arriva 24 ore dopo un altro stop al cantiere «imposto» da una quarantina di attivisti del Comitato Salviamo il Meisino. Erano stati loro, martedì, a bloccare gli operai incaricati di intervenire lungo un prato, quello accanto a corso Sturzo, lato Est del parco.
    Gli operai, scortati dalla Digos, hanno proseguito i lavori nell'ex galoppatoio. Si tratta di una ristrutturazione che ha come l'obiettivo trasformare la struttura nella base operativa del nuovo centro sportivo-ambientale. Mentre nell'edificio proseguiranno le lavorazioni, nelle prossime ore, la Città valuterà come riprendere le attività all'esterno. L'obiettivo è evitare altre incursioni di cittadini e attivisti. Per tre volte, finora, hanno rallentato l'esecuzione delle opere. Una protesta, la loro, dettata dalla volontà di proteggere quella che definiscono «una riserva naturale ricca di biodiversità».
    A riprova della sospensione dei lavori all'aperto, ieri è stata smantellata l'area di cantiere nel verde lungo corso Sturzo, approntata 24 ore prima. Da quel punto, dove martedì gli attivisti avevano bloccato gli operai, sono state rimosse transenne e mezzi di cantiere. Ciò nonostante non sono mancati i momenti di tensione. A inizio mattinata gli operai hanno trovato la strada sbarrata quando si sono diretti verso l'ex galoppatoio. Con un gruppo di contestatori in presidio all'ingresso della struttura. Per allontanarli è intervenuta la polizia.
    Quella scattata ieri è la seconda sospensione (di una parte) dell'attività cantieristica negli ultimi dieci giorni. La prima è del 16 settembre, quando la Città aveva ordinato alle maestranze di sospendere la rimozione di verde e ramaglie in uno scorcio di parco dietro l'ex galoppatoio. Lo aveva fatto dopo aver ricevuto una diffida dei contestatori, che segnalavano la presenza in quell'area di centinaia di ricci, che le ruspe avrebbero spazzato via.
  4. Il ruolo di Domenico Ceravolo nell'indagine. I pm: "Tante tessere perché contiguo ad ambienti criminali. I vertici della Filca Cisl parevano consapevoli"
    La strana scalata del sindacalista dei boss "Portava iscritti e favoriva la 'ndrangheta"

    giuseppe legato
    Il 23 febbraio scorso, quando le indagini della Dda di Torino erano abbondantemente avanti nel tempo (e negli esiti) e già lo individuano come presunto affiliato alla ‘ndrangheta calabrese, Domenico Ceravolo, nato a Torino 47 anni fa, veniva nominato membro della segreteria della Filca Cisl edili. Una scalata di tutto rispetto, iniziata quattro anni prima quando era venuto via dalla Calabria perché «erano cominciate a emergere le sue contiguità con ambienti mafiosi» e finita sul sito della sigla confederale (che lo ha immediatamente sospeso, ieri, dopo la notizia del fermo) con tanto di annuncio dei nuovi incarichi e foto di rito coi vertici.
    Secondo i pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni è un affiliato a tutto tondo. «Nel nostro territorio – si legge nel provvedimento di fermo che dovrà essere convalidato (o no) domani - si è messo al servizio dei boss». E agli occhi degli investigatori del Gico del Gico della Finanza il primo grave campanello d'allarme era suonato durante un pedinamento del 2019.
    Seguivano Onofrio Garcea, il boss originario di Vibo Valentia che a luglio di quell'anno metterà nei guai l'ex assessore regionale di Fratelli D'Italia Roberto Rosso per voto di scambio politico mafioso. Un altro membro di rango dell'organizzazione lo accompagnerà negli uffici della Filca Cis proprio da Ceravolo. Non sono passati inosservati altri fatti: ad esempio i 47 contatti telefonici in pochi mesi che l'insospettabile garante dei diritti dei lavoratori aveva intrattenuto in pochi mesi con un boss di rilevante livello come Salvatore "Turi" Arone recentemente condannato a una dura pena nel processo Carminius.
    Scrivono i militari che quel giovane sindacalista intratteneva rapporti con membri storici dell'organizzazione (Raffaele e Antonio Serratore) legati al violento clan Bonavota. Dalle cuffie della Finanza non uscirà più per ritrovarlo anni dopo in via Bellini 12 a Moncalieri a casa di Franco D'Onofrio, per gli inquirenti «dirigente della ‘ndrangheta in Piemonte», a discutere di affari, edilizia e mafia. Nel dettaglio: il sindacalista e membro della segreteria della Filca - Cisl, contribuiva al «controllo del settore edile da parte del sodalizio, favorendo interessi delle imprese ad esso contigue rispetto ai lavoratori iscritti, procurando presso queste imprese l'assunzione di soggetti d'interesse del sodalizio, fornendo indicazione di imprese per affidamento di appalti/sub-appalti e procurandone ad imprese di interesse della ‘ndrangheta». Non solo: si è prestato «a presentare la domanda fraudolenta di reddito di cittadinanza a favore di Antonio e Raffaele Serratore e di Salvatore Arone». Ancora « forniva ausilio per favorire alcuni affiliati nel controllo e nella gestione di attività economiche, procurava occasioni di lavoro per ditte operanti nel settore edilizio controllate o gestite occultamente dai fratelli Artone e – per non farsi mancare nulla – ha fatto da prestanome sulla metà delle quote di una società di un altro rilevante esponente della cosca e ha fornito copia del proprio documento d'identità al latitante Pasquale Bonavota». Un'obbedienza – così pare – talmente virtuosa da non necessitare di ulteriori dimostrazioni di fedeltà. Alle quali si può aggiungere una denuncia per falsa testimonianza nel maxi processo Rinascita Scott che sarebbe stata prestata in favore di un affiliato di rango. E si torna a D'Onofrio «per conto del quale – questa l'accusa dei pm – organizzava incontri con altri appartenenti alla ‘ndrangheta del Piemonte per favorire lo scambio di comunicazioni». Quando, ancora, viene contattato «da un impresario edile vibonese che si era aggiudicato alcuni appalti al Nord (lavori pubblici in provincia di Alessandria, a Balzola)» a caccia di nominativi di imprese edili disponibili ad acquisire quei cantieri in subappalto «Ceravolo interpella D'Onofrio al quale è spettato il compito di individuare l'impresa che ha quindi realizzato in subappalto il cantiere pubblico».
    La sua attività sindacale – si legge agli atti – viene ricompensata «in una logica di utilità doppia» sua e del sindacato del quale i pm elencano i vantaggi «consistenti essenzialmente nella sua capacità di tesserare lavoratori, in particolare tra le imprese riconducibili a soggetti di origine calabrese, garantita dalla contiguità dello stesso Ceravolo all'ambiente 'ndranghetistico, circostanza di cui De Lellis Mario e De Luca Ottavio appaiono consapevoli». Chi sono questi ultimi? Sono alti dirigenti della sigla confederale. Non indagati, ma rivestono il ruolo rispettivamente di segretario provinciale di Torino (De Lellis) e segretario nazionale (De Luca). Avrebbero «deciso e gestito in favore di Ceravolo utilità e favori del tutto anomali e non giustificati dall'ordinaria attività di operatore sindacale». Rimborsi spese, carte di debito. Dirà lo stesso Ceravolo, quando dovrà andare a rendere (falsa) testimonianza in Calabria «per screditare il pentito Andrea Mantella» su indicazione di D'Onofrio, che «Ottavio mi ha detto una cosa che se ci penso mi emoziono: "Non ti preoccupare che se c'è bisogno ti metto io un buon avvocato", hai capito?». Le ambientali della Finanza registrano: «Mentre Ceravolo confida questo gesto, piange davvero». —

 

26.09.24
  1. Andrea Castaldo Difensore di Laudati
    Le tappe della vicenda
    Inchiesta dossier scaricati 200mila atti Spiati politici e vip
    irene famà
    inviata a perugia
    Al tenente Pasquale Striano bastava anche un unico accesso per riuscire a scaricare migliaia di atti. Duecentomila solo tra il 2019 e il 2022 e solo dalla banca dati della Direzione nazionale antimafia. Verbali di interrogatori, informative, ordinanze. Poi ci sono gli altri: quelli recuperati da Serpico, il sistema dell'Agenzia delle entrate dove confluiscono transazioni bancarie e dichiarazioni dei redditi e investimenti, e dallo Sdi, Sistema di indagine, banca dati delle Forze dell'ordine dove si trova il profilo di ognuno. Lo raccontano le annotazioni del Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza depositate ieri dalla procura di Perugia durante l'udienza davanti al tribunale del Riesame sul caso dei dossier.
    Si tratta di nuovi documenti che parlano di decine di accessi, il triplo di quelli già individuati nella prima fase delle indagini, e che ricostruiscono nel dettaglio il quadro degli atti scaricati ufficio per ufficio dalla banca dati della Dna. Gli "obiettivi" delle ricerche? Centinaia. Tra politici, imprenditori, dirigenti della pubblica amministrazione, sportivi. Ricerche, ad esempio, sul ministro Guido Crosetto o sull'ex premier Giuseppe Conte e la sua compagna, o ancora sul presidente della Figc Gabriele Gravina. E della questione si stanno occupando anche la Commissione parlamentare Antimafia e il Copasir.
    La vicenda ruota intorno ad accessi abusivi ai sistemi informatici e alla divulgazione di informazioni riservate. Gli indagati principali? L'ex finanziere Pasquale Striano e Antonio Laudati, magistrato campano in pensione in forza alla Direzione nazionale antimafia e all'epoca coordinatore del gruppo Sos, Segnalazioni di operazioni sospette.
    Per la procura di Perugia, guidata dal procuratore capo Raffaele Cantone ieri presente in aula, per i due indagati dovrebbe scattare la misura cautelare degli arresti domiciliari. Richiesta che era stata messa nero su bianco in oltre duecento pagine in cui si paventava anche l'inquinamento delle prove e il pericolo di reiterazione del reato. Diversa l'interpretazione del gip, che aveva respinto l'istanza. Poi il ricorso della procura. E così ora si discute davanti ai giudici del Riesame. La procura deposita due memorie, due informative e anche un'annotazione trasmessa dal Procuratore Nazionale antimafia Giovanni Melillo. Le difese obiettano. «La mole di documenti depositati è consistente - spiega l'avvocato Massimo Clemente, difensore di Striano insieme al collega Tommaso Fusillo - Ci siamo opposti all'acquisizione per questioni che riguardano le tempistiche». Non solo. «Questo non è un procedimento di merito, ma sull'applicazione o meno delle misure cautelari». E l'avvocato Andrea Castaldo, che assiste Laudati, aggiunge: «Abbiamo ritenuto che si trattasse di atti inutilizzabili, per cui ci siamo opposti. Il clima è stato costruttivo, valuteremo dichiarazioni spontanee».
    Mentre i giudici decideranno o meno se far scattare i domiciliari (l'udienza è stata rinviata al 12 novembre), le indagini proseguono. Secondo le accuse, gli accertamenti al centro dell'inchiesta non muovevano da nessuna Segnalazione di operazione sospetta di cui si doveva occupare la Dna nell'ambito di attività d'indagine autorizzate. Insomma, accertamenti illegittimi. —
  2. Secondo i consulenti del gip la morte del giornalista, malato di cancro, sarebbe collegata alle ischemie confuse con metastasi
    Purgatori, la perizia inguaia i medici "Una catastrofica sequela di errori " VOLUTI !
    Grazia Longo
    Roma
    Una carrellata di sbagli fatali da parte dei medici indagati. «Una catastrofica sequela di errori ed omissioni». È impietosa la perizia dei consulenti del gip, sulle responsabilità dei medici sotto inchiesta per la morte del giornalista Andrea Purgatori, il 19 luglio 2023.
    Nel registro degli indagati della procura, per omicidio colposo, sono iscritti il radiologo Gianfranco Gualdi, il suo assistente Claudio Di Biasi e la dottoressa Maria Chiara Colaiacomo, entrambi appartenenti alla sua equipe, e il cardiologo Guido Laudani.
    E ora la relazione disposta dal gip per stabilire le cause della morte del conduttore tv è un lungo elenco di critiche nei loro confronti. Perché è vero che Purgatori aveva il cancro ma, secondo gli esperti, sarebbe vissuto più a lungo se avesse ricevuto cure adeguate e se non ci fosse stata una diagnosi sbagliata. In altre parole se le ischemie che lo colpirono non fossero state confuse con metastasi che, a quanto risulta dalla perizia, non c'erano affatto.
    Nelle conclusioni della perizia medico-legale disposta lo scorso marzo, nell'ambito di un incidente probatorio, si ribadisce infatti che «i neuroradiologi indagati refertarono non correttamente l'esame di risonanza magnetica dell'8 maggio del 2023 per imperizia e imprudenza e quelli del 6 giugno e dell'8 luglio per imperizia. Il cardiologo Laudani effettuò approfondimenti diagnostici insufficienti» e da lui in particolare ci fu una «catastrofica sequela di errori ed omissioni». Il motivo? «Interpretò non correttamente i risultati dell'esame holter, giungendo alla conclusione che l'embolizzazione multiorgano fosse conseguenza di fibrillazione atriale. Inoltre non valutò adeguatamente il quadro clinico e gli effetti della terapia anticoagulante che aveva impostato».
    Per i periti, inoltre, «un corretto trattamento diagnostico-terapeutico avrebbe consentito al paziente Purgatori un periodo di sopravvivenza superiore a quanto ebbe a verificarsi. La letteratura scientifica considera il tasso di sopravvivenza a un anno in misura dell'80% qualora l'endocardite venga tempestivamente adeguatamente trattata». Nel documento si afferma che l'endocardite, che fu la causa del decesso di Purgatori, «avrebbe potuto essere individuata più tempestivamente, per lo meno all'inizio del ricovero dal 10 al 23 giugno del 2023, od ancora prima, nella seconda età di maggio 2023 qualora i neuroradiologi avessero correttamente valutato l'esito degli accertamenti svolti l'8 maggio».
    Nel documento viene inoltre ricostruita anche la gestione clinica del paziente e in riferimento al ricovero del luglio del 2023 i periti affermano che Purgatori «viene dimesso apparentemente senza visionare i risultati di un prelievo effettuato il giorno 19, dove si rileva la severa anemia che avrebbe controindicato la dimissione».
    L'avvocato Alessandro Gentiloni Sileri, che segue i familiari del giornalista, osserva: «La perizia conferma la tesi da subito sostenuta dai miei assistiti: è stato curato per delle metastasi al cervello inesistenti. In realtà si trattava di varie ischemie che si sono susseguite e non sono state né diagnosticate né curate».
  3. La trincea del Meisino
    pier francesco caracciolo
    Si sono frapposti fra le gru e l'area di cantiere. Un presidio pacifico partito alle 8,30 e finito al tramonto. Così ieri un gruppo di residenti e attivisti del Comitato Salviamo il Meisino ha bloccato i lavori nel parco. Lo stop è avvenuto nel verde tra via Nietzsche e corso Sturzo. Un angolo fino al quale gli operai, presenti dal 6 settembre, non si erano ancora spinti. L ostruzionismo degli attivisti ha bloccato il via alle opere propedeutiche alla realizzazione di una delle venti aree attrezzate per il centro di educazione sportiva e ambientale che sorgerà nel 2026. Ed è da valutare se oggi i lavori riprenderanno: i "contestatori" promettono di tornare all'alba per un nuovo presidio.
    «Siamo intervenuti per impedire la devastazione di questa riserva naturale», il messaggio recapitato ieri. Il riferimento, in questo caso, è all'intero parco del Meisino, location secondo gli attivisti tutt'altro che adatta ad ospitare strutture sportive. Un polmone «ricco di biodiversità», abitato «da centinaia di specie diverse di animali e piante, che il passaggio delle ruspe spazzerebbe via» sottolinea Roberto Accornero. Ha queste caratteristiche anche il tratto tra via Nietzsche e corso Sturzo, ieri al centro della contestazione. Per questo gli attivisti sono intervenuti in massa. Erano una quarantina, alle 8,30, quando si sono appostati davanti alla ruspa. Gli operai, al Meisino da un'ora, avevano rimosso una striscia di verde lunga un centinaio di metri. All'arrivo dei contestatori si sono fermati e sono scesi dalla gru. Gli agenti della Digos, nel parco dall'alba, non hanno forzato il blocco.
    Il cantiere, ieri, non si è fermato in toto. Gli operai hanno proseguito le lavorazioni in un altro punto del Meisino: all'interno, cioè, della cascina Malpensata, destinata a diventare la sede operativa del nuovo polo sportivo open air. Si sono invece tenuti alla larga da un altro tratto di verde, nei pressi dell'area umida del parco. Si tratta del punto in cui, dal 16 settembre, i lavori sono stati messi in stand-by dal Comune per non mettere a repentaglio la vita di centinaia di ricci. Una sospensione arrivata dopo una diffida ricevuta da Massimo Vacchetta, veterinario del centro di recupero ricci di Novello (Cuneo). Era stato lui a segnalare la presenza degli animali nel parco.
    Il progetto prevede la nascita di un "centro per l'educazione sportiva ed ambientale" nel parco. Un'operazione da 11,5 milioni di euro, fondi in arrivo dal Pnrr. Un lavoro che, salvo intoppi, si chiuderà tra 15 mesi. La cascina Malpensata, in stato di abbandono da vent'anni, ospiterà attività didattiche, sportive e ambientali rivolte soprattutto alle scuole. Tutto intorno, a distanza le une dalle altre, sorgeranno le venti attrezzature sportive, comprese aree giochi e fitness. Su di esse sarà possibile praticare dodici discipline, tra cui arrampicata, corsa campestre, tiro con l'arco, ciclocross e cricket. Prese singolarmente occuperanno il 10% del parco, ma sorgeranno su un'area di 393 mila metri quadri (pari all'87% del Meisino, ampio 450 mila metri quadri).
    Quella di ieri è stata la terza operazione di ostruzionismo di residenti e attivisti, che si presentano quotidianamente al Meisino per monitorare il cantiere. Il 6 settembre, giorno dell'apertura dei lavori, avevano bloccato per tre ore gli operai, prima di essere sgomberati dalla Digos. Il 16 settembre, invece, avevano interrotto le lavorazioni per mezz'ora.
  4. Manette a Franco D'Onofrio, ras di Moncalieri e a un referente della sigla confederale degli edili che faceva incetta di iscrizioni: "Ha favorito le 'ndrine"
    Tessere sindacali e cosche: cinque fermi per mafia C'è il capo del Piemonte: voleva scappare all'estero

    giuseppe legato
    Il blitz del Gico della Guardia di Finanza è scattato all'alba e le pattuglie degli investigatori del comando provinciale guidato dal Generale Carmine Virno hanno puntato subito verso la cintura sud di Torino. In via Bellini a Moncalieri, nei pressi di piazza Bengasi, hanno suonato senza indugi al campanello della casa di Francesco D'Onofrio, 64 anni, originario di Mileto (Vibo Valentia), vecchia conoscenza della procura (non solo di quella di Torino).
    Lo hanno arrestato. O meglio hanno eseguito un fermo per indiziato di delitto per associazione a delinquere di stampo mafioso con il grado di «dirigente della rete della ‘ndrangheta in Piemonte». Un capo, dunque, accusa dalla quale il presunto boss era riuscito a sottrarsi nel maxiprocesso Minotauro (concluso con una condanna definitiva a 5 anni di carcere come partecipe) e che ora torna nel lungo elenco delle contestazioni mosse dalla Dda di Torino. (pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni)
    La perquisizione si è protratta per ore e alla fine è saltata fuori una pistola calibro 38 che è stata immediatamente inviata agli specialisti della balistica per capire se, dove e quando, abbia sparato. Magari anche in degli omicidi. D'Onofrio avrebbe «promosso, favorito e partecipato a incontri tra associati di diverse articolazioni calabresi e piemontesi per intese, alleanze, spartizioni del territorio, richieste di interventi di mediazione o recupero crediti e per autorizzazioni a commettere delitti». E il fermo è scattato perchè aveva chiesto - pare - di eliminare il divieto di espatrio dal passaporto. Pericolo di fuga, dunque.
    Colpisce tra gli altri cinque fermi eseguiti ieri mattina - che qualificano un articolazione dedita «al controllo di attività economiche nel settore edilizio, immobiliare, dei trasporti e della ristorazione» - quello di Domenico Ceravolo, sindacalista in rampa di lancio, membro della segreteria Filca Cisl di Torino (e Canavese). Era stato eletto lo scorso 13 febbraio «a stragrande maggioranza – si legge sul sito della sigla confederale – alla presenza dei vertici nazionali». Sul suo profilo "X" riposta interventi e promesse di vigilare sulla sicurezza sul lavoro, sul rispetto dei diritti degli operai, sulla trasparenza. Eppure, secondo la Dda una fotocopia di un suo documento di identità sarebbe stata trovata nel covo del superboss Pasquale Bonavota arrestato a Genova il 23 aprile 2023 al termine di una lunga e misteriosa latitanza. Forse, Bonavota avrebbe usato l'identità di Ceravolo per sottrarsi alla cattura. Sia come sia il ruolo del sindacalista non si sarebbe fermato a questo. Avrebbe avuto «un ruolo rilevante ai fini dell'attività dell'associazione» scrive il procuratore di Torino Giovanni Bombardieri in una nota. Pare anche tesserando diversi "edili" al sindacato attingendo in ditte legate alle cosche. La Filca ha fatto sapere di aver «immediatamente sospeso in via cautelativa Ceravolo». Dettagli non sono ancora noti in attesa dell'udienza di convalida davanti al gip che si terrà entro 48 ore, ma le condotte dovrebbero riguardare la gestione della manodopera in alcuni cantieri. In manette è finito anche Antonio Serratore, altro nome di un certo peso nella galassia dei Vibonesi in Piemonte. Già soldato dei temibili fratelli Adolfo e Aldo Cosimo Crea (prima ristretti al 41 bis e ora in libertà dopo aver scontato condanne non brevi come capi dell'ala violenta delle ‘ndrine sotto la Mole), Serratore «si è adoperato – scrivono i magistrati - per fornire sostegno finanziario e assistenza logistica a favore del latitante Pasquale Bonavota, ritenuto appartenente di spicco dell'omonima cosca del Vibonese». È dunque altamente probabile che Bonavota (che dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro era diventato il latitante in cima alla lista dei "wanted" del Ministero) sfuggito alla cattura nel maxi blitz della procura di Catanzaro Rinascita Scott, sia passato dal Torinese.
    Tra i fermati figura anche una persona che ha fornito sul territorio di Carmagnola protezione a imprenditori nel corso di dissidi con altri operatori economici incassando – per questo ruolo – soldi cash destinati poi ad altri boss ristretti in carcere e un altro complice che «ha anche concordato versioni testimoniali da rendere in processi sulle cosche conditi da una serie di menzogne "per screditare un collaboratore di giustizia».

 

 

25.09.24
  1. RAZZA FREGONA : (ANSA) - Grappa, vino e parmigiano comprati con i soldi del Pnrr che avrebbero invece dovuto finanziare la partecipazione a fiere e mostre internazionali da parte delle piccole e medie imprese. E' soltanto uno degli episodi contestati dai militari della Guardia di Finanza di Gallarate a tre imprenditori (amministratori di una società con sede in zona) per i quali la Procura di Busto Arsizio ha chiesto il rinvio a giudizio.



    L'indagine dei finanzieri del Comando provinciale di Varese, guidati dal generale Crescenzo Sciaraffa, ha sventato una frode al Pnrr del valore di 700mila euro. L'attività svolta dalle Fiamme Gialle della Compagnia di Gallarate ha avuto inizio con la verifica fiscale nei confronti della società che aveva usufruito di oltre 700 mila euro di crediti d'imposta, dal 2018 al 2023, finanziati dal Pnrr a partire dal 2022, inerenti a Formazione 4.0., Ricerca e Sviluppo e Acquisto di beni strumentali nuovi; tutti istituti introdotti per diverse finalità e che prevedono specifici requisiti per poterne beneficiare.

    La Polizia economico-finanziaria ha individuato subito diverse anomalie. La società, infatti, risultava aver inserito in attività di ricerca e sviluppo costi relativi a numerosi lavoratori, quasi tutti addetti alla produzione e che nulla avevano a che fare con l'innovazione o lo sviluppo di nuovi prodotti.



    Non è stata inoltre trovata documentazione che comprovasse l'avvenuta formazione per i dipendenti. Sono infine stati rilevati quei finanziamenti anche a fondo perduto finiti direttamente sul conto di uno degli amministratori e usati per acquistare cibo e bevande di pregio invece che per finanziare la partecipazione dell'azienda a fiere e mostre internazionali. Chiuse le indagini l'Autorità giudiziaria ha chiesto il rinvio a giudizio per i tre imprenditori. La società ha deciso per il ravvedimento operoso speciale versando, a ora, circa 300 mila euro all'erario.
  2. palazzo chigi deve rispettare il patto nato. e strasburgo vuole 5 miliardi per kiev
    Scoppia il caso delle spese per la Difesa Crosetto batte cassa: servono due miliardi
    FRANCESCO OLIVO
    ROMA
    Fra le fatiche della scrittura della manovra se ne aggiunge un'altra: trovare (almeno) due miliardi per aumentare le spese per la Difesa. Il ministero di Guido Crosetto ha chiesto questi fondi al collega di Via XX Settembre, ma Giancarlo Giorgetti non ha ancora svelato le carte. Anche Palazzo Chigi preme per trovare le risorse necessarie, anche perché c'è un impegno formale assunto da Giorgia Meloni al vertice Nato dello scorso luglio a Washington. Davanti ai leader dell'Alleanza Atlantica la premier ha promesso: «Nel 2025 faremo più investimenti e il bilancio della Difesa raggiungerà l'1,6% del Pil». Si tratta di un incremento importante in termini finanziari, attualmente la spesa militare rappresenta circa l'1,45% del prodotto interno lordo e lo 0,15% in più costerà sacrifici. Quella di quest'anno è una tappa di un percorso che dovrebbe portare nel 2028 all'obiettivo posto dalla Nato, in particolare dagli Stati Uniti: il 2%. La maggior parte degli Stati dell'Alleanza è andato in questa direzione, compresa la Spagna guidata dal socialista Pedro Sánchez e la Svezia, l'ultima arrivata del club, che nei giorni scorsi ha annunciato lo stanziamento di altri 1,2 miliardi di euro.
    Crosetto da tempo insiste nel chiedere alla Commissione di scomputare questi investimenti dal patto di stabilità. Ma il nuovo patto di stabilità varato a gennaio non prevede questo tipo di deroghe. La speranza del governo è che ciò possa avvenire con la nuova Commissione, anche se bisognerà passare dal custode del rigore Valdis Dovmbroskis.
    Lo sforzo non sarà soltanto economico, ma anche politico. Nel governo si conta sulla lealtà della Lega, ma nel Carroccio in versione "pacifista" qualcuno inizia a pensare che quelle risorse debbano andare ad altri capitoli, come la previdenza. Chi è pronto ad alzare le barricate è l'opposizione, o parte di essa. Alla marcia della Pace di sabato scorso il tema dell'aumento della spesa militare è stato evocato spesso. Uno dei leader presenti in Umbria, Nicola Fratoianni di Avs chiede al Pd di unirsi alla lotta: "Possiamo dire tutti nel campo progressista che spendere il 2% del Pil in più per le armi in Italia è una follia ed agire di conseguenza nei comportamenti nelle aule parlamentari?". Il Movimento 5 Stelle è altrettanto netto nel chiedere di non spendere un euro in più per gli armamenti.
    Per rispettare gli impegni internazionali, in realtà, i due miliardi non basterebbero. Una mozione del Parlamento europeo, approvata giovedì scorso, chiede agli Stati membri di fornire lo 0,25% del Pil per l'Ucraina. Per l'Italia il conto sarebbe di circa 5 miliardi. La richiesta fa parte della risoluzione approvata giovedì scorso a Strasburgo, che ha fatto molto discutere per l'articolo 8, sull'utilizzo delle armi "europee" in territorio russo. Ma il capitolo successivo, il 9, chiede un investimento finanziario più alto. I parlamentari italiani della maggioranza tutti d'accordo nel bocciare la fine dei vincoli sugli armamenti, si sono, invece divisi sul nuovo finanziamento: Fratelli d'Italia ha votato no, come la Lega, mentre Forza Italia ha detto sì. La risoluzione (non vincolante) è stata approvata nel suo complesso con il voto favorevole di FdI e FI e il no del Carroccio.
  3. Sentenza nei confronti Roberto Guenno, assolto invece dall'accusa di aver caldeggiato ai Cinquestelle la nomina di Graziosi a sovrintendente
    L'ex corista del Regio condannato a otto mesi "Bando su misura per una ditta di marketing"
    ludovica lopetti
    I buoni uffici del corista Roberto Guenno per far nominare William Graziosi sovrintendente del Teatro Regio ai tempi in cui il Consiglio d'indirizzo era a guida 5 Stelle non furono frutto di un patto di mutuo aiuto, né di pressioni illecite. Per questo il tenore dalla carriera-lampo ieri è stato condannato a 8 mesi di carcere (con pena sospesa e non menzione nel casellario) per la sola turbativa d'asta, in relazione a un bando cucito su misura per una ditta di marketing milanese. La procura lo accusava anche di interferenze illecite, ma da quell'addebito è stato assolto con formula piena, «perché il fatto non sussiste». Dovrà inoltre versare 400 euro di multa e risarcire con 7mila euro la Fondazione Teatro Regio, una cifra ben lontana dai 30mila euro di danni «non patrimoniali» chiesti con la costituzione di parte civile dall'ente lirico. Alla scorsa udienza il pm Elisa Buffa aveva chiesto una condanna a 1 anno e 600 euro di multa, ritenendo provate entrambe le contestazioni.
    Per la procura Guenno, sindacalista già candidato per il Movimento 5 Stelle alla Regione Piemonte e al Comune di Torino, avrebbe caldeggiato la nomina di Graziosi a sovrintendente del Teatro Regio presso i politici 5 Stelle (tra cui l'allora sindaca Chiara Appendino, cui spettava la scelta in veste di presidente del Consiglio di Indirizzo) e in cambio avrebbe ottenuto promozioni e avanzamenti di carriera per sé. Il tenore, al Regio sin dal Duemila, è stato prima in servizio come corista, poi nel 2018 è passato a un contratto tecnico-amministrativo per diventare assistente del sovrintendente nel 2019. Incarichi per i quali, secondo le indagini, non aveva titoli né competenze. Nella veste di tecnico, poi, avrebbe collaborato alla stesura di un bando da 190mila euro per un appalto a una società di marketing, che secondo gli investigatori fu viziato da un accordo sottobanco per scalzare la concorrenza e favorire la ditta di un imprenditore milanese. Le procedure però vennero bloccate prima dell'aggiudicazione definitiva. Dal primo addebito tuttavia è stato assolto con formula piena. L'imputato ha sempre negato prebende e clientelismi: «Graziosi mi scelse perché trovava interessante la mia esperienza - ha assicurato - Tutto quello che ho fatto l'ho fatto per spirito di servizio. E quando ho cambiato mansioni, il mio stipendio è rimasto invariato».
    Per gli stessi fatti l'ex sovrintendente Graziosi resta indagato ad Ancora insieme ad Alessandro Ariosi, manager di celebrità nel mondo della musica lirica. Secondo gli inquirenti, tra i due ci sarebbe stato un accordo corruttivo per promuovere l'agenzia del manager e farle ottenere l'esclusiva sugli ingaggi. Un "patto" che sarebbe rimasto immutato dal 2014, quando Graziosi era direttore generale della fondazione di Jesi, per poi andare in Kazakistan, ad Astana, e infine a Torino. —

 

24.09.24
  1. In Tv: "la pista di Londra è la più importante"
    Il fratello di Emanuela Orlandi "L'ex Nar Baioni il carceriere"
    Sarebbe stato uno dei "carcerieri" di Emanuela Orlandi, incaricato di fare la spesa e di sbrigare altre attività pratiche per la "gestione" della ragazza nascosta a Londra. È l'uomo che ha contattato il fratello Pietro Orlandi oltre un anno fa, rivelandogli poco a poco sempre maggiori particolari sul destino della sorella. Ieri, ospite a Verissimo, Orlandi ha rivelato pubblicamente il nome di quella "gola profonda" che dopo un dialogo serrato su piattaforme digitali è scomparso nel nulla: «È un ex Nar, amico di persone come Fioravanti e altri coinvolti nella strage di Bologna, si chiama Vittorio Baioni». Il fratello della ragazza scomparsa ha anche spiegato di non sapere se attualmente l'uomo sia vivo e dove si trovi: «Non lo so – afferma – per questo speravo che qualcuno se ne occupasse, per cercarlo e capire se lui era effettivamente la persona che mi ha contattato o era solo uno che aveva usato il suo nome, comunque presumo che sia vivo». A Verissimo Orlandi, pur esprimendo molta fiducia nel lavoro della Commissione bicamerale di inchiesta sulla scomparsa di Mirella Gregori e di Emanuela Orlandi, che sta indagando insieme a due procure, quella romana e quella vaticana, ha lamentato una sostanziale inerzia, proprio sulla pista di Londra, quella a suo parere «più importante in assoluto».
    E sull'uomo che gli avrebbe rivelato tanti dettagli decisivi, afferma: «Siccome nessuno lo cerca, faccio io il nome». «È dura veramente – ha esordito il fratello della donna –, dopo 41 anni non riesco proprio a capire perché più si cercano cose e più arrivano ostacoli». Secondo la pista inglese i pezzi del puzzle sarebbero da cercareanche nelle chat tra Francesca Immacolata Chaouqui e monsignor Vallejo Balda. Emanuela sarebbe stata a Londra sotto falsa identità in un convitto, dall'83 fino almeno al '97.

 

 

 

23.09.24
  1. Intrigo
    sotto i
    mari
    riccardo arena
    palermo
    I contorni della spy story c'erano sin dall'inizio, ma ora il timore che interessi più o meno occulti e indicibili possano attirare sul relitto del Bayesian l'attenzione di Paesi stranieri si fanno concreti. Al punto che la Procura di Termini Imerese ha disposto il rafforzamento dei controlli e della vigilanza sullo specchio di mare di Porticello, vicino Palermo, sui cui fondali, 50 metri sotto la superficie, giace dal 19 agosto il relitto del veliero Bayesian del miliardario britannico Mike Lynch, morto nell'imbarcazione con altri cinque passeggeri, tra cui la figlia diciottenne Hannah, oltre al cuoco di bordo. Quindici i sopravvissuti, sui 22 a bordo, e tre gli indagati: il comandante James Cutfield, il direttore di macchina Tim Parker Eaton e il marinaio Matthew Griffiths.
    Una nave della Marina militare staziona da settimane all'altezza del punto in cui si trova il Bayesian. Sulla poppa della nave italiana c'è una camera iperbarica, che consente alle squadre di sommozzatori di immergersi più volte al giorno, ufficialmente per il recupero di attrezzature già riportate a galla, come i sistemi di videosorveglianza e di rilevazione meteorologica; una volta esaurito questo tipo di interventi, però, l'apparato di vigilanza non è stato disattivato, ancora ufficialmente per le operazioni preliminari al recupero del veliero. Ma in verità il procuratore, Ambrogio Cartosio, ha chiesto il rafforzamento della vigilanza agli investigatori delegati alle indagini, Capitaneria di porto di Palermo e vigili del fuoco, sollecitando anche le altre forze dell'ordine e suscitando così l'attenzione della Cnn. Circostanza confermata, al network televisivo di Atlanta, da Francesco Venuto, uno dei responsabili della Protezione civile siciliana, altro ente coinvolto nei controlli.
    Perché – anche se non si può mettere nero su bianco negli atti giudiziari – i materiali (e gli interessi) sommersi con questa piccola nave di 56 metri proiettano verso scenari imprevedibili, dato che Lynch avrebbe tenuto sempre con sé, in casseforti a tenuta stagna, due hard disk crittografati con sistemi molto avanzati, contenenti dati riservatissimi relativi ai rapporti delle sue società di cybersecurity (in particolare la Darktrace – letteralmente traccia oscura – acquisita in aprile dalla società di private equity Thoma Bravo, sede a Chicago) con alcuni dei Servizi più importanti del mondo, MI5 (Regno Unito), Nsa (Stati Uniti) e le agenzie israeliane.
    Lynch era stato superconsulente su questioni di altissima sicurezza tecnologica anche di due premier britannici, Cameron e May. Cosa che significa che dall'altra parte, interessatissimi a carpire i segreti più top che possano essere in circolazione, potrebbero esserci russi e cinesi. Solo teorie da film di spionaggio? Nella sorveglianza dello specchio di mare, secondo quanto risulta da fonti consultate da La Stampa, non sono però coinvolti né i Servizi italiani né il Ros, dunque gli inquirenti della piccola Procura termitana, a cui è toccata questa indagine degna di una vicenda alla 007, si servono degli investigatori già delegati. Lynch si portava sempre dietro i dispositivi, dato che non si fidava delle "nuvole" del cloud, in cui gli accessi indesiderati sono complicatissimi ma non impossibili. Per questo il timore di intrusioni subacquee non fa dormire sonni tranquilli.
    Finora si è accertato che i coniugi Bloomer e Morvillo non sarebbero annegati ma, rimasti senz'aria nella bolla che si erano ricavati in cabina, sarebbero morti per mancanza di ossigeno. Sicuro l'annegamento del cuoco, Recaldo Thomas, qualche dubbio in più per Lynch e la figlia. Mentre non ci sono i risultati degli esami tossicologici: non si sa cioè se le vittime fossero stordite da droghe, sonniferi o alcol.
    Ciò che però continua a essere la madre di tutte le suggestioni è la fine, quanto meno anomala nella sua quasi-contemporaneità, dell'avvocato inglese Stephen Chamberlain, morto lo stesso giorno del naufragio, lunedì 19 agosto, dopo essere stato investito, sabato 17, mentre faceva jogging vicino casa, in Inghilterra. Chamberlain era il socio di Lynch. L'altra suggestione è che nella tragedia del Bayesian in fondo sono morti tutti coloro che festeggiavano il successo nella causa in cui in qualche modo erano coinvolti, quella tra il magnate britannico e la Hp sul software Autonomy: il testimone Bloomer, presidente di Morgan Stanley, e l'avvocato Morvillo, legale del tycoon nel processo civile. Tutti e tre erano così pure potenzialmente a conoscenza dei segreti di Autonomy, Darktrace e dei rapporti con le intelligence occidentali.
    Come Chamberlain, l'avvocato ucciso da un'automobilista distratta, nella lontana (da Porticello) Inghilterra.
  2. L'ex operaio Sigifer sulla strage ferroviaria: "Parlo per aiutare quei cinque poveri ragazzi a trovare pace con la verità. Se la Procura mi chiama io vado"
    "Anche noi sui binari come a Brandizzo Mi opposi e la ditta non pagò le ore di lavoro"

    giuseppe legato
    inviato a Desana (Vc)
    Desana, 8 km da Vercelli viaggiando verso Trino su una lingua d'asfalto che taglia in due sterminate colture di riso. In questo borgo di poche anime c'è un uomo che ha una storia da raccontare sulla più grave strage ferroviaria italiana degli ultimi 15 anni. Ne è stato testimone diretto. Ha lavorato fino al 2022, con tre delle cinque vittime investite da un treno di 15 convogli vuoti che viaggiava a 150 km/h la notte del 30 agosto 2023 mentre stavano lavorando sul binario senza interruzione di linea
    Si chiama Alessandro Cantamessa, ha 43 anni, sposato, due figli: «La mia - premette - non è una vendetta verso nessuno anche se in quell'azienda ho avuto una vertenza, ora chiusa, per una mano che ha perso il 45% di funzionalità. Ma devo a quei ragazzi la verità, almeno la mia e sono pronto ad andare in procura a confermare ciò che sto per dire».
    Allora dica...
    «Punto prima: non era un'eccezione che si scendesse a lavorare sui binari senza interruzione di linea. Il mio caposcorta era Gibin (uno dei due principali indagati per i fatti di Brandizzo ndr)».
    Se non era una rarità cos'era?
    «Una prassi».
    Cosa vi veniva chiesto e chi ve lo chiedeva?
    «Gibin, col quale ho lavorato più volte, era il nostro capo cantiere per Sigifer. Accadeva spesso che ci dicesse di iniziare le lavorazioni preliminari».
    Sarebbe a dire?
    «Sbullonare, scavare: questo insomma».
    Con interruzioni di linea?
    «Senza».
    C'era anche il responsabile della sicurezza di Rfi durante le lavorazioni?
    «Certo, c'era anche lui. Ci dicevano: prima iniziamo e prima ce ne andiamo. Cosi scendevamo sui binari fiduciosi della loro promessa».
    Che in soldoni era?
    «Quando vi dico di uscire vuol dire che c'è un treno che deve passare. E noi risalivamo sulla banchina».
    Perché nessuno si è mai opposto a questa indicazione?
    «Molti erano inconsapevoli. E poi in azienda erano stati chiari: fate quello che dice Gibin».
    Qualcuno si è mai opposto a questa presunta abitudine?
    «Io una notte mi sono opposto. Gli ho detto che non sarei sceso sulla massicciata perché lui stesso aveva detto in presenza del caposcorta Rfi che non avevamo interruzione di binario».
    Che risposta ottenne?
    «Mi disse che avrei potuto andarmene sul furgone e che non mi avrebbe segnato le ore».
    Cioè non l'avrebbe pagata?
    «Esattamente».
    E andò così?
    «Le ore non furono messe a conteggio per la busta paga».
    Rappresentò in azienda quanto accaduto?
    «Si e mi dissero che si doveva fare quello che diceva Gibin. Sui pagamenti poi, in generale molte ore sparivano dal cedolino».
    Cioè lavoravate di più di quanto venivate pagati?
    «Diciamo che trascorrevamo in servizio 220/230 ore e ne venivano retribuite 160».
    Quante ore lavoravate?
    «Capitava spesso che dopo aver fatto il turno del mattino, una volta tornati a casa il pomeriggio ti chiamassero per dirti: stasera ci servi. E così si proseguiva fino al mattino dopo».
    Come mai ha deciso di parlare adesso e non prima?
    «Ho incontrato al cimitero il padre di Kevin (la più giovane vittima dell'incidente ferroviario ndr). È pieno di rabbia, vuole giustizia. Intendo solo fare la mia parte, per quanto posso, affinché venga accertata la verità».
    Alcuni penseranno che la sua possa essere una vendetta per i cattivi rapporti che aveva in azienda?
    «Non è così. Ho perso la funzionalità di una mano per i pesi enormi che dovevo sollevare. Sono stato indennizzato. Adesso ho un altro lavoro e mi occupo di compostaggio di rifiuti. Non ho bisogno di parlare per me, ma per Kevin e gli altri operai che non ci sono più». —

 

 

 

 

 

22.09.24
  1. L'ENERGIA SERVE PER LE CRIPTOVALUTE NON A NOI :    RIAPRE CENTRALE NUCLEARE THREE MILE ISLAND, PER MICROSOFT
    (ANSA) - WASHINGTON, 20 SET - Il gruppo energetico americano Constellation ha annunciato la riapertura di un'unità di Three Mile Island in Pennsylvania, dove nel 1979 è avvenuto il più grave incidente nucleare nella storia degli Stati Uniti, per fornire elettricità ai data center di Microsoft. Secondo il comunicato stampa, l'accordo firmato con il colosso americano dell'informatica ha una durata di 20 anni e consentirà di rilanciare l'unità 1, vicina a quella teatro dell'incidente.
  2. Estratto dell’articolo di Antonio Fraschilla e Giuseppe Colombo per “la Repubblica”

    Non erano stati informati né Palazzo Chigi né il ministero dell’Economia. Eppure i contatti tra Sace e BlackRock erano in fase avanzata. Così intensi da arrivare a definire anche l’importo dell’accordo: 3 miliardi di euro. I due soggetti hanno interloquito per un paio di mesi, spiegano fonti finanziarie di primo livello: un dialogo volto a sondare la possibilità per il fondo Usa di gestire una parte della liquidità della società controllata direttamente dal ministero dell’Economia. Poi però qualcosa è andato storto, complice anche l’imbarazzo del governo tenuto all’oscuro. [...]
    Il 9 settembre è Bloomberg a svelare l’avvicinamento. «BlackRock - informa l’agenzia di stampa- è in trattativa con la società statale italiana di credito commerciale per gestire fino a 3,3 miliardi di dollari di asset, una mossa che potrebbe rafforzare la posizione del gestore patrimoniale statunitense nella terza economia della zona euro».




    Sace smentisce, il Mef chiede spiegazioni alla sua controllata. L’amministratore delegato Alessandra Ricci assicura a Giancarlo Giorgetti che la vicenda non esiste. Per il titolare del Tesoro, la storia finisce qui. Ma in realtà i contatti con il fondo americano vanno avanti. Fino a pochi giorni fa, come spiegano fonti interne alla società.
    E nelle ultime ore le voci del riavvicinamento sono iniziate a circolare con insistenza in ambienti finanziari. Non solo quelle sui dettagli sulle interlocuzioni operative. A tenere banco ci sono anche le indiscrezioni su un possibile stop del governo. Palazzo Chigi fa muro. Fa sapere che «è totalmente priva di fondamento il fatto che Palazzo Chigi abbia ostacolato il dialogo tra Sace e BlackRock, circostanza che non avrebbe alcun senso anche perché il governo italiano ha sempre guardato con grande favore gli investimenti di realtà estere, per di più di nazioni amiche, sul territorio italiano».



    Ma le fonti interpellate da Repubblica tengono il punto e legano l’imbarazzo del governo alla postura assunta da Sace. In tempi di legge di bilancio, con il governo Meloni impegnato a raschiare il fondo del barile per trovare le risorse, la notizia della trattativa - è il ragionamento - non è piaciuta affatto.

    Il caso sbarcherà in Senato: i dem Nicola Irto e Antonio Misiani hanno presentato un’interrogazione urgente chiedendo di informare il Parlamento sui movimenti attorno ad «asset strategici nazionali» e per cifre così elevate, per di più di una società di Stato chiamata a sostenere le imprese italiane.



    Da Sace precisano a Repubblica: «Nessun accordo specifico è stato preso, né siamo in trattativa. Ciò premesso, ricordiamo che è prassi consolidata per una realtà come Sace quella di dialogare con più partner per una migliore gestione finanziaria della propria liquidità». Ma il Pd insiste. Chiede di sapere «quali comunicazioni abbia dato Sace al ministro Giorgetti nel merito delle suddette trattative e se lo stesso abbia richiesto chiarimenti». [...]
  3. Estratto dell’artcolo di Gabriele Carrer per “Italia Oggi”
    Racconta Il Secolo XIX che, «mentre le istituzioni liguri erano alle prese con l’inchiesta giudiziaria che ha travolto i vertici di Regione e Autorità portuale, una delegazione di Lingang ha visitato Genova». Lingang è la zona economica speciale creata dal governo cinese nel porto di Shanghai. Alla guida della delegazione c’era Liu Wei, vice-presidente dello Shanghai lingang economic development group, la società statale che promuove lo sviluppo di Lingang.



    La visita nel capoluogo ligure si è svolta il 22 luglio scorso, ovvero la settimana prima della visita a Pechino in cui Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha firmato un piano d’azione triennale per rilanciare il partenariato strategico globale dopo il mancato rinnovo del memorandum d’intesa sulla Belt and road initiative, la cosiddetta Via della Seta.

    Carlo Golda, presidente di Liguria International, la società regionale che promuove l’internazionalizzazione delle imprese liguri, ha spiegato al quotidiano locale che la delegazione cinese ha incontrato «dirigenti pubblici locali, di Regione, Comune, Autorità portuale, oltre agli agenti marittimi, agli spedizionieri e a Confindustria». È proprio nella cornice del rilancio dei rapporti dopo la fine della Via della Seta che va letta la missione.



    […] Sempre Il Secolo XIX racconta che giovedì 26 settembre si terrà un incontro a porte chiuse, con imprese liguri, alla Camera di commercio di Genova. A capo della delegazione ospite sarà il China council for the promotion of international trade, braccio operativo governativo in materia di commercio estero che sarà anche a Milano e Piacenza. A organizzare l’incontro è, insieme a Liguria international, Renai Chan, storico rappresentante della comunità cinese a Genova, delegato del Ccpit in Italia.
    Il memorandum del 2019, firmato dal governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte, era stato accompagnato da una serie di accordi commerciali, compresi due che sia il porto di Genova sia il porto di Trieste avevano concluso con l’impresa statale cinese China communications construction company.



    Le – anche recenti – mire cinesi su Trieste hanno fatto drizzare le antenne a molti, anche oltre Atlantico, considerato che lo scalo può diventare il terminal europeo del corridoio India-Medioriente-Europa (Imec) lanciato un anno fa a margine del G20 di Nuova Delhi, in India. Non è certo meno strategico il porto di Genova. Basti pensare al sistema di cavi BlueRaman, a cui partecipano Sparkle, Google e altri operatori, per collegare Italia, Francia, Grecia e Israele (Blue System) e Giordania, Arabia Saudita, Gibuti, Oman e India (Raman System).
  4. ASSALTO ALLA DILIGENZA: Palazzo Chigi rilancia la riforma Foti che limita la responsabilità dei funzionari pubblici: "Superare la paura della firma"
    Corte dei conti nel mirino del governo Danno erariale soltanto in caso di dolo

    luca monticelli
    roma
    Il centrodestra riprende in mano il dossier sui poteri della Corte dei conti. Dopo aver tolto ai magistrati contabili il "controllo concomitante" sul Pnrr e garantito a funzionari e amministratori lo "scudo erariale" – che scade il 31 dicembre di quest'anno – il governo mette al centro del dibattito politico la proposta di legge Foti sulla riforma delle funzioni di controllo della Corte. È stato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano a rilanciare il progetto firmato dal capogruppo di Fratelli d'Italia, con la scusa di voler seguire l'appello di Confindustria contro la burocrazia. Citando il leader degli imprenditori Emanuele Orsini, Mantovano dice: «C'è un'Italia che va avanti superando ostacoli di ogni tipo, e c'è un'Italia che invece frappone ostacoli, che si nasconde dietro la burocrazia. Spero che non sia considerato blasfemo chiedere al Parlamento di quale Italia desideriamo che faccia parte la Corte dei conti».
    La proposta di legge di Fdi all'esame delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera si basa principalmente su due misure. La prima riguarda il controllo preventivo sugli atti che, se positivo, garantisce una liberatoria per gli amministratori. In sostanza, qualora un determinato atto amministrativo abbia superato il controllo preventivo di legittimità della Corte, non sarà più possibile sottoporre a giudizio per responsabilità erariale i funzionari che lo hanno adottato. «Sono salvi i casi di dolo – spiegano dalla maggioranza – viene riconosciuto il fatto che il dipendente possa aver commesso un errore in buona fede». Limiti vengono messi anche alle sanzioni. In caso di colpa grave l'amministratore infedele rischia al massimo due annualità di trattamento economico. E qui veniamo al secondo pilastro della riforma Foti: secondo Palazzo Chigi l'introduzione del tetto alla responsabilità colposa è lo strumento più adeguato per affrontare la paura della firma. Su questo argomento oggi opera lo "scudo erariale", approvato con l'alibi del Pnrr per restringere ai casi di dolo le contestazioni della Corte. Nonostante l'abuso d'ufficio sia stato abrogato recentemente da questo Parlamento, si vuole comunque rendere strutturale lo scudo erariale, limitando, appunto, a due anni di stipendio la sanzione patrimoniale del funzionario responsabile del danno erariale.
    L'ultima proroga dello scudo ha già fatto polemizzare l'associazione dei magistrati della Corte dei conti, che pubblicamente ne ha denunciato il carattere «ingiustificato» e il rischio di esporre il Paese «allo spreco di denaro pubblico».
    La riforma proposta dalla maggioranza lascia tanti dubbi alle toghe contabili, c'è la sensazione che si voglia depotenziare la Corte. C'è chi fa notare che nonostante i quattro anni di scudo erariale per eliminare la paura della firma, «un evidente miglioramento dell'efficienza dell'amministrazione non c'è stato». L'opposizione aveva annunciato le barricate, ora il Partito democratico procede guardingo, cercando di cogliere gli umori degli stessi magistrati, favorevoli a un rafforzamento dei controlli preventivi. Al convegno di due giorni fa in Senato, il presidente del Copasir Lorenzo Guerini, esponente dell'area riformista dei dem, ha auspicato «un confronto vero», in primis per risolvere quei problemi che in questi ultimi anni sono stati messi al riparo proprio con l'escamotage dello scudo erariale, introdotto dal governo Conte II durante la pandemia.
  5. L'inchiesta della procura europea contro due imprenditori e una società: sottratti a Bruxelles contributi per oltre un milione e 300mila euro
    La truffa del super drone per i medicinali "Finanziato dall'Ue, non ha mai volato"
    elisa sola

    Alla dimostrazione del volo del prototipo del drone, avevano invitato anche la direttrice della banca a cui avevano chiesto i primi 800mila euro di prestito. E il drone, perlomeno quello del grande evento che si era svolto in pompa magna, aveva volato. Presentando il velivolo radiocomandato, i dirigenti della società Apr Aerospace, presunta "start up innovativa del settore aeronautico avanzato", avevano detto che sarebbe stato in grado di coprire, per il trasporto di medicinali e organi per trapianti, la distanza tra Milano e Torino in soli 20 minuti.
    Ma sarebbe stata tutta una grande truffa. Apr una sorta di società vuota. Il drone un fantasma. La start up una finta. L'unica cosa vera, della grande operazione dei droni super veloci progettati e poi spariti nel nulla, sarebbero stati i soldi. Un milione e 300mila euro chiesti alle banche e ottenuti dall'Unione europea per costruire qualcosa che non è mai esistito. E il denaro è svanito nel nulla.
    Il procuratore europeo delegato Stefano Castellani ha chiesto il giudizio immediato per Fabio Angeleri, pilota di linea di Tortona ed esaminatore dell'Ente nazionale per l'Aviazione civile e per Fabio Franzosi, considerato dall'accusa amministratore della Apr Aerospace. Anche la società, che ha sede a Torino in via Duca degli Abruzzi, è indagata. Angeleri e Franzosi sono ai domiciliari da questa estate. Tra i reati contestati a entrambi, la truffa all'Unione europea, che aveva concesso alla società Apr tre finanziamenti per progettare e costruire il fantomatico drone super veloce. Il presunto raggiro si sarebbe protratto, secondo la Guardia di finanza, dal 2021 al 2023. «Si tratta di un convertiplano dotato di cinque motori elettrici ad alta efficienza» aveva dichiarato Angeleri durante il battesimo dell'aria del prototipo. «Il drone rappresenterà un'innovazione fondamentale nel settore dei trasporti leggeri e sarà in grado di trasportare un carico pagante fino a 10 chili». Ma secondo gli inquirenti, sarebbero state tutte menzogne. Scuse per incassare soldi. L'idea, ai due indagati, era venuta durante la pandemia del 2020. «L'aeromobile è costruito in carbotanio, il materiale più resistente al mondo - spiegava Angeleri - pesa non più di sei chili ed è in grado di volare ad oltre 350 chilometri orari compiendo tragitti di lungo raggio, fino a 100 chilometri e ritorno, su aerovie dedicate, in condizioni di massima sicurezza». Il fatturato promesso era di 13,5 milioni di euro, la capacità produttiva di 600 pezzi all'anno. Il costo di ciascun esemplare dai 6mila ai 20 mila euro. Ma sarebbero state soltanto parole. Il fantomatico «convertiplano in fibra di carbonio e kevlar», gli investigatori lo hanno visto solo sulla carta. O meglio, su presunti documenti falsi creati ad hoc per ottenere i finanziamenti . Gli indagati, difesi dagli avvocati Mario Almonda, Paolo Pacciani e Roberto Tava, avrebbero comprato il know how da una società di Milano, con un'altra intermediaria, senza pagare nulla. Avrebbero assunto qualche ingegnere, all'inizio. Poi avrebbero smesso di pagare lo stipendio anche a loro.
    «Il primo finanziamento - ha testimoniato la direttrice della banca raggirata - era per la progettazione della messa a punto del drone. Il secondo serviva a costruirlo e a renderlo commercializzabile. Io ho visto volare un prototipo». Di chi fosse il velivolo della prova, non è chiaro. Ad accorgersi della truffa, una società di ingegneria specializzata nel settore aeronautico incaricata da Apr per la realizzazione del drone. Secondo la Guardia di finanza la stessa Apr sarebbe stata una scatola vuota. Nel 2021 e 2022 non risultano incassi. Quelli del 2023 ammontano a 2.952 euro.

 

 

 

 

21.09.24
  1. STESSI RISULTATI CON LE RINNOVABILI A COSTI INFERIORI, SOLE VENTO SONO A COSTO 0, E PRODUZIONI ILLIMIMITATA E RISCHI E  TANGENTI  0:   "Con il nucleare 34 miliardi di risparmi Legge entro l'anno, produzione dal 2030"
    Gilberto Pichetto Fratin
    L'energia
    Le scorie
    "
    luca monticelli
    roma
    Dopo il grido di allarme del presidente di Confindustria Emanuele Orsini, che chiede al governo una scelta coraggiosa perché il costo dell'energia è diventato insostenibile per le aziende italiane, il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin annuncia che varerà un disegno di legge per il rilancio del nucleare. Così «il nostro Paese risparmierà fino a 34 miliardi di euro l'anno». Nel 2030 si passerà «dalla sperimentazione alla produzione dei nuovi moduli nucleari».
    Secondo gli imprenditori il Green Deal europeo mette a rischio l'industria italiana, lei è d'accordo?
    «La posizione dell'Italia è sempre stata chiara sul Green Deal: non abbiamo mai messo in dubbio gli obiettivi finali, cioè di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ma gli strumenti imposti per farlo. Per due motivi essenzialmente: il primo è che non si è mai vista, se non nell'Unione Sovietica dei piani quinquennali, la politica che pretende di imporre i tempi e le tecnologie alla scienza. Il secondo è dato dalla natura profondamente diversa dei Paesi che compongono l'Europa. L'Italia quindi non mette in discussione né gli obiettivi di decarbonizzazione né i traguardi del 2030 e del 2050. Abbiamo invitato soltanto ad abbandonare l'ambientalismo ideologico che per tanti anni è stato alla base di molte scelte europee. Più realismo e meno idealismo».
    La premier Meloni ha promesso che l'esecutivo lavorerà per cambiare le regole che prevedono lo stop alle emissioni. Cosa avete intenzione di fare concretamente se la scadenza del 2050 sulla neutralità climatica non si tocca?
    «Il governo lavorerà, soprattutto con la nuova Commissione e il nuovo Parlamento europeo, per raggiungere gli obiettivi comuni di decarbonizzazione proponendo un percorso compatibile con le politiche economiche e sociali del nostro Paese. Due esempi su tutti: le auto e le case green. Sulle prime la posizione italiana è chiara: fermo restando che quello elettrico con ogni probabilità sarà il motore del futuro, non possiamo stabilire con legge, quindici anni prima, che dal 2035 non dovranno più essere prodotti i motori endotermici. Anche con l'utilizzo dei biocarburanti questi motori saranno in grado di garantire emissioni ridotte. Altrimenti vuol dire che non si fa la battaglia sul fine ma sul mezzo. La stessa cosa è sulle case green: l'obiettivo è costruire tutte le nuove case a emissioni zero e fare un piano ventennale di intervento sui vecchi edifici. Ancora una volta non mettiamo in dubbio l'obiettivo comune finale della neutralità climatica al 2050, ma chiediamo di poterlo raggiungere difendendo gli interessi delle famiglie e delle imprese italiane».
    Uno dei temi principali posti dagli industriali riguarda il costo dell'energia. L'unica soluzione è il nucleare?
    «In questo momento si, l'unica soluzione è il nucleare di nuova generazione da affiancare all'energia prodotta dalle rinnovabili tradizionali. Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione dobbiamo eliminare progressivamente il carbone, il petrolio e infine il gas. Con le tecnologie di oggi non possiamo contare soltanto sulle rinnovabili perché non sono continuative e non abbiamo ancora le sufficienti capacità di accumulo, si sprecherebbe troppo per trasportare l'energia dal luogo in cui si produce a quello in cui principalmente si consuma. Ecco perché con una domanda di energia in continuo aumento abbiamo voluto nel nostro mix energetico del futuro il nucleare di ultima generazione che, ricordo, è stato inserito nella tassonomia europea come fonte green di produzione energetica».
    Quanti anni ci vogliono per tornare al nucleare?
    «Un anno fa, quando nessuno parlava ancora di questo tema, il ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica ha avviato la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile. I tecnici ci dicono che per i primi anni Trenta ci sarà la possibilità di passare dalla sperimentazione alla produzione dei nuovi moduli nucleari. Noi stiamo lavorando, senza alcun ritardo, per consentire all'Italia di farsi trovare pronta e preparata. Con la collaborazione del professor Giovanni Guzzetta penso che saremo pronti a presentare un disegno di legge di riordino della materia per la fine di quest'anno. Conto che possa essere discusso e approvato entro il 2025».
    I piccoli reattori modulari di nuova generazione che impatto avranno sull'economia?
    «Avranno un grande impatto perchè ci sono aziende italiane alla guida dei principali e più avanzati progetti di ricerca, attivi nel mondo nel campo della fissione avanzata e dell'energia da fusione. E poi perché saremo in grado di garantire energia al nostro sistema industriale a un costo concorrenziale: non possiamo più andare avanti con l'energia che costa il doppio rispetto al resto d'Europa. È una battaglia che abbiamo iniziato un anno fa per le famiglie e per le imprese italiane. Con grande soddisfazione vediamo crescere il consenso intorno alla nostra iniziativa. Con il 22% di nucleare nel nostro futuro mix energetico nazionale, potremo far risparmiare al nostro Paese fino a 34 miliardi l'anno».
    Come si farà a smaltire le scorie? Lei ha un piano?
    «Le vecchie scorie potremmo lasciarle ancora in Francia e in Inghilterra, continuando a pagare un affitto, in attesa di portarle in un deposito geologico che sarebbe bello se fosse unico e europeo. Il vero problema sono i rifiuti di bassa e media intensità, soprattutto di origine sanitaria, che produciamo quotidianamente. Per quelli abbiamo il dovere di trovare la soluzione con uno o più depositi nazionali».
  2. FIAT TORINO CAVALLO DI TROIA CINESE : Nel polo di interscambio del Drosso le verifiche sui Suv C10 in attesa del debutto sul mercato italiano: coinvolti una trentina di addetti in cassa
    A Torino le prime auto dei cinesi di Leapmotor Gli operai di Mirafiori curano la messa a punto
    leonardo di paco
    Il debutto sul mercato europeo delle auto cinesi di Leapmotor, azienda guidata da Stellantis in quote 51:49, passa da Mirafiori.
    Dopo essere salpati a fine luglio da Shanghai alla volta dei porti europei, i primi veicoli dei Suv C10, circa 300, una volta arrivati in Europa sono stati portati a Torino. Come comunicato con una nota dall'azienda «nell'ambito del consueto processo di verifica finale, per assicurare la piena soddisfazione dei clienti, Stellantis mobiliterà per un breve periodo alcune decine di lavoratori dalle Carrozzerie di Mirafiori e dal polo di interscambio di Drosso». Ossia dove di solito si svolgono tali attività per tutti i marchi del gruppo. Questa attività, che consente nella verifica dei documenti ma anche in messe a punto dal carattere più tecnico, coinvolgerà al momento una trentina di addetti dello stabilimento di Mirafiori.
    «Tale iniziativa - ha proseguito il gruppo - consente anche di ridurre parzialmente gli effetti dell'utilizzo degli ammortizzatori sociali attualmente necessari in relazione al calo della domanda di mercato». Troppo presto, per adesso, ipotizzare che questo tipo di attività possa diventare strutturale all'interno del comprensorio torinese. Anche perché le prime spedizioni nel Vecchio Continente rappresentano solo il punto di partenza di una collaborazione a lungo termine fra le due aziende che «mira a trasformare le mobilità elettrica in Europa e non solo». Nei prossimi tre anni è prevista la commercializzazione di almeno un modello all'anno.
    Il messaggio lanciato dal gruppo, nato dalla fusione fra Fca e Psa, è comunque da non sottovalutare: le competenze dei dipendenti dello stabilimento potrebbero assegnare a Mirafiori un ruolo di primo piano nei futuri sviluppi della joint venture. In attesa che riprendano gli ordini della 500 elettrica e che cominci, a partire da inizio 2026, la produzione della 500 ibrida come confermato pochi giorni fa dall'amministratore delegato Carlos Tavares .
    A ottobre 2023, le due società avevano annunciato l'investimento da parte di Stellantis di circa 1,5 miliardi di euro in Leapmotor, per l'acquisizione di circa il 21% delle quote dell'azienda automobilistica classificata nel 2023 tra le prime 3 start up cinesi di veicoli elettrici. Il Suv C10 è il primo prodotto di Leapmotor studiato per il mercato globale, in linea con gli standard internazionali di progettazione e sicurezza. La C10, che dovrebbe avere un'autonomia di 420 chilometri, è una vettura appartenente al segmento D completamente equipaggiata e pensata per la famiglia, con un'esperienza di guida definita "premium".
    Nel frattempo, è stato attivato il sito europeo di Leapmotor, anche in lingua italiana, per permettere ai potenziali clienti di farsi un'idea dell'offerta in attesa del debutto nei canali di distribuzione di Stellantis.
  3. La nota diffusa dal gruppo contro la gestione della trasformazione della grande area verde
    Meisino, sinistra ecologista all'attacco "Ostacolato il diritto di manifestare"

    «Quello che vediamo da giorni nel parco del Meisino è l'ennesima prova che la direzione che il nostro Paese sta prendendo, in termini di limitazione al diritto di esprimere dissenso, è inaccettabile. La prassi di affiancare le forze dell'ordine agli operatori di cantiere, allo scopo di ostacolare il legittimo diritto di manifestazione, va interrotta al più presto».
    Questa è la nota diffusa nelle ultime ore da tutto il gruppo di Sinistra Ecologista, che peraltro fra i banchi del consiglio comunale siede tra le fila della maggioranza. Un segno di rottura, in questo caso, per le modalità con cui l'amministrazione sta gestendo la trasformazione della grande area verde nella zona di Sassi, dove alla fine del 2025 sorgerà il nuovo "Centro per l'educazione sportiva e ambientale".
    Negli scorsi giorni un gruppo di persone, attivisti e contestatori dell'opera, avevano organizzato un presidio per cercare di impedire l'inizio degli interventi con le ruspe. Motivo per cui si è deciso di far scortare gli operai dalla Digos, per ragioni di sicurezza e per consentire la regolarità del cantiere. Una scelta che però fa levare voci contrarie anche all'interno di Sinistra Ecologista, come spiega la consigliera della Circoscrizione 7 Ilaria Genovese: «Chi si oppone al progetto lamenta anche la mancanza di coinvolgimento della cittadinanza – dice – L'intera operazione è stata varata senza autentiche possibilità di discussione pubblica, nemmeno da parte del consiglio comunale». E aggiunge: «Se c'è un danno che il progetto del Meisino ha già fatto, è quello di spezzare la fiducia nelle istituzioni, da parte di cittadine e cittadini che oggi protestano. Anche per questo motivo, invitiamo nuovamente a un confronto sul progetto il comitato e tutte le persone che sono interessate al futuro di quell'area».
    L'appuntamento è fissato per mercoledì prossimo, alle 18, 30, nella sede di Sinistra Ecologista in piazza Moncenisio. Sarà un momento di scambio e di confronto, quello che secondo il gruppo è mancato finora. «Il parco del Meisino è un'area a protezione speciale sottoposta a vincoli naturalistici e paesaggistici – dicono da tutto il gruppo – In linea di principio, ogni attività che possa avere un impatto tale da intaccarne la conservazione, come quelle dello sport agonistico, andrebbe evitata».
    Il progetto di restyling prevede la riqualificazione della Cascina Malpensata, che si trova in uno stato di abbandono da almeno vent'anni e, a fasi alterne, è oggetto di alcune occupazioni abusive. Saranno poi allestite una ventina di attrezzature sportive, nessuna ancora al terreno. Fra queste ci sono le strutture per l'arrampicata sportiva, tiro con l'arco, disc golf, ciclocross, piste di pump track e skills bike appoggiate su delle pedane in legno. Un progetto da 11, 5 milioni, finanziato con le risorse del Pnrr. Per fare spazio a tutte le installazioni, l'ipotesi è di abbattere circa 200 alberi, ma per compensare il Comune prevede di metterne a dimora altri 600, più 400 arbusti.

 

 

20.09.24
  1. Per lasciare ai possessori il tempo di impugnarli. Polemica tra Taiwan e Ungheria sulla provenienza
    I cercapersone riempiti di esplosivo L'innesco è uno squillo di 10 secondi
    Nello Del Gatto
    Gerusalemme
    Prima i cercapersone e poi i walkie talkie. L'ondata di esplosioni che ha interessato per due giorni i dispositivi di comunicazione nelle mani dei miliziani e dei comandanti di Hezbollah nelle roccaforti del gruppo in Libano e Siria, lascia sul campo interrogativi su chi sia stato e come. Certo è che l'operazione non solo è stata studiata nei minimi dettagli, ma ha richiesto tempo. «Forse anche più di un anno e mezzo», spiega Eyal Pinko, ex membro dell'intelligence, esperto
  2. di sicurezza del Begin-Sadat Center for Strategic Studies della Bar Ilan University. Nessuno è ancora in grado di spiegare come sia potuto accadere che migliaia di dispositivi nuovi siano esplosi allo stesso momento, anche perché di questi sono state fatte circolare solo fotografie. Le intelligence di tutto il mondo se li stanno contendendo per analizzarne i dati.
    L'esplosivo posto all'interno
    Di certo, secondo Pinko e gli altri esperti, non si è trattato dell'esplosione delle batterie a litio presenti nei dispositivi, sia nei cercapersone che negli altri, che sono normali batterie. Non avrebbero potuto provocare quei danni. È successo invece che nel processo di fabbricazione o in quello logistico (conservazione, spedizione, consegna) si abbia avuto il tempo di aprire i dispositivi e inserire uno o due grammi di esplosivo al loro interno. Lo stesso, TNT o qualcosa di superiore, è stato collegato alla batteria e a una microscheda elettronica che conteneva l'istruzione.
    Il messaggio fatale
    È bastato inviare un messaggio unico e univoco, un codice stabilito (come, ad esempio, una sequenza numerica particolare nel caso dei cercapersone, un impulso per il walkie talkie) che dovesse essere diverso da quelli che normalmente vengono inviati, per farsi riconoscere dalla scheda elettronica e provocare la detonazione.
    Il suono prima dello scoppio
    Secondo molti testimoni, i dispositivi hanno risuonato per una decina di secondi prima di esplodere. Questo perché chi ha pensato l'attentato, ha fatto in modo che gli appartenenti a Hezbollah avessero il tempo di prendere il dispositivo tra le mani, per massimizzare i danni. I cercapersone, modello AR-924, sono fabbricati dalla taiwanese Gold Apollo Ltd. ed erano arrivati cinque mesi fa, dopo la decisione di Nasrallah di evitare le comunicazioni telefoniche per non essere intercettati. I cercapersone, infatti, sono strumenti considerati perfetti ai fini della sicurezza.
    La società taiwanese ha negato che quelli esplosi siano stati prodotti nei suoi capannoni, spiegando che vengono realizzati su loro licenza da una società ungherese, la Bac Consulting KFt, al cui indirizzo di sede a Budapest, c'è una normale palazzina, non strutture industriali. Da Taiwan fanno sapere di non aver mai venduto e spedito in Libano.
    Qualche analista, ricordando l'episodio del 31 luglio nel quale Ismail Haniyeh, l'ex capo politico di Hamas, è stato ucciso a Teheran in una palazzina delle Guardie rivoluzionarie, impossibile da portare a termine senza l'aiuto di qualcuno sul posto, ha avanzato l'ipotesi che proprio in Iran gli apparecchi possano essere stati manomessi.
    I sospetti di Hezbollah
    La decisione di farli esplodere martedì, secondo fonti d'intelligence, sarebbe stata presa dopo che si è avuta la sensazione che qualcuno in Hezbollah stesse avanzando dubbi sulla sicurezza della fornitura. Da qui anche la decisione di far detonare ieri i walkie talkie che, con i cercapersone, condividono alcune frequenze radio. È probabile infatti che qualcuno in Hezbollah abbia potuto decidere di controllare tutte le forniture ordinate e arrivate nello stesso periodo.
  3. "Riconosciuta la forza dei sovranismi ma il compito dell'Europa è la pace"
    Lucia Annunziata
    Per Lucia Annunziata c'è un punto fondamentale nella nuova risoluzione sull'Ucraina che andrà al voto oggi al Parlamento europeo: «È il punto tre, dove finalmente c'è la parola pace: l'impegno a lavorare per un piano credibile, la possibilità di un summit europeo». Quanto alla commissione Von der Leyen, la presidente «ha dato a ogni Stato quello che voleva. Ha trattato con i capi di governo. Ha riconosciuto la forza dei sovranismi».
    Che tipo di Commissione sta nascendo vista da vicino, con gli occhi di una parlamentare europea del Pd?
    «Se vogliamo parlare di politica, è una Commissione che ha preso atto dell'esistenza dei sovranisti, che ha di fatto spostato l'asse dell'Unione. L'Europa va sempre osservata da due punti di vista, quello dell'Italia, dei nostri interessi nazionali, e quello più largo che comprende tutti. Il sistema è molto semplice perché è completamente duale. Il Parlamento europeo è il più grande porto politico del mondo. Votato con le preferenze, quindi col sistema più diretto che ci sia rispetto ai cittadini. Ma un europarlamentare che arriva qui si mette in una stanza e aspetta che qualcuno indichi i top jobs e a cascata le commissioni».
    Come?
    «Nonostante quelle cariche si possano poi approvare o bocciare, vengono decise nei rapporti con i capi di governo. Quando si è dimesso il francese Thierry Breton, ha fatto una cosa inedita. Ha detto: me ne vado perché Ursula voleva sminuire il mio lavoro. Ha quindi voluto esporre un cambiamento nel modo di lavorare della Commissione, ma anche esprimere una protesta nei confronti di Macron».
    E Von der Leyen cosa ha risposto?
    «Che non intendeva dare spiegazioni. Né rivelare se ci fossero accordi di qualche tipo con la Francia, perché - ha sostenuto - tutti i colloqui sono secretati visto che avvengono tra presidente e capi di Stato».
    È possibile che Meloni e Von der Leyen avessero un accordo fin dal principio per dare un ruolo di peso a Raffaele Fitto?
    «Non si tratta di questo, ma di guardare alla situazione in cui entrambe si sono trovate. Subito prima del voto si è formato il gruppo dei Patrioti di Orban, che ha galvanizzato l'azione politica della destra al Parlamento europeo. Facendo una campagna così forte contro Von der Leyen da far sì che ce ne fosse una altrettanto forte a sinistra: è a quel punto che il Pse e i Verdi dicono: nessun voto dalla destra, sennò non ti votiamo. Se Meloni avesse votato Von der Leyen, la sua base si sarebbe infuriata, è vero. Ma anche se Von der Leyen avesse preso i voti di Meloni, avrebbe avuto problemi».
    Nonostante questo, Fitto è vicepresidente esecutivo e Meloni appare soddisfatta.
    «Era chiaro che non ci sarebbe potuta essere alcuna "punizione". L'Italia è un Paese fondatore e l'Europa non viene "à la carte". Ne fanno parte 27 Paesi, ogni mattina vedo 27 buongiorno scritti in lingue diverse sui cartelloni. Tu puoi anche volere un certo modello di Europa, ma quella viene come viene: non puoi chiedere solo filetto e niente grasso».
    Traduco dalla metafora culinaria: era inevitabile che l'Italia fosse accontentata, anche se due partiti della maggioranza di governo non hanno votato per la commissione.
    «Credo che Von der Leyen si sia trovata molto in difficoltà. Il colore politico dell'Europa e dei suoi vari governi nazionali è cambiato. Il Ppe è andato bene, è ancora la prima forza, ma ha bisogno degli altri. Tu hai ancora una maggioranza progressista in Europa ma piccola piccola, per cui in un momento puoi perdere un gruppo e aver bisogno della destra, o della sinistra. Von der Leyen ha guardato a qual era la fonte del suo potere, gli Stati nazionali. E ha trattato con quelli: vuoi lo spumone o il babbà?».
    Ha dato a ogni Stato quel che voleva?
    «Più o meno sì, e la vicenda Breton lo dimostra perché lascia più spazio d'azione a Macron e al nuovo premier Barnier. I Paesi dell'Est hanno avuto le deleghe che hanno più a che fare con l'Ucraina. L'estone Kaja Kallas ha preso il posto di Borrrel come Alto rappresentante per la politica estera. Il Lituano Andrius Kubillus ha avuto Difesa e Spazio».
    Una scelta pericolosa?
    «Chi è appena fuori dalle porte della Russia tende a spingere per una guerra con la Russia. Ma continuiamo: c'è l'ungherese Oliver Varheli che ha avuto come delega Salute e animali, e si sa che si tratta di un simpatizzante No vax. Altro punto interessante è la delega all'Immigrazione all'austriaco Magnus Brunner, vista la totale chiusura di Vienna sui migranti. La Spagna, che è molto forte, si è presa una delle deleghe più importanti con Teresa Ribera, che oltre a essere vicepresidente esecutiva ha avuto le deleghe a Transizione pulita, giusta e competitiva. A una lettura maliziosa, ognuna ha preso il suo».
    E Von der Leyen cosa guadagna?
    «Guadagna cinque anni ancora».
    C'è davvero il tentativo di staccare la destra di Fratelli d'Italia e dei conservatori dall'ultradestra di Orban e della tedesca Afd?
    «Lo dicono tutti, ma non ho le prove. Quello che so è che questo modo di trattare che non segue la maggioranza, ma gli interessi di ciascun Paese, salva la Commissione ma riconosce la forza sovranista».
    Fitto sarà confermato dal voto?
    «Intanto arriva con deleghe più leggere di quelle di cui si era parlato all'inizio. Ma ha i fondi di Coesione, che riguardano tutti i Paesi. Il che ha fatto sobbalzare la sinistra italiana: la Coesione a un rappresentante del governo che ha varato l'Autonomia differenziata? Le due cose sono in evidente contraddizione perché quei finanziamenti - e si tratta di miliardi di euro - sono nati per unire l'Europa, mentre l'Autonomia è stata approvata per dividere l'Italia».
    Come voterà il Pd?
    «Farà l'unica cosa ragionevole. Intanto è un italiano, e sarebbe ben strano che degli italiani gli votassero contro in questo contesto. Ma il sì arriverà dopo che avrà presentato un progetto, dopo aver fatto un patto con il Parlamento, e dopo che avrà fatto capire di accogliere almeno tre punti del programma della sinistra. Sul piano generale, dovrà far capire se sta più vicino all'antieuropeismo di Ecr o alla sua matrice d'origine, che era europeista: la stessa di Tajani».
    L'Europa attraversa uno dei momenti più critici della sua storia, tra la guerra in Ucraina, quella in Medio Oriente, lo spettro di Donald Trump negli Stati Uniti. Questa Commissione è all'altezza?
    «Se mi chiedi se ci sono sette Churchill, dico: forse no. Sette Hitler? Sicuramente no. Ma non è una domanda a cui si può rispondere perché essere o non essere all'altezza, lo si vede dagli eventi. Dico solo questo: l'Europa è nata per la pace. Se in questo quinquennio non richiude il file della guerra in Ucraina e in Medio Oriente, non ci sarà più un'Europa perché fallirebbe il suo compito principale. Le risoluzioni al voto oggi sono, se si guarda bene al lavoro fatto sulle parole, più caute tanto sulle armi che sul possibile ingresso di Kiev nella Nato. Non c'è scritto da nessuna parte che è ineluttabile, perché quella poteva sembrare una provocazione».
    Com'è stato il discorso di Draghi davanti al Parlamento?
    «Ho avuto l'impressione che fosse molto distaccato. È venuto, ha fatto il suo intervento che è stato accolto bene - conservatori e patrioti a parte - ha parlato con simpatia, come sa fare, ma era la relazione di un banchiere. Composto, distaccato, senza quel fuoco politico che tante volte ha saputo dimostrare».
  4. MIOPIA CONFINDUSTRIA . Patto
    anti-green deal

    Luca Monticelli
    Roma
    «Se l'Europa deve cambiare marcia anche l'Italia è chiamata a nuove scelte coraggiose». Il messaggio è del presidente di Confindustria Emanuele Orsini alla sua prima assemblea annuale. Davanti a tutto il governo schierato in prima fila, il leader degli imprenditori punta il dito contro l'Europa: «Non dobbiamo dimenticare che oggi le transizioni – energetica, ambientale e digitale – pongono fondamentali quesiti industriali, politici ed etici che non possiamo più ignorare». Il problema è il Green Deal, continua Orsini, che è «impregnato di troppi errori, l'industria è a rischio. La decarbonizzazione inseguita anche al prezzo della deindustrializzazione è una debacle». Un attacco durissimo che trova la sponda della presidente del Consiglio Giorgia Meloni: «Sono d'accordo, il governo prende l'impegno per correggere queste scelte». È la prima di tante altre promesse che la premier farà nel corso del suo intervento.
    Orsini si aspetta dal Piano strutturale di bilancio del governo «quelle riforme e quegli investimenti che sono assolutamente necessari, politiche industriali serie e incentivi rilevanti in risposta al post Pnrr». Il leader ha in testa la «spinta» di Industria 5. 0, il pacchetto di incentivi all'innovazione che nei mesi scorsi è stato al centro delle polemiche tra aziende ed esecutivo: «Senza rischiamo lo stallo o, addirittura, un passo indietro». Nell'agenda delle priorità di Orsini ci sono i conti pubblici – «apprezziamo la barra dritta del Mef» – la produttività, la sburocratizzazione a costo zero, il nucleare e il piano Draghi considerato «vitale» per il cambio di passo dell'Europa e «le sfide ciclopiche» sul fronte della competitività.
    Un passaggio del discorso è riservato alle relazioni industriali: «Con i sindacati abbiamo tanto da fare insieme, siamo pronti ad avviare un'azione comune per contrastare i troppi contratti siglati da soggetti di inadeguata rappresentanza. Come alcuni sembrano non voler ricordare, Confindustria prevede retribuzioni ben più elevate del salario minimo per legge. Noi – aggiunge Orsini – difendiamo il principio che il salario si stabilisca nei contratti, trattando con il sindacato». Ma la vera preoccupazione, il chiodo fisso, resta il Green deal: «La filiera italiana dell'automotive è in grave difficoltà, depauperata del proprio futuro dopo aver dato vita alle auto più belle del mondo e investito risorse enormi per l'abbattimento delle emissioni. Stiamo regalando alla Cina il mercato dell'auto». Il feeling con Meloni nasce qui: la premier definisce lo stop ai motori endotermici nel 2035 «autodistruttivo» per l'economia europea. E apre le porte agli imprenditori: «Con me avrete un confronto leale e regole certe, non andremo sempre d'accordo ma l'Italia può ancora stupire se lavoreremo insieme». Le critiche per la cancellazione del Superbonus per la premier sono acqua passata: «Abbiamo detto dei no perché non si buttano dalla finestra i soldi dei cittadini, è finita la stagione dei bonus». Ora, insiste, è il momento della lotta comune alla burocrazia – «mi sento come uno di voi quando vedo gente che fa di tutto per non risolvere i problemi»– e occorre aumentare la produttività del lavoro. «L'obiettivo della crescita all'1% è a portata di mano», ribadisce la presidente del Consiglio: «Ogni trionfalismo sarebbe infantile ma non era scontato vedere l'Italia crescere più della media europea, dopo anni in cui eravamo in fondo alle classifica». Meloni non entra nel merito della manovra, l'unico riferimento è il sostegno alle famiglie con figli che, assicura, non è dettato da «una scelta etica, ma da una necessità economica». L'invito al confronto lanciato da Orsini viene colto anche dal segretario della Cgil Maurizio Landini, pronto a parlare di sicurezza e di rappresentanza per cancellare i contratti pirata. Tuttavia Landini mette in guardia sia Meloni sia Orsini: «Non abbiamo intenzione di essere la parte che ascolta quello che discute il governo con Confindustria. Non siamo disponibili a fare da spettatori o a fare il bancomat per qualcun altro, ci siamo stancati».
  5. PADRONI E BASTA SENZA VAPORE E SENZA FERRIERE:Dai manager fiducia a tempo "Giorgia rispetti gli impegni"

    Un'apertura di credito che andrà verificata nel breve periodo con le misure in manovra, poi il confronto si sposterà sui progetti di medio e lungo respiro, come il nucleare. La sensazione a caldo dei tanti imprenditori che ieri hanno partecipato all'assemblea di Confindustria a Roma è quella di aver trovato nella presidente del Consiglio una interlocutrice disposta ad ascoltare le istanze delle aziende, quindi il suo intervento non può che essere giudicato «positivo». Però la pancia di Confindustria si aspetta i fatti.
    La priorità per la prossima manovra è «l'accelerazione degli investimenti», sottolinea l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina, che aggiunge: «La spesa del Pnrr va migliorata e poi va mantenuto il rigore assoluto sui conti pubblici perché il debito va ridotto».
    Emma Marcegaglia, ex leader dell'associazione, sottolinea come Meloni si sia «impegnata per cambiare la visione europea sul Green deal e ha garantito un dialogo continuo». Marcegaglia ricorda che la richiesta che gli imprenditori fanno al governo è di «mantenere il taglio del cuneo fiscale e cominciare a ragionare anche sull'Irap». Il costo dell'energia, continua, «è un problema enorme, è un tema di competitività decisivo, mi pare che la presidente Meloni abbia aperto una discussione anche su questo». Quanto al nucleare, sottolinea l'ex presidente, è «per noi veramente un tema importante, crediamo nella decarbonizzazione ma va fatta in modo non ideologico». Il nucleare è un tasto che tocca anche Paolo Lamberti, presidente di Acimac, l'associazione dei produttori di tecnologie per la ceramica: «Ci vuole un approccio nuovo sul nucleare, non è solo un modo per abbattere i costi dell'energia, ma è una questione di innovazione, di cambiamento del processo tecnologico». Lamberti ribadisce i tre temi fondamentali che devono essere nell'agenda politica: «Ambiente, energia, burocrazia. Mai come in questo momento abbiamo chiare le cose da fare, Meloni l'ha detto e mi ha stupito positivamente, è il momento di affrontare questi nuovi tempi, siamo entrati in un'éra nuova».
    Secondo Roberto Bozzi, presidente di Confindustria Romagna, «occorre anticipare i problemi e sostenere gli investimenti, soprattutto sull'intelligenza artificiale e sul nucleare». Bozzi è preoccupato dal fatto che possa arrivare una nuova crisi: «La politica deve anticipare i problemi e pensare alle prossime mosse». Le imprese criticano la transizione ecologica dell'Europa e chiedono risposte, però il presidente di Federacciai Antonio Gozzi sostiene che «l'Italia è in pole position per essere la prima nel mondo a fare acciaio completamente green». Luc. Mon . —
  6. LOGGIA UNGHERIA INDISTRUTTIBILE ANCHE PER CROSETTO ? l titolare della Difesa: "I Dem mistificano la realtà. Siamo alla follia e al delirio" Il Comitato per la Sicurezza potrebbe ascoltare nella prossime udienze anche Carta
    Inchiesta spionaggio il Pd attacca Crosetto Il Copasir lo convoca
    Come previsto, il caso Crosetto, tra inquietanti dossieraggi e fibrillazioni negli apparati, è troppo clamoroso perché il Copasir non se ne occupi. Il ministro stesso annuncia di essere pronto. In verità, la giornata era cominciata molto male per il ministro, arrabbiatissimo perché alcuni parlamentari del Pd avevano chiesto a Giorgia Meloni di riferire in Parlamento su una presunta spaccatura nel governo. E perciò, ecco una nota puntuta di Crosetto: «Se l'interesse del Pd è davvero la verità, sarò ben lieto di dire tutto ciò che ho riferito a Cantone al Copasir, ovvero in una sede vincolata al segreto, dove si scoprirà che non c'è, né ci sarà, mai nulla su cui poter fare speculazione politica o inventare contrasti nel Governo, ma solo circostanze serie e circostanziate che ogni cittadino ha il dovere di denunciare». E ancora: «Mi sorprende che un gruppo parlamentare e un partito come il Pd, nella cui tradizione c'è un lungo elenco di denunce e vesti stracciate per antichi e nuovi dossieraggi che hanno minato e inquinato la storia della Repubblica, non sia minimamente interessato o scandalizzato da una vicenda (quella dei dossier) che una personalità come Luciano Violante ha definito gravissima».
    In effetti, quelli del Pd, ovvero tutti i parlamentari presenti in commissione Antimafia (Walter Verini, Peppe Provenzano, Debora Serracchiani, Andrea Orlando, Vincenza Rando, Anthony Barbagallo, Franco Mirabelli e Valeria Valente), avevano stigmatizzato che «dalla destra al governo, dopo mesi di vaghe denunce di complotto, non c'è stato alcun esercizio di responsabilità. In un momento di drammatica crisi geopolitica è accettabile uno scontro tra le due figure di governo e i soggetti istituzionali che più di tutti dovrebbero garantire per la nostra sicurezza?». E siccome l'Antimafia ha avuto le carte dell'inchiesta, ma obiettivamente c'entra molto poco, precisavano: «Noi, in ogni sede, senza ovviamente interferire con le indagini della magistratura, chiediamo si faccia chiarezza su quanto fin qui emerso: e cioè l'estrema vulnerabilità delle nostre reti cibernetiche e delle banche dati riservate, la possibile esistenza di un mercato di informazioni riservate, del quale occorre scoperchiare ogni responsabilità di esecutori e possibili mandanti».
    Toccherà insomma allo speciale Comitato parlamentare sulla sicurezza, presieduto da Lorenzo Guerini, Pd, ex ministro della Difesa, sentire i diretti interessati a partire dall'attuale ministro e poi tutti gli altri soggetti interessati. Potrebbero decidere anche, sulla base di quel che emergesse, di convocare l'ex direttore dell'Aise, il generale Luciano Carta, il cui nome aleggia da più giorni in questa vicenda ed è stato evocato anche ieri nel corso di una seduta del Comitato. Oltretutto ci sono alcuni misteriosi siti che alimentano sospetti sull'ex direttore, citano questo o quel funzionario dell'Aise, raccontano di presunte filiere deviate, insomma gettano veleni nell'aria e così facendo si muovono con le tipiche modalità del settore. Val la pena approfondire.
    Sono due le questioni su cui il Copasir intende fare luce. Se ci siano collegamenti tra il principale indagato di questa indagine, il luogotenente della Gdf Pasquale Striano, autore conclamato della maggior parte degli accessi abusivi alle delicatissime banche-dati, con esponenti dei servizi segreti.
    Un filo è già saltato fuori, altri potrebbero venire dal prosieguo delle indagini. E sarebbe gravissimo che ci siano stati opachi rapporti tra 007 con le violazioni della privacy ai danni di uomini politici e non.
    Ma c'è anche molto altro da chiarire. La frase del ministro sui «problemi per la sicurezza nazionale» dovuti a mancata collaborazione dell'Aise con la Difesa, citata nel verbale a Cantone, apre una questione molto seria. Quindi, delle due l'una: o era un'iperbole del ministro e allora il caso finisce qui, oppure ci sono casi concreti su cui è bene andare a fondo.
  7. IL CONTROLLO E' USA COME SEMPRE DA QUANDO MUSSOLINI HA PERSO LA GUERRA: Attenti all'ira di Guido Crosetto, il ministro della Difesa, l'omone che sembra rodato alle tempeste, ma se troppe gocce fanno traboccare il vaso tutto può succedere. Del ministro che è stato il motore dell'inchiesta sui dossieraggi, si sapeva negli ambienti del governo che era sempre più arrabbiato. Innanzitutto con i giornalisti. Dice chi gli è vicino: «È talmente schifato da un certo modo di fare informazione che ha deciso, da più di un mese, quindi ben prima che uscissero sui giornali in modo del tutto illegittimo e abusivo i verbali dell'inchiesta di Perugia, di limitare al massimo le sue uscite pubbliche». Ma c'è di più. Molto di più.
    Ieri, quando ha visto una nota ufficiale del Pd che chiedeva a Giorgia Meloni di relazionare in Parlamento «su uno scontro istituzionale in corso che ha superato il limite», ha preso carta e penna per replicare: «Sono stupito e incredulo. Mistificate la realtà». E siccome però nei capannelli del Transatlantico si parla molto di una presunta rottura con la premier e con il sottosegretario Alfredo Mantovano, si è sfogato con i suoi perché si sappia: «Ove mai si ritenesse privo di fiducia e stima, nel governo, dal suo vertice fino al partito cui si onora di appartenere, pur nelle differenze delle storie e dei percorsi personali, ne trarrebbe le conseguenze».
    È stata la giornata dell'ira, al piano nobile del ministero della Difesa. L'uscita del Pd lo ha indispettito quantomai. Scrive: «Come si permettono di commentare in modo così strumentale la denuncia – coraggiosa, come molti hanno detto – all'autorità giudiziaria da parte di un cittadino, pro tempore ministro, su una vicenda così torbida e pericolosa? ». Ma è con i suoi collaboratori che si sfoga un attimo dopo: «Lo ritenevo un partito serio e responsabile». Proprio loro che in altri casi erano insorti e invece in questa storia, che ai suoi occhi è di prima grandezza, li vede timidissimi. «Potrei citare il caso Sifar, il caso Gladio, il caso Mitrokhin».
    Ce n'è anche per i giornalisti, "rei" di inventare retroscena che non esisterebbero. Qui è un fiume in piena, e da diversi giorni. Dicono sempre dal suo staff: «Capisce che alcuni centri di informazione e commentatori, magari legati a interessi e poteri specifici, vogliano mettere in ridicolo questo governo, legittimamente eletto, e la sua azione quotidiana, cercando di screditarla ogni giorno e a ogni occasione».
    Epperò il problema che più gli sta a cuore, ciò che sente di dover smentire con forza, è la distanza con palazzo Chigi e con gli apparati di intelligence. C'è quel verbale di testimonianza del gennaio scorso che parlerebbe fin troppo chiaro: con l'Aise, l'agenzia di informazioni e sicurezza per l'estero, i rapporti non filavano lisci.
    Crosetto è arrivato a dire al magistrato: «I miei rapporti con l'Aise in precedenza non erano particolarmente buoni perché ho contestato in più di una occasione mancate informazioni al ministero della Difesa che avrebbero potuto anche creare problemi alla sicurezza nazionale».
    Quando queste parole sono divenute di dominio pubblico sul sito de Il Fatto Quotidiano, il sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha la delega ai servizi segreti, ha fatto una nota per dire che assolutamente no, c'è massima fiducia nell'Aise e nel suo direttore, ma quali mancate informazioni, «fanno un lavoro straordinario». E tutti hanno concluso che i due vanno in direzioni diverse.
    Ecco, è su quella giornata che Crosetto anche ieri si è sfogato con i suoi, che sintetizzano così: «Il ministro capisce che, purtroppo, i retroscena dei giornali e i giornalisti "di penna" non amino i comunicati "ufficiali", ma può garantire, sul suo onore, che la nota di Mantovano sui Servizi di sabato scorso è stata concordata con lui fino nelle virgole e che, ad essa, non si è "allineato" né che l'ha "subita" obtorto collo, ma che è stata da lui pienamente condivisa e che dunque la sua fiducia in essi non è mai venuta meno».
    Certo, è fin troppo noto che non sono tutte rose e fiori in questo Esecutivo. Lo riconosce anche Crosetto nei suoi colloqui. «Magari, dentro il governo, ci sono diversità di vedute, su alcuni temi, ma su questo punto la concordia tra il ministro, Mantovano, la premier e i Servizi stessi è assoluta. A tal punto che, prima di portare la nomina di Caravelli a prefetto dentro il consiglio dei Ministri (accadeva due giorni fa, ndr), lo stesso Mantovano ha sottoposto al ministro la nomina per averne il gradimento, gradimento che è stato pieno e immediato».
    Il ministro andrà dunque al più presto al Copasir per dire la sua sul caso dei dossieraggi. Per il momento non fa nomi. Si limita al solito accenno alle "mele marce". Vuole che si sappia che lui non ha mai fatto il nome dell'ex direttore dell'Aise, il generale Luciano Carta, "il quale si è giustamente risentito". Per concludere, sempre, con i più diversi interlocutori: «Il rapporto con la presidente del Consiglio è saldo e costante, nella franchezza reciproca, che non è loro mai mancata». Perciò lui «sorride di chi cerca di mettere zizzania tra loro, delegittimare lui, lei o entrambi, alla ricerca di "crepe", al fine di inventare spaccature nel governo che non esistono». Però sia chiaro: se sentisse che la fiducia di Giorgia Meloni è venuta meno, adieu.
  8. SE QUESTO E' UN EROE ?Sono settanta gli episodi contestati. Il dirigente del Regina Margherita di Torino è indagato per truffa: in attesa delle indagini sollevato dal servizio
    "Shopping e parrucchiere durante i turni" l'ospedale sospende il medico dei bambini

    gianni giacomino
    torino
    Per due anni e mezzo, invece di essere presente sul posto di lavoro come direttore della Struttura semplice del Dipartimento di pediatria e scienze pediatrico nel reparto di Subintensiva allargata della prima infanzia dell'ospedale infantile Regina Margherita di Torino, avrebbe fatto i suoi comodi.
    Così il dottor Francesco Savino, 63 anni originario di Borgomasino, nell'Eporediese - pediatra molto conosciuto e apprezzato - nonostante il suo ruolo dirigenziale abbandonava l'ospedale nell'orario di lavoro per fare altro. O meglio, da quello che sono riusciti a ricostruire i carabinieri del Reparto operativo – Nucleo investigativo, con indagini incrociate, il professionista avrebbe effettuato visite da pazienti privati, sarebbe andato a sostituire i pneumatici della sua Bmw, in un atelier da uomo per acquistare delle camicie, in banca, dal parrucchiere, al supermercato e anche a casa sua. Assenze che potevano durare una mezz'oretta fino a due, tre ore e anche di più. Per questo il medico è accusato di truffa ai danni dell'azienda ospedaliera per aver falsificato la sua presenza in servizio. Un notizia che ha lasciato parecchio perplessi e increduli molti colleghi del pediatra, considerato al top e al quale, da sempre, si rivolgono tante famiglie importanti della Torino bene. Il meccanismo adottato dal dottor Savino per "sparire" dal reparto era abbastanza semplice. E non è la prima volta che viene utilizzato da dipendenti o contrattualizzati nel settore pubblico che devono "bollare".
    Secondo l'accusa una volta entrato in ospedale - dove aveva un contratto fino al 2026 - certificava la sua presenza sul posto di lavoro strisciando il badge. Poi si allontanava senza ripassare la tessera magnetica che invece veniva di nuovo utilizzata per l'uscita definitiva dal Regina Margherita, più o meno verso le 19,30.
    In totale, i carabinieri hanno accertato oltre 70 episodi, tutti al vaglio dell'autorità giudiziaria per circa 157 ore lavorative. Probabilmente il 63enne era sicuro di non venire scoperto e, infatti, si sarebbe mosso disinvoltamente.
    Le indagini sarebbero state innescate in seguito a delle segnalazioni anche abbastanza dettagliate. Gli investigatori, coordinati dalla pm Giulia Rizzo, hanno così iniziato a controllare le celle alle quali si agganciava il telefonino cellulare in uso esclusivo al medico. E, dai tabulati, è risultato agganciare - soprattutto con il Gps installato all'interno della sua auto - celle molto lontane dall'ospedale torinese dove avrebbe dovuto trovarsi. Gli investigatori hanno poi anche pedinato il dottor Savino riuscendo a pizzicarlo sia in auto che a piedi, lontano dal Regina Margherita dove invece lui avrebbe dovuto essere in servizio anche perché era il suo orario di lavoro. Una volta il medico dei bambini è stato addirittura sorpreso dai carabinieri a Collegno, una città distante qualche chilometro dal capoluogo. Le intercettazioni e i pedinamenti sono poi anche stati supportati dai fotogrammi delle videocamere che sorvegliano il parcheggio intorno al Regina Margherita e da altre sistemate all'esterno di istituti bancari. E così gli occhi elettronici hanno ripreso il professionista mentre si allontanava illegittimamente dal posto di lavoro dove avrebbe dovuto garantire la sua presenza per 38 ore la settimana. Tra l'altro risulta che, in determinati giorni e orari, il dottore in accordo con la Città della Salute poteva svolgere attività ambulatoriale all'interno dell'ospedale oppure nel suo studio di Borgomasino. In tutto, con le sue assenze, il pediatra avrebbe usufruito di un ingiusto profitto per oltre 5.200 euro. Al termine delle indagini i carabinieri del Reparto operativo hanno notificato al medico una misura cautelare: Savino ha l'obbligo di restare a Torino e non potrà assolutamente allontanarsi dalla sua abitazione dalle 20 fino alle 7,30 del mattino.
    La misura cautelare è stata decisa dal giudice per le indagini preliminari.
    Intanto l'Azienda Città della Salute di Torino, in quanto parte lesa, appena ha ricevuto la notifica da parte dei carabinieri, ha immediatamente aperto il procedimento disciplinare e sospeso in via cautelativa il professionista interessato dall'inchiesta. Questa nell'attesa dei successivi sviluppi giudiziari. —
  9. LEGGEREZZA SU LEGGEREZZA : SUVVIA ! Le motivazioni della condanna dell'ex sindaca .Il legale Chiappero: "Tutta colpa solo sua? Suvvia!"
    La Cassazione " Finale Champions Chiara Appendino sottovalutò i rischi"
    L'ex sindaca di Torino Chiara Appendino «non si è limitata a ideare la proiezione della partita di calcio, ma ha dato impulso alle scelte riguardanti il luogo di svolgimento e l'ente deputato ad organizzare la manifestazione, senza preoccuparsi di valutare la sostenibilità in termini di sicurezza di tali scelte. Ha, inoltre, mancato negligentemente di adottare la cosiddetta "ordinanza antivetro", circostanza che ricade nella fase organizzativa dell'evento, con innegabili conseguenze sulla sicurezza della manifestazione». Ancora: «La mancata adozione di tale provvedimento, a cui invece altri sindaci della città avevano fatto ricorso in passato, unitamente agli inefficaci controlli ai varchi e alla mancata pulizia dei varchi da parte dell'Amiat, ha contribuito a realizzare le conseguenze dannose».
    Lo scrivono i giudici di Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui hanno disposto un nuovo processo di appello nei confronti di Appendino sui gravissimi fatti accaduti in piazza San Carlo la notte del 3 giugno 2017 durante la proiezione della finale di Champions Juventus-Real Madrid (1500 feriti e due donne morte), per ricalcolare la pena, riducendola. L'ex prima cittadina, difesa dai legali Franco Coppi e Luigi Chiappero, accusata di omicidio, disastro e lesioni colpose, era stata condannata a 18 mesi. Lo scorso 17 giugno i magistrati avevano dichiarato irrevocabile la responsabilità penale per Appendino e Paolo Giordana, ex capo di gabinetto. Il ricalcolo al ribasso è legato al fatto che la «Corte d'appello, pur avendola prosciolta con riferimento ai reati di lesioni in danno di una decina di feriti non ha ridotto la pena, così incorrendo in una palese violazione del divieto di reformatio in peius».
    Per la Cassazione «l'azione dolosa (quella dei baby rapinatori che hanno utilizzato spray urticante scatenando il panico tra la folla ndr) ha costituito "solo l'innesco, come tale perfettamente fungibile e non caratterizzante del decorso causale, determinando l'esito di un evitabile e certamente prevedibile fenomeno di panico collettivo». Viene ancora rimarcata «la ristrettezza dei tempi ovvero si rimprovera alla Appendino di avere «deciso l'organizzazione della manifestazione in tempi incompatibili con una gestione meditata, completa ed efficiente dell'evento».
    La Cassazione aggiunge che sono «numerose le circostanze indicate dai giudici di merito suscettibili di rivelare la superficialità della preparazione della manifestazione e la sottovalutazione dei rischi a cui erano esposti gli spettatori in ragione della scarsità del tempo impiegato per l'organizzazione della proiezione» della partita. Gli ermellini ricordano che «la scelta del luogo nel quale effettuare la proiezione avrebbe dovuto essere preceduta da una riflessione ponderata, che avesse tenuto conto della peculiare conformazione della piazza e del numero dei partecipanti». Il legale di Appendino, Luigi Chiappero, non ci sta: «È una sentenza che non condividiamo, soprattutto per quel che riguarda l'imprevedibilità di quanto accaduto. Equiparare le diverse cause che possono provocare il panico come se tutte fossero identiche significa non guardare in faccia la realtà: non si era mai verificato prima del 3 giugno 2017 che l'utilizzo di uno spray al peperoncino, in luogo pubblico, da parte di un gruppo di rapinatori provocasse quello che è accaduto quella sera. Sulla ordinanza antivetro - aggiunge - la Corte di Cassazione, a nostro sommesso ma fermo avviso, sembra non conoscere il diritto costituzionale. Un sindaco non ha il potere di emettere sempre e comunque un'ordinanza. Lo ha detto chiaramente la Corte Costituzionale nel 2011. Meno che mai può emettere un'ordinanza se manca l'istruttoria degli uffici comunali». Conclude: «Ma poi, detto chiaro: quel che è successo è tutta colpa del Sindaco e del capo dei vigili? Suvvia!
  10. DOPO 20 ANNI CHE LO DICO ,  LA FOGLIETTA FINALMENTE RAGIONA DOPO AVERMI FATTO CENSURARE DA 2 ANNI: Per i costi delle coperture si pensa anche a sponsor privati come a Milano Da ottobre una task force Gtt-InfraTo-Poli controllerà le 142 scale mobili
    Un concorso di architettura con la Soprintendenza
    per le pensiline della metro
    Paolo Varetto
    Dopo la débâcle del 2 settembre - con 32 impianti fermi alla riapertura della linea 1 dopo un mese di stop per lavori - e le pubbliche scuse dell'amministratrice delegata Serena Lancione, il Gtt passa al contrattacco schierando una task force di tecnici insieme con InfraTo e Politecnico per valutare lo stato di salute delle 142 scale mobili che servono la nostra metropolitana, immaginando anche un concorso di idee tra architetti per progettare le pensiline per gli accessi alle 23 stazioni. Perché se la fermata Bernini ha fatto registrare 76 guasti in 7 mesi (ed è solo un esempio) è perché catene e ingranaggi sono esposti alla pioggia e alle intemperie, oltre che alle foglie secche, al sale antigelo d'inverno, al pulviscolo atmosferico e al particolare più grossolano. Fattori esterni ostili che potrebbero essere parzialmente neutralizzati appunto sistemando una copertura.
    «Ma questa volta - anticipa il presidente di InfraTo, il professor Bernardino Chiaia - vogliamo coinvolgere fin da subito la Soprintendenza, per evitare di incorrere nel diniego che bloccò la loro installazione nel progetto originario. Dovranno essere installazioni sì di pregio, ma che possano armonicamente inserirsi in contesti aulici quali il liberty di corso Francia o i portici di corso Vittorio».
    Soprattutto dovranno essere strutture funzionali e facili da manutenere, con un occhio alla sostenibilità economica, visto che ad oggi di finanziamenti certi non ce ne sono mentre i costi si aggirano intorno ai 250 mila euro per ogni fermata. «Un percorso ancora tutto da costruire - ammette Chiaia - ma per il quale non ci precludiamo nessuna strada. Se guardiamo a Milano, esistono già delle stazioni sponsorizzate da Trussardi e Unicredit. Una possibilità che potremmo valutare anche noi, ovviamente a valle dei ragionamenti con le Belle Arti».
    Da ottobre sarà invece operativa la squadra interforze che controllerà tutte le scale mobili della linea 1 con la consulenza del professor Aldo Canova del Politecnico. «Partiremo con una puntuale verifica delle loro condizioni meccaniche ed elettrotecniche - specifica il presidente di InfraTo -, anche perché si tratta di apparecchiature con caratteristiche diverse. L'età media è di 17 anni, ma quelle inaugurate con il troncone Carducci-Bengasi sono nettamente più recenti. Eppure proprio quella del capolinea Sud ci sta dando tra i problemi più frequenti».
    Per il Comune, come annunciato dall'assessora alla Mobilità Chiara Foglietta e confermato dal sindaco Stefano Lo Russo, la soluzione più pratica è anche quella più radicale: sostituire tutte le 50 scale mobili esterne, statisticamente più soggette ai guasti. Costo dell'operazione, almeno 15 milioni di euro. Uno dei compiti della task force annunciata ieri nell'incontro tra Lancione, Chiaia e Canova sarà appunto quello di capire se alcuni impianti potranno continuare a rimanere in servizio, ricevendo un più blando upgrade tecnologico della componentistica elettrica che eviti blackout a catena come quello del 2 settembre. «Una ricognizione puntuale - aggiunge Chiaia - che ci permetterà anche di capire quali sono i difetti di funzionamento più ricorrenti, così da poterli prevenire organizzando un primo magazzino ricambi delle parti più soggette all'usura».

 

 

19.09.24
  1. "Traditi da fornitori egiziani" La rabbia dei militanti a Beirut
    francesco semprini
    Le piste che l'intelligence di Hezbollah sta seguendo in merito all'attacco elettronico condotto dagli israeliani sono due. La prima è che una spedizione di "pager" sia stata intercettata e armata con piccole cariche di esplosivo attivate successivamente da un timer o dall'invio di un segnale codificato o attraverso una frequenza specifica. La seconda è che i guru informatici delle Forze armate israeliane abbiano sviluppato un modo per surriscaldare le batterie agli ioni di litio, causandone incendio e successiva esplosione, sebbene gli esperti sostengano che «il danno causato sia stato troppo ampio».
    Le immagini circolate sui social sono impietose e raccontano una catena di mini-deflagrazioni che a partire dalle 15 e 30 locali hanno attraversato diverse zone del Libano allungandosi sino alla Siria. Abitazioni, mercati, automobili, negozi, ovunque i possessori dei dispositivi si trovassero sono stati raggiunti dall'onda d'urto della nuova offensiva cyber dello Stato ebraico. La notizia dell'attacco ha causato il panico nei quartieri e nelle aree del Paese in cui sono presenti funzionari e agenti di Hezbollah, la gente presa dal panico ha iniziato a chiamare i familiari e dicendo loro di scollegare router e altri dispositivi potenzialmente offensivi. Alcuni sono riusciti a liberarsi del dispositivo in tempo, messi in allarme dal surriscaldamento o da messaggi "non convenzionali" apparsi sul display. Secondo Saberin News, media affiliato al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica iraniano, sette membri di Hezbollah sono stati uccisi nel quartiere di Seyedah Zeinab a Damasco, una roccaforte sciita.
    Il bilancio nella serata di ieri continuava a salire, tra le vittime una bambina di otto anni della Valle di Bekaa. I feriti risultavano essere almeno 4000. Le esplosioni hanno infatti coinvolto non solo i membri del Partito di Dio, ma anche i familiari e le persone che si trovavano accanto ai bersagli individuati dai cyber-cecchini israeliani. Ecco perché l'operazione sarebbe stata soprannominata "sotto la cintura". Il primo ministro libanese Najib Mikati ha tenuto una riunione di gabinetto dopo le esplosioni simultanee che si sono verificate nel Paese.
    Il governo ha «condannato all'unanimità l'aggressione criminale israeliana, che viola palesemente la sovranità del Libano». Secondo fonti locali la partita dei cercapersone (il modello dovrebbe corrispondere al Gold Apollo AR 924 di fabbricazione taiwanese) era di recente dotazione agli Hezbollah, vista l'assoluta diffidenza del movimento guidato da Hassan Nasrallah nei confronti degli "smart phone", che lui stesso ha definito «il peggior nemico della Resistenza». Anche il predecessore del cellulare si è in realtà dimostrato un avversario letale. "L'acquisto sarebbe stato fatto o agevolato da commercianti egiziani", con cui l'ufficio commerciale del Partito di Dio aveva già concluso alcune transazioni.
    La pista della "penetrazione della catena di rifornimento" con l'inserimento di una componente esplosiva e di un meccanismo di attivazione a distanza, «presuppone la complicità di complici e basisti, i rivenditori egiziani, ad esempio o intermediari al libro paga del Mossad», spiega Elijah Magnier, esperto di intelligence e di tecnologie militari, ce ha lavorato a lungo a Beirut. «Riteniamo il nemico israeliano pienamente responsabile di questa aggressione criminale», tuona la dirigenza di Hezbollah, secondo cui è l'ennesima provocazione di Benjamin Netanyahu per ampliare il conflitto aprendo un secondo (o terzo se si considera anche la Cisgiordania) fronte di lotta, nell'ambito di quello sforzo di «rimettere ordine nella regione» tanto sostenuto dai falchi della destra israeliana.
    «Non è escluso che si possa trattare di una "shaping operation", ovvero il primo atto di un'operazione di dimensioni più ampie che prevede una penetrazione in territorio libanese da parte dell'Idf - suggerisce a La Stampa M. Magnano, analista nel ramo della sicurezza internazionale - Non certo un'operazione facile, ma senza dubbio è già rivoluzionario quello che è stato fatto». Al punto tale che «la catena di Comando e Controllo di Hezbollah è piegata», spiegano fonti libanesi, tradendo una lacuna che avrà ricadute sull'intero apparato di sicurezza dell'organizzazione.
  2. Nato nella città di Moro ha guidato la Puglia, è incappato in inchieste giudiziarie e ha virato a destra
    Fitto, l'uomo che si è rialzato otto volte la lunga marcia dalla Dc ai vertici Ue
    Alessandro Barbera

  3. Roma
    Dice il proverbio giapponese: cadi sette volte, rialzati otto. Raffaele Fitto ha perso il conto. Nato il 28 agosto 1969 nella città che diede i natali ad Aldo Moro, è il figlio d'arte a cui la sorte impone di crescere in fretta. Il padre Salvatore, allora presidente della Regione Puglia, muore in un incidente stradale quando ha diciannove anni. A venti è consigliere regionale per la Democrazia cristiana, a trenta siede nella poltrona che fu del padre. L'indole democristiana non l'ha mai abbandonata, la tessera sì. È l'uomo più vicino a Giorgia Meloni con la storia politica più lontana possibile da Giorgia Meloni. Non è populista, non alza mai la voce, non prende (quasi) mai di petto gli avversari, tratta allo sfinimento. Tenterà di tornare presidente in Puglia due volte, battuto da due tribuni della sinistra: Nichi Vendola e Michele Emiliano. Con Giorgia condivide un difetto che talvolta è una qualità: la tigna. «Sono riuscito a levarmi di dosso il fango delle inchieste giudiziarie, figuriamoci se non sono in grado di affrontare il resto», va dicendo spesso. Ne ha dovute affrontare diverse. Nel 2012, prosciolto per prescrizione in un caso di turbativa d'asta, si oppone alla prescrizione. Un anno dopo, condannato per corruzione, è assolto in appello. Quando la Cassazione riconosce alla Regione il risarcimento, si oppone in giudizio.
    La sua storia politica è una lunga marcia verso destra: lascia il Partito Popolare per aderire ai Cristiano democratici uniti, passa ai Cristiano democratici per la libertà, aderisce a Forza Italia, e lascerà anche Forza Italia. Nel 2015 a spingere Fitto al gesto meno democristiano della vita sono altri due noti tribuni: Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Fitto non manda giù il patto del Nazareno, e il Cavaliere dissimula: «In passato qualcuno se ne è andato e non è finito bene». Non aveva calcolato il fattore Giorgia. L'incontro fra i due è nei banchi del quarto governo di Re Silvio. Lui è il giovane ministro delle Regioni, lei la giovanissima ministra della Gioventù. Dieci anni dopo Fitto passerà a Fratelli d'Italia.
    Quando arriva a Palazzo Chigi, Giorgia fa di lui il ministro più influente. Sottrae a Giancarlo Giorgetti i duecento miliardi del Recovery Plan che assomma alla gestione degli altri fondi europei. Fitto impiega mesi per rivedere i poteri di gestione, che ora lascia a Palazzo Chigi. Farà quel che potrà da Bruxelles per allungare i tempi di un piano che l'Italia non è in grado di rispettare. Prima di andarsene, ha risolto una grana con l'Europa che si trascinava da vent'anni: quella dei balneari. E lo fa convincendo Bruxelles a concedere l'ennesima proroga, al 2027. Potere dell'indole.
  4. Fuga da Azione, via Gelmini e Carfagna
    Si svuota Azione: se ne vanno la presidente, la vicesegretaria e una senatrice. Sono Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Giusy Versace. Le tre parlamentari del partito di Carlo Calenda non hanno digerito l'adesione al campo largo per le prossime Regionali.
    Impossibile per loro stare in «un'alleanza che comprende il Movimento 5 Stelle e la sinistra di Bonelli e Fratoianni». Gli addii seguono quello di Enrico Costa, nemmeno 48 prima. Dura la risposta del partito: «Rispettiamo le scelte personali ma riteniamo grave e incoerente passare dall'opposizione alla maggioranza a metà legislatura contravvenendo al mandato degli elettori». Tutte sarebbero in procinto di trovare approdo nel centrodestra, accolte in Noi Moderati di Maurizio Lupi.
    Gelmini parla di un «confronto sereno e leale» con il leader di Azione, ma «non provengo dalla sinistra e non intendo aderirvi adesso». Versace rivela: «Già prima dell'estate avevo manifestato a Calenda il mio disagio e disappunto rispetto all'ipotesi di aderire a un campo largo anche in Liguria. Le scelte politiche, benché legittime, portano il partito in una direzione che non è quella che auspicavo. Il campo largo non è la mia casa».
    L'addio di Carfagna è ufficializzato dal partito prima ancora che da lei. «È una decisione che stavo maturando», ammette. Poi, esprime il suo «dissenso per l'apertura di un dialogo "esclusivo" con la sinistra» sulle Regionali: una strategia che «prelude a intese più generali». Il partito, con disappunto, ricorda a tutte di averle «accolte e valorizzate in un momento particolarmente critico del loro percorso politico».
    Le uscite di Carfagna e Gelmini fanno scendere a quota dieci i deputati di Azione: il gruppo alla Camera resiste ma sul filo. Tra amarezza e sollievo il ragionamento che filtra dall'entourage di Calenda: «Oggi si è compiuta giornata di chiarezza. Erano due mesi che uscivano retroscena non smentiti e che negoziavano con tutto il centrodestra in parallelo. Il partito non ne poteva più»
  5. Un Salone a tutto gas
    gianni giacomino
    Non solo la Lancia 037 guidata da Barbara Riolfo, ma anche altre potenti autovetture, non avrebbero rispettato il limite dei 30 chilometri orari, velocità massima per una "parata", da mantenere durante le sfilate al Salone dell'Auto.
    Di questo se ne sarebbero accorti e lamentati diversi spettatori. Poi hanno sollevato la questione in consiglio due membri dell'opposizione e si evincerebbe anche da alcuni filmati. Girati non solo dalle migliaia di smartphone degli spettatori, ma anche dalle videocamere che sorvegliano quella fetta del centro 24 ore su 24. Sequenze che ora, poco per volta, saranno analizzate anche dalla polizia locale per appurare se davvero qualche pilota non si è attenuto al regolamento.
    Gli investigatori tra l'altro sono impegnati a completare le indagini sull'incidente innescato dalla 037 che, entrando in piazza San Carlo, a causa di un'accelerazione improvvisa, si è schiantata contro una transenna ferendo una dozzina di persone. Tra le quali tre bambini. Al momento, sono già state presentate alla polizia locale quattro denunce per lesioni colpose. «E anche noi la inoltreremo perché mia figlia continua ad essere sofferente e dovrà essere sottoposta a delle nuove radiografie» – avverte Fabio Triffiletti, il papà della 23enne rimasta contusa. Ieri è anche stato dimesso dal Mauriziano il 51enne che era stato ferito ad un testicolo ed è stato sottoposto ad un piccolo intervento chirurgico. Dopo le querele la Procura potrebbe aprire un fascicolo per lesioni colpose e capire se, tra gli organizzatori dell'evento, qualcuno ha delle responsabilità in merito all'incidente.
    L'assessore alla Sicurezza Marco Porcedda è categorico. «Sul rigido rispetto delle regole siamo stati molto chiari fin da subito con l'organizzazione, se poi qualcuno non le ha rispettate e ha corso un po'troppo non è nostra responsabilità». Dalla società con sede tra Torino e Venaria che ha gestito l'evento nessun commento: «Ci sono indagini in corso, non è opportuno». L'incidente ha scatenato, soprattutto sui social, una ridda di roventi polemiche. Con una domanda su tutte: è il caso di proporre anche eventi di questo tipo in centro città? «L'amministrazione comunale autorizza e disciplina gli eventi, per cui è legittimo che faccia le sue valutazioni più opportune al riguardo – specifica il prefetto Donato Cafagna –. Sulla base delle scelte fatte, come è avvenuto in passato, verrà garantita la cornice di ordine e sicurezza pubblica».
    Sembra invece risolto il mistero della Lancia 037 che all'Aci risulta demolita il 13 dicembre 1983 dopo essere stata immatricolata sei mesi prima e aver corso tre rally ufficiali con il pilota Attilio Bettega. In pratica della 037 sarebbe stata demolita la targa e poi l'auto avrebbe continuato ad "esistere" partecipando anche ad altre corse minori su circuiti con targhe prova, come è avvenuto domenica.
    «Infatti non è la prima volta che partecipavano ad un evento con la 037 – spiega Ivano Toppino, il proprietario della Lancia con livrea Martini Racing che, anni fa, ha aperto la "Toppino restyling", laboratorio di restauro di veicoli storici a Pocapaglia nel Cuneese, diventando un nome nel settore –. Ovviamente ci spiace per chi è rimasto ferito. Io li avrei incontrati subito, ma non ci hanno mai detto i nomi. Ma lo faremo presto e li risarciremo tramite la nostra assicurazione».
  6. I vandali distruggono anche l'ultimo gioco nel giardino "Cena"
    Ritorno a scuola amaro per gli alunni dell'elementare Cena, nel cuore del quartiere Barca. Il giardino in strada San Mauro, che sorge accanto all'istituto, è infatti rimasto senza giochi a disposizione dei bambini. È quanto gli studenti hanno scoperto la scorsa settimana, al suono della prima campanella. A lasciare sguarnita l'area verde è stato un atto vandalico che, nel corso dell'estate, ha messo fuori uso l'attrezzo in legno con lo scivolo. Si trattava dell'ultimo ancora utilizzabile all'interno del giardino, dove negli ultimi tempi erano stati rimossi (e non sostituiti) un dondolo e l'unica altalena, a loro volta oggetto di danneggiamenti. A sollevare il problema sui social, l'altro giorno, è stata Elisa Garnero, mamma di un alunno: «Questo è l'unico punto di incontro per i nostri bambini nei pressi della scuola» ha scritto.
    L'atto vandalico sul gioco con lo scivolo ha interessato una delle pedane in legno. Alcune assi, in particolare, sono state spaccate, rendendo pericoloso il percorso per i bambini. Per questo i tecnici della Circoscrizione 6, venuti a sapere del danneggiamento, avevano messo in sicurezza il gioco, proteggendolo con una rete da cantiere. Il dondolo a molla, invece, era stato smantellato la scorsa primavera. Risale ad alcuni anni fa, infine, la rimozione dell'altalena. A intervenire, anche in questi due casi, era stata la Circoscrizione. Non aveva proceduto con le riparazioni, era stato chiarito a suo tempo, per mancanza di risorse.
    «Il nostro ufficio tecnico sta elaborando, in questi giorni, il bando di gara per la manutenzione dei giochi delle aree per bambini» spiega Valerio Lomanto, presidente della Circoscrizione 6. Si tratterà di un investimento di 25 mila euro, che non basterà per riparare i tre giochi del giardino in strada San Mauro. Con questi fondi, infatti, la Circoscrizione metterà mano a tutti gli attrezzi danneggiati sul proprio territorio. «La nostra Circoscrizione – dice Lomanto – è tra le più colpite, i fondi che ci destina il Comune sono insufficienti

 

 

18.09.24
  1. GLI ERRORI CHE AVEVO PREVISTO E DETTO A VOLKSWAGEN NEL 2008:   (ANSA) - I vertici della Volkswagen potrebbero decidere la chiusura di stabilimenti anche senza passare dal voto del Consiglio di sorveglianza e con essa aprire la strada al taglio di oltre 15.000 posti di lavoro. Lo afferma un report di Jefferies ripreso da Bloomberg.



    Secondo gli analisti in passato i vertici la casa automobilistica tedesca sono stati frenati dal Consiglio nei progetti di ristrutturazione, ma oggi la mossa potrebbe mettere pressione sui sindacati, che vorrebbero trattare immediatamente sulle ipotesi di chiusura di stabilimenti in Germania, cosa mai avvenuta finora nella storia della Volkswagen.

    Secondo il report, i sindacati possono scioperare per questioni salariali ma non potrebbero farlo sulla chiusura di stabilimenti, a meno che questo non sia previsto contrattualmente.

 

 

 

17.09.24
  1. Il centrodestra firma l'accordo distruttivo con Bandecchi Arianna Meloni: in Emilia miracolo possibile
    Fratelli d'Italia e il centrodestra si lanciano nella corsa verso le Regionali. A partire dalla costa romagnola, dove Arianna Meloni, capo segreteria politica di FdI, dà il via al suo tour elettorale. Dopo l'intervento alla festa di Lido degli Estensi, è il momento del pranzo con i militanti al Grand Hotel di Cesenatico. Ad attenderla, circa 300 sostenitori. E lei, accanto alla candidata civica Elena Ugolini, fa arrivare il suo sostegno a tutta la comunità locale del partito coinvolta nel forcing elettorale. «Se andiamo casa per casa e raccontiamo la nostra storia e quello che stiamo facendo, - dice in un passaggio del suo discorso durante il pranzo - in Emilia-Romagna il miracolo si può fare». Poco dopo il suo intervento, i responsabili dei partiti di centrodestra annunciano un «accordo politico nazionale» con Alternativa Popolare di Stefano Bandecchi, sindaco di Terni. «Grazie a questa intesa - spiegano - Ap porterà il proprio contributo per le prossime regionali in Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna». Si allarga così il perimetro della coalizione di centrodestra, che nelle tre Regioni al voto parte da un vantaggio di due a uno. E la sorella della premier, scelta da FdI come "frontwoman", non lascerà nessun territorio fuori dall'agenda. Ai militanti romagnoli, assicura: «Tornerò».
  2. Luigi Bisignani
    "Meloni ha problemi con i Servizi ma io non c'entro niente"

    FRANCESCO OLIVO
    ROMA
    L'uomo che sussurrava ai potenti oggi è a Eurodisney con i nipoti. Ma Luigi Bisignani, ex giornalista, lobbista, sempre al centro di reti di relazioni, ha letto su La Stampa che da Palazzo Chigi vedono la sua mano dietro una serie di trame ostili e vuole dire la sua tornando da Parigi.
    Bisignani, c'è lei dietro ai complotti così temuti da Palazzo Chigi?
    «Questa cosa mi fa molto ridere».
    Nel governo ridono meno. Ci sono episodi inquietanti.
    «Chi è stato vittima di un complotto sono io e il mio collega Paolo Madron».
    Un complotto di Meloni contro di lei e perché mai?
    «Io e Madron nella primavera del 2023 abbiamo pubblicato un libro, I Potenti ai tempi di Giorgia, che racconta, tra l'altro, una serie di cose sulle persone vicino a Giorgia Meloni. Il saggio è andato bene, per primi abbiamo parlato del mercato delle intercettazioni, ma ce ne hanno fatte di tutti i colori».
    Cosa le hanno fatto?
    «Le faccio degli esempi. Avevamo in programma una presentazione ad Avellino con il ministro Matteo Piantedosi e un'altra a Capalbio con Guido Crosetto, entrambe sono saltate all'ultimo per un diktat partito da Palazzo Chigi. Rainews24 mi ha fatto una lunga intervista, ma non l'hanno mandata in onda. Silenzio assoluto anche su Mediaset».
    Non è che lei ha il dente avvelenato con Meloni perché per la prima volta un governo non le dà retta?
    «Lei crede che io abbia tutta questa voglia di accreditarmi con queste persone?».
    Il dubbio può sorgere.
    «Guardi io sono andreottiano e tengo molto alla mia autonomia. Poi certo, nei palazzi ho delle fonti che mi raccontano delle cose e questo, immagino, non piace a Meloni che vorrebbe controllare tutto».
    Ogni volta che si parla di nomine esce il suo nome, stavolta però, come ha detto Meloni «affaristi, lobbisti e compagnia cantante con noi non stanno passando un bel momento».
    «Ma lei ha visto chi hanno messo nelle partecipate? Francamente non farei una bella figura ad essere associato a certe figure, con le dovute eccezioni».
    Ci vuole dire che non ha mai chiesto un appuntamento alla premier o al sottosegretario Fazzolari?
    «Mai».
    Nessun contatto con Meloni?
    «Ci scambiavamo dei messaggi in passato, ma poi non ho avuto contatti. Io peraltro ho una buona opinione di Meloni, ne apprezzo il percorso e mi è simpatica. Solo che questa sindrome di accerchiamento la porta ad arroccarsi. Lei vede che non sorride più?».
    Forse è anche colpa sua…
    «So che aver scritto di Andrea Giambruno prima che l'ex compagno della premier diventasse un personaggio noto non mi ha giovato. Nel nostro libro abbiamo rivelato che scriveva su Il Tempo commenti politici con uno pseudonimo».
    Cosa pensa di quello che ha raccontato La Stampa, strani furti, timori di complotti...
    «Meloni ha una passione sfrenata per i Servizi, quasi un'ossessione, come tutti i neofiti di Palazzo Chigi legge con grande attenzione i report che le finiscono sul tavolo al mattino. Ma se ti impicci troppo poi finisci per essere vittima di quelle veline che i Servizi scrivono con finalità autoreferenziali».
    Non è che è un altro dei suoi pizzini?
    «Al contrario: lo dico per lei. Giorgia dovrebbe volare più alto. Invece vedo che c'è un problema con i Servizi».
    Come fa a dirlo?
    «Mi limito a osservare. La vicenda di Maria Rosaria Boccia è emblematica: quella signora era conosciuta da molti, erano anni che girava in Parlamento, i Servizi avrebbero dovuto avvisare la presidente del Consiglio e forse le avrebbero evitato alcune brutte figure, come quando ha difeso Sangiuliano o ha aspettato vari giorni per cacciarlo».
    Nel retroscena pubblicato da La Stampa si cita una voce che circola negli ambienti di Palazzo Chigi: lei agirebbe di concerto con l'ex agente segreto Marco Mancini e l'ex premier Matteo Renzi. È così?
    «Figuriamoci».
    Conosce Mancini?
    «L'ho conosciuto anni fa, ma non lo vedo né lo sento da molto tempo».
    E Renzi?
    «Il mio libro I potenti ai tempi di Renzi non gli piacque affatto. Poi con il passare degli anni il rapporto è molto migliorato».
    Con Crosetto parla?
    «Con lui sì. Con tutti gli ex dc ho un rapporto».
    Cosa pensa della vicenda del dossieraggio e delle sue accuse all'Aise?
    «In un Paese normale dovrebbero dargli una medaglia: ha denunciato lo scandalo del dossieraggio. E invece dicono che è colpa sua: incredibile». —
  3. Castellitto si difende: "Sto lavorando gratis do fastidio perché smuovo acque stagnanti"
    Claudia Catalli
    Quando si accetta un incarico di responsabilità si mettono in conto le critiche. Forse però Sergio Castellitto, presidente del Centro Sperimentale di Cinema, non si aspettava «la raffica di attacchi subiti in questi giorni». Quelli di Grimaldi, vicepresidente di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera e dei 5stelle, a cui ha risposto in una lettera al Corriere della sera. «Sono sistematicamente attaccato solo perché sto cercando di fare ordine e probabilmente ho smosso acqua stagnante da molti anni. Nella vita ho incontrato conflitti e armonie ma combatterò sempre la ferocia travestita da indignazione. Lavoro con tutto il mio impegno a titolo completamente gratuito. E questo non l'ho mai visto scritto da nessuna parte».
    Nega di aver licenziato i 17 lavoratori: «Questi collaboratori, verso i quali ho il massimo rispetto, avevano un contratto a tempo determinato, per un progetto di digitalizzazione, in scadenza a luglio». Sul dirigente Stefano Iachetti specifica: «Con un'iniziativa autonoma ha inviato un contratto di assunzione a i 17. Decisione che spetta solo al direttore generale dietro approvazione del Cda e del presidente, che devono rispettare bandi di selezione e verificare se la Fondazione abbia le coperture finanziarie». Dopo l'apertura di un procedimento disciplinare, il cda ha preso «all'unanimità» la decisione di rimuovere il dirigente «perché venuto meno il vincolo fiduciario».
    Sulle pellicole incendiabili: «La loro precarietà è un problema sempre esistito, come testimoniano i molteplici incendi del passato. Dopo l'ultimo episodio di giugno, ho adottato misure di vigilanza e ottenuto dal ministero uno spazio idoneo all'interno del Comprensorio militare polmanteo di Tor Sapienza». Risponde poi sulle consulenze, ricordando che «tutti i presidenti che mi hanno preceduto hanno assunto consulenti e avvocati di loro fiducia». I contratti nuovi hanno sostituito i vecchi in scadenza: «Ho chiamato lo studio di consulenza Kpmg che ha lavorato insieme ai dirigenti interni e ai consulenti per ristrutturare il precedente piano del Pnrr che era stato considerato inadeguato. Dopo mesi di lavoro abbiamo ottenuto poche settimane fa il nullaosta del Mef sul nuovo piano». Lo considera un successo: il Csc potrà beneficiare di oltre 25 milioni e mezzo di euro «da investire in formazione, eventi, ristrutturazione urbanistica, tecnologia e attrezzature».
    Non si tira indietro sul coinvolgimento di sua moglie Margaret Mazzantini, che ha preso parte alla manifestazione Diaspora degli artisti in guerra, in relazione all'incontro con David Grossman. Il Csc aveva proposto un altro nome, ma «non c'è stato un accordo. Mazzantini è stato nome gradito a Grossman, tra i due autori esisteva una conoscenza pregressa». Nessun favore: «Ha percepito 4 mila euro lordi come tutti gli altri ospiti. Non svolge nessuna attività di consulenza presso il Csc». Lui stesso, prosegue, ha rinunciato a partecipare ai festival di Berlino e Cannes: «Ho ritenuto superfluo il costo delle mie trasferte». Quanto a Venezia ha rinunciato «alla camera a mia disposizione all'Hotel Excelsior e deciso di soggiornare, con la mia famiglia, a Villa Gallo affittata come base operativa del Centro Sperimentale». Scende in dettagli: «All'inizio del mio mandato mi è stata consegnata una carta corporate che ho usato per la prima volta a Venezia dopo quasi un anno dall'insediamento, per il pagamento di 4 pasti singoli e 4 taxi-barca, per un totale di 731,50 euro. Molti trasferimenti li ho fatti in vaporetto». Agli attacchi finora ha resistito «per amore degli studenti», ma non sa per quanto ancora lo farà: «Resterò fino a quando sarà necessario per ricomporre un clima di dignità e indipendenza da qualsiasi strumentalizzazione. Anche in difesa di tutti i docenti, dirigenti, dipendenti preparati e perbene che lavorano da anni per rendere il Csc un'eccellenz

 

 

 

 

 

16.09.24
  1. GIOVANNI ALBERTO AGNELLI MI AVEVA DETTO CHE A DIO NON CHIEDEVA NULLA DI PIU' CHE LA PIAGGIO E VARRAMISTA ECCO PERCHE' E' IN PARADISO:   

    Si trova tra Firenze, Pisa e il mare ed è un vero gioiello di instimabile valore storico e di rata eleganza. È la tenuta appartenuta alla famiglia Agnelli-Piaggio, che è stata ora messa in vendita. Si tratta di un luogo magico, immerso nel verde, testimone storico e silenzioso del susseguirsi di tante epoche, che ha custodito i segreti di grandi personaggi di spicco provenienti da tutto il mondo. La proprietà è in esclusiva nel portfolio di Lionard Luxury Real Estate, azienda leader in Italia nel settore immobiliare di lusso, con asking price (prezzo richiesto) di 16 milioni di euro.

     

    Antonella Bechi Piaggio Umberto Agnelli Antonella Bechi Piaggio Umberto Agnelli

    Si estende per oltre 400 ettari circondando la meravigliosa villa padronale del XV secolo, per lungo tempo residenza della famiglia Agnelli-Piaggio. Ma oltre alla villa c'è molto di più. Svariati casali di cui quattro completamente ristrutturati e tre dotati ciascuno di piscina privata. A questo si aggiungono due cantine vinicole, una cappella privata, una limonaia, alloggi per il personale e numerosi altri annessi e rustici, per una superficie interna totale di oltre 14.500 metri quadrati.

     

    La sua costruzione

    tenuta di varramista agnelli piaggio 8 tenuta di varramista agnelli piaggio 8

    Fu progettata da Bartolomeo Ammannati, celebre scultore e architetto della corte medicea che lavorò alla trasformazione di Palazzo Pitti e alla realizzazione della Fontana del Nettuno in Piazza della Signoria a Firenze. La villa fu completata nel 1589 con la data impressa da alcune incisioni sul tetto.

     

    I terreni in cui sorge furono donati dalla Repubblica di Firenze a Gino di Neri Capponi, come ricompensa per la sua vittoria contro Pisa nel 1406, che ne divenne così sovrintendente. Una posizione di potere che ben si esprime nella maestosità e nelle dimensioni della villa padronale. […]

     

    L'arrivo degli Agnelli

    Negli anni '50 la proprietà fu poi acquistata da Enrico Piaggio, secondogenito del fondatore di quella Piaggio che stava rivoluzionando il mondo delle due ruote nel dopoguerra italiano. La villa diventa la residenza di campagna di tutta la famiglia: un luogo di relax e svago, con maneggio privato.

     

    Antonella Bechi Piaggio Umberto Agnelli Antonella Bechi Piaggio Umberto Agnelli

    Anche in questo caso, la magione ospita grandissimi personaggi di spicco, dal marchese e stilista Emilio Pucci di Barsento, l'attore Marcello Mastroianni, il conte Clemente Zileri dal Verme degli Obbizi e la contessa Franca Spalletti Trivelli. Fu proprio qui che vennero celebrate le nozze tra Antonella Bechi Piaggio duchessa Visconti di Modrone e Umberto Agnelli, fratello dell'Avvocato Gianni Agnelli e nipote del fondatore della FIAT.

     

    Gli anni '90

    Giovanni Alberto Agnelli, negli anni '90 la scelse come residenza, avendo per quel luogo del cuore una vera e propria passione. Fu proprio grazie a questo amore che in quel periodo comincia la la riconversione dei vigneti, che eleggono il Syrah a vitigno d’eccellenza della tenuta, e l'affinamento del processo di produzione dei suoi vini pregiati. Qui festeggia anche il suo matrimonio con Frances Avery Howe nel 1996.

     

    I giardini

    tenuta di varramista agnelli piaggio 7 tenuta di varramista agnelli piaggio 7

    Un favoloso giardino all’italiana impreziosisce lo spazio di fronte alla villa e dà accesso alla limonaia con adiacente struttura suddivisa in quattro appartamenti per il personale. Dalla villa storica un sentiero di siepi porta alla cappella privata consacrata, circondata dal verdeggiante giardino dietro al quale sono presenti un labirinto e un campo da tennis.

     

    I 25 ettari di giardino sono arricchiti da camelie japoniche, macchie di bambù e numerose piante centenarie tra cui un maestoso platano dal tronco largo sei metri. Il giardino ospita inoltre un laghetto naturale e un ippodromo. Dei numerosi casali, tre sono immersi tra i vigneti e finemente ristrutturati in stile rustico tipico della campagna toscana. I casali sono composti da un corpo principale, il fienile e 3 piscine, contando un totale di 13 appartamenti ognuno con accesso indipendente. […]

    GIOVANNINO AGNELLI

  2. I PADRONI DELL'ECONOMIA NON PAGANO MAI LE TASSE:  La Corte Europea il 10 settembre ha condannato Apple per evasione fiscale. L’azienda di Cupertino, la cui sede europea è in Irlanda, tra il 2003 e il 2014 non ha pagato 13 miliardi di euro di tasse grazie a uno speciale accordo fiscale col Paese. A ottobre 2021, per frenare le mosse di elusione delle tasse da parte delle multinazionali, su iniziativa dell’Ocse, dell’amministrazione Biden e della Ue, 139 Paesi (a cui se ne sono aggiunti poi altri otto) hanno firmato un accordo che prevede un meccanismo più stringente, al fine di costringere queste società a versare almeno una quota minima a partire dal 2023. Vediamo di cosa si tratta e cosa è successo da allora in poi.



    Perché le multinazionali pagano poco


    Il gioco per pagare meno tasse si chiama «Base Erosion and Profit Shifting» e consiste nello spostare i profitti in Paesi a tassazione ridotta o nulla. Si tratta, per lo più, di azioni legali e, proprio per questo, difficili da contrastare.



    Basta, ad esempio, stabilire la sede fiscale dove le tasse sono più basse, oppure fatturare in un Paese estero con fiscalità agevolata o ancora utilizzare il «transfer pricing», le transazioni economiche (spesso fittizie) all’interno di un gruppo multinazionale (come prestiti, cessione di marchi o brevetti, servizi assicurativi), il tutto gestito da una controllata che ha sede in un paradiso fiscale.

    I più gettonati fino ad oggi sono Porto Rico, Panama, Andorra, Lichtenstein, Svizzera, Monaco, Bahrein, Seychelles, Mauritius, i Territori d’Oltremare del Regno Unito e i centri offshore asiatici (Hong Kong, Singapore, Macao). E poi ci sono i nemici casalinghi, quelli nel cuore dell’Europa come Irlanda, Lussemburgo, Cipro, Paesi Bassi, Belgio, Ungheria, Bulgaria.



    Colossi dell’economia mondiale come Apple, Pfizer, Microsoft, General Electric, Ibm, Johnson & Johnson, Cisco System, Google, Nestlè, Stellantis, Volkswagen che nel 2022, secondo i calcoli dell’Osservatorio Ue sulle tasse, hanno realizzato utili mondiali per 16.000 miliardi di dollari di cui 2.800 al di fuori del Paese dove ha sede la multinazionale […]



    Di questi 2.800 miliardi il 35%, circa 1.000 miliardi, sono stati spostati verso i paradisi fiscali. Con questi meccanismi, secondo i calcoli dell’Osservatorio Ue sulle Tasse, dal 2015 al 2020 in Italia per esempio le multinazionali hanno evitato di pagare tasse per quasi 37 miliardi di euro.



    I due «pilastri» della global minimum tax

    Il sistema di contrasto elaborato nel 2021 prevede due misure: 1) una nuova imposta minima del 15% applicabile a tutte le multinazionali con un fatturato annuo di almeno 750 milioni di dollari in tutti i Paesi che hanno firmato l’accordo (definito «Pillar two»); 2) un meccanismo di ripartizione degli utili verso i Paesi dove le multinazionali vendono i loro servizi: le aziende con fatturati superiori ai 20 miliardi di euro dovranno ridistribuire una quota dell’utile eccedente il 10% nei Paesi dove effettivamente hanno venduto i lori beni e servizi, e dove sarà tassato dal fisco locale. Questo secondo principio coinvolge soprattutto le big tech […]



    Cosa succede oggi

    Facciamo alcuni esempi concreti. In Italia la principale tassa per le aziende è l’Ires che ha un’aliquota del 24%, ma non è dovuta se si hanno risultati negativi. Fca Italy nel 2022 ha fatturato nel nostro Paese 24 miliardi di euro, con un passivo di 375 milioni e pertanto non ha pagato alcuna Ires (ed è così dal 2019). Gli utili, lo stesso anno, li ha fatti invece la capofila Stellantis: 23,3 miliardi su 179,6 di ricavi, che ha però sede in Olanda dove le tasse per le società, grazie a meccanismi di sgravi e detrazioni, scendono fino al 2,5%.



    Nel 2023 Google ha registrato un fatturato globale 307,4 miliardi di dollari di cui quasi la metà negli Stati Uniti: 146,29 miliardi. Gli utili sono stati di 85,72 miliardi e le tasse di 11,92 miliardi. Con la global minimum tax il colosso di Montain View avrebbe pagato almeno 12,86 miliardi.



    A che punto siamo
    Come abbiamo detto doveva entrare tutto in vigore nel 2023 e secondo l'Ocse avrebbe generato un gettito fiscale aggiuntivo di 220 miliardi di dollari a livello mondiale. A condizione che il meccanismo fosse applicato da tutti i Paesi coinvolti. Non è andata così.



    Per l’anno fiscale 2024, scrive l’Ocse, solo 45 Paesi hanno adottato misure per implementare l'Imposta minima globale sugli utili delle grandi imprese multinazionali. Ci sono Norvegia, Australia, Corea del Sud, Giappone, Canada, Bermuda. C’è il Regno Unito che però non potrà imporre nulla ai suoi territori d’oltremare (come Isole Vergini, Cayman, etc) che fiscalmente sono autonomi.

    Per l’Unione Europea la commissione ha diramato una direttiva nel 2022 (la 2523) che obbligava l’adozione delle nuove misure nel 2024: 19 Stati l’hanno fatto (Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia), quattro hanno avuto il via libera a differirla nel 2030 perché hanno meno di 12 multinazionali presenti (Estonia, Lettonia, Lituania, Malta) e ad altri quattro è stata inviata una lettera formale di messa in mora: Cipro, Portogallo, Polonia e Spagna, anche se queste ultime due hanno pubblicato una bozza di legge per il recepimento dal 2025.



    Grandi assenti invece la Cina, che ha firmato l’accordo, e soprattutto gli Stati Uniti che sono stati tra gli ispiratori della misura.



    Il Grande Assente: gli Stati Uniti

    Grazie alla riforma Trump, dal 2018 le più grandi aziende americane hanno pagato meno tasse. L’Institute on taxation and economic policy (Itep) ha pubblicato a maggio un report secondo il quale, in seguito alle modifiche fiscali del Presidente Trump, 296 grandi aziende americane tra il 2018 e il 2021 hanno «risparmiato» oltre 250 miliardi di dollari di tasse e la loro aliquote fiscali effettiva è scesa da una media del 22% al 12,8%.



    Le grandi società che avevano pagato aliquote fiscali inferiori al 10% erano aumentate da 56 a 95. Alcuni esempi: Verizon ha registrato un calo delle tasse di 10,7 miliardi, Walmart e AT&T entrambi di 9 miliardi, Meta di 8 e Intel di 7,7 miliardi.

    Fin dalla sua elezione Biden aveva chiesto agli americani più ricchi e alle grandi aziende di pagare la giusta quota, annunciando una riforma.

    Già da quest’anno l’aliquota sui redditi dei cittadini superiori a 400 mila dollari torna al 39,6% (Trump l’aveva abbassata al 35%) e la tassazione sui redditi di impresa generati negli Stati Unti è stata portata al 28% (Trump l’aveva tagliata al 21%), ma il vero tema sono le deduzioni che permettono alle grandi aziende di abbassare la loro quota di tasse sotto il 13%. Biden aveva promesso di introdurre la global minimum tax al 15%, come previsto dall’accordo Ocse, ma per farlo ha bisogno del voto del Senato, che controlla, e della Camera dei rappresentanti, in mano ai repubblicani che invece sono contrari. Quindi addio global minimum tax e addio redistribuzione degli utili (una parte consistente delle grandi multinazionali ha sede proprio negli Usa). Almeno per il momento. Deciderà il prossimo presidente.



    Biden aveva promesso di introdurre la global minimum tax al 15%, come previsto dall’accordo Ocse, ma per farlo ha bisogno del voto del Senato, che controlla, e della Camera dei rappresentanti, in mano ai repubblicani che sono contrari.



    In Italia cambierà poco

    In Italia l’introduzione della global minimum tax da quest’anno ha cancellato la digital tax. L’allora ministro dell’Economia, Daniele Franco, aveva spiegato che la sostituzione tra la vecchia e la nuova imposta non avrebbe impattato sul gettito fiscale annuo delle big tech, circa 250 milioni di euro.



    Bisognerà capire, invece, cosa succederà con le multinazionali italiane e straniere degli altri settori (Finmeccanica, Pirelli, Generali, Unicredit, Stellantis, Bmw, Wolkswagen, Toyota etc) che, adottando strategie di «tax planning» finora legittime, dichiarano almeno una parte dei profitti all’estero. Secondo le stime dell’Osservatorio Ue sulle tasse per l’Italia si parla di un extragettito di oltre 6 miliardi di euro all’anno.



    Dati puntuali sono contenuti nel report di Mediobanca, ma riguardano solo le software e webcompanies. Dentro ci sono Adobe, Google, Amazon, Booking, Microsoft, Meta, ma non Apple. Sono 26 aziende in totale che, nel 2022, hanno fatturato nel nostro Paese 9,3 miliardi di euro e hanno pagato tasse per 162 milioni, con un’aliquota del 28,3% rispetto agli utili dichiarati. Ma il tema è quello di individuare i profitti effettivi e non quelli dichiarati.



    Osservatorio tasse Ue: non è abbastanza

    Anche quando il sistema andasse a regime, secondo l’Osservatorio Ue sulle tasse «Non c'è una ragione chiara per cui le multinazionali debbano pagare meno delle aziende nazionali di medie o piccole dimensioni», scrive nel rapporto 2024. L’Osservatorio suggerisce due misure: riformare l'accordo internazionale sulla tassazione minima delle imprese per applicare un'aliquota del 25%, eliminando le scappatoie che favoriscono la concorrenza fiscale, e introdurre una tassa minima globale per i miliardari pari al 2% della loro ricchezza.



    E fa i calcoli: nel mondo ci sono 2.756 persone che hanno un patrimonio personale miliardario che, sommato, vale 12.916 di dollari. Oggi, per quel patrimonio, tutti assieme pagano 44 miliardi di dollari di tasse: appena lo 0,34%. Con un’aliquota del 2% ne pagherebbero 258.
    Per avere un’idea: un anno di tasse dei miliardari mondiali al 2% vale come dodici anni di aiuti europei per lo sviluppo dell’Africa. Intanto accontentiamoci almeno del fatto che in Olanda, Irlanda e Lussemburgo si paghi «almeno» il 15% e non più lo zero virgola, come è stato fino a qualche mese fa.
  3. LA LOGGIA UNGHERIA INVINCIBILE: Tra i 17 indagati il tenente Striano e l'ex magistrato Laudati. Cantone: "Mercato di informazioni"
    Vip e politici spiati da dentro l'Antimafia a Perugia l'inchiesta che ha svelato il sistema

    giuseppe legato
    torino
    Le indagini della procura di Perugia guidata dal magistrato Raffaele Cantone scaturiscono da una denuncia presentata alla procura di Roma dall'attuale Ministro della Difesa, Guido Crosetto, per alcuni articoli di stampa pubblicati tra luglio e ottobre del 2022, riportanti informazioni sensibili concernenti la propria posizione reddituale.
    I protagonisti
    Gli accertamenti, in un primo momento delegati all'Arma dei carabinieri, hanno consentito di accertare, attraverso l'analisi dei log eseguiti sulla banca dati Anagrafe Tributaria (la principale banca dati contenente le informazioni reddituali utilizzate dall'editoriale che ha pubblicato gli articoli oggetto di denuncia), l'effettuazione di accessi al sistema da parte del tenente Pasquale Striano in date precedenti e, comunque, a ridosso dell'uscita degli articoli di stampa. All'epoca dei fatti il tenente della Finanza, principale indagato dell'inchiesta (in totale ne figurano 17 che rispondono a vario titolo di accesso abusivo aio sistemi informatici, rivelazione di segreto, abuso d'ufficio e falso), era in servizio presso il cosiddetto "Gruppo S.O.S."(Segnalazioni operazioni sospette) istituito presso la procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. In Via Giulia lavorava insieme al magistrato Antonio Laudati, responsabile dell'unità Sos. Anche quest'ultimo finisce nel registro degli indagati ed è questo il motivo per cui l'indagine, da Roma, transita a Perugia che è quella competente per le inchieste che coinvolgono i magistrati capitolini. Cantone si coordina anche con Francesco Melillo, da maggio 2022 nuovo capo della procura nazionale antimafia.
    I vip nel mirino
    Salta fuori che le ricerche effettuate da Striano – in ipotesi d'accusa illecite - nelle banche dati della procura nazionale antimafia sono migliaia. Tra queste figurano numerosi personaggi della politica, del mondo dei vip, dei manager: dall'ex premier Giuseppe Conte e la sua compagna, al ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e a Matteo Renzi, dall'ex presidente della Juventus Andrea Agnelli, fino a Fedez, Cristiano Ronaldo. Oltre a Guido Crosetto e ai colleghi di esecutivo Adolfo Urso e Francesco Lollobrigida.
    Il sistema
    Nell'inchiesta figurano indagati anche tre giornalisti del quotidiano "Domani". L'accusa è di concorso in accesso abusivo al sistema informatico con Striano. Cantone e Melillo, nel marzo scorso, vengono auditi presso la commissione parlamentare antimafia e dal Comitato per la sicurezza della Repubblica. Il capo della Dna ha definito l'inchiesta di Perugia una «terribile vicenda». Ha aggiunto: «Per estensione e sistematicità, la raccolta di informazioni che è attribuita a Striano ha caratteristiche che difficilmente ricorrono a iniziative individuali. Se esiste un perimetro di responsabilità più ampio lo scoprirà la procura di Perugia». L'audizione di Cantone è invece durata circa tre ore: il capo dei pm di Perugia ha definito un «verminaio» quanto emerso dalle indagini. Parlando di un «mercato delle informazioni riservate», che non si sarebbe arrestato neanche dopo le prime notizie sull'inchiesta. Nel merito dell'inchiesta ha definito "mostruoso" il numero di accessi sulle banche dati, ringraziando infine il ministro Crosetto che con la sua denuncia ha dato il via all'indagine.
    La richiesta di arresti
    Nelle scorse settimane Cantone ha chiesto gli arresti domiciliari per Striano e Laudati che sono state respinte dal gip che - pur condividendo i gravi indizi nel merito - non ha ravvisato la sussistenza di esigenze di custodia cautelare. Pende Appello al Riesame proposto dai pm di Perugia: l'udienza si celebrerà il prossimo 24 settembre. Con quel documento – e con atti inviati alla commissione parlamentare antimafia – si è materializzata parziale discovery sugli atti di indagine.
    Da questi sono emersi rapporti tra Striano e membri dei Servizi segreti sui quali la procura di Perugia sta approfondendo. Un uomo degli apparati di sicurezza è indagato in concorso con il tenente per aver chiesto – e ottenuto – informazioni su un Monsignore che aveva avuto ruoli di rilievo in passato nella Segreteria di Stato vaticana.
  4. L'ECONOMIA PIEMONTESE E' AL COLLASSO :  L'indagine di Unioncamere: regge il tessile e il comparto alimentare
    Battuta d'arresto per l'export piemontese "Tessuto produttivo messo a dura prova"
    Battuta d'arresto per l'export piemontese che nel primo semestre del 2024 ha registrato un valore delle merci esportate pari a 31,4 miliardi, in calo del 4,6% rispetto all'analogo periodo del 2023. La contrazione del 2,1% segnata già nel primo trimestre, ha visto un ulteriore calo vendite oltre confine nel periodo aprile-giugno 2024 (-6,8%), secondo i dati diffusi dal centro studi di Unioncamere Piemonte. Nello stesso periodo il valore delle merci importate è stato pari a 23,7 miliardi, il 10,2% in meno rispetto al semestre gennaio-giugno 2023, portando il saldo della bilancia commerciale regionale a +7,7 miliardi di euro, +6,5 sull'anno precedente. In questo contesto, il Piemonte si conferma la quarta regione esportatrice, con una quota pari al 9,9% dell'export nazionale, pur avendo registrato un risultato complessivamente più negativo del dato nazionale (-1,1%).
    A pesare la crisi dell'auto. I mezzi di trasporto rappresentano, anche nel periodo gennaio-giugno 2024, il settore più rilevante per il commercio estero piemontese, generando poco meno di un quarto del totale delle esportazioni (23,2%). «Il dato ci impone una riflessione attenta e profonda. È evidente che il contesto economico internazionale stia mettendo a dura prova il nostro tessuto produttivo. Nonostante questo scenario sfavorevole, il Piemonte dimostra una certa resilienza, grazie alla buona performance dei settori alimentare e tessile. Questi comparti, storicamente legati al nostro territorio, confermano la loro vitalità e la capacità di adattarsi ai cambiamenti del mercato globale. È però necessario mettere in campo azioni immediate e coordinate per sostenere le imprese piemontesi, in particolare quelle più esposte alla crisi» afferma Gian Paolo Coscia, presidente di Unioncamere Piemonte.
  5. PERCHE' TUTTO CIO' ?I lavori, da programma, andranno avanti per quindici mesi : si parte con la riqualificazione della cascina Malpensata , poi le attrezzature sportive
    Meisino, domani tornano camion e ruspe Gli operai saranno scortati dalla Digos

    pier francesco caracciolo
    Dopo un fine settimana di riposo, domani mattina gli operai torneranno nel parco del Meisino. Lo faranno intorno alle 7,30, a bordo di camion e ruspe. Si presenteranno nel polmone di Sassi per proseguire i lavori per la realizzazione di una cittadella dello sport, avviati dieci giorni fa nel cuore del verde. Saranno scortati dalla Digos, come accade dal giorno dell'apertura del cantiere. A monitorare il loro lavoro promettono di esserci anche alcune decine di attivisti e contestatori dell'opera, che dalla posa del primo jersey presidiano quotidianamente, da mattina a sera, l'area del cantiere.
    I lavori, da programma, andranno avanti per quindici mesi. Salvo rallentamenti, insomma, si chiuderanno alla fine del 2025. In questo lasso di tempo, al Meisino, gli operai realizzeranno quattro tipi di interventi. Riqualificheranno la cascina Malpensata, in stato di abbandono da vent'anni; installeranno venti attrezzature sportive in altrettanti punti del parco, comprese tre aree giochi e due per il fitness; renderanno più fruibile l'area «umida», oggi visitabile solo in condizioni precarie; costruiranno una passerella ciclopedonale, così da rendere il parco accessibile anche ai disabili.
    Si tratta di un progetto da 11,5 milioni, fondi l Pnrr. Coinvolge, stando alle planimetrie, un'area di 393 mila metri quadrati (dato riportato sul sito Torino Cambia). Il parco del Meisino, nel complesso, è ampio 450 mila metri quadri (dato riportato sul sito del Comune). Tradotto: l'87 percento del polmone di Sassi sarà interessato dal progetto. Eppure la Città assicura da sempre che il piano d'intervento coinvolgerà un'area di parco pari al 10 percento del totale. La discrepanza nasce dal fatto che le diverse attrezzature, prese singolarmente, occuperanno superfici minime. Saranno distribuite, però, su un'amplissima fetta di parco.
    Il progetto prevede la nascita di un «Centro per l'educazione sportiva ed ambientale». Così viene definito, sul proprio sito, dal Comune. La sede operativa sarà la cascina riqualificata, a più riprese occupata abusivamente negli ultimi decenni. Ospiterà attività didattiche, sportive e ambientali rivolte soprattutto alle scuole, dalle materne alle superiori. Sarà dotata di una sala riunioni, di una segreteria, di bagni e spogliatoi, di una piccola area ristoro con distributori automatici. All'interno, inoltre, ospiterà un punto informativo per la ciclovia Eurovelo 8 e Vento. A gestirla, quando sarà pronta, sarà una fondazione controllata dal Comune (non un privato, dunque).
    Tutto intorno sorgeranno le attrezzature sportive, nessuna ancorata al terreno. Su di esse sarà possibile praticare dodici discipline sportive: arrampicata sportiva (lead e boulder), corsa campestre, tiro con l'arco, orienteering, disc golf, ciclocross, mountain bike, pump track, skiroll, biathlon, cricket, fitwalking cross. Le piste di pump track e skills bike, chiarisce il Comune, saranno realizzate mediante la collocazione di pedane in legno. La pista di ciclocross, invece, con la sistemazione dei tracciati esistenti.
    E il verde? Il Comune ipotizza di abbattere 200 alberi. Saranno scelti in base alle condizioni di stabilità, ma non solo. Saranno rimossi anche dove sarà necessario inserire attrezzature sportive, come passerelle o pedane. Per bilanciare l'effetto del disboscamento, arriveranno mille piante in più. Nel dettaglio, 600 alberi più 400 arbusti, tutti autoctoni: saranno messi a dimora nei filari e nei prati alberati.
  6. LA DISTRUZIONE PIEMONTESE CONTINUA: la petizione on-line ha toccato quota 10 mila adesioni
    "La riserva naturale sarà devastata" In 200 per dire no al nuovo complesso

    In 200 per dire no alla cittadella dello sport progettata dal Comune nel parco del Meisino. Tanti sono stati i partecipanti alla manifestazione di protesta tenutasi ieri, dalle 15 alle 18, nel quartiere Sassi. Partiti da piazza Modena, hanno sfilato in corteo fino all'area di cantiere, allestita da dieci giorni nel cuore del polmone nella periferia Nord-Est di Torino. Un serpentone composto dai cittadini del comitato «Salviamo il Meisino», che da un anno e mezzo si battono contro il progetto, e non solo.
    Con loro residenti in zona, ambientalisti, attivisti dei centri sociali, qualche politico. Tutti convinti che il piano del Comune avrà l'effetto di una «devastazione» per il Meisino. «Danneggerà irrimediabilmente una riserva naturale ricchissima di biodiversità» spiega Bruno Morra, esponente del comitato. Le strutture pianificate dalla Città, secondo chi contesta, trasformeranno il parco in un'«area giochi» all'aperto, che sconvolgerà un ecosistema abitato da migliaia di animali.
    Tra questi, oltre duecento specie di uccelli, che da anni nidificano al Meisino, e animali anfibi, attratti dalle aree paludose del parco. E poi ancora «volpi, ricci, tassi» sottolinea Roberto Macario, veterinario. «Per realizzare il progetto il Comune taglierà centinaia di alberi» aggiunge Roberto Accornero, uno degli attivisti.
    Ieri la petizione on-line contro il progetto, lanciata a novembre 2022, ha toccato quota 10 mila adesioni. Lunedì scorso una trentina di attivisti, per tre ore, avevano bloccato gli operai diretti al cantiere. Un'operazione di ostruzionismo che, in quel caso, si era risolta con lo sgombero da parte degli agenti della Digos e della polizia. Anche nei giorni successivi gli attivisti avevano presidiato l'area dei lavori, scortata dalla Digos. Una contestazione che domattina proseguirà: l'appuntamento è alle 6,30 al parcheggio delle Cento Lire. Sarah Di Sabato e Alberto Unia, consiglieri regionali grillini, presenti al corteo, annunciano invece un'interrogazione ad hoc: sarà depositata nelle prossime settimane.

 

 

 

 

15.09.24
  1. Direttore licenziato, polemica alla Cineteca "E il Centro aumenta spese e consulenze"
    Eleonora Camilli
    Roma
    Licenziato in tronco, dopo 41 anni di servizio e alla soglia della pensione. Non nasconde l'amarezza, Stefano Iachetti, direttore amministrativo della Cineteca nazionale. Ieri, nel giorno del suo 62° compleanno, ha ricevuto la lettera che formalizza la fine del rapporto di lavoro col Centro sperimentale di cinematografia, presieduto dall'attore e regista Sergio Castellitto. E Avs attacca: scelte anti-sindacali e «spese inopportune».
    Al centro della vicenda c'è un contenzioso legato al futuro professionale di 17 collaboratori. Iachetti annuncia già una battaglia legale: «Contesterò il provvedimento e lo impugnerò, il mio avvocato Pierluigi Ferrari è già al lavoro» spiega. «La mia colpa è solo aver voluto preservare il personale qualificato, entrato nella struttura attraverso una selezione pubblica. Figure che noi abbiamo formato e che avevano il contratto in scadenza lo scorso 31 luglio. Mi sono preoccupato di non mandarle via, sensibilizzando i vertici del Centro, la direttrice generale, il presidente e il conservatore. Senza avere risposte».
    L'ex dirigente spiega di aver «solo» mandato delle mail ai lavoratori con i moduli da compilare, visto che i tempi erano stretti: «Avrei poi atteso l'eventuale autorizzazione per veicolare le proposte di contratto». Ma questa mossa è stata considerata impropria, come se Iachetti avesse voluto scavalcare il Cda. E così è arrivato il licenziamento per giusta causa. Un provvedimento che suona particolarmente amaro all'indomani del prestigioso premio ricevuto a Venezia per il restauro di "Ecce Bombo". E il caso ora diventa anche politico. Il vicepresidente di Alleanza Verdi e Sinistra, Marco Grimaldi, ha annunciato un'interrogazione al neo ministro della Cultura Alessandro Giuli. E attacca direttamente il presidente del Centro per la stretta sul personale a fronte di una mano assai più leggera sulle proprie note spese: «Castellitto licenzia Iachetti, che ha svolto un ruolo importante nella difesa dei lavoratori precari. Ossia si libera di un dipendente che lavora da 40 anni nel Centro sperimentale di cinematografia e ha avuto il coraggio di sostenere i 17 collaboratori lasciati a casa, gli stessi che hanno fatto fare al Centro il salto di qualità nell'informatizzazione e nella digitalizzazione». Tagli a senso unico, incalza Grimaldi, perché mentre riduce il personale «il Centro aumenta consulenze, avvocati, nuovi fedeli e spese inopportune come quelle fatte a Venezia».
  2. Approfondimenti dell'Autorità anticorruzione sulla società controllata dal ministero del Turismo Nel mirino i contributi alla corsa rosa, alle Olimpiadi invernali del 2026 e al concerto de Il Volo
    Santanché e i guai dell'Enit Il faro Anac sui soldi al Giro e sui viaggi in Cina e a Parigi

    niccolò carratelli
    grazia longo
    roma
    C'è una storia che racconta bene come Daniela Santanché sia sempre più ai margini del governo Meloni. Al punto che nessuno, nella maggioranza di centrodestra, si dispererà se, tra meno di un mese, la ministra del Turismo dovesse essere costretta a dimettersi perché rinviata a giudizio per il caso Visibilia e l'accusa di truffa aggravata all'Inps sulla cassa integrazione Covid. È una storia ambientata dentro l'Enit, che un tempo era l'Ente nazionale del turismo e, da pochi mesi, è diventata una società in house del ministero. Con l'obiettivo, proclamato dalla stessa Santanché, di essere «il braccio operativo nell'attuazione delle politiche di promozione del made in Italy nel mondo».
    In realtà, fin qui, l'Enit Spa ha collezionato soprattutto indagini e accertamenti da parte della Corte dei conti e dell'Autorità anticorruzione. Azioni avviate sulla base di segnalazioni di cui non è stata esplicitata la provenienza, ma che vanno inquadrate in un clima di scontro latente all'interno di Enit, dove l'amministratrice delegata, Ivana Jelinic (ex Fiavet), scelta da Santanché, è ai ferri corti con la presidente, Alessandra Priante (in passato all'Onu), voluta da Giorgia Meloni in persona. Secondo le voci più maliziose, messa lì per controllare la gestione della società, forse per una fiducia non proprio granitica nell'operato della ministra e dei suoi dirigenti. A questo bisogna aggiungere il fuoco amico contro Santanché, le critiche sulla gestione di Enit arrivate dagli alleati di governo, in particolare da Forza Italia, con il deputato Francesco Maria Rubano che ha annunciato (ma non ancora depositato) un'interrogazione parlamentare, per ottenere chiarimenti sulle iniziative dei magistrati contabili e degli esperti dell'anticorruzione.
    Se i primi si sono concentrati su aumenti di stipendio sospetti o rimborsi poco chiari a vantaggio di dirigenti o componenti del cda della società, l'Anac ha chiesto spiegazioni su consulenze e collaborazioni esterne, finanziamenti e sponsorizzazioni di eventi, ma anche su alcuni viaggi all'estero a cui ha partecipato Santanché con i suoi collaboratori. A inizio luglio l'Autorità ha inviato una richiesta scritta per ottenere spiegazioni sulla «natura dei servizi conferiti ai vari professionisti» e «sulle modalità seguite nell'individuare il professionista incaricato». La lente d'ingrandimento della Guardia di finanza, delegata dall'Anac, si fissa anche su un viaggio in Cina di esattamente un anno fa, dal 17 al 24 settembre 2023, con una piccola delegazione di imprenditori e diplomatici al seguito della ministra. Una settimana, con tappa anche a Seul in Corea, costata in tutto 155 mila euro. Non è l'unica trasferta su cui sono stati chiesti approfondimenti: c'è anche quella del gennaio 2023 a Parigi, per promuovere il nostro turismo termale. Quindi, le sponsorizzazioni, come quella da 7 milioni per le Olimpiadi invernali di Cortina 2026 o quella per il concerto de Il Volo nella Valle dei Templi di Agrigento: 150mila euro per uno spettacolo che verrà trasmesso in tv anche negli Stati Uniti (a Natale, pur essendo stato girato ad agosto). O, ancora, quella per il Giro d'Italia, con un contributo di 3 milioni e 300mila euro a Rcs sport&events.
    Da Enit spiegano di aver risposto a tutti i rilievi di Anac, fornendo la documentazione necessaria a provare la regolarità delle varie operazioni. Sottolineano come «per le Olimpiadi invernali sarebbe curioso se non attivassimo la sponsorizzazione», mentre «il Giro d'Italia è sempre stato finanziato, anche con altri vertici e altri governi». Da quanto risulta, però, prima del governo Meloni la sponsorizzazione massima era stata di 2 milioni e 600 mila euro. Il sospetto, che anima l'indagine, è che Enit venga usata dalla politica un po' come bancomat, per foraggiare amministrazioni locali amiche e territori elettoralmente sensibili. Ci sono, infatti, tanti contributi più ridotti, come quello al festival "Filming Italy" in Sardegna o quello per la festa della macchina di Santa Rosa a Viterbo.
    Negli uffici dell'Anac stanno esaminando tutti i documenti, per la conclusione dell'indagine potrebbero volerci settimane. Forse, a quel punto, Daniela Santanché avrà già svuotato la sua scrivania al ministero del Turismo.
  3. La pena sarà convertita in lavori socialmente utili. La reazione del Pd: "Nessun complotto, si ammette che i reati sono reali"
    Toti patteggia 2 anni e un mese "Sono sollevato e amareggiato"

    Marco Fagandini
    Tommaso Fregatti
    Matteo Indice
    Genova
    La svolta si è materializzata ieri mattina. Dopo giorni di colloqui frenetici tra avvocati e magistrati, e qualche momento di tensione. A sorpresa, nell'inchiesta sulle tangenti in porto e in Regione l'ex presidente della Liguria Giovanni Toti ha chiesto di patteggiare una pena per corruzione e finanziamento illecito ai partiti, i reati per i quali era stato arrestato il 7 maggio scorso durate la retata della Guardia di finanza. Il politico, contro ogni aspettativa e dopo aver proclamato la propria innocenza e la voglia di affrontare un dibattimento pubblico «per chiarire tutto», rinuncia a qualsiasi difesa nel merito e al processo con rito immediato il cui inizio era previsto per il 5 novembre. La Procura di Genova ha dato parere positivo alla proposta di 2 anni e un mese da scontare con i «lavori di pubblica utilità», sebbene l'ultimo via libera debba essere concesso da un giudice, nel corso di un'udienza che sarà fissata nelle prossime settimane sarà un giudice a dare l'ultimo via libera. Il patteggiamento è l'istituto giuridico per il quale lo stesso ministero della Giustizia, sul proprio portale, pone come «presupposto» «l'implicita ammissione di colpevolezza da parte dell'imputato».
    Toti ribadisce di provare in questo momento «amarezza e sollievo» per la conclusione della vicenda giudiziaria. Potrebbe chiudere le sue pendenze convertendo i due anni in 1.500 ore di «lavori di pubblica utilità», non potendo beneficiare della condizionale. E con il pagamento del prezzo delle tangenti, circa 84.100 euro: è ritenuto responsabile d'aver incassato mazzette dal Gruppo Spinelli e dal manager Francesco Moncada, all'epoca dei fatti contestati membro del consiglio di amministrazione del colosso della grande distribuzione Esselunga. Come premesso la Procura, che in questo modo vedrebbe confermato il proprio impianto accusatorio, ha dato parere favorevole. Se questo scenario diventerà realtà, la Regione Liguria, benché identificata dai pm come «parte offesa», non potrà chiedere risarcimenti a Toti per via penale. Sull'ex presidente regionale pende ancora l'accusa di voto di scambio per aver promesso favori in cambio d'un pacchetto di preferenze alle Regionali 2020, che lo avevano visto riconfermato alla guida della giunta ligure.
    «Di fronte a questo finale credo appaia chiara a tutti la reale proporzione dei fatti avvenuti e della loro conclusione - commenta Toti, tramite il suo legale - Si pone fine alla tormentata vicenda che ha pagato un'istituzione, oltre alle persone coinvolte, e che lascia alle forze politiche il dovere di fare chiarezza sulle troppe norme ambigue di questo Paese, dalle quali sono regolati aspetti che dovrebbero essere appannaggio della sfera politica e non di quella giudiziaria. Tutte le transazioni suscitano sentimenti opposti: da un lato l'amarezza di non perseguire fino in fondo le nostre ragioni di innocenza, dall'altro il sollievo di vederne riconoscere una buona parte».
    Pronta la reazione del Pd che con la vicepresidente Chiara Gribaudo chiosa: «Toti con il patteggiamento di oggi ha riconosciuto che non c'è nessun complotto della magistratura e che i reati a lui ascritti sono reali». Nessun accanimento: «Un metodo politico».
    Al processo fissato per il prossimo 5 novembre non ci sarà quasi certamente neppure Paolo Emilio Signorini, l'ex presidente di Autorità Portuale ed ex amministratore delegato di Iren (poi licenziato), anche lui arrestato il 7 maggio scorso. Come ampiamente filtrato nei giorni scorsi, anche il manager, difeso dagli avvocati Enrico e Mario Scopesi, ha depositato la sua proposta di patteggiamento, con l'ok dei pubblici ministri. È l'unico dei tre imputati tuttora in arresto, ai domiciliari. Chiuderà le sue pendenze, se il giudice accoglierà la richiesta, concordando una pena di 3 anni e 5 mesi di reclusione e la restituzione alla giustizia di 104 mila euro, già sequestrati e che sarebbero confiscati. Per il periodo corrispondente all'ammontare della pena detentiva, sia Toti sia Signorini sarebbero poi sottoposti alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e inibiti da qualsiasi contrattazione con la pubblica amministrazione.
    Diversa è la posizione di Spinelli, che al momento e in caso di assenso del giudice ai patteggiamenti, risulta l'unico imputato al processo fissato per il 5 novembre. «Alla luce della decisione di Toti e Signorini - spiega Alessandro Vaccaro, che difende Spinelli insieme ad Andrea Vernazza - siamo stati convocati dalla Procura, che ci ha fatto una proposta di patteggiamento. Ci siamo riservati, abbiamo tempo fino a lunedì per presentare l'istanza e decideremo nelle prossime ore». La sensazione è che alla fine si arrivi a una pena concordata pure per il terminalista, magari di poco superiore ai 3 anni e accompagnata a una confisca di quasi 400 mila euro. Chiudendo in poco più quattro mesi una delle più delicate e importanti indagini degli ultimi anni in materia di corruzione.
  4. Il Ros notifica i domiciliari a Gian Carlo Bellavia coinvolto nel blitz sulla Torino-Bardonecchia Nel mirino degli investigatori i rapporti con le potenti 'ndrine dei Greco, Agresta e Bonavota
    Arrestato l'impresario dei boss "Li ha fatti entrare negli appalti"
    Quarantottore fa il Ros dei carabinieri di Torino si è presentato a casa dell'imprenditore Gian Carlo Bellavia per eseguire a suo carico gli arresti domiciliari così come stabilito dal Tribunale del Riesame a fine luglio. L'accusa è pesante: concorso esterno in associazione mafiosa contestata a partire dal 2021 e fino a oggi.
    Il 21 maggio 1996 fu arrestato a seguito della rapina di 937 mila franchi ovvero 855 milioni di vecchie lire messa a segno in danno della Vierofin SA diColdrerio, Palazzo Pindo (Cantone del Ticino).Tornato in Italia già nel 2001 iniziò la sua personale scalata che lo porterà a entrare nelle grazie di Roberto Fantini accusato a sua volta di agevolare l'ingresso dei boss di San Luca nei cantieri Sitaf. Scrive il pm Valerio Longi titolare dell'inchiesta che «Bellavia dispone di diverse società a lui riconducibili in modo diretto e indiretto attraverso le quali nel tempo trasferiva risorse acquisite dai principali clienti, Sitalfa (concessionaria di Sitaf e responsabile dei lavori di manutenzione dell'arteria) e Gruppo Cogefa, a soggetti appartenenti o contigui a sodalizi di 'ndrangheta, pagando le relative fatture».
    «Sul piano storico-oggettivo – si legge nel provvedimento di arresti domiciliari- è emerso come per plurimi anni Bellavia, in qualità di storico appaltatore gravitante intorno all'universo Sitaf/Fantini, abbia consentito a mafiosi accertati e presunti, di inserire le proprie imprese – sovente intestate a prestanomi - nelle commesse ottenute nei settori della manutenzione stradale e dell'edilizia (soprattutto per carpenteria e guardiania) grazie alle società dei Fantini (Sitalfa e Cogefa) e della Mattioda (Simco), peraltro agendo egli stesso mediante propri fiduciari e prestanomi». Ergo: «Ciò si è tradotto in forme di costanti agevolazioni a favore della rete di subappaltatori e fornitori occulti delle imprese con cui l'imprenditore aveva rapporti diretti, ricevendo a sua volta altre opportunità di ampliare il proprio business». Chi sarebbe stato favorito "costantemente" da Bellavia è noto ai giudici: «In primo luogo la ‘ndrina Greco, disarticolata e condannato in via definitiva nel processo San Michele con inserimenti più sporadici di un componente della famiglia Mandaradoni» di Moncalieri collegata alla ‘ndrina Bonavota egemone nella cintura sud di Torino. Ancora affari avrebbe fatto Bellavia «coi Pasqua, in ipotesi d'accusa articolazione di ‘ndrangheta spalleggiata dalle potenti famiglie Nirta-Pelle di San Luca che bene si erano infilati nei subappalti dell'autostrada A32» Torino-Bardonecchia. «Ma l'agevolazione più costante e sistematica – scrivono i giudici - è emersa con Gianfranco Violi, avamposto delle famiglie di Platì dislocate da 50 anni a Volpiano (già condannato a 5 anni in Appello per associazione mafiosa nell'inchiesta Platinum) «con ruolo di collettore economico della (potentissima ndr) famiglia Agresta con la quale mantiene la piena condivisione degli interessi economici e criminali, attraverso numerose società dallo stesso controllate molte delle quali intestate fittiziamente a terzi». Infine: «Ciò si è tradotto in una permeabilità di Bellavia a costanti infiltrazioni mafiose proseguite nonostante le plurime ondate di arresti subiti dai sodali dei clan». Inquieta dell'uomo d'affari «la fiducia che ha carpito negli anni presso alcuni dei più potenti committenti del territorio nel settore edile che ancora ad oggi intrattenevano rapporti con lui»

 

14.09.24
  1. ERA ORA CHE VENISSSE FUORI: La Prefettura sul colosso dei cantieri "Ci sono rischi di infiltrazione mafiosa"
    gianni giacomino
    Un autentico tsunami potrebbe abbattersi sulla società Cogefa, colosso imprenditoriale nel settore delle infrastrutture (dalla A32 Torino-Bardonecchia, alla A4 Torino-Milano, alla statale 23 di Cesana, ai diversi viadotti sulle principali arterie piemontesi) nata negli anni Settanta e – dal 2009 – importante contractor nell'edilizia commerciale, residenziale e nel terziario del Nord Ovest. Nelle scorse settimane la Prefettura di Torino, dopo un lungo e articolato lavoro di analisi del gruppo interforze che svolge controlli sui possibili condizionamenti mafiosi ha notificato a Cogefa un documento che si potrebbe definire una sorta di avvio di procedimento finalizzato a interdire la società dalla white list, l'elenco delle aziende che possono lavorare in appalti assegnati in regime pubblico o misto pubblico/privato. Motivo: secondo gli analisti della Prefettura, investigatori di primo livello nella lotta al crimine organizzato declinato sul versante economico, insisterebbero rischi di infiltrazione della ‘ndrangheta che potrebbe condizionare gli indirizzi strategici della società in questione.
    Quanto stiamo raccontando è strettamente – anzi unicamente – collegato agli esiti dell'inchiesta Echidna, articolata indagine del Ros dei carabinieri coordinata dalla Dda di Torino che nei mesi scorsi ha portato a una serie di arresti e a svelare le contaminazione di ditte ricollegabili all'organizzazione mafiosa di origine calabrese nella manutenzione dell'autostrada A32 Torino-Bardonecchia. E tra i destinatari delle misure cautelari concesse dal gip c'è anche Roberto Fantini, in passato (dal 2007 al 2020) amministratore della società Sitalfa controllata da Sitaf che nei fatti gestisce come concessionaria la autostrada A32, che in ipotesi d'accusa avrebbe permesso a una società indiziata di gravitare nell'orbita della ‘ndrangheta (Autotrasporti Claudio di Domenico Pasqua) di sovra-fatturare, lavorare nei subappalti legati al movimento terra e di continuare a prestare i propri servigi anche quando – all'incirca nel 2020 – la stessa Prefettura emise nei confronti della società di Pasqua un'interdittiva antimafia. I Pasqua sono finiti pesantemente nella rete dell'inchiesta della procura e del Ros. Secondo gli atti sarebbero famiglia centrale nelle dinamiche di ‘ndrangheta della provincia di Torino, con epicentro a Brandizzo. I loro rapporti con le famiglie di èlite di San Luca in Aspromonte (Nirta-Pelle) e di Volpiano (legate alla roccaforte mafiosa di Platì) ne avrebbero accresciuto la caratura criminale negli ultimi anni. E – sempre nella prospettiva di inquirenti e investigatori – proprio grazie a Fantini sarebbero riusciti a infiltrarsi in numerosi cantieri di manutenzione dell'autostrada A32 Torino-Bardonecchia oltrechè – stavolta senza Fantini – in appalti privati di edifici rinomati del centro di Torino.
    In questo quadro si inserisce l'iniziativa della prefettura su Cogefa, capitale sociale pari circa a 10 milioni di euro, oggi governata al 40% dalla società Fante srl della sorella di Roberto Fantini, il restante 60% è in capo alla Fcv Holding è intestata ai figli di Roberto Fantini.
    Nell'ordinanza di custodia cautelare vengono ricostruiti anche i rapporti tra il padre di Fantini, Teresio, fondatore di Cogefa nel lontano 1973 e soggetti ritenuti problematici ai fini dell'iscrizione nella white list. Come Antonino "Tonino" Esposito che comparve sulla scena criminale ormai decenni fa quando venne indagato e infine condannato per associazione a delinquere finalizzata all'usura insieme a Rocco Lo Presti, un ras delle cosche in Valsusa la cui iperattività (declinata sul versante criminale) sul territorio concorse – insieme ad altre valutazioni – allo scioglimento per infiltrazione del Consiglio comunale di Bardonecchia, primo in Italia nel 1995. —
  2. TANTO NON CONTROLLANO : Da lunedì stop ai diesel Euro 3 e Euro 4 I divieti sono in vigore fino al 15 aprile
    Lunedì 16 settembre scatterà il blocco per auto e furgoni con motore diesel Euro 3 e Euro 4. Questi veicoli non potranno circolare dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 19. Si tratta di un provvedimento che resterà in vigore fino al 15 aprile 2025. È una delle misure antismog disposte dal Ministero, in accordo con le Regioni del bacino padano. Si somma ai provvedimenti strutturali, in vigore 365 giorni l'anno, che prevedono il divieto di circolazione per auto e furgoni (benzina e diesel) Euro 0, 1 e 2. Sempre da lunedì, inoltre, sarà vietata tutti i giorni la circolazione di moto e motorini Euro 0 e 1. Le misure antismog in partenza lunedì potranno inasprirsi nel corso dei mesi. Succederà in caso di sforamento del limite giornaliero di Pm10 nell'aria di Torino.

 

 

 

13.09.24
  1. Bruxelles invita a usare più fonti rinnovabili. La Corte dei Conti Ue: "I Pnrr meno green del previsto"
    L'Ue avvisa Roma: "Accelerate sulle case verdi"
    Fabrizio Goria
    La Commissione europea invita l'Italia ad accelerare sulle case green. Deve «aumentare il tasso e l'intensità della ristrutturazione degli edifici, in particolare quelli con le prestazioni peggiori», sottolinea Bruxelles nel rapporto annuale sullo stato dell'Unione dell'energia. Un monito netto in ottica futura.
    Le rinnovabili segnano il passo, l'installazione di pompe di calore è in calo mentre salgono i costi sociali di una transizione a rilento. La Commissione ha segnalato come «nel 2023 il 4,1% delle popolazione italiana ha avuto difficoltà a pagare le bollette e il 9,5% non poteva mantenere la casa calda durante l'inverno». Nel report di Palazzo Berlaymont si segnala che l'80% del consumo energetico finale degli edifici in Italia è rappresentato da riscaldamento e raffreddamento, con le rinnovabili che forniscono appena il 21% del consumo energetico finale lordo. Numeri troppo bassi, si evidenzia.
    Il contesto è importante, in quanto gli Stati Ue dovranno presentare entro giugno 2025 il piano nazionale sociale per il clima, per l'accesso ai finanziamenti del Fondo sociale per il clima che tra 2026 e 2032 mobiliterà 86,7 miliardi di euro su interventi mirati di ristrutturazione degli alloggi sociali. L'Italia potrebbe ottenere fino a 7,8 miliardi.
    Intanto, però, sulle misure ambientali interviene anche la Corte dei Conti europea per segnalare come il contributo "verde" dei Piani di ripresa e resilienza nazionali dei diversi Paesi sia inferiore a quanto dichiarato dalla Commissione europea. Secondo gli auditor europei le misure a sostegno degli obiettivi climatici sono sovrastimate per 34,5 miliardi di euro. Ci sono, inoltre, «debolezze nei traguardi e obiettivi» delle azioni per il clima e nella rendicontazione delle spese sostenute.
  2. DA DOVE PARTE IL  DANNO POLITICO AGLI ELETTORI :   Titolare di un autonoleggio, assessore a Frosinone, ha poi lavorato in Regione dove incontrò Arianna Meloni
    L'AZIENDA
    Tagliaferri dal centrosinistra a Fratelli d'Italia così il "camaleonte" è arrivato al vertice di Ales
    Grazia Longo
    Inviata a Frosinone
    Di lui raccontano che abbia grandi capacità di comunicazione, attitudine a collaborare sia con la destra sia con la sinistra e, soprattutto, le amicizie giuste dentro Fratelli d'Italia. È questo il mix vincente che, secondo alcuni, ha portato Fabio Tagliaferri dal guadagnare 10. 484 euro all'anno nel 2022, come risulta dalla sua dichiarazione dei redditi pubblicata dal Comune di Frosinone dove era assessore ai Servizi sociali, ai 146 mila euro di oggi grazie all'incarico di presidente e amministratore delegato di Ales.
    La sigla sta per "Arte Lavoro e Servizi" Spa, la società in house del ministero della Cultura, che controlla biglietterie, parchi, edifici storici e decine di musei sparsi in giro per l'Italia, con 88 milioni di euro annui di ricavi e oltre 7 milioni di utili annui.
    Un ruolo importante ottenuto dall'ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. «Resta un mistero – si domanda un consigliere d'opposizione di Frosinone – come abbia fatto a ottenere un lavoro così impregnato di cultura, nonostante nel suo curriculum non ci siano precedenti in questo settore. Tagliaferri ha una società di autonoleggio, la Greylease Automotive. Che c'azzeccano le automobili con i musei?».
    Per questa società, peraltro, sempre nel 2022 l'esponente di Fdi non ha dichiarato neppure un euro: risulta titolare e amministratore unico, ma ha sostenuto di non aver guadagnato nulla da questa attività che ha ricevuto anche una sovvenzione di 100 mila euro da "Lazio innova", finanziaria della Regione.
    I quasi 11 mila euro denunciati due anni fa al fisco corrispondono alla metà dello stipendio da assessore, perché ha donato l'altra metà in beneficenza come stabilito dall'ex sindaco Nicola Ottaviani.
    Poi Tagliaferri si è dimesso da assessore e poco dopo è arrivata la nomina all'Ales. Una "promozione" che se sorprende alcuni, non scompone altri, anche tra le fila dell'opposizione del capoluogo ciociaro. Il capogruppo consiliare Pd, Angelo Pizzutelli, ad esempio, si spertica in lodi del rivale politico: «Non abbiamo le stesse idee, ma è una persona che stimo e che si impegna molto. Da adulto si è laureato in Economia e ha lavorato anche parecchio in Regione. È stato scelto alla presidenza di Ales per volontà di Fdi e io non guardo cosa succede in casa d'altri. Di sicuro Fabio Tagliaferri è un uomo valido, che si dà da fare». Pd e Fdi, del resto, governano insieme alla Provincia di Frosinone e al Consorzio Apef (Agenzia provinciale energia Frosinone).
    E che Tagliaferri si dia da fare è evidente anche dalla sua facilità di dialogare pure con la sinistra. Nel 2002 si candidò al consiglio comunale in una lista di centro sinistra a sostegno del sindaco poi eletto Domenico Marzi. Ma dopo circa due anni è passato con Francesco Storace, che all'epoca non era solo governatore del Lazio ma anche consigliere a Frosinone. «È stato Storace che l'ha portato in Regione – ricorda sempre il consigliere d'opposizione che vuole restare anonimo – dove poi ha ottenuto un lavoro a tempo indeterminato. In un primo momento, nel 2004, aveva ottenuto una collaborazione per la "Comunicazione pubblica e istituzionale" che è il titolo della tesi della su laurea in Economia, non si sa in quale università, conseguita quell'anno». Nel 2005 ottiene in Regione un contratto a tempo indeterminato che lascia nel 2017.
    Mentre è in Regione approfondisce l'amicizia con Arianna Meloni (che nell'amministrazione del Lazio ha lavorato per circa 20 anni da precaria). Una vicinanza proseguita anche dopo la conclusione del suo impegno in Regione. Ma né su questo aspetto, né sulla nomina ad Ales, Tagliaferri risponde ai nostri interrogativi. Ci dirotta al suo ufficio stampa che precisa: «Il presidente ha già risposto esaustivamente a queste domande sia in questi giorni sia nel periodo successivo alla sua nomina. Riteniamo che non ci sia nulla da aggiungere rispetto a quanto già dichiarato».
    In altre parole continua a prendere le distanze dall'ipotesi di un suo incarico figlio dell'amichettismo. E il deputato Massimo Ruspandini, referente di Fdi per la provincia di Frosinone ribadisce: «Quella sulla presidenza di Tagliaferri ad Ales è una polemica strumentale».
  3. Titolare di un autonoleggio, assessore a Frosinone, ha poi lavorato in Regione dove incontrò Arianna Meloni
    L'AZIENDA
    Tagliaferri dal centrosinistra a Fratelli d'Italia così il "camaleonte" è arrivato al vertice di Ales
    Grazia Longo
    Inviata a Frosinone
    Di lui raccontano che abbia grandi capacità di comunicazione, attitudine a collaborare sia con la destra sia con la sinistra e, soprattutto, le amicizie giuste dentro Fratelli d'Italia. È questo il mix vincente che, secondo alcuni, ha portato Fabio Tagliaferri dal guadagnare 10. 484 euro all'anno nel 2022, come risulta dalla sua dichiarazione dei redditi pubblicata dal Comune di Frosinone dove era assessore ai Servizi sociali, ai 146 mila euro di oggi grazie all'incarico di presidente e amministratore delegato di Ales.
    La sigla sta per "Arte Lavoro e Servizi" Spa, la società in house del ministero della Cultura, che controlla biglietterie, parchi, edifici storici e decine di musei sparsi in giro per l'Italia, con 88 milioni di euro annui di ricavi e oltre 7 milioni di utili annui.
    Un ruolo importante ottenuto dall'ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. «Resta un mistero – si domanda un consigliere d'opposizione di Frosinone – come abbia fatto a ottenere un lavoro così impregnato di cultura, nonostante nel suo curriculum non ci siano precedenti in questo settore. Tagliaferri ha una società di autonoleggio, la Greylease Automotive. Che c'azzeccano le automobili con i musei?».
    Per questa società, peraltro, sempre nel 2022 l'esponente di Fdi non ha dichiarato neppure un euro: risulta titolare e amministratore unico, ma ha sostenuto di non aver guadagnato nulla da questa attività che ha ricevuto anche una sovvenzione di 100 mila euro da "Lazio innova", finanziaria della Regione.
    I quasi 11 mila euro denunciati due anni fa al fisco corrispondono alla metà dello stipendio da assessore, perché ha donato l'altra metà in beneficenza come stabilito dall'ex sindaco Nicola Ottaviani.
    Poi Tagliaferri si è dimesso da assessore e poco dopo è arrivata la nomina all'Ales. Una "promozione" che se sorprende alcuni, non scompone altri, anche tra le fila dell'opposizione del capoluogo ciociaro. Il capogruppo consiliare Pd, Angelo Pizzutelli, ad esempio, si spertica in lodi del rivale politico: «Non abbiamo le stesse idee, ma è una persona che stimo e che si impegna molto. Da adulto si è laureato in Economia e ha lavorato anche parecchio in Regione. È stato scelto alla presidenza di Ales per volontà di Fdi e io non guardo cosa succede in casa d'altri. Di sicuro Fabio Tagliaferri è un uomo valido, che si dà da fare». Pd e Fdi, del resto, governano insieme alla Provincia di Frosinone e al Consorzio Apef (Agenzia provinciale energia Frosinone).
    E che Tagliaferri si dia da fare è evidente anche dalla sua facilità di dialogare pure con la sinistra. Nel 2002 si candidò al consiglio comunale in una lista di centro sinistra a sostegno del sindaco poi eletto Domenico Marzi. Ma dopo circa due anni è passato con Francesco Storace, che all'epoca non era solo governatore del Lazio ma anche consigliere a Frosinone. «È stato Storace che l'ha portato in Regione – ricorda sempre il consigliere d'opposizione che vuole restare anonimo – dove poi ha ottenuto un lavoro a tempo indeterminato. In un primo momento, nel 2004, aveva ottenuto una collaborazione per la "Comunicazione pubblica e istituzionale" che è il titolo della tesi della su laurea in Economia, non si sa in quale università, conseguita quell'anno». Nel 2005 ottiene in Regione un contratto a tempo indeterminato che lascia nel 2017.
    Mentre è in Regione approfondisce l'amicizia con Arianna Meloni (che nell'amministrazione del Lazio ha lavorato per circa 20 anni da precaria). Una vicinanza proseguita anche dopo la conclusione del suo impegno in Regione. Ma né su questo aspetto, né sulla nomina ad Ales, Tagliaferri risponde ai nostri interrogativi. Ci dirotta al suo ufficio stampa che precisa: «Il presidente ha già risposto esaustivamente a queste domande sia in questi giorni sia nel periodo successivo alla sua nomina. Riteniamo che non ci sia nulla da aggiungere rispetto a quanto già dichiarato».
    In altre parole continua a prendere le distanze dall'ipotesi di un suo incarico figlio dell'amichettismo. E il deputato Massimo Ruspandini, referente di Fdi per la provincia di Frosinone ribadisce: «Quella sulla presidenza di Tagliaferri ad Ales è una polemica strumentale».
  4. Il Csm sospende la consigliera Rosanna Natoli
    Con 22 voti favorevoli,6 contrari e 2 bianche, il Plenum ha votato la sospensione dal Csm di Rosanna Natoli, la consigliera laica in quota Fdi, finita al centro del salvataggio pilotato della giudice catanese Maria Fascetto Sivillo e indagata dalla procura di Roma per violazione di segreto e abuso d'ufficio. «Tornerò a fare la nonna», ha detto Natoli. Che ieri, a Palazzo Bachelet, ha tenuto un lungo intervento. «Contro di me una campagna di fango. Sono stata presentata come il consigliere del presidente La Russa. Non sono stata eletta da lui, ma dal Parlamento in seduta comune». L'incontro con la magistrata che avrebbe dovuto giudicare? «C'è stato, ma nel merito risponderò alla procura». Natoli ha attaccato gli inquirenti su indagini e competenza territoriale: «Il colloquio è avvenuto a Paternò, in Sicilia».È la prima volta che il Csm prende un tale provvedimento.
  5. Scuola
    senza
    sostegno

    Elisa Forte
    torino
    I supplenti, le cattedre assegnate e quelle che restano nel limbo. Il dossier "sostegno", tra precariato, turn over e specializzazioni (poche rispetto al fabbisogno), ad ogni inizio di anno scolastico resta quello più spinoso. Il copione si ripete: tra i precari i supplenti del sostegno sono la maggioranza. Stando ai dati del ministero sono 108mila su 165mila. Molti arrivano in classe alla spicciolata lasciando per settimane, se non per mesi, gli studenti senza un insegnante. «Ci sono cattedre scoperte anche fino a Natale, a volte anche fino al nuovo anno» denunciano genitori e sindacati. Sì, è vero che a lezioni avviate occorre censire i nuovi certificati medici che si aggiungono a quelli già dichiarati. Possono esserci nuovi casi di disabilità. E ci sono i ricorsi al Tar da parte delle famiglie che non considerano accolte le richieste di sostegno per i propri figli. Ma riguardano solo una piccola quota dei supplenti. Quel che non cambia (ancora) è che molti dirigenti scolastici sono in emergenza.
    Poi, ci sono i numeri. I docenti in organico sul sostegno sono 126 mila. Fin qui mettono tutti d'accordo: sono incontrovertibili. Ma ci sono anche i numeri della discordia. Sono quelli che incasellano i docenti precari del sostegno: anche loro – al pari dei titolari di cattedra ma con meno certezze rispetto ai primi- si occuperanno dei loro studenti speciali, quelli che spesso non tengono il passo e disturbano le lezioni. Quelli che arrivano in classe con storie di vita difficili. Complicate.
    Per il ministero dell'Istruzione e del Merito i supplenti del sostegno del nuovo anno scolastico saranno al massimo 108 mila. Cisl Scuola e Uil Rua sono in linea con questa stima. Sostengono che saranno 100 mila i posti (ancora) assegnati ai precari. Con una buona probabilità di aumento, ma di qualche migliaio di unità. Dati, dunque, che combaciano con quelli ministeriali. Non è della stessa idea Flc-Cgil: ne conta di più, 130 mila. «Un dato falso»: dal dicastero di Viale Trastevere rimandano al mittente questa previsione. I conti non tornano neanche sul numero complessivo dei precari. Cgil conferma 250 mila precari mentre dal ministero hanno fornito cifre diverse. «Sono 165 mila – ha ribadito nei giorni scorsi il ministro Giuseppe Valditara – e scenderanno a 155mila entro dicembre». A fare chiarezza con La Stampa sui contratti di supplenza ci pensa Carmela Palumbo, Capo dipartimento per il Sistema educativo di istruzione e di formazione del ministero dell'Istruzione e del Merito.
    «I supplenti sul sostegno nell'anno scolastico 23/24 sono stati su posti interi circa 108 mila, numero che si dovrebbe confermare sostanzialmente anche per l'anno scolastico 2024-25– sottolinea - Invece, i precari totali sono 165 mila. Quindi, la previsione della Cgil di 130 mila supplenti sul sostegno e 250 mila precari totali appare del tutto errata e certamente sovrastimata». «Probabilmente – ragiona Palumbo - Cgil considera anche gli spezzoni di due -tre ore che completano le cattedre, come gli spezzoni generati da part time. Si tratta di dati che non fotografano reali disponibilità di organico non coperte con personale di ruolo». Gianna Fracassi, segretaria nazionale Flc-Cigil conferma la bontà dei conti fatti. E si mostra preoccupata perché «una gran parte delle supplenze - dice - saranno assegnate a docenti che non hanno la specializzazione». Docenti non qualificati. Docenti non sempre in grado di accogliere la complessità del ruolo. C'è sicuramente ancora tanta strada da fare. Ma almeno la novità voluta dal ministro Valditara rende - per la prima volta – protagoniste anche le famiglie. «La scelta del genitore per confermare il docente di sostegno precario potrà essere fatta già quest'anno in modo che la conferma del docente avverrà dal prossimo anno scolastico», fa sapere Carmela Palumbo. Se il prof di sostegno piace, ci sarà una sorta di mini stabilizzazione. Questa è un'antica richiesta dei genitori con figli disabili. Parte da lontano. Una decisione che il ministro Valditara ha introdotto come una delle leve per cercare di garantire "continuità didattica" agli studenti disabili. Ma per i prof che aspirano al ruolo la strada resta (ancora) in salita.
  6. La denuncia di una mamma di Vercelli: "L'insegnante è stata trasferita e il posto è scoperto"
    " Mio figlio ora non ha più la sua maestra per affrontare l'ultimo anno di elementare"

    francesca rivano
    vercelli
    L'ultimo anno di elementari doveva rappresentare la conclusione di un percorso verso l'autonomia, portato avanti con fatica e impegno. Invece, per Teo (il nome è di fantasia), 12enne autistico non verbale che convive con una forma di epilessia farmacoresistente e con l'artrite idiopatica giovanile, il ritorno in classe si è trasformato in una corsa a ostacoli. Ad accoglierlo, nella scuola del comune vercellese in cui vive, non c'era la maestra di sostegno che lo aveva accompagnato nelle piccole e grandi conquiste verso l'autonomia. Non c'era alcuna insegnante dedicata a lui, perché quella cattedra, per ora, è scoperta.
    Venire a capo del cortocircuito per il quale Teo è rimasto senza docente di sostegno è quasi impossibile. Un rimpallo di responsabilità che non serve a risolvere il problema e accresce l'amarezza di mamma Federica. «Ho chiesto io che Teo potesse fermarsi alle elementari per concludere il percorso avviato due anni fa con la sua insegnante – racconta –. A inizio mese, quando la docente mi ha telefonato in lacrime, dicendo di essere stata trasferita, è stato impossibile preparare Teo a questo cambiamento imprevisto. Per facilitarlo, avrei dovuto presentargli la nuova maestra attraverso una storia sociale, ma come potevo farlo, visto che nemmeno io sapevo cosa sarebbe accaduto?».
    Così, dopo settimane in cui il ragazzino aveva ripreso con entusiasmo lo zaino, «allenandosi» per il ritorno in classe, la mattina di ieri è stata complicata e faticosa. Per superarla, le altre insegnanti hanno messo in campo tanta delicatezza e professionalità. «In attesa che si trovi la docente di sostegno – racconta mamma Federica – le due colleghe della classe fanno compresenza per seguire mio figlio. Le maestre che già lo conoscevano lo hanno aiutato, dopo un'ora trascorsa all'esterno, a entrare in classe. E, anche Teo, a modo suo, è stato strepitoso». Ma, guardando al percorso che attende il suo ragazzo, la donna è preoccupata: «Avevamo coordinato l'impegno di insegnante, terapisti e famiglia, mettendo al centro le esigenze di Teo. La sua insegnante si era messa a disposizione per accompagnarlo in quest'anno di transizione, aiutandolo a conoscere l'ambiente e le persone delle medie. Ora tutto questo è stato stroncato».
    Nel vercellese, dove rispetto al 2023 gli alunni con disabilità sono aumentati di quasi il 10%, le graduatorie a esaurimento per il sostegno nel primo ciclo scolastico sono vuote e, per coprire i posti, occorre pescare da graduatorie nazionali, con prevedibile allungamento dei tempi e dei disagi. E visto che i docenti specializzati sono pochi, la gran parte dei posti va a personale «senza titolo». La conferma arriva dai dati dell'Ufficio scolastico regionale: in Piemonte, la percentuale dei posti di sostegno coperti da docenti specializzati è del 18,6% ma con una forte polarizzazione tra primo e secondo ciclo scolastico. Alle materne è specializzato il 4,8%, alle elementari solo il 3,4%; alle medie e superiori le percentuali sono del 17,8% e del 44,29%.
  7. birmana
    Giungla

    Il basco nero, la barba incolta, sulle braccia un tatuaggio con il simbolo della pace, alle spalle, in una piccola capanna nel cuore del giungla birmana, la bandiera con impresso il disegno del pazi, il tradizionale tamburo del popolo Karenni divenuto il simbolo del Kndf, Karenni Nationalites Defense Force. Maui ha solo 31 anni, una laurea in geologia, molteplici studi all'estero e un lavoro da agronomo nella città di Loikaw, ma tutto questo appartiene al suo passato. Oggi, Maui, il generale Maui, è il leader militare di uno dei gruppi guerriglieri maggiormente attivi tra le forze rivoluzionarie birmane che, dal 2021, stanno combattendo contro la giunta militare golpista del generale Min Aung Hlaing. «Quando è avvenuto il golpe, noi giovani birmani siamo scesi in strada. Abbiamo dimostrato in tutte le città del Paese con le mani alzate rivendicando libertà, diritti e democrazia: tutto ciò che ci apparteneva prima del 1 febbraio 2021. La giunta, alle nostre richieste pacifiche, ha risposto aprendo il fuoco, massacrando donne, uomini e studenti. È stato dopo la repressione militare che abbiamo deciso di andare sui monti e iniziare la guerriglia".
    Per incontrare il generale Maui e addentrarsi nel Kayah State, il cuore della rivoluzione birmana, occorre attraversare di notte, a bordo di piccole lance, la frontiera tra la Thailandia e la Birmania e poi, a piedi, in fuori strada e a dorso di elefante, intraprendere un viaggio di diversi giorni, guadando torrenti in piena e superando erte e forre, nell'inferno verde della giungla tropicale del sud-est asiatico. Il Myanmar, o Birmania, da oltre tre anni è sconvolto da un conflitto civile che ha provocato più di 55 mila vittime e che vede da un lato le truppe dello State Administration Council (nome della giunta militare) che hanno preso il potere con un colpo di stato e che, col supporto di India, Russia e Cina, hanno instaurato una delle dittature più brutali e repressive a livello globale, dall'altro lato vi sono le forze rivoluzionarie birmane, composte da giovani di vent'anni che hanno lasciato le città per dare vita alla resistenza e dalle organizzazioni etniche che da decenni lottano per i propri diritti e per l'autonomia politica. Il movimento rivoluzionario sebbene non abbia mezzi, armi e fondi a sufficienza, controlla però più della metà del Paese e questo soprattutto grazie al supporto incondizionato della popolazione che, nell'assoluta precarietà del conflitto, una salda certezza l'ha conservata: non tollerare più alcuna presenza dell'esercito nell'esecutivo.
    La Birmania, dal 1962, per oltre 50 anni, ha vissuto sotto il giogo di regimi militari. Nel 2015, dopo anni di proteste, arresti e sparizioni, si sono tenute le prime libere elezioni che hanno visto la vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia, e così, dal 2015 al 2021, l'ex colonia britannica ha attraversato un breve ma irremeabile periodo di democrazia che, seppur imperfetta, ha permesso però alle nuove generazioni di aprirsi al mondo, conoscere l'altrove, comprendere con piena contezza il significato delle parole libertà e diritti.
    «Stiamo combattendo per un Paese in cui vi sia rispetto per le minoranze indigene, in cui la forma di governo sia quella del federalismo democratico, dove le parole d'ordine siano giustizia, pace e lavoro - racconta il generale Maui -. Non stiamo facendo questa guerra per una bandiera, non vogliamo il modello americano, europeo o cinese, noi vogliamo vivere in pace e in armonia con la nostra terra. Ma tutto questo lo stiamo facendo per chi verrà dopo di noi. Per noi, ora, non c'è futuro, c'è solo il presente, e il presente è la guerra».
    Una chiamata arriva dalle prime linee, le forze della giunta stanno attaccando sul fronte di Loikaw. I guerriglieri si preparano, sono tutti ragazzi, ma nella gioventù sono viandanti di passaggio, i loro volti sono esausti, sporcati dalla terra e da una tenera peluria, negli sguardi hanno perso l'innocenza e nell'animo i sogni, sono stati tutti infettati dal conflitto e della loro miglior età ne conservano solo uno sbiadito ricordo. «Non abbiamo avuto alternative se non intraprendere questa guerra, ma la guerra è una mostruosità. Io ho perso un fratello di 19 anni ucciso dai militari, e non c'è istante che non pensi a lui, ma penso anche al soldato a cui ho sparato e che ho ucciso. E da quel giorno ho smesso di ridere». Pasqwar Let ha 21 anni, viaggia insieme ad altri 15 compagni su un pick-up, la prima linea è ormai prossima e lui si concede un'ultima confessione: «Ogni volta che vado in battaglia prego Dio affinché possa dare a mia madre la forza di perdonarmi per il dolore che le provocherei se dovessi morire».
    I colpi dei fucili automatici fischiano tra le case e i campi di Loikaw, poi un'esplosione, tremano le case di bambù e rafia, i combattenti del Kndf si acquattano tra l'erba e i cespugli, poi si rialzano e riprendono a sparare. Passano pochi minuti e un lanciarazzi Grad scarica una sequenza di colpi. Alcuni guerriglieri cercano riparo in un piccolo rifugio, un giovane viene colpito da una scheggia in un occhio, un altro giace riverso con un frammento di ordigno nel collo. Barellieri e infermieri provano a soccorrere i feriti, alcuni vengono trasportati nel solo ospedale della regione, il corpo di Kyaw Thu invece viene adagiato in un sacco nero.
    All'indomani, durante il funerale, tre spari di commiato celebrano il ricordo del giovane rivoluzionario caduto per la libertà, le lacrime della madre invece rivelano il dolore per la morte di suo figlio: un ragazzo di vent'anni morto per la vita, all'alba della vita. —

 

12.09.24
  1. ENERGIA RINNOVABILE GIA' IN ESUBERO MA ANTITANGENTE , TRANNE CHE  PER L'EOLICO GESTITO DALLA MAFIA :     energia
    Il buco
    dell'
    PAOLO BARONI
    roma
    A fine anno, salvo sorprese, ci fermeremo a quota 56 miliardi di euro, una cifra notevole, ma nulla in confronto con gli oltre 100 miliardi di due anni fa. Per quanto in calo non basta infatti il boom delle rinnovabili, che anno dopo anno stanno aumentando il loro peso rispetto alla produzione nazionale di energia, a ridurre il nostro deficit energetico. Perché l'Italia in questo campo sempre fortemente dipendente dall'estero, innanzitutto per le forniture di gas; ma anche sul fronte della produzione e dei consumi di elettricità visto che una quota significativa viene coperta grazie alla produzione delle centrali nucleari francesi e con le importazioni da Svizzera e Austria. In media negli ultimi anno abbiamo importato tra il 13 ed il 15% dell'elettricità che consumiamo, un po' meno questa estate quando siamo scesi all'11,5%.
    Il risultato, come hanno potuto toccare con mano tutti gli italiani, è che siamo continuamente esposti alle fluttuazioni delle quotazioni di gas e petrolio, ai tanti fattori geopolitici ed in primo luogo alle guerre.
    La curva del nostro disavanzo energetico sale e scende come fossimo sulle montagne russe. A conti fatti anche l'anno passato l'Italia ha dovuto mettere in conto un esborso notevole: rispetto al record assoluto di 114,2 miliardi di euro, toccato nel 2022 all'apice dell'impazzimento dei mercati per la guerra in Ucraina, nel 2023 il conto si è ridotto di un buon 43%, ma siamo pur sempre rimasti a quota 66,5 miliardi (3,2% del Pil). Una spesa decisamente ingente, nonostante la flessione dei consumi dovuta alle condizioni climatiche favorevoli ed al rallentamento delle quotazioni dei prezzi sui mercati internazionali.
    Secondo i dati diffusi a luglio dai petrolieri dell'Unem quest'anno la nostra fattura energetica, salvo sorprese, dovrebbe scendere ancora: dovremmo attestarci a quota 56 miliardi di euro, ovvero 10 miliardi in meno del 2023 «quasi interamente dovuti alla componente gas». Un salasso comunque.
    Sul bilancio del 2023, rispetto all'anno precedente, ha pesato soprattutto il dimezzamento dell'incidenza di gas (in buona parte destinato alle centrali elettriche) e quindi dell'elettricità con la spesa per gli approvvigionamenti netti dall'estero di gas calati di 33,7 miliardi (-54%) a quota 28,3 miliardi, e le importazioni elettriche scese a quota 6,1 miliardi di euro (-6,4 miliardi e -51%).
    Le bollette, esposte alle continue fluttuazioni dei mercati, continuano però a restare significativamente pesanti dopo la fine degli sconti e degli incentivi previsti dai governi nella fase più acuta dell'ultima crisi. Questo vale per le famiglie (comprese quelle con contratti "tutelati"), ma soprattutto vale per le imprese, che continuano a pagare l'energia anche il 50% in più dei loro concorrenti esteri. É di lunedì, ad esempio, la notizia che il gruppo Arvedi ha deciso di fermare uno dei due altiforni delle acciaierie di Terni proprio a causa dei costi eccessivi delle forniture, cosa che nel sito Umbro non accadeva da 140 anni.
    Appena insediato il nuovo presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha lanciato l'allarme sul caro-energia spiegando che «abbiamo interi settori come quello del vetro, dell'acciaio, della carta e della ceramica che sono messi in grandissima difficoltà» in questa fase. Per questo a suo parere vanno potenziate le garanzie pubbliche e le misure a sostegno soprattutto delle piccole e medie imprese. E poi bisognerebbe puntare ad un prezzo unico dell'energia, per evitare che i vari paesi europei si facciano con concorrenza tra loro, e quindi investire sul nucleare di nuova generazione. A livello europeo, invece, la proposta avanzata da Mario Draghi nell'ambito delle misure per rilanciare la competitività prevede di fissare un tetto unico comune alle tasse da applicare all'energia
    Le rinnovabili, pur contribuendo agli obiettivi di decarbonizzazione, da sole al momento non bastano a tirar fuori l'Italia dalla dipendenza estera (Algeria, Azerbaigian e Usa in primis per il gas, i nostri confinanti per l'elettricità). Gli ultimi dati sulla produzione di energia green, però, fanno ben sperare: nonostante i tanti ostacoli, che via via il governo ha cercato di superare, la quota di rinnovabili sulla produzione nazionale è infatti passata dal 35,5% del 2022 al 43,8% dell'anno passato. Quest'anno, stando ai dati di Terna, la società che gestisce la rete elettrica di trasmissione nazionale, nei primi sei mesi dell'anno la produzione da fonti rinnovabili è aumentata del 27,3% rispetto al 2023 e con una quota del 52,5% toccata a giugno, ha superato per la prima volta la produzione da fonti fossili, che ha registrato una flessione del 19% (-77,3% la quota di produzione a carbone). Da gennaio a giugno 2024, in particolare, la produzione idroelettrica rinnovabile ha raggiunto un risultato record (pari a 25,92 TWh, +64,8% rispetto allo stesso periodo del 2023) grazie ad una notevole disponibilità di idraulicità al Nord. La produzione degli impianti eolici è aumentata del 29,2%) mentre il fotovoltaico ha messo a segno un +18,2% grazie all'aumento della capacità in esercizio (+803 GWh). Tra giugno 2023 e giugno 2024 la capacità installata di fotovoltaico ed eolico è aumentata di 6.831 Mw (+17,3%), raggiungendo i 46.321 Mw complessivi.
    Previsioni di qui alla fine dell'anno? Difficile farne. Certamente l'Europa dovrà fare i conti con lo stop definitivo delle importazioni di gas russo, che per quanto ridotte ai minimi sembra non sia facilissimo rimpiazzare, con la guerra in Ucraina e le tensioni in Medio Oriente e magari sperare nell'ennesimo inverno mite. —
  2. LA CHIMERA OSTAGGIO DEGLI INTERESSI NUCLEARISTI: «Il piano di Mario Draghi ha dato importanza al nucleare di nuova generazione, considerandolo come una tecnologia che può aumentare la competitività dell'Europa». Per Stefano Buono, fondatore e ceo di Newcleo, azienda italo-britannica di reattori di ultima generazione, l'Italia è rimasta indietro ma può recuperare «Il governo sta lavorando bene ed entro fine anno dovrà annunciare la strategia sul nucleare e la riforma dell'Isin, l'ente regolatorio che può dare l'avvio alle procedure per costruire centrali nucleari».
    Mentre parla al telefono, Buono è a Brasimone sull'Appennino bolognese. Al centro di ricerche dell'Enea, insieme ai tecnici dell'istituto, ha incontrato i rappresentanti del governo e degli enti regolatori francesi Asn e Irsn, slovacchi e del Mase per mostrare le sperimentazioni in corso sui nuovi reattori. «Un anno e mezzo fa abbiamo avviato l'iter autorizzativo per costruire in Francia un reattore da 30 megawatt elettrici e un altro da 200 megawatt. Il primo entrerà in funzione nel 2031».
    In Francia c'è interesse per il nucleare e la tecnologia di Newcleo ma in Italia a che punto siamo?
    «Abbiamo intenzione di avviare una procedura per costruire reattori in Italia, ma aspettiamo che il governo annunci entro fine anno la strategia nazionale sul nucleare e che vari la riforma dell'ente regolatorio Isin, dotandolo delle funzioni per avviare le procedure e assegnandogli più personale».
    Avete partner italiani con cui lavorate già?
    «Sì, ci sono molti operatori coinvolti nell'industria nucleare. In particolare, abbiamo tre alleanze strategiche sulle applicazioni di nostri reattori: con Fincantieri e Rina nel settore navale, con Maire Tecnimont nella chimica verde e nell'idrogeno e con Saipem studiamo la possibilità di mettere i nostri reattori su piattaforme galleggianti. Inoltre, abbiamo collaborazioni con Enel e Ansaldo che in futuro potrebbero dare buoni frutti».
    Che tipo di centrali si potrebbero realizzare in Italia?
    «Penso a piccoli reattori modulari Amr al piombo, la quarta generazione, con potenze da 200 megawatt elettrici che per esempio potrebbero dare energia a una piccola città, o a un grande datacenter, a un'industria ceramica o a un produttore di acciaio».
    È possibile creare strutture che uniscano più reattori come avviene all'estero?
    «Sì, perché sono impianti abbastanza piccoli, di sei metri di diametro e sei metri di altezza. Si possono creare complessi che uniscono anche quattro reattori assieme. Una centrale da 800 megawattora può dare energia a una città come Roma e potrebbe avere costi contenuti, circa 3,2 miliardi».
    Quali sono i principali ostacoli al nucleare nel nostro Paese? La paura dei cittadini? La burocrazia? La sicurezza?
    «La resistenza maggiore è la paura dei cittadini che in parte deriva da una narrativa del passato difficile da modificare».
    Beh dall'incidente di Fukushima sono passati tredici anni, il ricordo è ancora vivo nella mente delle persone.
    «Sì, ma va detto che i nuovi reattori non permettono più incidenti come Chernobyl e Fukushima e che il nucleare è il sistema più sicuro di produzione di energia elettrica. I giovani, che si informano molto sui temi ambientali, sanno queste cose e perciò sono più favorevoli al nucleare rispetto alle generazioni più mature».
    Ai giovani il nucleare piace perché può ridurre le emissioni di Co2. Ma quali altri benefici ci sono rispetto agli altri tipi di energia?
    «Il nucleare è una forma di energia decarbonizzata che ha il vantaggio di essere a basso costo, 55 euro a megawattora. In questo modo l'Europa sarà più competitiva rispetto a Cina e Usa, dove i prezzi del gas sono fino a 5 volte più bassi».
    Qual è l'approccio degli altri Paesi europei? Dopo Fukushima, non solo l'Italia ma anche altri Stati hanno frenato.
    «Vero, ma ci sono dei cambiamenti in corso. Belgio, Svezia, Olanda e Svizzera che avevano rinunciato ora stanno tornando al nucleare. Poi ci sono Norvegia e Polonia, che non lo hanno mai avuto e invece ora stanno lanciando nuovi impianti. L'opposizione al nucleare rimane dove la classe politica è stagnante: in Spagna e in Germania, dove però gli industriali stanno conducendo una battaglia per riaverlo».
    Il deficit di energia dell'Italia è oltre i 55 miliardi e importiamo dall'estero il 13-15% di energia nucleare soprattutto da Francia, Svizzera e Slovenia. Cosa si può fare per colmare questo divario?
    «Con il ritorno al nucleare il gap delle importazioni si può ridurre, ma dipenderà anche da quanto gas continuiamo a produrre e in quanto tempo verranno sostituite le centrali a gas da quelle nucleari. È un bilancio difficile da fare e dipende da tanti fattori, uno tra questi sono le rinnovabili. È un'energia pulita i cui investimenti però sono costosi».
    Secondo il piano nazionale integrato energia e clima, varato dal ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin entro il 2050 dovremmo coprire tra l'11 e il 22% dei consumi col nucleare. Sono obiettivi credibili?
    «Sì, sono abbastanza ragionevoli: diciamo che l'11 è un traguardo modesto, mentre il 22% è più ambizioso. Ma è la stessa crescita che si prefiggono Francia e Regno Unito. Forse ci metteremo qualche anno in più ma con l'accordo della politica e dei cittadini è una meta alla nostra portata». —
  3. Il procuratore Pacileo: le aziende capiscano che le precauzioni convengono
    Pochi ispettori e incidenti in aumento Sicurezza sul lavoro, dieci reati al giorno

    «Ogni giorno riceviamo in Procura una decina di notizie di reato su violazioni in merito alla prevenzione anti-infortunistica». Le parole del Procuratore del Tribunale di Torino Vincenzo Pacileo ritraggono la profonda spaccatura tra il ricco quadro di norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e «un'applicazione molto frammentaria». Ieri Pacileo era ospite della festa della Fiom allo Sporting Dora di corso Umbria, il tema erano i trent'anni della legge 626, che mise l'Italia alla pari con gli altri Paesi europei in fatto di leggi sul lavoro. Dal palco, il procuratore ha spiegato che spesso le violazioni sono «molto formali, senza impatto diretto sul presidio di sicurezza. Ma sono significative di quanto sia diffusa la mancanza di rispetto della normativa di base, che serve a tutelare il lavoratore».
    Spesso le aziende sanano le irregolarità dopo aver pagato una sanzione ridotta. «L'obiettivo – ha spiegato Pacileo – è regolarizzare e non punire». Altre volte il procedimento va avanti, ma col rischio che la prescrizione arrivi prima della sentenza. «Il Tribunale ha faticato, la Corte d'Appello ancora di più» ha commentato il procuratore. L'azione della giustizia resta fondamentale anche in materia di prevenzione: «Ciascun processo dovrebbe avere una funzione di monito per le imprese, per capire che rispettare le regole di sicurezza conviene».
    L'altro nodo critico riguarda la carenza di ispettori del lavoro. Gli organici si sono assottigliati nel corso degli anni: dai 165 del 2018 ai 148 di fine 2022. Di questi, solo 128 hanno la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, indispensabile per gli accertamenti sui luoghi di lavoro. «Se le aziende sanno che l'organo di vigilanza non ci sarà, l'azione deterrente insita nei controlli viene automaticamente meno» ha commentato il medico del lavoro Annalisa Lantermo. Così crescono non solo gli incidenti sul lavoro (che in Piemonte segnano un +4% nei primi cinque mesi del 2024 rispetto all'anno precedente) ma anche i morti, che in Piemonte nel 2023 sono stati 75. Eppure, come ha illustrato l'ex segretaria Fiom Francesca Re David, «i lavoratori percepiscono la sicurezza e la formazione come valori centrali».

 

 

11.09.24
  1. BORIS L'OPACO :   BORIS JOHNSON COGLIE L’ATOMO – L’EX PREMIER BRITANNICO È STATO NOMINATO AL VERTICE DI UNA SOCIETÀ CHE SI OCCUPA DELL'USO DEL NUCLEARE CIVILE NELLA TRANSIZIONE ENERGETICA – LA “BETTER EARTH LIMITED” È DI PROPRIETÀ DEL MAGNATE DELL'URANIO AMIR ADNANI, CANADESE DI ORIGINI IRANIANE, CHE IN PASSATO HA AVUTO RAPPORTI STRETTI CON STEVE BANNON, L'EX IDEOLOGO DI TRUMP – I DUBBI SULLA TRASPARENZA DELL'OPERAZIONE…

    (ANSA) - L'ex premier conservatore Boris Johnson è stato messo al vertice di una società creata per la promozione dell'uso del nucleare civile nella transizione energetica, la Better Earth Limited, di proprietà di un magnate canadese dell'uranio, di origini iraniane e con interessi d'affari negli Usa, Amir Adnani, accreditato dal Guardian di aver avuto in passato anche relazioni strette con Steve Bannon, l'ex ideologo di Donald Trump, e di esserne stato sostenuto.



    L'ex primo ministro britannico risulta essere direttore e co-presidente della società a partire dal primo di maggio, come emerge sul registro ufficiale delle imprese sul sito del governo. Insieme a lui, all'interno di Better Earth ci sono due suoi fedelissimi: l'ex viceministro Nigel Adams e Charlotte Owen, una giovane assistente di Downing Street con solo pochi anni di esperienza lavorativa nominata da BoJo per un seggio alla Camera dei Lord lo scorso anno all'età di 29 anni (un record), con le inevitabili polemiche.


    L'intera operazione ha sollevato una serie di dubbi di trasparenza rispetto alla natura e ai tempi del rapporto tra Johnson e Adnani. E' emerso infatti che BoJo aveva incontrato Scott Melbye, vicepresidente esecutivo della Uranium Energy Corp - la società principale del tycoon canadese - alla Camera dei Comuni nel maggio 2022 quando era ancora primo ministro. Alla luce dell'incarico in Better Earth sono stati anche rivisti dal Guardian i provvedimenti presi dall'ex premier Tory in favore dell'energia nucleare nel periodo a Downing Street.

 

 

 

 

10.09.24
  1. Un automobilista ha vinto una causa da 6mila euro. La compagnia non voleva rimborsarlo perché non si era rivolto a un carrozziere convenzionato
    L'assicuratore non paga i danni da grandine Il tribunale lo condanna al risarcimento
    elisa sola
    La compagnia di assicurazioni non può rifiutarsi di pagare i danni da grandine soltanto perché l'automobilista ha fatto riparare la macchina da un carrozziere diverso da quelli convenzionati con la stessa compagnia. Lo ha stabilito il tribunale di Torino - sezione civile - che ha condannato un noto assicuratore a risarcire di 10mila euro (di cui seimila di carrozziere e 4mila di spese di lite) il proprietario di una Fiat Doblò rovinata dalla grandine.
    La sentenza è del 29 luglio e si riferisce ai danni di un violento temporale che risale al 17 giugno 2020. Il provvedimento del tribunale, se diventerà definitivo, potrebbe marcare in maniera ancora più profonda la via, già tracciata in giurisprudenza, sulla tutela dei consumatori che a causa del maltempo si sono ritrovati con le auto quasi distrutte. Un evento capitato sempre più spesso negli ultimi mesi nella nostra città, colpita da una raffica di grandinate.
    Il torinese che ha vinto la causa aveva spiegato: «Dopo quella brutta grandinata ho dovuto pagare 6080 euro di tasca mia. Pensavo che fosse solo un anticipo. Avevo stipulato con la mia compagnia una polizza che comprendeva anche i rischi legati a danni da eventi naturali. Quindi ero tranquillo».
    «E per essere ancora più sereno - aveva precisato il proprietario del Doblò - avevo chiamato l'ufficio sinistri, annunciando che mi sarei rivolto dal mio carrozziere di fiducia. E a voce, dalla compagnia, mi avevano detto che mi avrebbero coperto. Al momento di rimborsarmi però, l'assicurazione si è rifiutata. Mi ha detto che siccome non ero andato da un carrozziere convenzionato, non avrei avuto diritto a niente».
    La giudice Claudia Gemelli ha dato ragione al cittadino. «La clausola del contratto che prevede la decadenza dall'indennizzo in caso di riparazione presso altro centro di autoriparazione è nulla - c'è scritto nella sentenza - perché è una clausola vessatoria per lo squilibrio di obblighi e diritti derivanti dal contratto, non oggetto di specifica trattativa individuale, e non conoscibile in ragione della modalità di redazione del modulo contrattuale in violazione dell'articolo 166 del codice di assicurazioni».
    I legali della compagnia avevano ribadito che la clausola della decadenza dell'indennizzo fosse nota.
    Ma per il tribunale non ci sono dubbi: includere nella polizza una clausola per cui si obbliga l'automobilista a rivolgersi a determinati carrozzieri non sarebbe lecito. Perché è una clausola che «determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi». Non solo. La polizza sarebbe stata scritta in maniera ingannevole. «Il contratto deve essere redatto - precisa la giudice - dando particolare evidenza alle clausole che indicano decadenze o limitazioni delle garanzie, in applicazione dei principi di trasparenza, diligenza e correttezza».
    Invece, l'assicurazione avrebbe usato «una tecnica redazionale poco trasparente e del tutto inidonea a porre l'attenzione dell'assicurato sul rischio di non vedersi riconosciuto l'indennizzo, pur a fronte del verificarsi di un rischio assicurato in vigenza di polizza e del regolare pagamento del premio». «Deve ritenersi inefficace nei confronti dell'attore - è la conclusione della sentenza - la clausola volta ad escludere l'indennizzo per l'ipotesi di riparazione in centro diverso da quelli convenzionati con l'assicurazione».
  2. La protesta di una trentina di cittadini contrari alla realizzazione di una Cittadella dello sport . I manifestanti sgomberati dalla polizia
    Tensione per i lavori al parco del Meisino "Verrà danneggiato un ecosistema unico
    "
    Pier Francesco Caracciolo
    Per oltre tre ore hanno bloccato gli operai, impedendo loro di raggiungere il cantiere. Lo hanno fatto occupando, con la loro presenza, l'unica strada sterrata diretta all'area dei lavori. Così ieri, dalle 7, 30 alle 10, 30, una trentina di cittadini hanno rallentato le operazioni per la realizzazione della Cittadella dello sport pianificata dal Comune all'interno del parco del Meisino. Un'operazione di ostruzionismo che si è risolta con lo sgombero da parte degli agenti della Digos e della polizia, questi ultimi in tenuta antisommossa. Sono stati loro, prendendo di peso gli attivisti, a liberare la strada e consentire il passaggio degli operai, a bordo di camion e ruspe.
    Gli agenti hanno operato al termine di una mattinata di tensione. Fin dalle 6, 30 i cittadini, guidati dal comitato "Salviamo il Meisino", avevano occupato via Nietzsche, la strada diretta all'area dei lavori. All'arrivo degli operai, hanno camminato a passo lento dall'ingresso del parco fino al cantiere, costringendo camion e gru a fermarsi alle loro spalle. Una volta al fondo di quel tratto di via, hanno allestito un banchetto e iniziato a fare colazione. È stato quello il momento in cui, dopo aver intimato loro di lasciare la strada, i poliziotti sono interventi, liberando la strada. «Abbiamo cercato, senza violenza, di impedire che il cantiere procedesse – dice Elena Sargiotto, del comitato – La giunta comunale si sta accanendo contro il verde di Torino: il Meisino è un'area protetta, con una eccezionale ricchezza sul piano della biodiversità».
    Si è alzato così il clima di tensione che, da giovedì, si respira al Meisino. Quel giorno, per la prima volta, gli operai si erano presentati nel parco per allestire il cantiere. Un gruppo di attivisti, dialogando con loro, ne aveva rallentato le operazioni. Venerdì gli operai erano tornati al Meisino e avevano dato il via al posizionamento di jersey e transenne, operazione propedeutica all'avvio dei lavori. Gli attivisti, presenti anche quel giorno, si erano limitati a presidiare l'area. «Difendiamo il Meisino» hanno invece urlato ieri, a più riprese, gli attivisti. I residenti del comitato dallo scorso anno si battono a suon di petizioni e manifestazioni in strada contro la realizzazione del progetto. Un'opposizione dettata dal fatto che, a loro dire, «un parco dall'alto valore ambientale verrà irrimediabilmente danneggiato dalle strutture sportive». I lavori, al Meisino, prevedono la realizzazione di un «Centro per l'educazione sportiva e ambientale». Si tratta di un progetto da 11, 5 milioni di euro, finanziato con fondi Pnrr, i cui lavori dureranno poco più di un anno. Nel verde saranno montate attrezzature che consentiranno di praticare diverse discipline, tra cui arrampicata, corsa campestre, tiro con l'arco e ciclocross.
    Quanto successo ieri rappresenta un déjà-vu dei fatti dello scorso febbraio in corso Belgio, a Vanchiglietta. In quel caso un gruppo di residenti era sceso in strada per bloccare gli operai, inviati dal Comune per abbattere gli oltre duecento aceri presenti. Il progetto, dopo di allora, è stato messo in stand-by dal Comune. —
  3. Torino è la prima grande città italiana in cui "Letismart" viene sperimentato
    Il bastone smart per ciechi che dialoga con i semafori
    Un bastone intelligente per persone cieche o ipovedenti. In grado di «dialogare», cioè, con i semafori (e non solo), così da rendere più sicure le camminate di chi, per problemi di vista, in strada fatica a orientarsi. Si chiama Letismart: all'apparenza è un normale bastone bianco, ma ha al suo interno un mini-computer. Una tecnologia grazie alla quale è in grado di far entrare in contatto la persona che lo impugna con il mondo che lo circonda, agevolandone gli spostamenti. Un'operazione che avviene grazie all'installazione, lungo le strade della città, di piccoli radiofari, che trasmettono gli impulsi captati dal bastone smart.
    Il bastone intelligente, prodotto a Trieste dall'azienda Scen, ieri è sbarcato a Torino. La nostra è la prima grande città italiana in cui viene sperimentato (dopo i test nella stessa Trieste e a Mantova). È stato presentato nella sede torinese dell'Unione Ciechi (Uici), in corso Vittorio Emanuele II 63, nel cuore di Torino. Un appuntamento cui sono intervenuti il presidente provinciale dell'Uici, Giovanni Laiolo, e l'assessora all'Innovazione di Torino, Chiara Foglietta.
    Da qualche giorno, viene sperimentato in corso Vittorio, nel tratto tra corso Re Umberto e la stazione di Porta Nuova. Si tratta di un'area con cinque incroci, regolati complessivamente da cinquanta semafori. All'interno dei semafori, con l'aiuto dei tecnici di Iren, sono stati installati cinquanta radiofari. Quando una persona ipovedente, passeggiando sul marciapiede, si avvicina a uno di questi semafori, il bastone lo avverte con un messaggio vocale: «Tra venti metri c'è un semaforo sonoro».
    I radiofari possono essere installati anche in punti strategici della città. A Torino ne è stato posizionato uno all'ingresso di corso Vittorio 63. Avvicinandosi alla porta d'entrata, il bastone fa scattare il messaggio vocale: «Sei a venti metri dalla sede dell'Unione ciechi, trovi l'ingresso sulla destra». Se chi impugna il bastone vuole raggiungerla, preme un pulsante sul bastone stesso. A quel punto dall'ingresso di corso Vittorio 63 parte un cicalino, che aiuta la persona ipovedente a orientarsi. «Ci auguriamo che - dice Laiolo - la rete infrastrutturale torinese necessaria al funzionamento di questo strumento venga ampliata

 

 

 

 

 

 

09.09.24
  1. GLI ERRORI DI JAKY DELL'ELETTO DA DONNA MARELLA IL DISCEPOLO DI MARCHIONNE  :  Dietro le recenti operazioni industriali e le scelte strategiche nel settore automobilistico sembrano celarsi manovre politiche ed economiche volte a indebolire l’industria italiana a favore di altri Paesi europei, in particolare Francia e Polonia. L’acquisizione di Fiat da parte del gruppo francese PSA, che ha portato alla creazione di Stellantis, rappresenta un esempio emblematico di come la Francia abbia ottenuto una significativa influenza su un’importante azienda italiana, con la possibilità di orientare le decisioni aziendali a beneficio degli interessi francesi.

    Questa situazione potrebbe portare a una diminuzione del peso e della competitività dell’industria automobilistica italiana. La strategia sembra implicare il potenziamento degli impianti produttivi in Polonia, dove i costi di manodopera sono più bassi, favorendo così la crescita della produzione in quel Paese a discapito degli stabilimenti italiani. Nel frattempo, gli stabilimenti francesi verrebbero tutelati da riduzioni di personale, mantenendo intatta la capacità produttiva e la competitività dell’industria automobilistica francese. Questa dinamica rischia di danneggiare il settore industriale italiano, portando a una riduzione dei posti di lavoro e a una possibile perdita di competenze tecnologiche.

    Un parallelo interessante è rappresentato dal “triangolo di Weimar“, un forum di cooperazione politica tra Germania, Francia e Polonia, concepito per rafforzare la collaborazione tra questi paesi. In questo contesto, il triangolo di Weimar può essere visto come un mezzo per controbilanciare l’influenza economica e politica della Germania in Europa, con Francia e Polonia impegnate a consolidare la loro posizione geopolitica. In questo scenario, l’Italia potrebbe essere percepita come un concorrente industriale, con alleanze e decisioni economiche orientate a ridurre il suo peso economico e industriale a favore di altri Paesi europei.

    Le decisioni aziendali e le strategie di mercato sembrano essere guidate non solo da logiche economiche ma anche da obiettivi politici e militari, mirati a ristrutturare l’equilibrio del potere industriale in Europa. Il rafforzamento di specifici settori industriali in Polonia e Francia, con un contemporaneo indebolimento dell’industria italiana, potrebbe essere parte di una strategia geopolitica più ampia, con conseguenze significative per l’economia e l’occupazione in Italia. Perché a questo punto possiamo allora parlare in termini legittimi di guerra economica?

    L’idea di una “guerra economica” in questo contesto si riferisce all’uso di strategie economiche e commerciali per ottenere vantaggi geopolitici e indebolire i concorrenti senza ricorrere a conflitti armati. Nel caso specifico descritto, le manovre attuate attraverso l’acquisizione di Fiat da parte del gruppo PSA e la creazione di Stellantis potrebbero essere viste come parte di una strategia più ampia per rimodellare l’industria automobilistica europea a vantaggio di alcuni Paesi, come la Francia e la Polonia, a scapito dell’Italia.

    Questa “guerra economica” si manifesta attraverso diverse tattiche: potenziando la produzione in Polonia e mantenendo intatti i posti di lavoro in Francia, mentre si riducono gli investimenti e l’occupazione in Italia e si indebolisce il sistema industriale italiano.

    Questo potrebbe portare a una perdita di competitività e a una dipendenza crescente dalle decisioni prese da altri Paesi, riducendo la capacità dell’Italia di influenzare le dinamiche del settore automobilistico europeo. Acquisendo una quota significativa di controllo su un’azienda chiave come Fiat, la Francia, tramite PSA e Stellantis, ottiene un’influenza diretta su una parte importante dell’industria automobilistica italiana. Questo controllo consente di dirigere le decisioni aziendali secondo gli interessi francesi, limitando l’autonomia italiana nella gestione delle proprie risorse industriali.

    Un’Italia indebolita industrialmente potrebbe avere meno voce in capitolo nelle decisioni politiche ed economiche dell’UE, mentre la Francia e altri Paesi alleati rafforzano la loro posizione. In sintesi, considerare queste azioni come una forma di “guerra economica” implica riconoscere che le dinamiche economiche e commerciali vengono utilizzate come strumenti per raggiungere obiettivi di potere e influenza geopolitica. Queste strategie non implicano necessariamente un confronto diretto o violento, ma mirano comunque a ottenere un vantaggio strategico significativo su un avversario economico attraverso mezzi economici, piuttosto che militari.
  2. Rania, la regina per Gaza "La pace in cinque punti basta razzismo anti Palestina"
    Francesco Spini
    Inviato a Cernobbio (como)
    Era il 2005 l'ultima volta che Rania di Giordania aveva varcato l'elegante portone di Villa d'Este. E sembra passato un secolo: «Non avrei mai immaginato di guardare indietro a quei giorni e pensare: "Erano tempi più semplici"». Ora la regina torna al Forum di Cernobbio organizzato da Teh-Ambrosetti e propone cinque punti, cinque proposte per favorire la pace tra Israele e Gaza e mettere fine a quello che sua maestà chiama «razzismo anti-palestinese».
    Parte rievocando il fatidico 7 ottobre quando «Israele è stato attaccato da Hamas», con una «escalation violenta che ha scioccato il mondo». Ma racconta anche la risposta di Israele che ha portato il suo blocco su Gaza «a nuovi livelli disumani». Dettaglia con i numeri «una sofferenza civile inimmaginabile», che «viene normalizzata ogni giorno. Ma vi chiedo: provate a immaginare cosa deve essere non essere riuniti qui accanto al bellissimo lago di Como, ma essere un genitore a Gaza…», dove «hai seppellito un figlio… un altro ha perso una gamba e metà del suo peso. Tutta la tua famiglia sta morendo di fame», è il racconto, terribile, della regina di Giordania. E ancora: «Nessun ospedale. Nessuna scuola. Nessuna università ancora in piedi. Quasi ogni quartiere è in macerie».
    Due pesi e due misure, secondo Rania, quelle che il modo applica quando parla di sicurezza per Israele e di sicurezza per Gaza. «Questa svalutazione della vita deve essere chiamata per quello che è: razzismo anti-palestinese», declama di fronte a manager, imprenditori, banchieri e politici che affollano la sala. Si chiede se ci si aspetterebbe da qualunque popolazione occidentale di «tollerare decenni di occupazione, oppressione e violenza». È perentoria nel rivolgersi alla platea di Cernobbio: «Il bagno di sangue si deve fermare». Perché «cosa dovrebbe pensare il Sud Globale quando vede l'Occidente sostenere il popolo ucraino lasciando invece i civili innocenti a Gaza sotto una punizione collettiva senza precedenti?».
    Secondo la sovrana è necessario ora superare e respingere tali «doppi standard» e «trovare un percorso comune verso la pace». I piani per risolvere la situazione non decollano ma non vuole rassegnarsi «a una realtà intollerabile». Propone quindi una «base condivisa, che si fondi su una serie di principi fondamentali su cui tutti possiamo concordare e a cui possiamo aderire». Cinque principi «indiscutibili» che «dovrebbero sostenere tutte le vere iniziative per la pace».
    Punto primo: «Il diritto internazionale deve prevalere, senza eccezioni». Del resto, ammette, «non sono neutrale. Suppongo che nessuno di noi lo sia veramente, per quanto ci sforziamo. Ecco perché abbiamo bisogno della legge». Anzitutto «far rispettare le risoluzioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e rispettare le opinioni e le sentenze dei tribunali internazionali, anche quando sono politicamente scomode». Secondo: «L'autonomia, la dignità e i diritti umani sono universali e assoluti». Dunque la pace «non può essere creata adottando le maniere forti contro una parte più debole costringendola ad accettare condizioni sfavorevoli. Israeliani e palestinesi hanno pari diritto alla sicurezza e all'autodeterminazione. Alcuni Paesi europei hanno riconosciuto questo diritto riconoscendo lo Stato palestinese. Spero che altri Paesi in Europa e altrove facciano lo stesso».
    Terzo punto: «Affinché la giustizia prevalga, bisogna assumersi le responsabilità» delle proprie azioni applicando controlli al potere, sanzionando gli illeciti. «A Gaza, vediamo le conseguenze catastrofiche di questo squilibrio: una nazione potente, che crea condizioni di fame e sfollamento di massa, affronta poche contestazioni». Il rovescio della medaglia della responsabilità «è l'impunità», ricorda Rania di Giordania. E ancora, quarto punto: «La vera sicurezza non è a somma zero. Una pace giusta rende la sicurezza reciproca» perché «l'insicurezza di una parte non serve all'altra. Essa perpetua solo il problema». Infine il quinto principio. «È semplice: le voci estreme - indipendentemente da dove provengano - devono essere escluse dalla conversazione. Il futuro - dice la regina - non può essere tenuto in ostaggio da coloro che sostengono la fame di massa, lo sterminio e l'espulsione… che applaudono la punizione collettiva… che difendono l'indifendibile. Devono essere denunciati e zittiti»
  3. LA LOGGIA UNGHERIA GODE OTTIMA SALUTE E TANTO POTERE: Dossieraggio, il dietrofront di Crosetto: "Nessun sospetto sugli apparati di Sicurezza". La procura di Perugia a caccia delle chat cancellate"
    Le carte di Cantone
    Dai rapporti col Vaticano ai Servizi segreti Cantone indaga sui mandanti di Striano

    giuseppe legato
    I due paragrafi della lunga richiesta di arresto firmata dal procuratore di Perugia Raffaele Cantone sono collegati e seguono l'uno all'altro: numerati 13 e 14. E basterebbero i titoli per spiegare come l'articolata inchiesta su manager politici e vip spiati sia tutt'altro che conclusa. Il primo recita: «I collegamenti di Striano con il Vaticano». Il secondo: «Possibili rapporti con i sistemi di sicurezza (i Servizi ndr)». È questo un fronte misterioso e ancora incompleto che però gli investigatori hanno deciso di percorrere partendo da quattro accessi effettuati dal tenente della Guardia di Finanza all'epoca in cui era in servizio alla Procura Nazionale Antimafia dove coordinava il gruppo Sos (Segnalazioni operazioni sospette). I nomi: Cecilia Marogna, Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi e Fabrizio Tirabassi. Finanzieri, broker, funzionari amministrativi del Vaticano ed ex fonti dei Servizi segreti, tutti recentemente condannati, sui quali il principale indagato di Perugia avrebbe interrogato il terminale per conoscere dati anagrafici, redditi e catasto. Tutti personaggi coinvolti nell'inchiesta sul cardinale Becciu. Striano li ha effettuati a partire da luglio 2019 quando cioè non vi era discovery sull'attività investigativa del Promotore della giustizia della Santa Sede. Sono dunque «di gran lunga antecedenti al primo atto di indagine» della giustizia inquirente pontificia ovvero alle prime perquisizioni datate 1 ottobre 2019, si legge agli atti. E non aiuta a normalizzare il quadro sempre più popolato di singolari coincidenze sapere che l'inchiesta era partita poco prima dell'estate seguita, il 5 luglio, da una disposizione di Bergoglio alla gendarmeria affinché utilizzassero i più ampi mezzi tecnologici per portare avanti gli accertamenti. La domanda sullo sfondo è semplice: chi ha chiesto al sottufficiale della Finanza di controllare questi nomi quando gli stessi erano ancora sconosciuti? Cantone chiosa: «Questo ufficio sta svolgendo anche su questi accessi effettuati da Striano ulteriori approfondimenti, ritenendo che l'accesso non ricollegabile ad un'attività dell'ufficio sia, già solo per questo, privo di ragioni di servizio e dunque illecito».
    Ma cospicue tracce del Vaticano si rivengono anche nel capitolo su possibili collegamenti «con gli apparati di sicurezza» altro punto di interesse per gli investigatori. La procura di Perugia cita – a corredo del titolo del paragrafo – un uomo in contatto con Striano «che percepisce – si legge – redditi dal comando generale dei carabinieri dal Comando Generale dei Carabinieri e Presidenza del Consiglio dei Ministri».
    Chiede al tenente informazioni riservate su un monsignore che ha lavorato a lungo negli anni precedenti nella segreteria di stato della Santa Sede. Si chiama Giovanni Hermes Viale (non indagato): «Questo è un pezzo da novanta» dice Striano all'interlocutore nelle chat. Gli investigatori riferiscono «di un'anomala movimentazione costituita da rilevante operatività in contanti» sul conto corrente personale del prelato: «Tale operatività, inusuale e di critica tracciabilità, potrebbe assumere rilevanza in considerazione di alcuni pregressi coinvolgimenti del prelato in talune vicende riportate dai media». Striano e il misterioso carabiniere parlano anche di alcuni «amici» che vogliono sapere se alcune ditte «da cui devono rifornirsi» sono «apposto». Un titolare ha precedenti penali «ma se "gli amici" ci offrono una bistecca glielo diciamo noi chi scegliere». Parlano dei Servizi? Di certo c'è che «il collegamento con …(il militare)…, pare essere riconducibile a rapporti con il Vaticano o comunque a richiesta di informazioni relative a soggetti, come Viale, che hanno rivestito ruoli di rilievo nello Stato Pontificio». Intanto sempre i pm di Perugia hanno notato la stranezza «di alcune chat cancellate» dal telefono di Striano. «Inimmaginabile» che fonti con cui ha scambiato centinaia di file non abbiano avuto contatti di messaggistica. Ergo: «Questo ufficio – scrive Cantone – ha delegato specifici accertamenti in ordine alla possibilità di recupero di eventuali chat cancellate. Tale dato potrebbe risultare da apposita interrogazione della società statunitense Meta, proprietaria e gestore dell'applicativo di messaggistica istantanea WhatsApp». Infine ieri il ministro Crosetto è intervenuto sulla notizia di suoi "sospetti" che alcune informazioni finite ai giornalisti fossero uscite dagli apparati di Sicurezza. «L'idea stessa – ha detto – che la mia sfiducia riguardasse» i servizi «o i suoi vertici è più ridicola che falsa. Mi ero limitato a evidenziare al Procuratore capo di Perugia come una notizia (irrilevante e anche falsificata) apparsa su un quotidiano non potesse che provenire dall'interno dell'Aise, trattandosi di questioni secretate. Su questa vicenda, di cui avevo informato i vertici del comparto, ho poi avuto totale e piena cooperazione». Eppure era stata la stessa procura di Perugia, nel capitolo relativo agli accessi abusivi effettuati da Striano su di lui (e da Crosetto denunciati) a spiegare come «il ministro ha rappresentato agli inquirenti le sue perplessità sulla possibile provenienza dell'informazione dall'interno degli stessi apparati di sicurezza».
  4. Attenzione! La nuova gabella bancaria: imporre contratti di consulenza anche col silenzio-assenso
    Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano di lunedì 19 agosto 2024 a pag. 15

    | Attualità | Danni del risparmio gestito
    banca intesa sanpaolo banca investis
    Le banche italiane mal sopportano i risparmiatori cui non riescono a raschiare via molti soldi, perché refrattari ai loro prodotti finanziari o pseudo-assicurativi. Ci vuole una tempra d’acciaio, eppure qualcuno pervicacemente resiste: non si lascia spolpare dal risparmio gestito e continua a fare da sé, comprando alcuni o molti titoli. Ma la banca premurosa non vuole lasciarlo solo: un tipico caso per cui vale il proverbio “Meglio soli che male accompagnati”.

    Cos’hanno infatti pensato? A chi ha Btp, Cct, azioni ecc. cercano di appioppare un contratto di consulenza e alcuni addirittura minacciano di chiudere il conto a chi non obbedisce. Il fenomeno è generale. Si va da grosse banche come Intesa-Sanpaolo con la “consulenza evoluta di Valore Insieme”, a realtà minori come per esempio Banca Investis con la “consulenza Universo”. Le tariffe sono pesanti, intorno all’1-1,5% annuo del patrimonio, nell’ordine quindi delle commissioni addebitate da molti fondi comuni.

    Sono proposte da rifiutare senza perdere tempo in approfondimenti inutili. Oltre ai consigli interessati, c’è da aspettarsi di essere sommersi da una fiumana di analisi, statistiche, report inutili. Nel caso migliore è beneficienza alla banca, nell’ipotesi più probabile un modo per trovarsi sul groppone fondi, polizze, piani pensionistici e simili, consigliati però in modo “evoluto” e non involuto.

    È come se per la propria salute uno s’affidasse per assurdo a un farmacista disonesto. C’è da attendersi che spingerebbe in continuazione ogni tipo di medicina; comunque sempre cure farmacologiche e giammai chirurgiche, che non tratta. Così il sedicente consulente dietro lo sportello consiglierà prodotti su cui la banca arraffa più soldi. Mai e poi mai invece i buoni fruttiferi postali.

    Sono inoltre esose le percentuali richieste. Vi sono consulenti veri, cioè di fatto e non solo di nome, che prendono meno. Che poi trovarne uno competente sia impresa ardua è un altro discorso; ma ciò vale pure coi bancari.

    Per giunta alcune banche incastrano i clienti col silenzio-assenso. Non è raro che abbiano fatto accettare a tutti un rapporto di consulenza gratuito, giustificandolo come una soluzione per semplificare alcune procedure. A questo punto gli basta comunicare la modifica unilaterale del contratto, che porta la commissione annua dallo zero all’1%. Se uno non risponde entro il tempo previsto, è incastrato. È una specie di pesca a strascico: i più distratti o incompetenti restano impigliati nella rete.

    Come in altri casi, corrono rischi soprattutto quanti hanno rinunciato a ricevere in forma cartacea la posta della banca al proprio domicilio (o altro recapito), optando per la documentazione online. Così gli sfuggono facilmente comunicazioni importanti. Richiedere quindi senza indugio la ripresa degli invii per posta. Carta canta.

    Beppe Scienza
  5. Il governo vuole dare il TFR ai fondi: ecco perché non funziona
    Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano di martedì 27 agosto 2024 a pag. 5
    | Attualità | Fondi pensione o TFR

    La ministra del lavoro Marina Elvira Calderone ha parlato della «riapertura di un semestre di silenzio-assenso» per la destinazione del Tfr alla previdenza integrativa, cui avrebbero aderito in pochi perché «non è stata spiegata bene». In realtà è il contrario. Fosse stata presentata in modo corretto, avrebbero aderito in meno.

    Il sottosegretario Claudio Durigon della Lega ha poi addirittura annunciato una proposta di legge per il trasferimento obbligatorio del 25% del Tfr nelle forme previdenziali per ovviare alle pensioni prevedibilmente troppo basse. Viste tali esternazioni, merita fare il punto della situazione.

    Precisiamo subito che, come risparmio previdenziale, il buon vecchio TFR ha funzionato in modo egregio in periodi di alta inflazione: +10% di rivalutazione nel 2022 rispetto a perdite medie del fra il 10 e 11% della previdenza integrativa. Ha rispettato le promesse in tempi di bassa inflazione e ha offerto rendimenti fra i più alti con deflazione e tassi negativi. Difficile trovare di meglio per un risparmiatore non incline agli azzardi borsistici. Sull’altro versante, cioè per il datore di lavoro, è una fonte di finanziamento a condizioni ragionevoli. È odiato e attaccato solo da soggetti in conflitto d’interesse: banche, gestori, assicurazioni, sindacati non di base e associazioni padronali, con giornalisti al seguito. Insomma da chi può trarre vantaggi in un modo o nell’altro se esso è trasferito alla previdenza integrativa.

    Ciò chiarito, facciamo due discorsi. Per cominciare è sempre odioso estorcere un accordo col silenzio-assenso, cioè obbligare uno ad attivarsi per impedire che gli cambino le carte in tavola. Si tratta di una furbata per incastrare le persone distratte, meno pronte, non sempre sul chi vive o momentaneamente in difficoltà. Insomma, per approfittare dei più deboli.

    Passando alla proposta di Durigon, non per nulla di estrazione sindacale, c’è un motivo specifico che nei fatti la svuota di validità. Si ricava da dati ufficiali, che però quasi tutti cercano di tenere ben nascosti. Smontano infatti la narrazione propagandistica dominante, secondo cui gli aderenti a fondi pensione e simili se la passerebbero bene nella loro vecchiaia grazie a un reddito aggiuntivo alla pensione dell’Inps.

    Di regola ciò non si verifica affatto. Quasi tutti gli interessati non ricevono nessuna rendita vitalizia, ma semplicemente incassano una singola somma di denaro, come col Tfr. Lo si scopre dalle relazioni annuali dell’organo di vigilanza cioè della Covip, per altro partigiana sfegatata della previdenza integrativa. Prendiamo in particolare i tanto decantati fondi negoziali: nel 2023 il 99% degli interessati ha rinunciato alla rendita e preferito un capitale una tantum: 62.103 rispetto a 574. È così in generale anche per gli anni precedenti e per le altre forme previdenziali, quando più quando meno, dove più dove meno. Nei rari casi poi di rendita spesso non è stata neppure una scelta, ma il risultato di un’imposizione normativa.

    Quindi la proposta di Durigon non va nella direzione di aumentare una pensione pubblica troppo bassa. Ci si può aspettare che quasi tutti gli interessati opterebbero all’età della pensione per un capitale anziché una rendita: pochi maledetti e subito o anche molti benedetti, ma comunque subito. Rispetto al mantenimento del suddetto 25% del Tfr in azienda, tale capitale sarà forse superiore, circa uguale o inferiore; oppure anche sciaguratamente basso in caso di alta inflazione. Se gli va bene, i lavoratori avranno un vantaggio modesto contro la perdita della disponibilità immediata dell’intero Tfr in caso di licenziamento, contro costi che distruggono vantaggi fiscali e contributo datoriale, sempre in totale mancanza di trasparenza. Se gli va male, ci rimetteranno su tutti i fronti. Ci guadagnerebbero i soliti che si avvantaggiano della previdenza integrativa: l’industria parassitaria del risparmio gestito, in questo caso alleata ai sindacati e alle associazioni padronali.

    Restano comunque valide tutte le obiezioni da altri giustamente sollevate. In particolare non aiuterebbe i lavoratori precari senza Tfr, né quelli con redditi talmente bassi che le modestissime cifre accantonate gli frutterebbero ben poco.

    Beppe Scienza
  6. QUELLO CHE DOVEVA FARE JAKY E CHE NON HA FATTO :

    Monaco. BMW prevede di lanciare la sua prima serie in assoluto veicolo elettrico a celle a combustibile di produzione (FCEV) nel 2028, offrendo così clienti un'ulteriore opzione di propulsore completamente elettrico con zero locale emissioni in una BMW. Il BMW Group e la Toyota Motor Corporation sono mettere in comune la loro forza innovativa e le loro capacità tecnologiche per portare una nuova generazione di tecnologia del gruppo propulsore a celle a combustibile al strade. Entrambe le società condividono l'aspirazione di far avanzare l'idrogeno economia e hanno esteso la loro collaborazione per spingere questo a livello locale tecnologia a emissioni zero al livello successivo.

    La principale esperienza di sviluppo del BMW Group nella trazione elettrica le tecnologie sono ancora una volta dimostrate dai suoi incessanti sforzi per far avanzare la tecnologia delle celle a combustibile a idrogeno e il suo abbraccio a 'approccio ‘tecnologia-apertura’ al fine di fornire ai clienti un gamma di soluzioni di mobilità per il futuro.

    “Questa è una pietra miliare nella storia dell'auto: la prima serie in assoluto veicolo a celle a combustibile di produzione che sarà offerto da un premio globale produttore. Alimentato dall'idrogeno e guidato dallo spirito del nostro cooperazione, sottolineerà come si sta modellando il progresso tecnologico mobilità futura, ha detto” Oliver Zipse, presidente del consiglio di amministrazione di Gestione di BMW AG. “E annuncerà un'era di domanda significativa di veicoli elettrici a celle a combustibile.”

    Koji Sato, Presidente e Membro del Consiglio di Amministrazione (Direttore rappresentativo) Toyota Motor Corporation, detto, “Siamo lieti che la collaborazione tra BMW e Toyota abbia entrato in una nuova fase. Nella nostra lunga storia di partnership, abbiamo confermato che BMW e Toyota condividono la stessa passione per le auto e fede in ‘technology openness’ e un approccio ‘multi-pathway’ a neutralità carbonica. Sulla base di questi valori condivisi, approfondiremo il nostro collaborazione in sforzi come lo sviluppo congiunto di sistemi di celle a combustibile di prossima generazione e espansione delle infrastrutture, mirare alla realizzazione di una società dell’idrogeno. Accelereremo i nostri sforzi insieme a BMW e partner in vari settori per realizzare un futuro in cui l’energia dell’idrogeno sostenga la società."

     

    Tecnologia del gruppo propulsore condiviso utilizzata tra i singoli modelli per offrire interessanti opzioni FCEV.

    Il BMW Group e la Toyota Motor Corporation svilupperanno congiuntamente il sistema di propulsione per veicoli passeggeri, con la cella a combustibile centrale tecnologia (le singole celle a combustibile di terza generazione) creando sinergie per applicazioni sia commerciali che di veicoli passeggeri. Il il risultato di questo sforzo di collaborazione verrà utilizzato individualmente modelli sia BMW che Toyota ed amplieranno la gamma di FCEV opzioni a disposizione dei clienti, portando la visione dell'idrogeno mobilità un passo più vicino alla realtà. I clienti possono aspettarsi la BMW e Modelli Toyota FCEV per mantenere le loro identità di marca distinte e caratteristiche, fornendo loro opzioni FCEV individuali da scegliere da. Realizzare sinergie e amalgamare il volume totale di unità di propulsione collaborando allo sviluppo e all'approvvigionamento promette di ridurre i costi della tecnologia delle celle a combustibile.

     

    BMW lancerà il suo primo modello di produzione alimentato a idrogeno in 2028.  

    Dopo aver testato con successo la flotta pilota BMW iX5 Hydrogen in tutto il mondo, il BMW Group si sta ora preparando per la produzione in serie di veicoli con sistemi di azionamento a idrogeno nel 2028 sulla base del tecnologia del gruppo propulsore di nuova generazione sviluppata congiuntamente. La serie i modelli di produzione saranno integrati nel portafoglio esistente di BMW, cioè. BMW offrirà un modello esistente in un ulteriore combustibile a idrogeno variante del sistema di azionamento cellulare. Poiché la tecnologia FCEV è un'altra elettrica tecnologia dei veicoli, il BMW Group la considera esplicitamente complementare la tecnologia di azionamento utilizzata dai veicoli elettrici a batteria (BEV) e successivi ai veicoli elettrici ibridi plug-in (PHEV) e combustione interna motori (ICE).

     

    Un nuovo livello di partnership.

    Il BMW Group e la Toyota Motor Corporation possono guardare indietro un decennio di collaborazione fiduciosa e di successo. Basandosi su questo, le aziende stanno ora estendendo la loro cooperazione per accelerare innovazione dei sistemi di propulsione a celle a combustibile di prossima generazione e pioniere questa nuova tecnologia.

     

    Visione condivisa di far progredire l'economia dell'idrogeno.

    Il percorso per realizzare il pieno potenziale della mobilità dell’idrogeno comprende il suo utilizzo nei veicoli commerciali e l'istituzione di un infrastrutture di rifornimento per tutte le applicazioni di mobilità, comprese veicoli passeggeri alimentati a idrogeno. Riconoscere il complementare natura di queste tecnologie, il BMW Group e il Toyota Motor Le aziende stanno sostenendo l’espansione di entrambi i rifornimenti di idrogeno e infrastruttura di ricarica per veicoli elettrici a batteria. Entrambe le società stanno incoraggiando l’offerta sostenibile di idrogeno creando domanda, lavorare a stretto contatto con le aziende che stanno costruendo idrogeno a basse emissioni di carbonio impianti di produzione, distribuzione e rifornimento.

    Il BMW Group e la Toyota Motor Corporation sostengono la creazione di un quadro favorevole da parte di governi e investitori facilitare la penetrazione nella fase iniziale della mobilità dell'idrogeno e garantire la sua fattibilità economica. Promuovendo l'infrastruttura corrispondente, mirano a stabilire il mercato FCEV come pilastro aggiuntivo accanto ad altre tecnologie di powertrain. Inoltre, le aziende stanno cercando progetti regionali o locali per promuovere ulteriormente il sviluppo di infrastrutture per l'idrogeno attraverso iniziative di collaborazione.

     

    Vantaggi della tecnologia alimentata a idrogeno.

    L'idrogeno è riconosciuto come un promettente vettore energetico futuro per decarbonizzazione globale. Agisce come un efficace mezzo di memorizzazione per fonti energetiche rinnovabili, contribuendo a bilanciare domanda e offerta e consentire un’integrazione più stabile e affidabile delle energie rinnovabili nel rete energetica. L'idrogeno è il pezzo mancante per completare l'elettrico puzzle di mobilità in cui i sistemi di azionamento elettrico a batteria non sono un soluzione ottimale.

 

 

 

08.09.24
  1. Colpita in Cisgiordania a un corteo contro l'espansione illegale delle colonie. La protesta della Casa Bianca. Unrwa in allarme: Gaza allo stremo
    Via da Jenin, l'Idf uccide un'attivista Usa
    Nello Del Gatto
    Gerusalemme
    Israele è uscito dalle città del nord della Cisgiordania, in particolare Jenin e Tulkarem, dove dal 28 agosto è in corso una operazione che i militari hanno definito di antiterrorismo. La notizia è stata diffusa dall'agenzia di stampa palestinese, ma l'esercito, pur non parlando di ritiro o di continuazione delle attività militari nell'area, ha riferito che l'operazione "campi estivi" continuerà fino al raggiungimento dei suoi obiettivi. Per intanto i cittadini di Jenin, Tulkarem, Tubas e dei dintorni di Nablus, hanno potuto riprendere una vita quasi normale, si sono celebrati i funerali di molte delle 33 vittime degli scontri tra esercito e miliziani dei diversi gruppi che popolano l'area.
    Solo a Jenin, sono stati registrati 21 morti. Il sindaco della città, Nidal Obeidi, ha parlato di distruzione senza precedenti, come se fosse un terremoto, con oltre venti chilometri di strade distrutte dai mezzi blindati israeliani.
    In Cisgiordania è stata uccisa da un colpo dei militari, una ragazzina di tredici anni, Bama Laboum. La ragazzina si trovava in casa sua quando all'esterno della stessa, nel suo villaggio, c'è stato uno scontro tra coloni israeliani, protetti dall'esercito, e locali palestinesi. È morta mentre si trovava in camera con sua sorella.
    Non molto lontano un altro colpo partito dal fucile di un militare israeliano ha ucciso una cooperante turco-americana di 26 anni. Aysenur Ezgi era arrivata martedì nei Territori Palestinesi come volontaria dell'International Solidarity Movement (Ism), un'organizzazione palestinese che recluta in tutto il mondo cooperanti per operazione di presenza protettiva. Si trovava a sud di Nablus, a Beita, insieme ad altri sette attivisti. Erano con i palestinesi che protestavano contro l'espansione illegale degli insediamenti a Jabal Sbeih. Per i testimoni, le forze israeliane hanno lanciato gas lacrimogeni così da disperdere i manifestanti e questi si sono ritirati. Nonostante fosse tutto relativamente calmo, soldati israeliani hanno esploso due colpi, uno dei quali è costato la vita ad Aysenur. I volontari dicono che i colpi sono stati esplosi per uccidere. L'esercito, che ha annunciato un'inchiesta, anche se non ha confermato l'uccisione della ragazza americana, ha riferito che le truppe hanno aperto il fuoco contro un «principale istigatore» che stava lanciando pietre alle forze e aveva «rappresentato una minaccia». Il dipartimento di Stato ha espresso le sue condoglianze alla famiglia della vittima, mentre la Casa Bianca si è detta «profondamente disturbata» per l'accaduto. La Turchia ha condannato l'uccisione di Aysenur parlando di «omicidio commesso dal governo Netanyahu». Intanto a Gaza, mentre si è entrati nella seconda fase della vaccinazione per la polio, che ha raggiunto oltre 355 mila bambini secondo l'Unrwa, l'Onu lancia l'allarme sulla situazione umanitaria, soprattutto l'approvvigionamento di cibo, reso ancora più difficile dai numerosi ordini di evacuazione, con più di un milione di persone che non sono riuscite ad avere le razioni necessarie. Sono almeno 33, secondo i palestinesi, le vittime degli scontri di ieri nella Striscia.
    Hamas, che ha condannato l'uccisione della cooperante turco-americana, ha aggiunto altre condizioni per l'accettazione della tregua, soprattutto relative al numero di palestinesi da liberare dalle carceri israeliane.
  2. I SERVIZI SEGRETI DA CHI DIPENDONO ? LOGGIA UNGHERIA : Le intercettazioni di Striano prima di iniziare a spiare più di mille tra vip e manager "Ho ricevuto un ordine preciso, vado a comandare 30 persone, posso fare la guerra"
    I sospetti sui dossieraggi Crosetto: "Sono i servizi"
    Il documento
    giuseppe legato
    Febbraio 2019. Poco prima di effettuare il primo di più di un migliaio di accessi abusivi alle banche dati collegate alla Procura Nazionale antimafia (e cioè a partire dal 23 marzo successivo), il tenente della guardia di Finanza Pasquale Striano, al centro di un'articolata inchiesta della procura di Perugia su presunti dossier contro vip, politici e manager, prometteva di fare una guerra. Non era riuscito a rimanere in forza alla Dia e scambia messaggi con ufficiali e sottufficiali del suo corpo di appartenenza. «Macchè, ma chi torna alla Dia! Ho ricevuto un ordine ben preciso, vado a dirigere trenta persone. Posso fare una guerra: alla Dia si devono vergognare che non hanno fatto niente per trattenermi. Per uno come me dovevano andare dal capo della polizia». Aggiunge: «Il procuratore (Laudati ndr, co-indagato) è andato dal capo di Stato Maggiore per me, che onore!». Nei giorni successivi tutto avverrà: e l'interessamento per Striano di un generale già capo di Stato Maggiore verrà confermato al procuratore Cantone, titolare dell'inchiesta, dal capo della procura nazionale antimafia Giovanni Melillo: «Mi parlò di Striano come ufficiale di polizia giudiziaria di grande esperienza sulla materia». Fatto sta che il tenente "spione", dopo un breve transito nello Scico della Finanza (un gruppo speciale delle fiamme gialle, di eccellenza investigativa) rientra nella procura nazionale antimafia come coordinatore del gruppo Sos (Segnalazioni di operazioni sospette) proprio grazie a Laudati. Di lì, il profluvio di accertamenti illeciti anche sul ministro Guido Crosetto (effettuati tra il 28 luglio e il 20 ottobre 2022 e dalla cui denuncia è originata l'inchiesta). Ministro che in realtà lo scorso gennaio chiede, in prima persona, alla procura di Perugia di essere sentito. Preoccupato di aver letto su un quotidiano (Il Domani), "informazioni riservate coperte da segreto – si legge agli atti della richiesta di misura cautelare per Striano e il magistrato Laudati (difeso dal legale Andrea Castaldo, docente universitario di diritto penale) rigettata nei giorni scorsi dal gip di Perugia - in quanto relative alla partecipazione della moglie, Gaia Saponaro, ad un concorso presso l'Aise che, essendo un'articolazione del Dis, è una struttura le cui procedure di reclutamento del personale sono sottoposte ad un rafforzato sistema di protezione dei dati». Il ministro «ha riferito agli inquirenti anche di aver rappresentato le proprie perplessità sulla possibile provenienza dell'informazione dall'interno degli stessi apparati di sicurezza al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Alfredo Mantovano, e di aver poi direttamente conferito anche con la Presidente del Consiglio (Meloni). Ha aggiunto, altresi, di aver – si legge nelle 200 pagine firmate da Cantone - esplicitato le sue perplessità anche al direttore dell'Aise, il Generale Caravelli, e di aver chiesto di svolgere accertamenti sul punto anche alla direttrice del Dis, Ambasciatrice Elisabetta Belloni». I pm di Perugia sono andati a controllare «e la Presidente del Consiglio, per il tramite del Sottosegretario, ha informato questo ufficio di aver svolto i dovuti accertamenti, escludendo il coinvolgimento degli organismi di intelligence interni».
  3. LA DISPARITA' DEL COSTO ENERGETICO : Bollette, la beffa del mercato libero I vulnerabili pagano le tariffe più alte
    giuliano balestreri
    Il paradosso è servito. Gli utenti vulnerabili - circa 3,8 milioni di persone tra gli over 75 e i percettori di bonus sociali destinati ai bassi redditi - pagano la bolletta della luce più cara di tutti. Un effetto previsto dagli esperti e di cui il governo era stato avvertito, ma che l'esecutivo non è stato in grado di gestire con il passaggio al libero mercato dell'energia.
    Adesso, il pasticcio rischia di trasformarsi in un boomerang oltre ad alimentare nuove tensioni all'interno della maggioranza: la Lega, infatti, aveva chiesto prima una proroga della transizione dal 30 giugno al 31 dicembre - ma la richiesta era stata stoppata dal ministro Raffaele Fitto perché l'addio al mercato tutelato era stato negoziato con la Ue - e poi votato una risoluzione che permette agli utenti vulnerabili di passare in qualunque momento dal mercato tutelato alle tutele graduali.
    A metà luglio il presidente della Commissione attività produttive della Camera, Alberto Gusmeroli, esultava: «Con la risoluzione in commissione approvata dal Governo, anche i clienti vulnerabili, una volta varato il decreto attuativo, potranno chiedere di passare al sistema a tutele graduali. I dati ci dicono poi che 8,4 milioni di utenze vulnerabili si trovano addirittura nel mercato libero, esposte quindi a prezzi superiori a causa del teleselling spesso aggressivo di certi operatori». Il problema è che di quel decreto si sono già perse le tracce. Anche perché i tecnici devono prima capire come intervenire senza creare distorsioni di mercato aprendo, di conseguenza, nuovi fronti con l'Unione europea. D'altra parte l'addio al mercato tutelato dell'Italia - avviato dal governo Renzi nel 2014 - è stato tutt'altro che semplice. A complicare ulteriormente lo scenario hanno contribuito le aste indette per aggiudicarsi gli utenti non vulnerabili rimasti sul mercato tutelato: per vincere 4,5 milioni di clienti, i big del mercato si sono fatti la guerra a colpi di ribassi che ora devono riversare sugli utenti passati al mercato a tutele graduali. L'Arera calcola che beneficieranno di un risparmio medio annuo di circa 130 euro, più del 20% della spesa media di una famiglia tipo (600 euro l'anno).
    Per rendere ancora più intricata la partita, però, l'esecutivo ha permesso a tutti gli utenti già passati al mercato libero di rientrare nel mercato tutelato entro lo scorso 30 giugno: una possibilità accolta da migliaia di famiglie convinte dalla prospettiva di risparmiare decine di euro. Una possibilità comunicata con chiarezza anche dall'Arera, ma che è rimasta ignota a milioni di vulnerabili.
    «La scelta di permettere a chiunque di rientrare sul mercato tutelato per poi essere assegnato alle tutele graduali è un controsenso» ragiona un manager del settore che poi aggiunge: «Frena il libero mercato, avvantaggia gli operatori più grandi che possono permettersi di lavorare in perdita sui clienti retail e penalizza chi avrebbe avuto davvero bisogno di risparmiare». Di certo, a oggi, l'addio al mercato tutelato ha penalizzato tutti gli utenti: sul mercato libero le tariffe sono in alcuni casi più care del 50 per cento. Motivo per cui, già a marzo, il presidente di Arera, Stefano Besseghini, ipotizzava la necessità di «interventi ulteriori e diversi in relazione ai clienti vulnerabili».
  4. GRAZIE A FASSINO E MARCHIONNE CHE SPOSTO UN POLONIA LA PANDA  : In un anno richieste 17 milioni di ore. La Uil: "Nel 2025 gli ammortizzatori potrebbero finire". L'allarme: "A Mirafiori la produzione è calata dell'83%"
    Torino prima in Italia per cassa integrazione La Fiom: "Si temono nuovi fermi produttivi "
    Paolo Varetto
    Gli operai sono tornati a Mirafiori questa settimana. Ma il timore della Fiom, con il segretario generale di Torino Edi Lazzi, è che la prossima settimana possa arrivare l'annuncio di un nuovo periodo di cassa integrazione. «Con il rischio che entro la fine dell'anno possa superare il numero delle giornate di lavoro effettivo».
    Il sintomo di un male ormai endemico, visto che Torino si conferma la città più cassaintegrata d'Italia in tutti i settori, con 17 milioni di ore e un aumento del 72,4% rispetto ai primi sette mesi dello scorso anno. «Ma è tutto il Piemonte a registrare dati sempre più preoccupanti – garantisce il segretario regionale della Uil Gianni Cortese –, con un monte ore doppio: se nel resto d'Italia l'aumento delle richieste è stato del 20%, noi siamo al 40%».
    Ora le preoccupazioni si spostano sul 2025, quando terminerà il quinquennio sul quale si calcola il tetto massimo dei 36 mesi degli ammortizzatori sociali. «E sempre più aziende – anticipa Cortese – sono ormai al limite. Se dovessero esaurirli, la paura è che si possa passare ai tagli al personale, e quindi ai licenziamenti».
    In questo quadro emerge il caso Mirafiori sollevato ieri mattina dalla Fiom nel corso della presentazione della sua festa allo Sporting Dora. «Fino a settembre – ha annunciato Lazzi – nello stabilimento sono state prodotte 18.500 auto contro le 52 mila dello stesso periodo 2023, con un calo dell'83%. Se il trend proseguirà così, il 2024 si chiuderà con 20 mila unità prodotte, numero lontanissimo dalle 200 mila necessarie per mantenere in vita il sito produttivo. Fossero anche 100 mila non basterebbero a risolvere le difficoltà. In queste condizioni a preoccupare è il livello di scontro sociale, destinato ad aumentare: la gente è stufa». Situazione confermata anche dal segretario piemontese Fiom, Valter Vergnano: «Le difficoltà del mercato dell'auto pesano anche sull'indotto. Gli effetti non si stanno facendo sentire solo a Torino, ma anche sulle altre province». Resta l'interrogativo di fondo: che fare? «Portare a Mirafiori nuovi modelli – assicura il segretario cittadino dei metalmeccanici della Cgil –, auto per il mercato di massa, che costino poco e possano essere acquistate anche dalle persone normali». Ma il problema è globale: senza ordini non c'è produzione e lo dimostrano pure gli annunci di Volkswagen (che sta valutando di chiudere stabilimenti in Germania) e Toyota che taglia del 30% l'obiettivo di produzione delle elettriche.
    Sullo sfondo deve però esserci una strategia che coinvolga il governo e Stellantis e che vada oltre i semplici incentivi: «Se vogliamo andare verso la mobilità elettrica – assicura Lazzi – allora servono investimenti pubblici e privati per l'infrastrutturazione del Paese». Ma già nelle scorse settimane Stellantis, rispondendo al ministro Adolfo Urso, aveva ribadito gli impegni presi, che vedono il polo produttivo di Torino centrale per la trasformazione in corso: «Stellantis - aveva fatto sapere il gruppo - rimane concentrata sull'esecuzione del piano per l'Italia per i prossimi anni, già comunicato ai partner sindacali, che include progetti importanti come quello per Mirafiori 2030».
  5. IL DIRITTO DI SBAGLIARE : Le motivazioni del proscioglimento di Chiamparino, Appendino e Fassino Secondo il tribunale non si poteva mettere in campo alcuna soluzione
    Sindaci e amministratori non punibili per lo smog "Impossibile impedirlo"
    giuseppe legato
    In 38 pagine, depositate l'altroieri in Cancelleria, il giudice Roberto Ruscello ha spiegato perché i titoli di reato contestati dal pm Gianfranco Colace ad amministratori ed ex amministratori che si sono succeduti alla guida di Comune e regione dal 2015 al 2019, non potessero condurre a un processo vero e proprio sull'inquinamento ambientale colposo che ha colpito la città di Torino. Con questo titolo di reato erano stati indagati Sergio Chiamparino, Piero Fassino, Chiara Appendino, Alberto Valmaggia, Enzo La Volta, Stefania Giannuzzi e Alberto Unia (gli ultimi quattro in qualità di assessori all'Ambiente). Tutti prosciolti. Perché il fatto non sussiste. Non c'è responsabilità e nemmeno nesso di causalità tra le misure adottate (o non adottate) dagli amministratori e l'innalzamento dei livelli di inquinamento. Tra i quali soltanto il pm10, – o perlomeno in misura preponderante – ha sforato in maniera significativa le soglie. Non così è stato per il pm 2, 5, per il biossido di azoto e per altre 4 sostanze indicate dal legislatore come inquinanti: «È solo il pm10 – scrive il giudice – che si è manifestato con una durata tale per comportare un deterioramento dell'aria in termini penalmente rilevanti». La procura ha anche contestato che la Regione non si sia attivata, in assenza o in carenza di misure efficaci da parte dei Comuni utilizzando poteri sostitutivi: Il giudice chiarisce: «Dal testo della norma non si ricava alcun obbligo specifico e puntuale in ordine all'impedimento di eventi di inquinamento a carico di alcun soggetto e, tanto meno, a carico del presidente della Regione e dell'assessore regionale all'ambiente». Ma è nella chiosa delle motivazioni che si rintracciano altre valutazioni: «Vero è, piuttosto, che tutte le indicazioni ricavabili dagli elementi di natura scientifica acquisiti agli atti concordano sulla circostanza che l'accumulo di Pm10 nell'aria della città di Torino sia da attribuire in misura preponderante alle emissioni generate dal traffico veicolare». Quindi colpa delle troppe macchine inquinanti. «Ciò comporta che la principale, se non l'unica, misura che l'amministrazione pubblica avrebbe dovuto in ipotesi adottare ai fini di impedire il ripetuto superamento dei valori limite consentiti sarebbe dovuta consistere nel divieto pressoché assoluto dell'utilizzo di mezzi di trasporto a combustione e, tuttavia, non può non considerarsi come l'adozione di simili misure, astrattamente idonee ad impedire l'evento naturalistico (l'inquinamento), presentano evidenti criticità rispetto alla tutela di altri interessi altrettanto meritevoli di attenzione che attengono». Quali? «La libertà di circolazione delle persone e la tutela dell'occupazione e delle attività economiche che vengono inevitabilmente pregiudicati dal blocco del traffico veicolare». Il legale di Fassino Nicola Gianaria commenta: «Le motivazioni del giudice accolgono sostanzialmente tutte le tesi difensive e dimostrano come la sede penale non sia quella corretta per affrontare questi temi». Aggiunge. «Questa inchiesta è stato il primo e unico esperimento giuridico in Italia, ma non è riuscito».

 

 

07.09.24
  1. contestato il centro sportivo
    Protesta dei residenti al parco del Meisino "Fermate il cantiere"
    Sono scesi in strada e si sono frapposti fra i camion con a bordo gli operai e l'area di cantiere. Così, l'altro ieri, un gruppo di residenti di Sassi ha bloccato l'avvio dei lavori al parco del Meisino. Il riferimento è all'intervento pianificato dal Comune per la realizzazione di un centro sportivo, contestato da un'ampia fetta della cittadinanza in nome delle peculiarità naturalistiche del polmone verde. Si è trattato di una protesta soft, che però si è trascinata per sette ore, monitorata dagli agenti della Digos. Gli attivisti di «Salviamo il Meisino» hanno presidiato il parco dalle 9 fino alle 16, quando i mezzi di cantiere hanno lasciato l'area.
    Gli operai, dal canto loro, non hanno forzato la mano. Si sono limitati a posare alcuni jersey in cemento sul prato, senza aprire un vero e proprio cantiere. Si tratta di un déjà-vu di quanto accaduto lo scorso febbraio in corso Belgio, dove alcune decine di residenti si erano messi in mezzo tra gli aceri del corso e gli operai che, motoseghe alla mano, si erano presentati a Vanchiglietta per tagliarli. Una protesta, quella di allora, poi sfociata in un ricorso e nel conseguente stop (temporaneo) ai lavori.
    Al Meisino, l'altro ieri, non si sono registrati momenti di tensione: «Ci siamo limitati a dialogare con gli operai» spiega Bruno Morra, esponente del comitato «Salviamo il Meisino». Ciò non toglie, aggiunge, che le iniziative di dissenso proseguiranno a oltranza: «Quando gli operai torneranno lo faremo anche noi – assicura – Rappresentiamo gli oltre novemila cittadini che hanno firmato la petizione online contro il progetto».
    Il piano d'intervento del Comune, da 11, 5 milioni, partirà dal recupero dell'ex galoppatoio. Prevede in uno spicchio di parco la realizzazione di strutture sportive per diverse attività, tra cui arrampicata, corsa campestre, tiro con l'arco, ciclocross, biathlon e cricket. Dalla Città assicurano che la protesta dell'altro ieri non ha rallentato l'avvio dei lavori: il cantiere, come da programma, sarà aperto nei prossimi giorni.

 

 

 

 

06.09.24
  1. SONO ANNI CHE SUGGERISCO LE TETTOIE SULLE SCALE MOBILI  DELLA METRO DI TORINO MA IL SINDACO  LORUSSO ABOLIRA'  LE SCALE MOBILI SULLA LINEA 2 PERCHE' NON SI ROMPANO:  " Noi penalizzati dai temporali I disagi ci costano un milione l'anno"
    ANDREA JOLY
    «Dopo gli ultimi controlli funzionava tutto. I disservizi della metro di lunedì sono stati causati da un forte temporale nella notte». In che senso? «Ha causato uno sbalzo di tensione». Serena Lancione, ad del Gruppo Torinese Trasporti, risponde così agli attacchi ricevuti per le 32 scale mobili bloccate nel giorno della grande riapertura della metropolitana. E sottolinea: «Siamo intervenuti subito». Restano dieci impianti da riparare: 5 rientreranno in funzione entro il 18 settembre.
    Lancione, come spiega i continui disagi su scale mobili e ascensori?
    «Quello di lunedì è stato un caso straordinario ed estemporaneo, causato da un forte temporale nella notte che ha causato uno sbalzo di tensione».
    È colpa della pioggia?
    «In questo caso sì. E ovviamente ci scusiamo coi cittadini. Da parte nostra, possiamo intervenire bene e subito ed è quello che abbiamo fatto lunedì stesso».
    Quando non piove, invece, la colpa di chi è?
    «Le scale mobili hanno 17 anni e ci sono dei problemi strutturali. Per far sì che non si ripetano servirebbe coprire quelle esterne soggette a interperie».
    È una proposta nota. Si sta andando in quella direzione, 17 anni dopo?
    «Sono state fatte delle ipotesi. Il tema, qui, è legato alle risorse, e una richiesta sarà fatta. Serve un investimento importante ma alla luce delle nostre spese varrebbe la pena farli».
    Quanto spendete per gli interventi?
    «Fino a un milione di euro l'anno. E abbiamo raddoppiato il budget per l'appalto alla ditta che deve intervenire sulla manutenzione ordinaria e straordinaria».
    Risorse che potrebbero essere dirottate altrove?
    «Sicuramente».
    Magari sulla metropolitana aperta ad agosto?
    «No, la scelta della chiusura estiva dipende da Infra.To (società di proprietà della Città che gestisce i lavori sull'infrastruttura, ndr). In quel caso è un tema di sicurezza».
    Perché le altre metro nel mondo non chiudono per un mese?
    «Alla luce del prolungamento della Linea 1 è necessario farlo. Ed è anche il motivo delle chiusure serali anticipate, eccezion fatta per il venerdì e sabato».
    Da domenica a giovedì chiuderà alle 21,30 ancora per molto?
    «Dipende dai lavori. Le chiusure aiutano a velocizzare l'arrivo fino a Cascine Vica».
    Si dovrà aspettare fino al 2026, quando vedrà la luce il nuovo tratto?
    «Speriamo prima. La città ha chiesto a Infra.To di fare un programma di lavoro che possa prevedere nel prossimo futuro il ripristino di alcune fasce orarie serali, come già capita in occasione dei grandi eventi come il Salone del Libro, ma senza rallentare l'opera».
    Insomma, citofonare Infra.To. Ma Gtt cosa può fare?
    «Lavorare in sinergia con la Città e Infra.To. Sulle scale mobili, poi, entro prossima settimana attiveremo una task force in collaborazione col Politecnico».
    In cosa consisterà?
    «Chiediamo aiuto a un docente esperto per indagare a fondo le cause degli eventi».
    Solo questo?
    «Lavoreremo insieme. Intanto proseguiamo con gli altri interventi. Dal punto di vista del personale le selezioni sono aperte, perché non manchino gli autisti. Abbiamo attivato servizi con WeTaxi e Bird per creare un'offerta più ampia. A dicembre arrivano i primi 80 dei 225 nuovi bus elettrici che aumenteranno la qualità del servizio».
    Ecco: i cittadini lamentano ritardi e disservizi anche sui pullman. A partire dai sostitutivi della metro. Soluzioni?
    «Quest'estate abbiamo potenziato il servizio e i risultati ci hanno dimostrato di saper reggere una situazione complessa con la metro chiusa».
    Ha visto le code alle fermate?
    «Credo siano fisiologiche. Poi certo: possiamo migliorare e lavoriamo tutti i giorni per farlo. Siamo consapevoli che dovremo dedicarsi alla regolarità del servizio offerto. Ma servono anche più risorse: il fondo nazionale per il trasporto pubblico locale è fermo dal 2012. Il costo delle materie prime no».
    Per questo visto i disservizi non si può abbassare il biglietto della metro?
    «Guardi che abbiamo ritoccato solo il costo della corsa semplice, non quello degli abbonamenti».
    Lo sa che Forza Italia chiede le dimissioni dell'assessora comunale ai trasporti Chiara Foglietta?
    «Per me è la persona giusta. Il lavoro con l'assessora funziona, è l'interlocutrice ideale. Ha un approccio critico, ma costruttivo».
  2. IA FLOP:  

    econdo Gartner, almeno il 30% dei progetti di IA generativa (GenAI) sarà abbandonato dopo la POC (proof of concept) entro la fine del 2025. Le cause più comuni dei fallimenti dell’IA sono scarsa qualità dei dati, dell’inadeguatezza dei controlli sui rischi, dell’aumento dei costi o della scarsa chiarezza del valore aziendale.

    Dopo il clamore dello scorso anno, i manager sono impazienti di vedere i ritorni degli investimenti in GenAI”, spiega Rita Sallam, Distinguished VP Analyst di Gartner. “Ma le organizzazioni stanno facendo fatica a dimostrare e realizzare il valore. Man mano che la portata dei progetti IA si allarga, l’onere finanziario dello sviluppo e dell’implementazione di modelli GenAI si fa sempre più sentire”.

    Secondo Gartner, una delle principali sfide per le organizzazioni consiste nel giustificare gli ingenti investimenti in GenAI per il miglioramento della produttività, che può essere difficile da tradurre direttamente in benefici finanziari. Molte organizzazioni stanno sfruttando la GenAI per trasformare i propri modelli di business e creare nuove opportunità commerciali. Tuttavia, questi approcci di implementazione comportano costi significativi, che vanno da 5 a 20 milioni di dollari.

    “Purtroppo non esiste una taglia unica per GenAI e i costi non sono prevedibili come quelli di altre tecnologie”, aggiunge Sallam. “La spesa, i casi d’uso in cui si investe e gli approcci di implementazione adottati determinano i costi. Sia che si tratti di un’azienda che vuole rivoluzionare il mercato e infondere l’IA ovunque, sia che ci si concentri in modo più conservativo sull’aumento della produttività o sull’estensione dei processi esistenti, ognuno di questi aspetti ha diversi livelli di costo, rischio, variabilità e impatto strategico”.

    Indipendentemente dalle ambizioni dell’intelligenza artificiale, la ricerca Gartner indica che l’IA richiede una maggiore tolleranza per i criteri di investimento finanziario indiretto e futuro rispetto al ritorno immediato sugli investimenti (ROI). Si sa che i CFO non amano investire sulla base di ritorni incerti sia nei tempi che nelle dimensioni. Questo chiaramente favorisce i progetti IA più orientati verso risultati tattici che strategici.

    progetti ia

    Costi sostenuti in diversi approcci di implementazione della GenAI

    Realizzare il valore aziendale dei progetti IA

    I primi che hanno adottato soluzioni IA in tutti i settori e processi aziendali riportano una serie di miglioramenti aziendali che variano a seconda del caso d’uso, del tipo di lavoro e del livello di competenza del lavoratore. Secondo una recente indagine di Gartner, gli intervistati hanno registrato in media un aumento dei ricavi del 15,8%, un risparmio sui costi del 15,2% e un miglioramento della produttività del 22,6%. L’indagine, condotta tra settembre e novembre 2023 su un campione di 822 dirigenti d’azienda, ha evidenziato che le soluzioni di business sono state utilizzate in modo mirato.

    “Questi dati costituiscono un prezioso punto di riferimento per valutare il valore aziendale derivante dall’innovazione del modello di business GenAI”, ha dichiarato Sallam. “Ma è importante riconoscere le difficoltà che si incontrano nello stimare tale valore, poiché i benefici sono molto specifici per l’azienda, il caso d’uso, il ruolo e la forza lavoro. Spesso l’impatto può non essere immediatamente evidente e può concretizzarsi nel tempo. Tuttavia, questo ritardo non diminuisce i benefici potenziali”.

    Secondo Gartner, analizzando il valore aziendale e i costi totali dell’innovazione del modello di business GenAI, le organizzazioni possono stabilire il ROI diretto e l’impatto sul valore futuro. Questo è uno strumento fondamentale per prendere decisioni di investimento informate sull’innovazione del modello di business GenAI.

    “Se i risultati aziendali soddisfano o superano le aspettative, si presenta l’opportunità di espandere gli investimenti scalando l’innovazione e l’utilizzo di GenAI su una base di utenti più ampia o implementandola in ulteriori divisioni aziendali”, conclude Sallam. “Tuttavia, se i risultati non sono soddisfacenti, potrebbe essere necessario esplorare scenari di innovazione alternativi. Queste informazioni aiutano le aziende ad allocare strategicamente le risorse e a determinare il percorso più efficace da seguire”.

 

05.09.24
  1. Giallo anche sulle riunioni per il G7 a Pompei: "Sicuri che non ci siamo scambiati informazioni? "
    La verità della manager sulle trasferte "Mai pagato, rimborsava il ministero "
    Grazia Longo
    Roma
    Durante le ultime ore, nelle sue storie su Instagram Maria Rosaria Boccia, scrive sostanzialmente due cose. La prima: «Io non ho mai pagato nulla. Mi è sempre stato detto che il ministero rimborsava le spese dei consiglieri». La seconda, in merito al G7 della cultura a Pompei: «Davvero non abbiamo mai fatto riunioni operative? Non abbiamo mai fatto sopralluoghi? Non ci siamo mai scambiati informazioni?» alludendo chiaramente al fatto che le riunioni ci sono state, eccome. In entrambi casi il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano nega le circostanze. Ma non è il solo. A proposito della programmazione del G7, anche il sindaco di Pompei, Carmine Lo Sapio, in linea con il ministro, ribadisce che l'influencer e imprenditrice di moda non è mai stata coinvolta per l'importante meeting internazionale. Eppure è stato smentito da un suo post su Facebook che dimostra esattamente il contrario.
    Ieri, infatti, gli abbiamo sottoposto alcune foto che lo ritraggono, insieme a Boccia e Sangiuliano, in Comune il 3 giugno scorso. Proprio il giorno in cui è stato effettuato il sopralluogo agli scavi in previsione del G7. «Ci eravamo visti giusto per un caffè». Possibile, solo un caffè senza parlare del G7? «Proprio così, abbiamo parlato solo dell'illuminazione notturna degli scavi». Nessun cenno al G7? «Nessuno». A dir poco scarsa memoria. Ecco infatti spuntare fuori il post del sindaco su Facebook del 3 giugno in cui lui scriveva: «G7 a Pompei. Il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano incontra il sindaco Carmine Lo Sapio al Comune per definire i dettagli dell'organizzazione del G7, che si svolgerà a Pompei il prossimo 19 settembre. Al termine dell'incontro il sindaco Lo Sapio ha accompagnato il ministro Sangiuliano da sua eccellenza l'arcivescovo monsignor Tommaso Caputo». E poi allegate le foto del gruppo intorno al tavolo, e un selfie, sempre di gruppo, scattato proprio da Maria Rosaria Boccia, ben evidente in primo piano.
    In merito alle spese per finanziare viaggi e hotel, invece, per la sua presenza a Taormina per assistere al Taobuk Award Gala 2024, lo scorso 22 giugno, Maria Rosaria Boccia «ha provveduto personalmente al pagamento del viaggio e dell'albergo». Lo dichiara una fonte qualificata del festival internazionale che sottolinea che «è tutto tracciabile».
    E per la presenza di Sangiuliano e Boccia al Festival della bellezza a febbraio alla trasferta a Riva Ligure, il sindaco Giorgio Giuffra assicura: «Ho pagato io personalmente la trasferta». Poi il ritorno della coppia a Sanremo, a spese del casinò per i Martedì Letterari.
    E per le altre trasferte? Chi ha pagato? Maria Rosaria Boccia, due lauree in Economia di cui una telematica, racconta la verità quando dice che era rimborsata dal ministero della Cultura? Nella biografia di Instagram si definisce come presidente della Fashion Week Milano Moda, malgrado la diffida della Camera della Moda del capoluogo lombardo ad usare quel marchio. Di sicuro è una donna dai vari interessi alla ricerca di nuove esperienze. Secondo l'opposizione consiliare di Pompei si deve proprio a lei la scelta degli scavi come sede del G7. «È grazie alla sua mediazione che si è rafforzato il rapporto tra il sindaco Lo Sapio e Sangiuliano. Non a caso quest'ultimo il 23 luglio ha ricevuto anche la chiave d'oro della città per un costo di 14 mila euro». Ma il sindaco replica: «Queste sono assolute fantasie. È folle pensare e insinuare che ci sia stato da parte della signora Boccia o di qualcun altro una minima collaborazione a questa iniziativa di Pompei. La chiave d'oro, poi, l'avevo data anche all'ex ministro Franceschini il 20 maggio 2021».
  2. Aziende in crisi per il caro-bollette Pagano il 50% in più della media Ue
    Alessandro Fontana Direttore del Csc
    Alberto Clò Economista
    Davide Tabarelli Presidente Nomisma Energia
    LUIGI GRASSIA
    Dice l'Istat che fra giugno e luglio il costo delle bollette di luce e gas in Italia è aumentato del 6,7%, e questo ha comportato, con altri effetti negativi, anche un rialzo dei prezzi alla produzione dell'industria dell'1,3% su base mensile; non poco, in una fase di inflazione (per altri versi) calante. Confindustria calcola fra il 40% e il 50% la spesa media extra delle aziende italiane per l'energia rispetto alle concorrenti europee. La segretaria del Pd, Elly Schlein, attacca: «In Italia abbiamo il prezzo dell'energia più alto d'Europa. In Germania si pagano 82 euro per megaWatt/ora, in Spagna 91, in Francia 54, nei Paesi scandinavi 15, in Italia 128. Davanti a tutto questo il governo non fa nulla, anzi ha cancellato il regime di mercato tutelato e a rimetterci sono i cittadini». Che in Italia l'energia costi di più, e che questo danneggi le imprese rispetto alla concorrenza internazionale (oltre a impoverire le famiglie) è un fatto atavico, ma al netto della polemica politica, il governo sta dando una mano a mitigare il problema o lo sta peggiorando?
    Prima ancora: come mai c'è stata questa raffica di rincari dell'energia in un'estate che sembrava di relativa bonaccia, dopo le fiammate del recente passato? Alessandro Fontana, direttore del Centro studi Confindustria, dice a La Stampa che «la tendenza al rincaro del gas, che poi si è riflessa sull'energia elettrica, ha cominciato a manifestarsi da febbraio, con la ripresa dei consumi di metano, e in agosto si è accentuata con l'incursione ucraina in Russia». Anche Alberto Clò, economista e direttore della Rivista Energia, sottolinea i fattori geopolitici: «L'attacco a Kursk ha colpito infrastrutture energetiche strategiche», e Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, aggiunge: «A far salire i prezzi del gas è anche la fine, attesa per dicembre, delle esportazioni di metano dalla Russia all'Europa, per la scadenza dei contratti. La quota residua di export ormai è piccola, ma difficile da sostituire, e questo rende più costosa la ricostituzione delle scorte invernali. Poi la speculazione finanziaria amplifica l'effetto sul prezzo del gas».
    Da parte di Confindustria, spiega Fontana, la prima richiesta al governo in tema di energia riguarda «mettere un po' più di risorse, in occasione della legge di bilancio, sui diritti di emissione Ets delle aziende: l'Ue consente agli Stati di rimborsarne una quota alle aziende, ma l'Italia finora ha concesso molto meno di quanto potrebbe, limitando la competitività delle nostre imprese. Nel medio periodo occorre battersi per un diverso mix energetico e far tornare in Italia la produzione da fonte nucleare».
    Per quanto riguarda invece la richiesta al governo, avanzata da più parti, di ripristinare i vari bonus energia, Andrea Giuricin, economista dell'Istituto Bruno Leoni, dice che «avevano senso al culmine della crisi energetica, ma oggi non più»; e sulla fiscalizzazione delle voci accessorie in bolletta, altra iniziativa spesso invocata, Tabarelli osserva che «in due anni ha scaricato sul debito pubblico 70 miliardi di euro, e con il ripristino dei vincoli europei di bilancio questo non si può più fare».
    Alberto Clò sottolinea che «nell'estate 2024 il grande caldo e il maggiore uso dei condizionatori hanno comportato un aumento dei consumi energetici dell'8%»; l'economista aggiunge un fattore poco citato: «Per la scarsa ventosità c'è stato un tonfo del 48% della produzione di energia eolica. L'energia mancante ha dovuto essere sostituita con una richiesta extra di gas, che è rincarato anche per tale motivo».
    Daniele Nicolai, dell'Ufficio studi di Cgia, sottolinea che «le piccole imprese, per loro natura, sono quelle più a corto di liquidità e le più esposte ai rincari dell'energia»; ma la polemica monta anche attorno al prezzo del gas per il cliente "vulnerabile" sul mercato tutelato, che (in base alla nuove regole) viene calcolato a posteriori: l'Arera, cioè l'Autorità dell'energia, fa sapere che per agosto è del 6% superiore a quello di luglio. L'associazione di consumatori Codacons avverte che «in autunno la situazione peggiorerà» e Assoutenti valuta che per i clienti vulnerabili «la spesa per il metano segnerà un +25 per cento rispetto al 2023». —

 

 

 

 

 

04.09.24
  1. CANTONE NON VUOLE CAPIRE CHE HANNO AGITO PER CONTO DEI SERVIZI SEGRETI :  Manager e politici spiati dal "finanziere infedele" Altri mille accessi sospetti
    giuseppe legato
    grazia longo
    Sono circa un migliaio gli accessi potenzialmente abusivi – in aggiunta a quelli già contestati – individuati dalla procura di Perugia a carico del tenente della Finanza Pasquale Striano, in forza alla Dna all'epoca dei fatti contestati, finito al centro di un'inchiesta su manager e politici "spiati". E che non fossero soltanto quelli già emersi lo si è capito ieri mattina da un'articolata nota inviata dal procuratore di Perugia Raffaele Cantone, che coordina le indagini «ancora aperte e nelle more delle quali – ha scritto – sono emersi ulteriori episodi». La nota di Cantone, che intanto ha presentato ricorso al tribunale del Riesame per ottenere la misura cautelare a carico dei principali indagati, nasce dopo il rigetto da parte del gip alla richiesta di arresti domiciliari per Striano e per il suo co-indagato, l'ex magistrato della Dna Antonio Laudati, l'uomo che avrebbe coordinato le attività sulle Sos (segnalazioni di operazioni sospette).
    Il giudice, pur condividendo l'impianto accusatorio, ha dissentito sulle esigenze di disporre i domiciliari che nel caso di Striano sono aggravati dalla possibile reiterazione del reato in aggiunta all'inquinamento delle prove («soprattutto alla luce delle articolate relazioni che lo stesso ha dimostrato di avere e che gli potevano consentire, anche tramite soggetti terzi, la commissione di ulteriori reati»). Lo ha deciso sostenendo che – nei fatti – che alcune delle singole contestazioni mosse agli indagati non erano più coperte da segreto dal «momento che l'esito delle indagini è stato disvelato con l'invito a presentarsi o con decreti di perquisizione».
    Ed è qui che le distanze tra Cantone e il giudice sono diventate molto più larghe della fisiologica divergenza giuridica. Il capo dei pm di Perugia sottolinea come «contestiamo fra l'altro, l'affermazione del Giudice secondo cui gli indagati avrebbero avuto "in tutto o in parte" accesso agli atti processuali. Al contrario, ad oggi, nessuna discovery degli atti vi era mai stata». Parole chiare e posizioni nette che però, alla vigilia della valutazione che dovrà fare a breve il Collegio, sono suonate come "stonate" al legale Andrea Castaldo, difensore di Laudati che bolla la nota del procuratore come «inusuale per tempi e contenuti». Il ricorso per ottenere i domiciliari «si fonda sul paventato pericolo di inquinamento probatorio derivante da non meglio precisati ulteriori atti di indagine».
    Dall'ordinanza di diniego del gip si apprende come Laudati avrebbe saputo, da una dipendente della procura nazionale antimafia, «di un incontro tra la Pna e le Dda di Roma e Perugia». Ancora insiste agli atti della richiesta di arresto «una conversazione tra Laudati e il magistrato Alberto Cisterna già pm antimafia nel corso della quale Laudati esplicita la sua convinzione sulla genesi dell'inchiesta». Per Cantone è dunque «a rischio la genuinità del compendio probatorio». Per il legale dell'ex magistrato si tratta di «un legittimo esercizio del diritto di difesa».
  2. L'AVEVO PREVISTO NEL 2008 MA MI HANNO SBEFFEGGIATO : MULLER E  DIES : II colosso tedesco fa saltare la garanzia del lavoro per circa 110 mila dipendenti. I sindacati: un attacco all'occupazione
    Volkswagen, fabbriche verso la chiusura Maxi-tagli per la crisi delle auto elettriche
    claudia luise
    Da un lato «difficoltà del mercato sempre più forti» con l'ingresso di nuovi concorrenti dalla Cina. Dall'altro una rivoluzione verso l'elettrico che stenta a decollare. Il gruppo Volkswagen ha annunciato che non esclude la chiusura di stabilimenti e licenziamenti in Germania nel quadro di un programma di riduzione dei costi del principale marchio del gruppo. Un piano di austerità che prevede lo stop alla cosiddetta "garanzia del lavoro" per circa 110.000 dipendenti in Germania: un accordo di lunga data con i lavoratori del Paese europeo che escludeva i licenziamenti non concordati fino alla fine del 2029. L'accordo è in vigore dal 1994. Nel mirino del management in particolare una delle grandi fabbriche tedesche e uno stabilimento di componentistica giudicati «obsoleti» per i piani del gruppo. Si tratterebbe della prima chiusura di un impianto tedesco negli 87 anni di storia Volkswagen. La casa automobilistica ha dichiarato che i dirigenti ritengono che il marchio debba essere ristrutturato in modo completo e che gli attuali sforzi per ridurre la forza lavoro attraverso modelli di pensionamento anticipato e incentivi a uscite volontarie non saranno sufficienti a raggiungere gli obiettivi di riduzione.
    «L'ambiente economico è diventato ancora più duro e nuovi attori stanno investendo in Europa», spiega l'amministratore delegato di Volkswagen Group, Oliver Blume. «La Germania come sede aziendale sta restando ulteriormente indietro in termini di competitività», aggiunge Blume. Da qui la conferma del gruppo: «Nella situazione attuale, non si può escludere la chiusura degli impianti di produzione di veicoli e componenti se non si interviene rapidamente». I leader sindacali hanno dichiarato che intraprenderanno una battaglia senza quartiere contro i piani. Daniela Cavallo, a capo del Consiglio di fabbrica Volkswagen, ha definito i piani un «attacco all'occupazione e ai contratti collettivi» aggiungendo che «questo mette in discussione la stessa Volkswagen e quindi il cuore del gruppo. Ci difenderemo strenuamente».
    Il marchio di punta del gruppo è da anni alle prese con costi elevati e in termini di redditività è molto indietro rispetto ad altri brand del gruppo come Skoda, Seat e Audi. Un programma di riduzione dei costi lanciato nel 2023 avrebbe dovuto cambiare la situazione e migliorare i profitti di 10 miliardi di euro entro il 2026. Tuttavia, l'attuale debolezza delle nuove attività ha ulteriormente aggravato la situazione. Anche perché Volkswagen è impegnata in uno dei più ambiziosi piani di investimento nell'elettrico con investimenti per il quinquennio 2025-2029 per 170 miliardi di euro. Quindi, per migliorare ulteriormente i profitti, i costi dovranno essere ridotti più del previsto e si parla di altri 4 miliardi di sforbiciata.
    Cinica la reazione dei mercati. Il titolo ha avuto un andamento positivo in Borsa a Francoforte e il titolo della casa tedesca sale del 2% a 103 euro, dopo un massimo di seduta a quota 104,4.
  3. A pieno regime saranno 1120 i posti nel centro per il trattenimento dei migranti. Nell'hot spot sulla costa saranno 300 Il sindacato Uilpa della polizia penitenziaria: "In Italia un sorvegliante ogni 3 detenuti lì l'esatto contrario, è paradossale"
    Così su La Stampa
    Un milione al mese per gli agenti
    Le spese folli dietro al Cpr albanese
    irene famà
    roma
    Tutti in corsa per l'Albania. Dove prestare servizio nei nuovi Cpr comporta un aumento in busta paga, un centinaio di euro in più al giorno per agenti penitenziari, poliziotti, carabinieri, finanzieri. Più vitto, alloggio, rientro a casa. E i calcoli, per quanto riguarda vita e spostamenti di chi parteciperà all'operazione, sono presto fatti. Trecento unità, spiega chi è ben informato. Per un costo che si aggira intorno ai 30mila euro al giorno. Novecentomila euro al mese. Solo per quanto riguarda gli indennizzi di trasferimento. Il resto delle voci? Ancora da quantificare. Perché ogni area e ogni attività sono cosa a sé.
    Gli agenti della polizia penitenziaria saranno perlopiù destinati in un carcere a Gjader, piccolo paese a nord dell'Albania. Lì verrà recluso chi creerà problemi al Centro di permanenza per il rimpatrio. Si tratterà di un penitenziario maschile con ventiquattro brandine. Quarantacinque i posti disponibili per gli agenti, oltre tremila le domande presentate. L'incarico è vantaggioso: 130 euro in più al giorno, un servizio previsto dai quattro ai sei mesi a seconda del grado con la possibilità di rientrare in Italia una volta al mese con spese a carico dell'amministrazione.
    Queste le cifre e le regole d'ingaggio. Almeno sulla carta. Perché le perplessità sono numerose. «È tutto un paradosso», tuona il segretario generale Uilpa penitenziaria Gennarino De Fazio. Inizia dai numeri. «Una volta si tendeva a chiudere le carceri sotto i cento posti perché antieconomiche. Ora se ne costruisce una molto piccola, con un rapporto agenti – detenuti decisamente sproporzionato. Se in Italia c'è un poliziotto ogni tre reclusi, circa 25mila per oltre 61mila persone, lì ce ne saranno tre per ogni detenuto». E ancora. «La spesa? Sarà esorbitante. In un momento di emergenza per le carceri italiane». Al momento, in Albania, sono arrivati solo quattro agenti della polizia penitenziaria. D'altronde il carcere, che avrebbe dovuto essere pronto a giugno, poi ad agosto, poi a settembre, ancora non c'è. Si attende il primo lotto, dicono. Poi si penserà alle partenze. Ed ecco le altre perplessità. Le riassume bene Aldo Di Giacomo, segretario generale Spp, sindacato polizia penitenziaria. «Chi lavora con i detenuti, sa che un errore di comunicazione può creare problemi seri. Eppure nessuno di noi è stato formato sul come porsi con queste persone. Ad iniziare dal fattore linguistico». Di Giacomo prosegue. «Un corso, ad esempio sarebbe stato utile. Così come sapere quali regolamenti faranno fede sul territorio. Invece ci si è soffermati solo sugli atteggiamenti da tenere in pubblico, senza considerare il duro lavoro con i detenuti».
    Gjader, un centinaio di abitanti e una manciata di case, ex base militare durante la Guerra Fredda, ora si trova al centro dell'accordo tra il governo italiano e quello albanese. Un paese chiave per il primo centro di detenzione per migranti italiano costruito in terra straniera.
    C'è il penitenziario. E il Cpr vero e proprio con 1120 posti per il trattenimento. Guai, in questo caso, a chiamarlo carcere. «Chi è al Cpr non è detenuto», si ripete da sempre. Però da lì non si può uscire. E ci sono i container, le recinzioni, i muri. Le forze dell'ordine a controllare con numeri ingenti. A Gjader e a Shengjin, ventuno chilometri più in là. Quel paese sul mare, che raccoglie numerose recensioni su Tripadvisor non tutte entusiastiche, è la prima tappa per i migranti che sognavano l'Italia e si trovano confinati in Albania. Lì c'è l'hot spot per trecento persone. Lì, come si legge in una delle ultime circolari del Ministero dell'Interno, ci si occupa delle «procedure d'ingresso. Con attività connesse alla gestione delle operazioni di sbarco, pre-identificazione, registrazione della domanda di protezione internazionale». A Gjader, poi, «gli accertamenti» per capire chi potrà raggiungere l'Italia e chi invece dovrà essere rimpatriato.
    Ogni area sarà presidiata dalle forze dell'ordine con un «contingente interforze». Trenta i carabinieri scelti tra la Prima Brigata Mobile, centosettantasei i poliziotti, di cui settanta del reparto mobile e gli altri tra squadre mobili, Digos, polizia scientifica, ufficio immigrazione, uffici tecnico-logistici provinciali delle Questure. «Il periodo d'impiego sarà di un mese, salvo casi eccezionali». Cento euro al giorno in più sullo stipendio, vitto e alloggio «saranno a carico dell'amministrazione» e la «Direzione centrale individuerà, mese per mese, le aliquote di personale da impiegare e gli uffici territoriali da cui il personale sarà tratto».
    Chi andrà in Albania, sottolinea chi conosce il progetto, lo farà su base volontaria. Chi ha già lavorato nei diversi Cpr d'Italia mormora preoccupato: «E quando i volontari non si troveranno più? » Altre perplessità. —
  4. Odissea metropolitana
    pier francesco caracciolo
    Uno sbalzo di corrente, che ha sovraccaricato gli impianti, mandandoli in tilt. Gtt, spiega così i disservizi che ieri mattina, nel giorno della ripartenza dopo un mese di stop, hanno riguardato la metropolitana. Alle 5,30, quando i convogli sotterranei hanno ripreso a viaggiare, all'interno delle stazioni si contavano trentadue scale mobili ferme e due ascensori bloccati. Trentaquattro impianti fuori uso, dunque, molti di più di quanti non funzionavano il 3 agosto scorso, giorno dello stop del servizio.
    Risultato: una pioggia di proteste da parte dei passeggeri. In particolare di quelli con disabilità, con bagagli pesanti o problemi di deambulazione, in difficoltà nello scendere verso i binari o risalire in superficie.
    «Imbarazzante che dopo un mese di fermo la metropolitana riparta con questi gravi disservizi» tuona Federica Fulco, del comitato Torino in Movimento. «Non male per una città che si vanta di esser turistica» ironizza sui social Patrizia Farina. «Una vergogna» la definisce invece Paolo Franci. «Ho appena scoperto che la scala mobile in piazza Bengasi è ancora ferma: da più di un anno aspettiamo che venga riparata» si sfoga sui social Antonio Lanzano.
    Situazione particolarmente critica all'interno di due delle fermate tra le più utilizzate: quella a Porta Nuova (fermi due scale e un ascensore) e quella di Porta Susa-XVIII Dicembre (fuori uso due scale). Ma problemi si sono registrati anche alle stazioni Vinzaglio, Monte Grappa, Nizza, Racconigi, Spezia, Paradiso.
    Il guasto elettrico ha bloccato ventisette delle trentadue scale mobili ferme (e nessun ascensore). Nei giorni scorsi, durante gli ultimi test pre-riattivazione del servizio, gli impianti funzionavano regolarmente. Gtt ipotizza che lo sbalzo di tensione sia legato ai lavori realizzati nell'ultimo mese quando la metropolitana era ferma. Per queste ventisette scale mobili si è trattato di un guasto risolvibile solo manualmente. Ecco perché ieri, per tutta la giornata, i tecnici Gtt sono stati impegnati nel far ripartire gli impianti. In serata le scale mobili rimesse in moto erano ventidue. Le ultime cinque ancora fuori uso saranno riattivate oggi in mattina.
    Come detto, però, non tutte le scale mobili ferme ieri si sono bloccate a causa dello sbalzo di tensione. Cinque sono ferme per problemi tecnici che si trascinano da settimane, in alcuni casi da mesi. Si trovano alle stazioni Massaua, Marche, Bengasi, Porta Nuova e XVIII Dicembre. Gtt assicura che si tratta di guai che saranno riparati nel giro di qualche giorno. I due ascensori bloccati si trovano invece a Porta Nuova e Racconigi. Anche in questi casi, assicura Gtt, le manutenzioni avverranno a stretto giro.
    La linea 1 della metro era ferma dal 3 agosto su disposizione di Gtt. Obiettivo: consentire a InfraTo (la partecipata che gestisce le infrastrutture sotterranee) di realizzare un doppio intervento di manutenzione lungo i tunnel. Ovvero interventi sul sistema di comunicazione in galleria – che passerà da analogico a digitale – e di posa dei binari all'altezza di Collegno, serviranno nel 2026, al momento dell'entrata in funzione delle 4 stazioni in via di costruzione dopo il capolinea Ovest di Fermi.
    La ripartenza della metropolitana avvenuta ieri non decreta però l'avvio di un'attività a pieno regime. Fino al completamento delle opere già iniziate funzionerà a orari ridotti. Per cinque giorni a settimana - dalla domenica al giovedì - il servizio chiuderà alle 22 (dopo quell'ora i tragitti saranno garantiti da bus sostitutivi). Chiude invece all'1,30 il venerdì e il sabato.

 

 

 

03.09.24
  1. FINALMENTE UN GIUDICE INTELLIGENTE :    Il Tribunale del Riesame : "Questo è un ammonimento: non si attivi per posti in enti o imprese utilizzando i suoi amici"
    Il giudice a Gallo, il ras delle tessere Pd "Basta favori o può finire ai domiciliari "
    giuseppe legato
    Dieci mesi di interdittiva con divieto di esercitare uffici direttivi, anche di fatto, in seno ad associazioni e imprese. Nessuna possibilità si svolgere pubblico ufficio o servizio di non natura non elettiva popolare, anche per interposta persona, in seno a qualsiasi ente pubblico o privato. «Perché insistono rischi di possibili reiterazioni di reati». Le modalità dei fatti contestati «impongono di inibire a Gallo per un periodo di tempo prossimo al massimo ogni attività come è occorso quando ha instaurato relazioni improprie con primari ospedalieri volta a influire sulla vita di enti pubblici e privati». Con «ammonimento». E cioè: «Che anche solo l'attivarsi per occupare posti strategici in enti e imprese pubbliche e private tramite l'interposizione "di amici nostri" può avere rilevanza in termini di aggravamento di esigenze cautelari». Ergo: potrebbe essere disposta per lui la misura degli arresti domiciliari.
    I giudici del Riesame Gianluca Capecchi e Luca Leandro Ferrero motivano in 50 pagine circa il perché a Salvatore Gallo, ex uomo forte del Pd torinese travolto – mediaticamente e non solo – dall'inchiesta della Dda di Torino Echidna, andava in qualche modo fermato. Limitato nel suo metodo quantomeno clientelare (a fini elettorali) di gestire risorse di Sitaf, società «dalla quale è estraneo da almeno 10 anni» ma sulla quale ha continuato ad avere influenza tanto da gestire finanche diverse tessere autostradali. Si legge nell'ordinanza del Riesame che «Gallo, pregiudicato per emblematici falsi ideologici che ebbero notevole risonanza mediatica non si è sentito stimolato a continuare solo strategie lecite per ottenere il consenso politico». Infine: «In seno a Idea-To (l'associazione politica da lui fondata) e Sitalfa è emerso il pericolo di come Gallo eserciti la propria influenza in modo illecito». Come? «Secondo quanto emerso anche in sede di perquisizioni – scrivono i giudici – vi è stato un pericoloso do ut des oggetto di peculato». Seguono sfilza di medici, primari e docenti universitari che hanno beneficiato della tessera autostradale gratis per raggiungere Bardonecchia percorrendo la A32, un'autostrada in cui parte dei cantieri in regime di subappalto – così è emerso dalle indagini dei carabinieri del Ros di Torino - erano appannaggio di famiglie di ‘ndrangheta: tra queste la famiglia Agresta di Volpiano, i Pasqua legati alle potenti enclave mafiose di San Luca). Il Collegio del Riesame ha fatto dunque sue le parole utilizzate dal pm Valerio Longi in sede di ricorso nel quale di Gallo viene «stigmatizzato il ruolo di sicura rilevanza in quell'area grigia tra attività economiche e politica che egli ben conosce e nella quale recita ancora un ruolo di primissimo piano benchè sia – da anni – privo di cariche formali nell'ambito di imprese nelle quali, ciononostante, continua ad avere voce in capitolo». In che modo? «Fornendo indicazioni cogenti sulle scelte da adottare, sulle persone da assumere, sui benefit da erogare per non dimenticare il perdurante potere di condizionamento in occasione di ogni competizione elettorale».
    Nel corpo della pronuncia i togati analizzano anche la situazione dell'imprenditore Gian Carlo Bellavia, per il quale hanno accolto il ricorso sul concorso esterno in associazione mafiosa, contestazione in prima battuta non condivisa dal gip che ha firmato gli arresti ormai quattro mesi fa. Sono passati in rassegna i suoi rapporti con la famiglia Agresta per tramite di persone a loro vicine e legate alla famiglia Violi ai quali – insieme ai Greco affiliati a una ‘ndrina del Crotonese – ha «consentito di accedere ai propri appalti mediante le rispettive imprese subappaltatrici».
    In definitiva: «Bellavia ha consentito per anni a mafiosi accertati e/o presunti inserire le proprie imprese – sovente intestate a prestanomi nelle commesse ottenute nei settori della manutenzione stradale e dell'edilizia soprattutto per carpenteria e guardiania) grazie alle società dei Fantini (Sitalfa e Cogefa)». Di più: «Utilizzando tali imprese come schermi interposti di altri soggetti pure appartenenti a sodalizi mafiosi dando luogo a fatturazioni per prestazioni fittizie». Ciò si è tradotto «in una permeabilità di Bellavia a costanti infiltrazioni mafiose proseguite nonostante le plurime ondate di arresti subiti dai sodali dei clan». Inquieta dell'uomo d'affari «la fiducia che ha carpito negli anni presso alcuni dei più potenti committenti del territorio nel settore edile che ancora ad oggi intrattenevano rapporti con lui (Mattioda, Fantini)». Ergo: «per lui non basterebbe una misura meno afflittiva degli arresti domiciliari».
  2. IL SOLITO BLUFF PER DARE SOLDI PUBBLICI AI PRIVATI: doppia gara con lombardia e puglia: saranno attivate sul territorio in Case e Ospedali di Comunità, ambulatori medici, RSA
    La Regione scommette sulla telemedicina 8 mila postazioni nuove per le cure a distanza

    alessandro mondo
    È il tentativo più ambizioso, in termini economici ed organizzativi, di mettere a sistema un supporto importante per la Sanità pubblica, finora utilizzato in modo frammentario e comunque al di sotto delle sue reali possibilità. Parliamo di assistenza domiciliare integrata, legata a precisi parametri previsti dal Ministero per ogni regione, e di telemedicina, quest'ultima importante per diversi motivi: per contribuire a ridurre i divari geografici e territoriali, per garantire una migliore "esperienza di cura" per gli assistiti, per migliorare l'efficienza dei sistemi sanitari regionali tramite la promozione dell'assistenza domiciliare e di protocolli di monitoraggio da remoto.
    I fatti si sostanziano in due gare. La Regione ha aderito a quella della Regione Capofila Lombardia per l'acquisto di tutti i moduli di telemedicina: televisita, teleassistenza, teleconsulto, telemonitoraggio livello uno e due (pacemaker e defibrillatori impiantabili), nonché dell'Infrastruttura Regionale di telemedicina (Irt). La piattaforma Irt comprende un'ampia serie di strumenti e funzionalità estesa, oltre all'erogazione dei servizi di telemedicina, anche in ambiti quali l'Intelligenza Artificiale, la gestione del rischio clinico, la configurabilità avanzata (schemi di refertazione, elenchi di asset e risorse, un pannello di controllo per il monitoraggio di indicatori e report statistici). La seconda gara, invece, vede come capofila la Regione Puglia e prevede l'acquisto di 7.522 postazioni di telemedicina con la relativa logistica. Si tratta dell'allestimento delle postazioni per la fornitura dei servizi all'interno di case di comunità, ospedali di comunità, ambulatori dei medici, Rsa e strutture domiciliari.
    Per dare gambe al progetto lo scorso maggio la Regione aveva approvato una delibera di giunta che ripartisce ad Azienda Zero, diretta da Adriano Leli, 38 milioni di fondi Pnrr per il progetto: 23 milioni per il software e 15 per le postazioni di lavoro. Una risposta al progressivo invecchiamento della popolazione, una declinazione dell'assistenza territoriale, specialmente nei distretti poco serviti come quelli montani e delle valli, un'occasione per migliorare le prestazioni e ridurre le liste d'attesa.
    Una fonte di risparmio per il servizio sanitario pubblico, anche, nella misura in cui riduce l'accesso ai pronto soccorso. Tutto questo, a patto di superare limiti segnalati dal nostro giornale già nel 2020. In primis, l'eccesso di software, parcellizzati tra gli ospedali e sovente incapaci di dialogare. Ora si fa sul serio, almeno si spera.

 

 

02.09.24
  1. ELON MASK AUTODISTRUZIONE PER DROGA:  Da ieri X non cinguetta più in Brasile. Un nuovo Paese si aggiunge alla lista di quelli che proibiscono il social media di Elon Musk. Gli operatori di internet e telefonia mobile hanno accolto la decisione del ministro della Corte Suprema (Stf) Alexandre de Moraes, chi non lo fa rischia multe salatissime e la revoca della licenza. Proibita anche la scappatoia via Vpn, il tunnel virtuale attraverso il quale un utente può navigare come se fosse geolocalizzato in un altro Paese. Se ti beccano scatta una multa di 50.000 reais - quasi 9.000 euro - e una denuncia penale.
    È l'epilogo di un lungo braccio di ferro, una querelle più politica che giudiziaria, iniziata subito dopo l'assalto ai palazzi del potere di Brasilia nel gennaio del 2023, quando gli attivisti più estremi dell'ex presidente Bolsonaro tentarono un colpo di mano per rovesciare la vittoria del progressista Lula da Silva. La Corte Suprema ha indagato gli account social dei facinorosi ma anche quelli di giornalisti, politici e intellettuali che in qualche modo avessero incitato alla ribellione, considerandoli come i mandanti intellettuali di quell'azione. Da lì è scattata la richiesta di sospensione: Meta, che controlla Facebook, Instagram e Whatsapp ha "obbedito", quelli di X, invece, hanno fatto orecchie da mercante.
    Moraes ha puntato il dito contro Musk, che a sua volta lo ha bollato di despota e nemico delle libertà d'espressione. La politica si è divisa: la sinistra con il giudice, tutta la destra, da Bolsonaro in poi, col patron di Tesla. Quando la multa accumulata da X è salita fino a tre milioni di euro, Musk ha chiuso gli uffici brasiliani. «Salviamo i nostri collaboratori - ha spiegato - ma non abbiate paura; la nostra voce non sarà silenziata». De Moraes gli ha chiesto di nominare un rappresentante legale e ha pure bloccato i conti correnti di Starlink, la società che fornisce internet satellitare e che in pochi mesi ha conquistato una fetta grande quanto lo 0,4% del mercato brasiliano. Decisione, questa, criticata persino dai militari già che quei satelliti servono oggi per comunicare in zone rurali e in Amazzonia. La chiusura, a questo punto, potrebbe durare a lungo. «Uno pseudo giudice - ha detto Musk - che non è stato eletto da nessuno vuole uccidere la libertà d'espressione». Per la Costituzione brasiliana, i giudici della Corte Suprema sono scelti a dito dai presidenti di turno, un massimo di tre alla volta. De Moraes, ad esempio, fu nominato da Michel Temer nel 2017. Il presidente Lula ha appoggiato la Corte. «Chi si crede di essere questo signore (Musk), solo perché ha tanti soldi pensa che può agire fuori dalla legge ? Non siamo una repubblica delle banane!». Per Musk la sospensione è un duro colpo, visto che il Brasile è il sesto mercato mondiale di X, con 22 milioni di utenti (fonte Statista). Da Brasilia fanno notare che recentemente il milionario si è piegato alle regole dettate dall'India e dalla Turchia, il terzo e settimo mercato di X. E molti si chiedono perché abbia voluto spingersi fino a tanto proprio in Brasile. La ragione, probabilmente, è tutta politica.
    Musk da tempo si è eretto ad alfiere e voce libera e spregiudicata della destra delle Americhe. Fa campagna apertamente per Donald Trump, ha ricevuto due volte negli States l'argentino Javier Milei, è molto legato a Jair Bolsonaro e ai suoi figli, è intervenuto recentemente contro la rielezione di Nicolas Maduro in Venezuela. A differenza dei social Meta, la rete di X / Twitter è diventata il terreno libero di cospirazionisti e terrapiattisti, antiabortisi e antigender. Una terra di nessuno gestita da un padrone chiaramente schierato a destra, che volentieri dà una mano ai suoi amici di turno.
    In Brasile a inizio ottobre si vota per eleggere i sindaci in tutte le città. X è stata fino ad adesso una delle piattaforme preferite del mondo conservatore. A livello globale, però, il cerchio si stringe attorno a Musk e dagli Stati Uniti fanno sapere che il magnate potrebbe limitare i viaggi all'estero per evitare di fare la fine del fondatore di Telegram Pavel Durov, arrestato in Francia.
    I leoni del free speech devono stare attenti a dove vanno a finire. Il mondo reale è sempre più pieno di insidie.
  2. Aimaro Isola
    L'architetto ex ragazzo partigiano "Abbiamo rispettato il paesaggio ma i boschi verticali non esistono"
    Contro i grattacieli

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    La Borsa di Torino
    La Bottega di Erasmo
    "Talponia" per la Olivetti
    L'enciclopedia di Diderot e D'Alembert è lì, nell'angolo in fondo, rilegata in bianco pergamena: «È la mia preferita, Voltaire è uno dei miei riferimenti». Tempi duri per i laici, gli integralismi imperversano in ogni religione: «Ma noi nuovi illuministi resisteremo». È curioso sentir pronunciare questa frase nella biblioteca che fu il quartier generale dei partigiani del Pci del comandante Barbato, Pompeo Colaianni. Per il barone Aimaro Isola, uno dei più noti architetti italiani, il castello è la sua casa di famiglia: «Io ero un ragazzo. Avevo sedici anni. Ma mi piaceva sentire le discussioni tra i partigiani. C'erano i comunisti come Barbato ma c'erano quelli come Felice Burdino e Raimondo Luraghi che non lo erano. Burdino era un uomo atletico, di azione, uno che conosceva la montagna. Un giorno entrò in questa biblioteca, guardò in alto e stupì tutti dicendo: "Vedete, quella è una rara edizione delle Operette morali di Leopardi". Allora capimmo che era uno addestrato a combattere ma soprattutto un intellettuale». Su che cosa si accapigliavano in quelle discussioni? «Su quel che si sarebbe dovuto fare dopo la fine della guerra».
    Il castello di Bagnolo, antica roccaforte militare all'incrocio tra le valli del Pellice e del Po, è da quasi mille anni la residenza dei Malingri, feudatari degli Acaja. La madre di Aimaro, la contessa Caterina Malingri, sposò il barone Vittorio Oreglia Isola: «La mia era una famiglia di letterati, politici, artisti e militari», racconta Aimaro, oggi lucidissimo 96enne. Fa un certo effetto immaginare Pompeo Colajanni che discute della rivoluzione bolscevica sotto lo sguardo severo del conte Coriolano Malingri di Bagnolo, senatore del regno di Sardegna e primo traduttore integrale dal greco delle commedie di Aristofane. «Questi ritratti ne hanno viste e sentite di tutti i colori. Quando arrivavano i tedeschi e i fascisti a fare il rastrellamento noi partigiani ci nascondevamo dove si poteva. Un giorno Plinio Pinna Pintor saltò il muro e finì nella ghiacciaia. Per molti anni, ogni volta che veniva a trovarmi, voleva che lo portassi a vedere la fossa del ghiaccio».
    Anche Aimaro, come gli antenati che erano generali, studiosi, politici, avrebbe voluto seguire le tradizioni di famiglia: «Ho sempre montato a cavallo, fin da ragazzo, ho smesso non molti anni fa. Pensavo che avrei percorso la carriera militare in cavalleria. Poi ho incontrato una chiromante». Proprio così, come nei film: «Mi ha afferrato la mano e ha detto: "Per te vedo un futuro a metà strada tra il disegno e la matematica". La presi per matta ma alla fine aveva ragione lei: che cos'è in fondo il mestiere dell'architetto? ».
    All'università incontra il socio di una vita, Roberto Gabetti: «I nostri padri erano amici di gioventù. Il mio mi spingeva a frequentare Roberto, io, ovviamente, mi tenevo alla larga. Volevo fare di testa mia. Poi un giorno ci troviamo fianco a fianco a ritrarre una modella: allora si faceva il disegno dal vero. Cominciammo una discussione e dalla sede della facoltà, al castello del Valentino, finimmo passeggiando fino in centro». Sodalizio fortunato: «Appena laureati vincemmo il concorso per progettare la sede della nuova Borsa valori di Torino ". Un edificio che sorge nel cuore della città, in via San Francesco da Paola, sul luogo dove allora c'era il laboratorio di una pasticceria torinese, la Daturi e Motta: «Facendo i sopralluoghi al cantiere si sentiva ancora l'odore di panettone. Avevamo concepito il progetto come una innovazione che però si inseriva e rispettava il tessuto urbano. Non ci piaceva l'idea, allora molto diffusa, di un'architettura moderna che facesse a pugni con il paesaggio, che rompesse con l'esistente. Utilizzammo lo stesso criterio pochi anni dopo realizzando, sempre nel centro di Torino, la Bottega di Erasmo, esaltando i materiali della tradizione artigiana». Una rivoluzione all'inizio degli anni Sessanta: «Diciamo pure una provocazione. Era il periodo dei metri cubi, il boom dei grattacieli, del vetro, dell'acciaio e del cemento. I nostri lavori erano all'opposto di tutto questo, contro l'idea di un'architettura come segno violento che spezza l'esistente». Quale fu la reazione? «Il processo da parte degli architetti modernisti. Venimmo convocati a una riunione. Ci dissero che i nostri progetti erano contro tutti i principi della Modernità. Due dei più aspri nella critica furono Manfredo Tafuri e l'inglese Banham. Tafuri, anni dopo, venne a chiederci scusa, si ravvide, lo disse e lo scrisse». La provocazione dà gusto e non di rado entusiasmo: «L'avevamo imparata all'università dove negli anni Sessanta avevamo organizzato la rivolta degli assistenti contro i vecchi metodi accademici». Un barone contro i baroni.
    Oggi i principi di Aimaro Gabetti e Roberto Isola sono seguiti dalla maggioranza degli architetti. Certo allora erano dirompenti. «L'Italia degli anni Sessanta credeva, come noi, che l'amianto fosse un isolante meraviglioso. Una volta alla settimana andavamo a Casale Monferrato a studiare i nuovi materiali da utilizzare nei nostri cantieri. Ma qualcosa di buono si fece anche allora se, ad esempio, una parte degli arredi interni della Borsa di Torino oggi sono esposti al Moma di New York». Al di là del giudizio dei colleghi, che animava le discussioni accademiche, era quello dei committenti che contava. E non era facile andare controcorrente. Liti, incomprensioni? «Liti no. Qualche momento di stupore sì. La Olivetti aveva necessità di creare a Ivrea una residenza per quei dipendenti che rimanevano temporaneamente in città. L'idea originaria era quella di costruire un grattacielo che permettesse ai residenti di vedere dall'alto gli uffici e la fabbrica. Ci presentammo con una proposta praticamente opposta: un grande edificio circolare ipogeo, che si integrava perfettamente nella collina di fronte alla sede Olivetti. Quasi non si vedeva. Mi ricordo lo stupore e il silenzio: si passavano i fogli del progetto guardandosi negli occhi senza dire una parola. Poi l'idea venne approvata. Gli abitanti di Ivrea chiamarono quella struttura Talponia. Io ne ero molto orgoglioso: fu l'inizio di una tendenza di attenzione al paesaggio ed ad un nuovo rapporto tra architettura e natura. Una sera, ci eravamo appena conosciuti, ci portai Consolata, la mia futura moglie. Purtroppo c'era la nebbia e non lo potè vedere. Ma ci sposammo lo stesso».
    Eppure non sempre l'architettura dirompente è brutta. I francesi hanno avuto il coraggio di piazzare una piramide di vetro nei giardini del Louvre. Renzo Piano ha fatto atterrare l'astronave del Beaubourg a poche centinaia di metri da Notre Dame, avendo il coraggio di mettere in mostra tutto lo scheletro della struttura. Non approva? «Beh certo, la piramide del Louvre, Beaubourg, tutte opere fondamentali, importantissime. Ma quanti altri Beaubourg sono stati fatti? Nessuno, perché i costi di manutenzione sono alti. E poi se la natura ci ha creato nascondendoci lo scheletro, ci sarà un motivo no? ». C'è forse una soluzione: i grattacieli colmi di verde. «Ah il bosco verticale. Ma i boschi non sono verticali. È una soluzione innaturale». Insomma lei ce l'ha con i grattacieli: «Starei molto attento. Hanno costi di gestione alti. Spesso diventano grattacapi realizzati per coccolare l'orgoglio di qualcuno». Però offrono una vista spettacolare sulla città: «Se voglio guardare la città dall'alto mi affaccio quando sto per atterrare». Quando l'architettura è coraggio, innovazione? «Io credo che si debba costruire per la vita, per le persone, non per avere un posto nei libri. I veri innovatori, In Italia, sono stati i Nervi, i Morandi. Ho lavorato con loro. Loro si che hanno avuto coraggio». Morandi è inevitabilmente legato alla tragedia di Genova: «Scommettere sul cemento armato si può fare a patto che ci sia una manutenzione costante. Tutte le volte che ultimamente passavo sopra quel ponte l'asfalto faceva le montagne russe. È l'effetto fluage: i cavi di tensione con il tempo mollano». Che tipo era Morandi? «Un grande. Me lo figuravo come un costruttore di acquedotti dell'antica Roma». E Nervi? «Partecipammo anche noi alla gara per costruire il palazzo del Lavoro di Italia'61 a Torino. Vinse lui con un progetto di grande eleganza. Oggi il mio studio (con mio figlio Saverio) sta ristrutturando il palazzo che Nervi realizzò a Torino Esposizioni».
    Si è fatto tardi. È venuta l'ora di pranzo, bisogna lasciare la biblioteca. Ricompare Consolata, la moglie di Aimaro, vera anima della vita dell'architetto e delle molteplici attività, dall'agriturismo all'organizzazione di eventi, che si svolgono nelle cascine ristrutturate ai piedi del castello. In fondo al parco c'è il laboratorio di scultura di Hilario, figlio di Aimaro e artista di livello internazionale. Il laboratorio funziona con l'energia prodotta dal vecchio mulino recuperato. Consolata accompagna gli ospiti con gentilezza. È lei che tiene i contatti con il mondo. Nel suo logo di whatsapp c'è uno stemma e la scritta "Virtus fortuna favente", il coraggio con il favore della fortuna": «È lo stemma della mia famiglia. Mio padre mi chiamò Consolata per un voto fatto durante una battaglia aerea in Africa». Ma questa è un'altra storia. —

 

01.09.24
  1. Il gioco dei ladri del Terzo valico materiali sbagliati, tutto da rifare
    GIAMPIERO CARBONE
    NOVI LIGURE
    Le "ombre" sul Terzo valico dei Giovi ora non riguardano più soltanto i tempi di conclusione dei lavori. C'è dell'altro: uno spreco di risorse pubbliche per un'opera ferroviaria ormai costosissima - oltre 7 miliardi per 53 chilometri - che si trascina dal 2012, tra Genova e Tortona. A Novi Ligure (Alessandria) c'è una distesa di conci stoccati in un'area dismessa. Migliaia di blocchi in cemento armato. Dovevano servire per realizzare i 27 chilometri di galleria sotto l'Appennino, tra Liguria e Piemonte, invece da settimane decine di Tir ogni giorno li trasportano a decine di chilometri, a Rocca Grimalda e Castellazzo Bormida, perché vengano demoliti.
    La realizzazione del doppio tunnel sta incontrando evidenti difficoltà, non solo per la presenza di amianto e gas: in particolare dal 2022, tra Arquata Scrivia e Voltaggio, lo scavo verso sud è stato bloccato a causa della conformazione delle rocce, talmente friabili da impedire alle due talpe meccaniche, enormi macchinari lunghi fino a 100 metri, di procedere. Dopo vari tentativi nel 2023 Cociv - il consorzio Cociv guidato da Webuild che ha l'appalto per la maxi opera - ha sventolato bandiera bianca: le talpe sono state messe da parte e smontate con costi mai resi pubblici e da allora lo scavo procede a colpi di martellone. I conci servivano a costruire la volta della galleria ed erano posati in automatico dalle talpe; invece ora si va avanti con gettate di cemento. L'appalto per la costruzione dei conci è costato 30 milioni ed era stato affidato nel 2018 alla Società prefabbricati per infrastrutture (Spi) di Cremona, che li ha prodotti in provincia di Alessandria, a Castelletto Monferrato e Carrosio. Da lì venivano trasferiti nel cantiere di Radimero, ad Arquata Scrivia, finché sono serviti ma l'azienda lombarda fa sapere che la commessa è stata comunque conclusa a luglio del 2023, quando le talpe erano già "in panne" ormai da tempo. Proprio per questo Spi ha dovuto stoccarli a Novi Ligure in attesa di sapere cosa fare. In cinque anni, l'azienda lombarda ha prodotto 2.500 "anelli", composti da 8 conci ciascuno. Circa 1.200 sono stati utilizzati per le gallerie e 1.300 messi a deposito, 200 nei cantieri e 1.100 a Novi Ligure. «Attualmente – spiegano da Cremona – a Novi sono ancora stoccati 850 "anelli". L'area dovrebbe essere liberata entro ottobre». Rfi, società delle Ferrovie committente del Terzo valico per conto dello Stato, spiega: «Come noto lo scavo delle gallerie di Valico con l'utilizzo delle due frese non ha potuto proseguire, a causa dei noti problemi geologici, e le talpe si sono dovute fermare».
    I blocchi di cemento vanno al macero perché non servono più. Nemmeno in altri cantieri dove si è provato a "piazzarli", perché le caratteristiche della roccia da scavare e delle frese utilizzate sono incompatibili. E dunque non resta che polverizzarli. Rfi nulla rivela sul costo di questa attività di smaltimento dei conci ma è noto che il costo di costruzione di ciascun blocco - filtra dal Cociv - si aggira sui 6-7 mila euro. Quelli da smaltire, secondo i promotori del Terzo valico, sarebbero un migliaio, dato che si scontra con i dati forniti dalla Spi. Parliamo comunque di almeno una decina di milioni persi.
    L'obiettivo di Cociv è ricavare cemento da rivendere sul mercato per limitare il danno alle casse pubbliche, già molto generose per il Terzo valico, visto che il limite di spesa fissato nel 2010 in 6,5 miliardi è stato ampiamente superato. Lo scorso anno il governo ha assegnato altri 700 milioni per fronteggiare "l'emergenza geologica", vale a dire proprio lo stop alle talpe meccaniche sotto l'Appennino e le relative conseguenze, compreso evidentemente lo smaltimento dei conci.
    «Dagli anni ‘90 al 2012 – spiega Mario Bavastro di Legambiente - Cociv ha eseguito una miriade di sondaggi geognostici sull'Appennino proprio per comprendere la situazione dal punto di vista geologico in vista dello scavo del tunnel. Ora ci tocca vedere i conci mandati allo smaltimento con ulteriori costi per le casse pubbliche». Rfi ha giustificato il problema geologico con la profondità della montagna in quel tratto. Di recente un altro intoppo: cantieri fermi a causa della presenza del gas grisù. È stato necessario potenziare i sistemi di aspirazione nelle gallerie per evitare pericoli per gli operai. Ora l'attività è ripresa.
    Un'opera che non sembra conoscere pace, il Terzo valico. Anni fa - come con la Torino-Lione - il primo governo Conte aveva provato a fermare l'opera. L'analisi costi-benefici commissionata nel 2018 ad alcuni studiosi indipendenti aveva dato esito negativo, ma i lavori erano in fase talmente avanzata che fermarli avrebbe comportato oneri molto più ingenti. Ora il timore dell'attuale governo è perdere i fondi del Pnrr assegnati all'opera: la data limite entro cui chiudere i cantieri è il 2026 ma il commissario Calogero Mauceri parla già del 2027 assicurando però che l'anno prima verrà attivata la prima canna. Una scommessa sempre più ardua da vincere.

 

 

ESCLUSIONE COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE , COME AZIONISTA ATLANTIA, NEL PROCESSO A CARICO DI CASTELLUCCI PER IL CROLLO DEL PONTE MORANDI

COST PONTE M

 

 

 

 

Diritti degli azionisti

La Direttiva 2007/36/EC stabilisce diritti minimi per gli azionisti delle societa' quotate in Unione Europea. Tale Direttiva stabilisce all'Articolo 9 il diritto degli azionisti a porre domande connesse ai punti all'ordine del giorno dell'assemblea e a ricevere risposte dalle societa' ai quesiti posti.

 

Considerando le difficolta' che spesso si incontrano nel proporre domande e nel ricevere risposte in tempo utile, in particolare per quanto riguarda gli azionisti individuali impossibilitati a partecipare alla assemblea, e considerando che talvolta vi e' poca chiarezza sulle modalita' da seguire per porre domande alle societa',

 

Ritiene la Commissione:

che il diritto degli azionisti a formulare domande e ricevere risposte sia adeguatamente garantito all'interno dell'Unione Europea?

che la possibilita' di porre domande e ottenere risposte solo nel caso l'azionista sia fisicamente presente nell'assemblea sia compatibile con la Direttiva 2007/36/EC?

 

In che modo la Commissione ritiene che le societa' quotate debbano definire e comunicare le modalita' per porre domande da parte degli azionisti, in modo da assicurare che tale diritto sia rispettato appieno? Sergio Cofferati

 

 

IL MIO LIBRO "L'USO DELLA TABELLA MB nei CASI DI PIANI INDUSTRIALI: FIAT, TELECOMITALIA ED ALTRI..." che doveva essere pubblicato da LIBRAMI-NOVARA nel 2004,  e' ora disponibile liberamente  CLICCA QUI 

 

 

In data 3103.14 nel corso dell'assemblea Fiat il presidente J.Elkann mi fa fatto allontanare dalla stessa dalla DIGOS impedendomi il voto eccone la prova:   

DOC DIGOS

 

Sentenze  

1) IL 21.12.12  alle ore 09.00 nel TRIBUNALE TORINO aula 80 C'E'  STATA LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE  PER LA QUERELA DELLA  FIAT,  PER QUANTO DETTO nell'ASSEMBLEA FIAT 2008 .UN TENTATIVO DI IMBAVAGLIARMI, AL FINE DI VEDERE COME  DIFENDO I MIEI DIRITTI E DI TUTTI GLI AZIONISTI DI MINORANZA NELLE ASSEMBLEE .

 Mb

SCAPARONE     SENT Mb

il 24.11.14 alle ore 1200 si tenuto al TRIBUNALE DI TORINO aula 50 ingresso 19 l'udienza finale del mio processo d'appello in seguito alla querela di Fiat per aver detto il 27.03.2008 all'assemblea FIAT che ritengo "Marchionne un'illusionista temerario e spavaldo" e che "la sicurezza Fiat e' responsabile della morte di Edoardo Agnelli per omessa vigilanza". In 1° grado ero stato assolto anche in 2° e nuovamente sia FIAT che PG hanno impugnato per ricorso in Cassazione che mi ha negato la libertà di opinione con una sentenza del 14.09.15.

SOTTO POTETE TROVARE LA DOCUMENTAZIONE

SENT 2013   FIAT 2013  PM 2013 SENT 2015  FIAT 2015  PG 2015  SCA 14.11.14 SCA 24.11.14  SENT CASS

2) il 21 FEBBRAIO 2013  GS-GABETTI sono stati condannati per agiotaggio informativo.

SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULL'ERRORE DEL TRIBUNALE DI TORINO NELL'ASSOLVERE GABETTI E GRANDE STEVENS

SENT CASS  SENT AP TO

 

Ifil-Exor: no risarcimento a parti civili, Consob punta a Cassazione

Borsa Italiana-21/feb/2013

Come parti civili si erano costituite la Consob e due piccoli azionisti, tra cui Marco Bava, noto per il suo attivismo in molte assemblee. "Non so ...

 

SU INTERNET IL  LIBRO DI GIGI MONCALVO  SULL'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI

PRES LIBRO   COP LIBRO DICEMBRE

Edoardo, un Agnelli da dimenticare

 

Marco Bernardini non ha le prove del suicidio io ho molte prove dell'omicidio che sono state illustrate in 5 libri di cui l'ultimo e' l'ultimo di Puppo :

EDOARDO AGNELLI, UN GIALLO TROPPO COMPLICATO - DIRITTO DI CRONACA

Ma Lapo ricorda il suo cane :

http://www.today.it/rassegna/morto-cane-lapo-elkann-comodino.html

 

La vostra voce in Europa - Consultazioni aperte - IT

 

 

www.italiachecambia.org

www.jobyourlife.com

www.osservatoriodannoallapersona.org

www.valserena.it PER PRODOTTI NATURALI

 rowdfundingbuzz.it

http:/fliiby.com/marcobava/?utm_source=in150&utm_medium=email&utm_campaign=life_cycle

http://paoloferrarocdd.blogspot.it/

 

Sarà operativa dal 9 gennaio la nuova piattaforma per la risoluzione alternativa delle controversie online messa in campo dalla Commissione europea. Gli organismi di risoluzione alternativa delle controversie (Adr) notificati dagli Stati membri potranno accreditarsi immediatamente, mentre consumatori e professionisti potranno accedere alla piattaforma a partire dal 15 febbraio 2016, all'indirizzo

http://ec.europa.eu/consumers/odr/

 

 

http://www.freevillage.it/ sito avv.Mario Piccolino ucciso il 29.05.15

 

VIDEO Mb

https://youtu.be/ACwrglgdOeA

https://youtu.be/gQoC1u6yWOM

https://youtu.be/pJ3Y_oSqMV8

https://youtu.be/cSQo3ljpM-Y

 

 

 

 http://www.barattobb.it/

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Videoinforma :  www marcobava.it

 

SE VUOI VEDERE COME VA IL MOND0 VAI SU : https://youtu.be/3sqdyEpklFU

 

 

Torino 1864, la prima stage di Stato. La strage di Torino del 1864 attraverso i libri. articolo di Tullio Fazzolari
...
Nei prossimi mesi, in vista del 3 febbraio, c’è da aspettarsi che verranno ricordati i 160 anni del trasferimento da Torino a Firenze della
capitale del regno d’Italia.
E anche se fu un fatto transitorio durato appena sei anni resta comunque una ricorrenza importante per lo sviluppo di Firenze.
Poco o nulla, invece, s’è detto in questi giorni del centosessantesimo anniversario di quella che è stata definita “la prima strage di Stato”.
Il 21 settembre 1864, appena si seppe che alla loro città veniva tolto il ruolo di capitale del regno, i torinesi manifestarono il proprio
malcontento.
I carabinieri reagirono subito sparando e la conseguenza furono due giornate di sangue con più di 50 morti e almeno 150 feriti.
Pochi libri raccontano i tragici eventi di Torino.
Tra questi vanno sicuramente segnalati “La strage impunita.
Torino 1864” di Valerio Monti (Savej, 151 pagine, 15 euro) pubblicato nel 2014 e il più recente “Torino 1864.
La prima strage senza colpevoli dell’Italia unita” di Enzo Ciconte (Interlinea, 200 pagine, 14 euro).
Altre pagine da non perdere vanno cercate con un po’ di pazienza nei volumi dedicati alla storia del capoluogo piemontese.
Per esempio “Torino” a cura di Valerio Castronovo edito da Laterza.
Oppure l’importante saggio di Umberto Levra “Dalla città “decapitalizzata” alla città del Novecento” pubblicato nel settimo volume della
“Storia di Torino” di Einaudi.
Tutte le ricostruzioni confermano che la strage del 1864 fu uno degli eventi più vergognosi dello Stato unitario.
Tanto per cominciare il trasferimento della capitale era stato imposto nella cosiddetta convenzione di settembre dalla Francia di Napoleone
III.
La scelta di Firenze (dopo aver scartato l’ipotesi di Napoli) doveva essere il segnale che l’Italia rinunciava a fare di Roma la propria capitale.
L’accordo non piacque al re Vittorio Emanuele II che dovette subirlo obtorto collo.
Ma soprattutto non piacque ai torinesi per molte ragioni tra cui anche l’obbligo di trasferirsi per i dipendenti statali.
La protesta del 21 settembre fu inizialmente pacifica e per molti aspetti patriottica.
Si gridavano invettive contro il governo Minghetti succube dei francesi e s’inneggiava a Garibaldi.
Lo slogan ricorrente era “Roma o Torino” a dimostrare che la perdita della capitale poteva essere accettata se si fosse realizzata l’unità
nazionale.
La violenta reazione dei carabinieri provocò la sommossa del giorno successivo.
E di nuovo i carabinieri aprirono il fuoco in maniera scomposta uccidendo persino alcuni soldati che stavano arrivando di rinforzo.
Nessuno verrà punito.
I 58 carabinieri che la magistratura militare aveva rinviato a processo vennero tutti assolti.
L’inchiesta parlamentare non ebbe conseguenze.
E per chiudere tutto arrivò un’amnistia.
Restano una lapide in piazza San Carlo a ricordo delle vittime e i segni indelebili dei proiettili sotto il monumento a Emanuele Filiberto.

 

 

 

 

 

PERCHÉ NO AL MINISTRO NUCLEARISTA PICHETTO DI UN GOVERNO IN CADUTA LIBERA :
  1. IL NUCLEARE RAPPRESENTA I DINOSAURI  SOSTENUTI DA CHI VUOLE GUADAGNARE FACILMENTE CON IL PASSATO.

    I numeri dell’Industria italiana delle rinnovabili

    Il risultato? Il rapporto IREX 2024 mostra come il comparto italiano delle rinnovabili non abbia fermato la crescita, nonostante una serie di difficoltà oggettive, dal peso dell’inflazione ai rincari dei materiali passando per le tante complessità autorizzative. Al punto che vengono riportate 1.180 iniziative progettuali (in aumento del 23% sul 2022,) per una potenza totale cumulata di 50,9 GW e un valore aggregato di 80,1 miliardi di euro. In termini di investimenti in progetto si tratta di quasi il doppio del 2022. E per il 96% si tratta di progetti destinati all’Italia.

    La parte del leone la fa l’agrivoltaico con 368 iniziative del valore aggregato di 14 miliardi e una potenza pianificata cumulata di ben 15,8 GW. Il fotovoltaico tradizionale rimane in testa per numero di operazioni ma potenza e investimenti pianificati  si attestano sotto all’agri-fv: 12,6 GW e 10,4 miliardi di euro. L’eolico a terra con 254 progetti per 14,GW di potenza totale cumulata, tocca un valore di 19,2 miliardi di euro. Più bassi ovviamente i numeri dell’eolico offshore che tuttavia si fa finalmente notare con 12 operazioni per 8,4 GW e 28,1 miliardi di euro. Gli investimenti complessivi per i sistemi di accumulo passano da 3,2 a 8,2 miliardi.

    L’Irex Annual Report 2024 mostra un settore italiano delle rinnovabili che ha continuato a crescere nonostante le sfide economiche globali”, ha spiegato l’amministratore delegato Alessandro Marangoni, a capo del team di ricerca. “Tra gli elementi caratterizzanti […] lo sviluppo dell’eolico offshore che, sulla carta, è la tecnologia emergente nel 2023 e il crescente interesse per gli accumuli, con l’affacciarsi di molti player e progetti”.

    Marangoni pone l’accento anche sulla riduzione della taglia media degli impianti rinnovabili, scesa dagli 48 MW del 2022 a 44 MW nel 2023. Contestualmente il rapporto evidenzia l’aumento delle operazioni inferiori a 10 MW, il cui peso sale dal 16% al 30% del totale. Sul fronte specifico dei sistemi di accumulo il 99% degli impianti è inferiore ai 20 kW, di cui la maggior parte sotto i 10 kW (91%).

    Il costo livellato dell’energia

    Il rapporto IREX 2024 mostra per il 2023 un sensibile ridimensionamento dei prezzi elettrici in Europa. La media si attesta a 96,1 euro il MWh (meno 54% sul 2022) ma il Belpaese si contraddistingue come al solito con uno dei valori più elevati: 127,2 euro il MWh.

    Sul fronte degli LCOE, ossia del costo medio per unità di elettricità generata, il documento sottolinea un sensibile aumento dei valori per le fonti rinnovabili. Il LCOE dell’eolico offshore varia tra 82,1 euro il MWh del Mare del Nord e 121,1 euro il MWh del Mediterraneo; nel fotovoltaico il valore medio dell’LCOE degli impianti commerciali si attesta a 107,4 euro il MWh (+9,8% sul 2022), mentre gli impianti di taglia industriale presentano un costo medio di 77 euro il MWh (+10,6% sul 2022).

    Il report offre anche qualche previsione di scenario per il 2024 “con i prezzi delle materie prime per la costruzione degli impianti eolici che vedranno variazioni differenziate: in aumento alluminio e rame, in calo i materiali ferrosi, stabile il cemento per le fondazioni. Gli effetti saranno una discesa del LCOE più contenuta per l’onshore (nulla o fino al 5%) e più marcata per l’offshore (-10%/-15%). Per il fotovoltaico le pressioni sulla componentistica dovrebbero portare a ulteriori ribassi, con il costo dei moduli in calo del 10-15%”.

  2. NON SI RISPETTA VOLONTA' DEGLI ITALIANI ESPRESSA 2 VOLTE.
  3. IL FUTURO E' LA RETE ELETTRICA DELLE RINNOVABILI CON LA PRODUZIONE DI H2 NEI PICCHI , UTILIZZATO NELLE CARENZE.
  4. L’Italia sta investendo 135 mln in R&D su piccoli reattori modulari e nucleare 4G

    La narrativa che circonda la “rinascita” del nucleare dipinge i piccoli reattori modulari di ultima generazione come la soluzione a tutti i problemi dei vecchi reattori. Gli Small Modular Reactors (SMR) sarebbero meno costosi e sarebbe possibile costruirli in poco tempo. Candidati ideali, quindi, per un ruolo almeno da comprimario nella transizione energetica, a fianco delle rinnovabili. E sui quali bisogna investire subito per avere una flotta di SMR adeguata già nel 2030.

    La realtà è completamente diversa: i loro costi lievitano e i ritardi nei tempi di realizzazione si accumulano come per le vecchie centrali nucleari, sostiene un rapporto dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA) che ha analizzato tutti i progetti di SMR in cantiere.

    Vecchi/nuovi problemi per i piccoli reattori modulari

    La base di partenza è ristretta: sono solo 4 gli SMR operativi o in costruzione oggi in tutto il mondo. A fronte di circa 80 diversi concetti di piccoli reattori modulari a diverse fasi di maturità. Oltre ai dati sui 4 mini-reattori nucleari, l’IEEFA si è basata anche sulle previsioni sui costi fornite da alcuni dei principali sviluppatori di questi progetti negli Stati Uniti.

    “I risultati dell’analisi mostrano che poco è cambiato rispetto al nostro lavoro precedente. Gli SMR sono ancora troppo costosi, troppo lenti da costruire e troppo rischiosi per svolgere un ruolo significativo nella transizione dai combustibili fossili nei prossimi 10-15 anni”, sintetizza il rapporto.

    Per i 3 piccoli reattori modulari operativi (2 in Russia e 1 in Cina) e per l’unico altro SMR in costruzione (in Argentina), le spese effettive di costruzione sono state “notevolmente sottostimate”. Per i reattori russi l’aumento supera il 300%, ma i dati risalgono al 2015 e probabilmente l’incremento reale è maggiore. Un aumento analogo è quello registrato per l’SMR cinese. Per il mini-reattore argentino va anche peggio: rispetto alle stime iniziali del 2013, i costi previsti erano lievitati del 600% nel 2021. Per altri SMR solo proposti i costi sono più che raddoppiati, come nel caso dei mini-reattori di NuScale. Incrementi che avvengono prima ancora che i progetti ottengano licenze e via libera formale.

    Sui tempi, i lunghi ritardi nella costruzione “sono stati la norma, non l’eccezione”, sostiene l’IEEFA. Per i 4 SMR al centro dell’analisi le tempistiche sono regolarmente almeno triplicate, passando dai 3-4 anni preventivati ai 12-13 anni effettivi. Tutti ritardi non troppo distanti da quelli riscontrati anche dai reattori di più recente generazione, come gli EPR di Okiluoto e Flamanville (dai 4-5 anni preventivati a 16-18 effettivi). Parte della retorica sui supposti tempi ridotti di realizzazione fa leva sulla modularità degli SMR. Ma l’approccio modulare è stato impiegato anche in altri reattori precedenti, sottolinea il rapporto, e senza gli attesi benefici sulle tempistiche.

     

    A marzo conclusa la 1° fase di lavori per preparare il campo al ritorno del nucleare in Italia

    (Rinnovabili.it) – A marzo la Piattaforma nazionale per il nucleare sostenibile ha finito “la prima fase di lavori” e si appresta a formulare una “strategia nazionale” che entrerà nel PNIEC e prepara la strada al ritorno del nucleare in Italia. Lo ha comunicato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) Gilberto Pichetto durante il question time al Senato dell’11 aprile.

    La Piattaforma sta quindi rispettando la tabella di marcia annunciata lo scorso settembre, che prevedeva una ricognizione del panorama del nucleare a livello nazionale e internazionale. Un primo giro di orizzonte su cui costruire una “via italiana” all’atomo.

    “Nelle tre fasi successive si procederà con l’elaborazione di una road map e la definizione di azioni con le relative risorse per incentivare la possibile ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare in Italia attraverso le nuove tecnologie nucleari caratterizzate da elevati standard di sicurezza e sostenibilità”, ha specificato Pichetto.

    In realtà il governo ha già iniziato a stanziare risorse per il nucleare in Italia. All’atomo sono stati destinati lo scorso novembre 135 mln euroil 25% del totale disponibile sotto il capitolo Mission Innovation. Destinati ad attività di ricerca e sperimentazione sui piccoli reattori modulari di terza e quarta generazione nel breve-medio periodo.

    I prossimi passi per il ritorno del nucleare in Italia

    Secondo i piani, la Piattaforma dovrebbe produrre entro aprile un documento che tracci la strada da seguire, che saranno poi tradotte entro giugno in linee guida ben definite che individuano azioni, risorse, investimenti e tempistiche per riaprire la porta all’atomo.

    Questa strategia nazionale “darà un contributo che sarà contemplato anche nell’aggiornamento del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) e per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione”, ha aggiunto il titolare del MASE rispondendo a un’interrogazione del senatore Zanettin (FI). Sarà elaborata tenendo conto dei contributi forniti dalle indagini conoscitive delle commissioni Ambiente di Camera e Senato e dall’industria nazionale legata alla filiera dell’atomo.

    “La filiera industriale italiana è già fortemente impegnata a livello internazionale sia nel campo della fissione che in quello della fusione, in particolare nella produzione di componentistica richiesta da centrali nucleari estere, reattori sperimentali e centri di ricerca. Il loro coinvolgimento risulta fondamentale per far sì che tutta la filiera che gravita intorno al nucleare sia pronta nel momento in cui il quadro regolatorio nazionale consentirà la ripresa di quelle che possono essere le attività e le relative autorizzazioni”, ha sottolineato Pichetto.

     

  5. Sono passati undici anni dal referendum indetto per chiedere il parere degli italiani su un eventuale ritorno al nucleare; era il mese di giugno del 2011, tre mesi dopo il disastro di Fukushima. E sono passati ben 35 anni dal precedente referendum sullo stesso tema delle centrali nucleari, avvenuto nel 1987, ossia un anno dopo la tragedia di Chernobyl. In entrambi i casi gli italiani si espressero in maggioranza contro lo sviluppo del nucleare civile nel nostro Paese.

    Undici anni non sono tanti, ma sono evidentemente sufficienti per rimuovere dalla coscienza nazionale gli eventi del passato perché oggi in Italia assistiamo a una sorta di revival del nucleare; si sta, infatti, diffondendo molto materiale propagandistico, approfittando dei comodissimi e ubiquitari social media che permettono con grande facilità di far circolare idee, giuste o sbagliate che siano.

    In particolare, nel settembre 2022 è apparso su YouTube un video a cartoni animati di circa 15 minuti dal titolo “Il nucleare: i dubbi più grossi”, realizzato da un giovane produttore indipendente. Grazie all’indiscussa abilità del video maker e a una narrazione tutta giocata su un registro sardonico e sarcastico, il video ha raccolto in poco tempo oltre un milione di visite e una pletora di commenti generalmente entusiasti tra il pubblico, composto in maggioranza da giovani e giovanissimi.

    La trascrizione integrale del parlato a supporto del video occupa ben sei pagine in formato Word e spazia su numerosissimi temi: dal funzionamento delle centrali nucleari alla loro sicurezza, dagli incidenti a questi impianti agli effetti generati dall’esplosione di una bomba atomica, dalla sicurezza energetica di una nazione alle caratteristiche delle fonti rinnovabili e a quelle dell’industria estrattiva dell’uranio, giusto per citarne alcuni. L’autore dichiara apertamente di propendere da sempre per il nucleare e di essersi avvalso di consulenti chiaramente orientati in questo senso. 

    Per dare una prima idea di come sia impostato il video, diciamo subito che racconta i due gravissimi incidenti sopra citati, Chernobyl e Fukushima, fornendo diverse spiegazioni sulle cause che li hanno provocati, ma dimentica del tutto il primo incidente nucleare grave (grado 5 su scala di 7), che avvenne negli Usa nel 1979 alla centrale di Three Mile Island, con fusione parziale del nocciolo e rilascio di radiazioni nell’ambiente.

    L’incidente americano diede impeto al movimento antinucleare globale che, per esempio, in Italia si oppose per anni, senza successo, alla costruzione delle centrali, per poi arrivare alla vittoria con il referendum del 1987. Il movimento si riaccese a causa dei progetti nuclearisti di Berlusconi e Scajola (al governo tra il 2001 e il 2006) e, in particolare, con la decisione di creare in un giacimento di salgemma nel territorio di Scanzano Jonico il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (2003). Le manifestazioni contrarie durarono 15 giorni e la decisione venne ritirata anche su insistenza dei politici lucani. Tutte cose che il video non racconta affatto.

    All’inizio del video si sente dire che è “molto facile” costruire e capire come funziona una centrale nucleare. Questo è il primo messaggio sbagliato perché l’industria del nucleare non è affatto “molto facile”, anzi è terribilmente difficile. Siccome si tratta di impianti intrinsecamente pericolosi e molto complessi, durante la progettazione, nei controlli preventivi, nella costruzione e nell’esercizio, vengono esaminati tutti i possibili tipi di incidenti e vengono previste un’infinità di contromisure per prevenirli; salvo, poi, dover rifare tutto il ragionamento ogni volta che si verifica un incidente “imprevisto” (cosa che successe, ad esempio, dopo Three Mile Island). Questa complessità aumenta moltissimo tempi e costi, tanto da veder saltare sempre i budget di previsione e allungare, anche di decenni, le attivazioni operative degli impianti.

    Inoltre, la “semplice” gestione delle centrali non è affatto banale. Ad esempio, dei 56 reattori francesi, nel corso del 2022 30 sono rimasti fermi: 18 perché sottoposti ad interventi di manutenzione programmata e 12 per problemi di “corrosione da stress”; per 16 di loro le autorità francesi hanno deciso di prolungare il funzionamento oltre i tempi della quarta revisione periodica dei reattori da 900 MW di Électricité de France (EDF), decisione molto discutibile considerato che questi impianti sono stati progettati per 40 anni di attività. 

    Negli ultimi anni in Francia si sono verificati importanti problemi in ben quattro centrali: a Civaux, a Cattenom, a Chooz e infine, solo qualche giorno fa, a Penly, con rischio classificato al livello 2, appena sotto ciò che si definisce “incidente grave”, e tale da indurre le autorità a fermare il reattore.

    La débâcle del nucleare francese ha portato la produzione delle centrali al livello più basso degli ultimi 30 anni. A risentirne sono stati anche i conti di EDF che ha chiuso il bilancio 2022 con una perdita di 17,9 miliardi di euro e ciò nonostante il fatturato sia cresciuto del 70% rispetto all’anno precedente. 

    Il Governo francese, dal canto suo, sul finire dello scorso anno ha lanciato la nazionalizzazione della multiutility con un esborso stimato in 9,7 miliardi di euro; oggi EDF è per il 96% di proprietà dello Stato e diverrà interamente pubblica nel volgere di qualche settimana. 

    Per non parlare, poi, della dismissione degli impianti nucleari che è motivo di insostenibilità economica per i soggetti gestori e fonte di forte preoccupazione per le autorità e i territori che ospitano gli impianti.

    Il video è interamente costellato di sapienti inesattezze. Per esempio, si lascia intendere che il maremoto del 2011 in Giappone fosse imprevedibilmente eccezionale e, quindi, “i danni conseguenti a Fukushima sostanzialmente inevitabili”. Non è assolutamente così. Viene, infatti, volutamente ignorato il fatto che la prima centrale nucleare costiera raggiunta dal maremoto non fu quella di Fukushima, bensì quella di Okagawa, dove l’impianto, costruito da un’altra azienda senza badare a spese, resistette sia al terremoto che allo tsunami, diventando addirittura rifugio per gli sfollati [1].

    Se i proprietari della centrale di Fukushima non avessero risparmiato sulle protezioni anti-maremoto e i controlli pubblici giapponesi avessero funzionato bene, il disastro non sarebbe avvenuto. Questo, che sembra essere un argomento in favore del nucleare, pone in verità un problema generale sul nucleare “privato” e sui controlli “pubblici” ed è il motivo per cui le poche centrali nucleari in costruzione in Europa sono tipicamente affidate ad aziende statali con costi impressionanti che gravano solo sulle casse pubbliche. Per esempio, la centrale nucleare francese di Flamanville, dopo il fallimento del costruttore Areva, è ora in mano a EDF che sta realizzando anche la grossa centrale inglese di Hinkley Point C, insieme al colosso statale nucleare cinese CNG, con fortissime polemiche sia sull’opportunità politica, sia sui costi, sia sull’impatto ambientale.

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    Il nucleare civile, per quante precauzioni si prendano, non è a prova di inetto o di avido: basta un singolo malintenzionato o sbadato nella lunga catena di progettazione, controllo e gestione degli impianti e del combustibile per mettere a repentaglio la sicurezza generale. Questo naturalmente è vero anche per altre grandi imprese energetiche, come ha dimostrato il disastro del Vajont (1963), che di fatto, conducendo a migliaia di morti, fermò per sempre la corsa al grande idroelettrico sulle nostre montagne.

    Venendo a punti specifici, abbiamo rilevato nel video un numero notevole di errori, imprecisioni, notizie distorte e dati poco attendibili. Di seguito una breve selezione.

    Seguendo la successione cronologica, la prima riguarda il nocciolo che “non esploderà mai; al massimo si scalda, si dilata e fonde” e ben si connette con l’altro travisamento “una centrale non è una bomba e non può esplodere come una bomba”. I fatti dimostrano esattamente il contrario: il 10 aprile 2003 nella centrale di Paks in Ungheria fu scongiurato il pericolo di un’esplosione nucleare grazie ad un pronto e non semplice intervento di raffreddamento di 30 barre di combustibile del nucleo del reattore. Dunque, se per un verso non è possibile escludere a priori il rischio di esplosione del nocciolo, dall’altro occorre riaffermare – cosa che l’autore del video si guarda bene dal fare – che l’autodistruzione del reattore è in sé il maggiore dei pericoli e che può essere innescato, come accadde a Fukushima, anche da eventi di “ordinaria amministrazione” quali, ad esempio, la distruzione dell’impianto refrigerante e/o la mancata alimentazione delle pompe.

    Una centrale nucleare, in caso di incidenti, anche se non esplode è, comunque, una bomba i cui effetti biologici (ad es., sindrome acuta da radiazioni e aumento dell’incidenza del cancro), psicologici e sociali sono estremamente gravi e duraturi, così come dimostrato da studi condotti sia in Italia (vedi il caso della Centrale del Garigliano) che all’estero [2].

    Inoltre, il rassicurante messaggio contenuto nel video “ci preoccupiamo di poche scorie stoccate in barili a prova di bomba che in 70 anni di attività di un paese occupano un solo capannone”, è fuorviante perché si limita a considerare l’aspetto quantitativo, senza toccare i risvolti più critici.

    Da un punto di vista del tutto generale, le scorie, tante o poche che siano, sono un problema non risolto che lasciamo sulle spalle delle prossime generazioni; come è stato giustamente sottolineato in un articolo uscito su Chemical&Engineening News del 5 maggio 2008 “it is at best irresponsible, at worst a crime, to leave the waste to be addressed by generations not yet born.”.

    Ad esempio, per quanto riguarda l’Italia, trascorsi oltre 30 anni dalla chiusura degli impianti, la questione delle scorie è tutt’altro che risolta. In Germania la penetrazione di una soluzione salina nelle caverne sotterranee del deposito di Asse, dove dal 1967 al 1978 furono portati 125.787 container di scorie radioattive (per il 90% provenienti da centrali nucleari), ne ha compromesso la tenuta stagna. 

    Parimenti critica risulta la situazione delle scorie in Francia: ad Aube, dei due centri di stoccaggio che ospitano il 90% dei residui radioattivi prodotti ogni anno in Francia, uno si sta avvicinando alla saturazione e per alcuni rifiuti non c’è ancora una soluzione. Inoltre, una recente inchiesta della rete televisiva Artè ha svelato che la Francia ha stoccato in Siberia presso il complesso atomico di Tomsk-7 e in modo totalmente abusivo (a cielo aperto) il 13% delle sue scorie radioattive. 

    Inoltre, non viene toccato il problema della dismissione di una centrale nucleare che di scorie ne lascia tante e di difficilissima gestione; il sito che ha ospitato una centrale porta indelebili i suoi segni: enormi silos, in cui vengono “tombate” le scorie e le parti dell’impianto, che per ragioni di sicurezza non possono essere toccati per tempi lunghissimi e di cui, ancora una volta, si dovranno occupare le future generazioni.

    Sempre nel video si minimizzano gli “effetti di un attacco militare” agli impianti, materializzatosi nell’agosto scorso a Zaporizhzhia e in settembre a Pivdennoukrainsk, in Ucraina.

    In generale, gli impianti nucleari non sono progettati in funzione di un possibile danno derivante da un attacco militare perché, con una visione assolutamente miope, si considera quale unica fonte di pericolo il danneggiamento delle strutture che contengono il reattore. È, invece, facile dimostrare che per provocare un disastro, ad esempio simile a quello di Fukushima, sarebbe sufficiente indirizzare l’attacco militare al sistema di raffreddamento delle vasche che permettono di controllare la temperatura dei reattori.

    Per il caso di Zaporizhzhia, l’Istituto Affari Internazionali ha formulato lo “Scenario Fukushima”, richiamando l’attenzione sulleconseguenze dell’interruzione della refrigerazione del nocciolo e delle piscine del materiale spento: esplosioni di idrogeno, incendi locali, esplosioni di vapore acqueo, rottura delle barre di combustibile fino alla fusione del nocciolo nel corium e penetrazione del contenitore, con rilascio di materiale radioattivo.

    Inoltre, qualora fosse bombardata l’area di stoccaggio a secco del combustibile nucleare esaurito, le strutture di contenimento del combustibile potrebbero danneggiarsi liberando isotopi radioattivi che andrebbero a contaminare le zone circostanti l’impianto, rendendo necessarie contromisure di sanità pubblica per la popolazione locale.

    Il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), Rafael Grossi, a proposito dei ripetuti attacchi missilistici alla centrale ha dichiarato: “Ogni volta è come se tirassimo i dadi. E se permettiamo che questo continui, un giorno la nostra fortuna si esaurirà”.

    Nel video si tace, ovviamente, sulla “connessione tra usi civili ed usi militari” del nucleare; è, invece, noto che i cicli del combustibile e della fissione nelle applicazioni pacifiche e non pacifiche funzionano spesso in parallelo; tecnologie e conoscenze sono spesso adatte ai due usi, soprattutto negli stati con regimi autocratici. Il caso tipico è quello dell’Iran, con il suo programma militare clandestino svolto in parallelo a quello civile, dove la AIEA ha rilevato particelle di uranio arricchito all’83,7 per cento, non lontano dalla soglia del 90 per cento necessaria per la produzione di un ordigno.

    E, comunque, anche in assenza di programmi militari clandestini, la catena del nucleare a uso civile ben si presta ad essere utilizzata per applicazioni militari: questo vale per gli impianti di arricchimento dell’isotopo fissile dell’uranio (U-235), per i reattori di ricerca e commerciali, per gli impianti e la tecnologia di ritrattamento e, infine, per i siti provvisori di stoccaggio del plutonio, dell’uranio e di altri materiali fissili.

    Affermare poi che “Il nucleare fa paura perché ci appare ancora misterioso, per questo ci ricordiamo di quei 2 grossi incidenti successi in 70 anni di attività” è puro negazionismo; in realtà negli ultimi 50 anni si contano numerosi incidenti, tra i quali almeno 5 gravi: oltre a Chernobyl (1986) e Fukushima (2011), si devono aggiungere quello già citato all’impianto di Three Mile Island (1979) e quelli alle centrali nucleari di Kyshtym (1957) e di Windscale Piles (sempre 1957). Fra l’altro, è molto probabile che non tutti gli incidenti nucleari siano stati dichiarati in quanto legati a sviluppo di programmi militari clandestini.

    Inoltre, il nucleare “fa paura” non perché sia oggetto opaco e misterioso come si dice nel video, ma proprio perché vi è consapevolezza dei rischi associati all’opzione nucleare. Ad esempio e giustamente, l’Italia, pur non avendo centrali funzionanti sul suo territorio, data la presenza di 13 impianti a meno di 200 chilometri dai suoi confini si è dotata di un Piano Nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari; tra gli obiettivi del Piano figurano la definizione e l’attuazione di “…misure per la tutela della salute pubblica e delle produzioni, con particolare riguardo alle misure protettive e alle strategie di protezione dei cittadini, nonché i controlli delle filiere produttive e le restrizioni alla commercializzazione di prodotti agroalimentari”.

    Sui “costi del nucleare” la narrazione proposta nel video falsifica la realtà, ignorando la conclusione a cui si perviene dopo aver analizzato le stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA): il nucleare non costerà poco e sarà in grado di reggersi unicamente in virtù di un robusto sostegno finanziario di fonte governativa. Non potrebbe essere altrimenti considerati gli ingenti costi di realizzazione degli impianti, su cui incide il peso degli oneri finanziari dovuti ai lunghi tempi di costruzione, stimati ottimisticamente dalla IEA in 10 anni nel Regno Unito, 9 in India e negli Usa, e 6 in Cina.

    Non solo le vecchie ma anche le nuove centrali non risultano competitive sia rispetto ai costi che ai tempi di costruzione: Flamanville 3 in Francia avrebbe dovuto avere un costo di 5 miliardi di euro lievitati a 13,2, secondo Electricité de France, e a 19 per la Corte dei conti francese; la costruzione avviata nel 2007 si sarebbe dovuta concludere dopo molti ritardi nel 2022, ma secondo Alain Morvan, direttore del progetto, l’impianto verrà caricato con il combustibile solo nel primo trimestre del 2024. La Finlandia ha invece terminato la costruzione di Olkiluoto con un ritardo di 12 anni rispetto ai tempi pianificati e con costi triplicati.

    La sequela di mistificazioni contenute nel video si alimenta anche del capitolo relativo “all’impronta carbonica” delle centrali in rapporto all’energia prodotta, che l’autore, non senza audacia e con tanto di grafico, proverebbe essere inferiore rispetto a quella delle fonti rinnovabili.

    La quantità di CO2 emessa dal nucleare deve essere calcolata tenendo conto di tutte le fasi del ciclo di vita degli impianti – dall’estrazione dell’uranio fino alla dismissione delle centrali – senza tralasciare le emissioni legate al trasporto e allo stoccaggio delle scorie radioattive.

    Ciò premesso, secondo i dati forniti dall’Agenzia per l’ambiente tedesca, il valore delle emissioni generate dal nucleare risulta elevato: oltre il triplo del fotovoltaico (33 g/kWh), circa 13 volte quello delle centrali eoliche (tra i 9 e i 7 g/kWh) e quasi 30 volte quello degli impianti idroelettrici (4 g/kWh).

    Inoltre, secondo lo studio Differences in carbon emissions reduction between countries pursuing renewable electricity versus nuclear power”, pubblicato il 5 ottobre del 2020 sulla rivista Nature Energy, le energie rinnovabili sono fino a 7 voltepiù efficaci nel ridurre le emissioni di carbonio rispetto all’energia nucleare.

    rsten Würth su Unsplash

    L’ostracismo nei confronti delle rinnovabili trova riscontro in un altro passaggio del video in cui si afferma che “Questa filiera, in rapporto all’energia prodotta, genera un inquinamento e un’emissione di CO2 che supera pure quella del nucleare, facendoci poi dipendere da stati come la Cina”.

    Delle emissioni di CO2 si è già detto. Quanto alla debolezza della filiera nazionale ed europea relativa alle rinnovabili e alla conseguente dipendenza dalla Cina, il nodo è e resta tutto politico. Nel suo report “Solar PV Global Supply Chain” pubblicato a giugno di quest’anno, la IEA afferma che “… Le nazioni possono migliorare la resilienza investendo per diversificare la produzione e le importazioni”.

    Per quanto concerne l’Italia, il PNRR destina risorse alla realizzazione/modernizzazione di impianti per la produzione di moduli fotovoltaici nei siti di Modugno (pannelli flessibili) e Catania, dove ENEL punta a raggiungere l’obiettivo di produrre 3000 MW di pannelli al 2024.

    In merito alla dipendenza dalla Cina, le attuali tecniche consentono di riciclare fino al 88-90% del modulo fotovoltaico, generando circa 17-18 kg di materie prime seconde per ogni pannello. Ragion per cui è importante investire su nuove tecnologie che consentano di accrescere la percentuale di riciclo dei moduli, il conseguente recupero di silicio da utilizzare per nuove produzioni, nel rispetto dei dettami dell’economia circolare, e, quindi, di diminuire la dipendenza dai paesi esteri.

    Non altrettanto può dirsi del combustibile che alimenta i reattori, presente in soli cinque paesi al mondo, tra cui anche la Russia, con le sue 486.000 tonnellate, pari all’8% delle riserve mondiali, e il Kazakistan, con 906.800 tonnellate, pari al 15% delle riserve mondiali, e primo produttore al mondo, ma teatro di dure repressioni del dissenso interno.

    Altro punto dolens del video è quello della presunta “assenza di infiltrazioni mafiose e malavitose” in un settore a così alta specializzazione. L’accertato “zampino” della yakuza, la temibile mafia giapponese, nella gestione della decontaminazione di Fukushima, e alcuni cablogrammi di Wikileaks che chiariscono il ruolo delle cosche nella gestione dei traffici illeciti di rifiuti nucleari in transito dal Porto di Gioia Tauro, smentiscono la fantasiosa narrazione dell’autore.

    Al capitolo “mafia atomica” appartengono anche alcune delle pagine più oscure e dolorose del nostro paese: l’esecuzione, avvenuta a Mogadiscio il 20 marzo del 1994, della giornalista Ilaria Alpi, rea di aver indagato su un traffico internazionale di armi e rifiuti tossici radioattivi, e la morte, avvenuta in circostanze misteriose, dell’ufficiale della Marina Militare, Natale De Grazia, in servizio presso la Capitaneria di porto di Reggio Calabria e impegnato in una delicata indagine sull’affondamento delle navi dei veleni nei mari della Calabria.

    La denigrazione delle rinnovabili prosegue associando allo sviluppo delle rinnovabili l’incremento del consumo di suolo e richiamando l’avversione delle comunità locali nei confronti di “pannelli fotovoltaici e pale eoliche”.

    Anche in questo caso la smentita viene dai “freddi numeri”: secondo un recente studio condotto in Italia [3] nel 2020, l’energia solare potrebbe alimentare l’Italia senza utilizzare ulteriore suolo.

    Per raggiungere gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), rivisti alla luce del Green Deal U.E., si prevede che entro il 2030 il fotovoltaico debba fornire almeno 100 TWh di energia elettrica, 4 volte in più rispetto al 2020. Ipotizzando che questa energia venga generata da impianti solari a terra, si occuperebbe un’area di poco superiore ai 1.000 km2, grosso modo pari alla superficie della provincia di Pistoia e corrispondenti a circa il 5% del consumo di suolo in Italia, contro una quota del 40% ricoperta da strade e circa del 30% occupata dagli edifici.

    Esistono tuttavia diverse alternative per ridurre ulteriormente il consumo di suolo: ad esempio, attraverso il revamping e il repowering degli impianti esistenti, utilizzando moduli più efficienti (passando dall’attuale 21-22% al 30% entro il 2030, si potrebbero produrre 300 TWh, doppiando abbondantemente il target del Green Deal) e, anche, con soluzioni riguardanti l’integrazione del fotovoltaico sui tetti degli edifici o l’uso del fotovoltaico galleggiante sull’acqua.

    Quanto all’atteggiamento delle amministrazioni e delle comunità locali nei confronti dell’eolico, è dimostrato che giocano un ruolo a favore della realizzazione dei progetti fattori quali una buona pianificazione, il concreto coinvolgimento dei territori, un’informazione preventiva, tempestiva e trasparente, il rispetto delle norme che regolano i permessi, il grado di integrazione dei progetti con il tessuto economico-sociale locale, ecc. (si veda, ad esempio, il caso dell’impianto eolico in località Tocco da Casauria, 3,2 MW, anno 2006).

    Di contro, sappiamo per certo che in Italia il culmine dell’opposizione pubblica a piani energetici è stato raggiunto solamente in occasione delle due consultazioni referendarie sullo sviluppo del nucleare civile. La prima consultazione, nel 1987, si articolò su tre quesiti: il numero dei votanti fu pari al 65,1% degli aventi diritto e per tutti e tre i quesiti la maggioranza dei votanti di espresse contro l’opzione nucleare. Stessa sorte toccò al nucleare nel 2011: il numero dei votanti fu il 54,79% degli aventi diritto e il 94,5% dei votanti si espresse per la seconda volta contro lo sviluppo del nucleare in Italia, a dispetto di quanti, politici e non, avevano fino ad allora sostenuto e continuavano ad avere un atteggiamento neutrale nei confronti di quel settore.

    Per giustificare la necessità di installare impianti nucleari il video continua la sua crociata contro le rinnovabili accusando queste fonti di una variabilità intrinseca con la conseguente impossibilità di stabilizzare il sistema elettrico. In realtà sono sempre più diffusi e facilmente reperibili studi tecnico-scientifici che mostrano come sia possibile sviluppare un sistema elettrico basato sul 100% di rinnovabili, senza utilizzare fonti fossili e senza costruire nuove centrali nucleari [4]. Un tale obiettivo è realizzabile anche in Italia; ad esempio, l’amministratore delegato di Terna, Stefano Donnarumma, intervistato da diverse testate giornalistiche (vedi Il Messaggero del 5/10/22), non ha mostrato perplessità per l’imponente crescita delle rinnovabili sul sistema elettrico da lui amministrato e Francesco Starace, ingegnere nucleare a capo di Enel Spa, ha dichiarato la sua totale contrarietà a un nuovo programma nucleare italiano basato sulle tecnologie oggi disponibili (vedi intervista a Open del 13/1/22).

    Nonostante la recente propaganda distorta e dannosa, i numeri parlano chiaro: in tutto il mondo le rinnovabili sono in crescita esplosiva, mentre il nucleare è sostanzialmente residuale o in fase calante. Allora, i nostri giovani dovrebbero guardare responsabilmente al loro futuro affidandosi non a un divertente cartone animato, ma a seri dati scientifici.

     di Enrico Gagliano, Vittorio Marletto, Margherita Venturi – Energia per l’Italia

    Riferimenti

    [1] Andrew Leatherbarrow, Melting Sun: The History of Nuclear Power in Japan and the Disaster at Fukushima Daiichi, Nielsen, 2022.

    [2] “Special Report: Counting the dead”, Nature, 440, 982, 2006 (doi.org/10.1038/440982a); J.-C. Nénot, “Radiation accidents over the last 60 years”, Journal of Radiological Protection, 29, 301, 2009 (doi.10.1088/0952-4746/29/3/R01).

    [3] IAPI: ItaliAn network for Photovoltaic R&I, A Strategic Plan for Research and Innovation to Relaunch the Italian Photovoltaic Sector and Contribute to the Targets of the National Energy and Climate Plan2020.

    [4] https://www.unep.org/resources/report/renewables-2022-global-status-report; C. Breyer et al., “On the History and Future of 100% Renewable Energy Systems Research,” IEEE Access, 10, 78176, 2022 (doi.10.1109/ACCESS.2022.3193402).

    L’aggiornamento del PNIEC dovrà essere consegnato a Bruxelles a giugno 2024

    Il nuovo Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) potrebbe contenere il primo accenno concreto all’impiego dell’energia nucleare. Non per il medio termine, ovviamente, quanto piuttosto per lo sforzo di decarbonizzazione al 2050. A rivelarlo è il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin un giorno prima del Vertice G7 di Torino.

    Il numero uno del MASE ha da sempre sostenuto la validità dell’energia dell’atomo come strumento di decarbonizzazione energetica, nonostante le chiare difficoltà di riuscire ad inserire una simile fonte nel contesto nazionale. Ecco perché nel 2023 il dicastero ha  istituito la Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile (PNNS). Il network, coordinato dal MASE con il supporto di Enea e RSE, ha l’obiettivo di definire in tempi certi un percorso finalizzato alla possibile ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare in Italia e alla crescita della filiera industriale nazionale (già attiva nel comparto).

    Lo scenario nucleare nel PNIEC italiano

    Il passaggio nel PNIEC italiano appare come una mossa, per alcuni versi, abbastanza prevedibile. Il Piano deve essere consegnato entro giugno 2024 alla Commissione europea nella sua versione ufficiale, integrando in teoria tutte le richieste avanzate da Bruxelles rispetto alla bozza 2023. A partire da nuovi dettagli su come il Belpaese intenda raggiungere gli obiettivi climatici ed energetici 2030. Con particolare attenzione alle azioni di riduzione delle emissioni. Secondo quanto riporta l’esecutivo UE, infatti, “il piano fornisce proiezioni di emissioni che dimostrano che con le politiche e le misure aggiuntive proposte nel progetto di PNEC aggiornato, l’Italia non è sulla buona strada per raggiungere il suo obiettivo nazionale di gas serra di -43,7% nel 2030 rispetto ai livelli del 2005. Secondo le proiezioni dell’Italia, il target sarebbe inferiore di 6,7-8,7 punti percentuali”.

    Il possibile scenario “nucleare” su cui sta lavorando la PNNS riguarda però il lungo termine, ossia le politiche dal 230 alla metà del secolo. Spiega il ministro Pichetto “L’aggiornamento del PNIEC, da trasmettere alla Commissione europea entro giugno 2024, riporterà anche analisi di scenario contenente una possibile quota di energia prodotta da fonte nucleare nel periodo 2030-2050. Tale quota sarà ricavata dai dati, basandosi su valutazioni comparative rispetto al mix energetico attuale. Tali analisi sono tutt’ora in corso di studio da parte di uno specifico Gruppo di lavoro della Piattaforma”.

    Si studiano nuove proposte normative e di governance

    Ma per portare il nucleare in Italia e inserire l’atomo nel mix elettrico nazionale servirà anche mettere mano a norme, regolamenti e incentivi per non parlare delle politiche di governance. E al momento l’Italia fatica anche a realizzare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.

    Come muoversi su questo fronte? Il Ministro ha rivelato di aver dato mandato al giurista Giovanni Guzzetta, di costituire un gruppo di alto livello per ridisegnare l’ambito legislativo del sistema regolatore italiano “per accogliere un eventuale programma di ripresa della produzione nucleare in Italia“, con la definizione, inoltre, di “un quadro normativo specifico per l’energia da fusione”.

    Atto Camera

    Mozione 1-00295
    presentato da
    SQUERI Luca
    testo presentato
    Mercoledì 12 giugno 2024
    modificato
    Mercoledì 26 giugno 2024, seduta n. 314
      La Camera,

    premesso che:

    1) nel gennaio 2020 l'Italia ha inviato alla Commissione europea la versione definitiva del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2021-2030 (Pniec), adottato in attuazione del Regolamento 2018/1999/UE, al termine di un percorso di consultazione pubblica ed elaborazione avviato nel dicembre 2018. Tra i principali obiettivi: una percentuale di energia da fonti energetiche rinnovabili (FER) nei consumi finali lordi di energia pari al 30 per cento, la riduzione dei «gas serra», rispetto al 2005, per tutti i settori non ETS del 33 per cento, il phase out del carbone dalla generazione elettrica al 2025;

    2) nel dicembre 2019, la Commissione europea ha presentato la comunicazione strategica sul Green Deal europeo volta a conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Tale traguardo, approvato il 12 dicembre 2019 dal Consiglio europeo, è stato successivamente sancito dalla legge europea sul clima (regolamento 2021/1119/UE), che ha introdotto l'obiettivo, da conseguire entro il 2030, di ridurre le emissioni di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990;

    3) il 14 luglio 2021, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte legislative, denominato Fit for 55 (Pronti per il 55 per cento), volte a rivedere la normativa dell'Ue in materia di riduzione delle emissioni climalteranti, per consentire il raggiungimento di questo nuovo più ambizioso obiettivo al 2030;

    4) il 18 maggio 2022 la Commissione europea ha presentato il Piano REPowerEU (COM(2022) 230 final) con l'obiettivo di ridurre la dipendenza dell'UE dai combustibili fossili russi accelerando la transizione e costruendo un sistema energetico più resiliente. Con il regolamento (UE) 2023/435 del 27 febbraio 2023, è stato consentito agli Stati membri di inserire appositi capitoli REPowerEU nei Piani per la ripresa e la resilienza (PNRR). Il 7 agosto 2023 il Governo italiano ha presentato alla Commissione europea le conseguenti modifiche al Piano nazionale ripresa resilienza, accolte dalla Commissione europea, (COM(2023) 765 Def) il 24 novembre 2023 e dal Consiglio europeo l'8 dicembre 2023;

    5) il 4 agosto 2022 è entrato in vigore, con decorrenza 1° gennaio 2023, il regolamento delegato 2022/1214 della Commissione Ue, che include gas e nucleare dalla lista degli investimenti considerati sostenibili dal punto di vista ambientale (cosiddetta tassonomia verde). Dal 1° gennaio 2023 è possibile investire in nuove centrali nucleari realizzate con le «migliori tecnologie disponibili» e fra gli investimenti sostenibili le attività di ricerca e sviluppo per le nuove tecnologie è stato inserito il nucleare di quarta generazione. Quanto al gas, le centrali con permesso di costruzione rilasciato entro il 2030, dovranno sostituire vecchi impianti a combustibili fossili con altri più efficienti del 55 per cento dal punto di vista delle emissioni ed essere programmate per passare, dal 2035, a gas rinnovabile;

    6) il 16 maggio 2023 è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2023/857 (cosiddetto Regolamento Effort Sharing-ESR) che ha fissato un obiettivo per l'Italia ancor più ambizioso, prevedendo che le emissioni di gas a effetto serra degli Stati membri al 2030 rispetto ai livelli nazionali del 2005 determinate in conformità dell'articolo 4, paragrafo 3 del regolamento stesso (trasporti, residenziale, terziario, industria non ricadente nel settore ETS, i rifiuti, l'agricoltura) si riducano entro il 2030 del 43,7 per cento rispetto ai livelli del 2005;

    7) questo complesso di impegni detta l'inquadramento del percorso di decarbonizzazione del Paese. Ai sensi dell'articolo 14 del regolamento (UE) 2018/1999, la proposta di aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima, allineata ai nuovi obiettivi, deve essere trasmessa alla Commissione europea entro il 30 giugno 2023, mentre la versione finale del documento deve essere trasmessa entro giugno 2024, sviluppandosi nelle cinque dimensioni dell'Unione dell'energia: decarbonizzazione (riduzione delle emissioni e energie rinnovabili); efficienza energetica; sicurezza energetica; mercato interno dell'energia; ricerca, innovazione e competitività;

    8) in coerenza con gli obiettivi sopraindicati il Ministero dell'ambiente ha predisposto nell'estate 2023 un documento di aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima 2019, in linea con i nuovi obiettivi, prevedendo per il 2030 la conseguente riduzione dell'emissione di gas serra, una quota del 40 per cento di energia proveniente da fonti rinnovabili nei consumi finali lordi di energia (e del 65 per cento nel settore elettrico);

    9) un aumento dell'efficienza energetica che porta i consumi finali 2030 a 100 Mtep e quelli primari dai 145 Mtep del 2021 ai 122 del 2030; l'abbattimento, rispetto al 2005 del 62 per cento delle emissioni ETS e del 35-37 per cento delle emissioni ESR, la promozione della produzione industriale a basse emissioni di carbonio, nonché una maggiore elettrificazione nel mix energetico;

    10) la proposta di aggiornamento Piano nazionale integrato energia e clima 2023 prevede che per rispettare la traiettoria emissiva del periodo 2021-2030, rispetto ai livelli del 2005, sarà necessario avviare da subito una significativa riduzione delle emissioni pari a oltre il 30 per cento rispetto ai livelli del 2021, da conseguirsi prevalentemente nei settori trasporti e civile (residenziale e terziario);

    11) nel percorso di decarbonizzazione, in tutti i settori, l'efficienza energetica rappresenta il driver principale, in coerenza del principio Energy Efficiency First (efficienza energetica al primo posto);

    12) per quanto riguarda la produzione elettrica da fonte rinnovabile (FER-E) in termini di potenza installata si prevede di aumentare, rispetto all'installato di fine 2021, da 11.290 a 28.140 MW quelle eolica, da 22.594 a 79.921 MW quella solare, mentre restano sostanzialmente stabili le potenze installate nei settori dell'idroelettrico e della geotermia. In calo la produzione da bioenergie. In termini di produzione annua si prevede di incrementare l'eolico da 20 a 64 TWh, il solare da 25 a 99 TWh, mentre si prevede una sostanziale stabilità per l'idroelettrico (da 48,5 a 47 TWh) e un calo per le bioenergie da 19 a 10 TWh) (pagine 77 e 78 del Piano nazionale integrato energia e clima 2023);

    13) per quanto riguarda il settore delle rinnovabili termiche (FER-C), le misure dovranno essere coordinate con l'efficienza energetica, in particolare per gli edifici. È previsto l'obbligo di integrazione delle rinnovabili termiche negli edifici, la riforma del meccanismo delle detrazioni fiscali, l'obbligo di fornitura di calore rinnovabile per vendite di calore sopra i 500 tep, unitamente all'incentivazione della produzione di energia rinnovabile termica di grande taglia con sistemi competitivi. Nel settore termico, oltre a una forte spinta all'elettrificazione dei consumi data dall'ampia diffusione delle pompe di calore nel settore civile, penetreranno sempre più i gas rinnovabili (biometano, bioGPL e DME rinnovabile) e idrogeno (in particolare in ambito industriale);

    14) l'ammontare degli investimenti diretti stimati necessari per raggiungere gli obiettivi del Piano nazionale integrato energia e clima al 2030 è stimato dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica in 830,3 miliardi di euro, tra il 2023 e il 2030 dei quali 524,9 miliardi a carico del settore dei trasporti (solo veicoli) 134,2 miliardi nel settore dell'edilizia residenziale, 43 miliardi nel terziario, 37,2 per le reti del sistema elettrico, 69,4 nelle FER-E (di cui 36 miliardi nel fotovoltaico e 24 nell'eolico) e 6,3 miliardi per i sistemi di accumulo (batterie e pompaggi). In calo invece gli investimenti in idroelettrico e bioenergie (pagine 411-412 del Piano nazionale integrato energia e clima 2023);

    15) a fronte di questa dimensione epocale di investimenti le risorse disponibili, tra le misure di finanza sostenibile individuate dal Piano nazionale integrato energia e clima 2023 e le risorse rese disponibili nei vari fondi europei, appaiono del tutto esigue e sottostimate, ove si consideri che la Commissione UE prevede, nelle linee guida per l'aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima, la necessità di valutare gli impatti sociali ed economici delle misure di transizione, da accompagnare con politiche che impediscano l'acuirsi delle differenze sociali, favoriscano la ricollocazione dei lavoratori e contrastino i fenomeni di povertà energetica. A tale scopo le risorse del Fondo sociale per il clima (86,7 miliardi di euro di cui il 75 per cento finanziato con i proventi ETS e il 25 per cento con risorse proprie degli Stati), sembrano essere esigue rispetto agli impatti delle diverse politiche pubbliche messe in campo. Il solo costo della direttiva Case green è stato stimato a livello europeo in 275 miliardi di euro l'anno dal 2024 al 2030;

    16) è necessario sottolineare che il raggiungimento degli obiettivi, ambiziosi, previsti dal Piano nazionale integrato energia e clima non può prescindere dal sostegno di tutte le fonti rinnovabili e, quindi, da una libertà in merito alle scelte tecnologiche. Come chiarito dalla direttiva (UE) 2018/2001, le biomasse, la geotermia, l'energia idraulica e i biogas, appartengono al novero delle fonti rinnovabili, questo anche nell'ottica di preservare ed accompagnare verso una graduale transizione anche il sistema produttivo principale del nostro paese caratterizzato da imprese di medio-piccole dimensioni;

    17) va da sé, inoltre, anche la necessità di avanzare in sede europea una proposta volta al riconoscimento degli incentivi a impianti la cui componentistica e tecnologia sia in gran parte costruita nell'Unione europea anche per incentivare gli investimenti in Europa e concorrere alle logiche di filiera industriale che gioverebbe al sistema Italia;

    18) inoltre, è opportuno valorizzare quanto introdotto nel 2023 dall'Unione europea attraverso il Critical Raw material act quale strumento utile a implementare strumenti di ricerca, estrazione di terre rare e altre materie prime critiche e strategiche, riciclo delle stesse e avvio di processi industriali e tecnologici per la surroga di tali elementi. Ad oggi il settore mondiale delle batterie sta conoscendo un'evoluzione esponenziale con un fortissimo calo dei prezzi e l'introduzione di nuove tecnologie di sostituzione o complementari. Proprio su questo fronte vi sono prospettive interessanti per la tecnologia agli «ioni-sodio» e le batterie termiche dove l'industria italiana può rivestire un ruolo da assoluta protagonista per la presenza di importanti progetti in tale settore;

    19) per quanto riguarda le biomasse, la superficie boscata italiana si è triplicata dal 1951, raggiungendo 12 milioni di ettari, sui 30,1 milioni totali del Paese, ma si utilizza come fonte rinnovabile solo il 18 per cento dell'accrescimento, che corrisponde a 7,90 Mtep, e l'Italia è il primo importatore europeo di materia prima legnosa. Germania, Francia e Spagna prevedono al 2030 di produrre il 68 per cento dell'energia termica da biomassa. Se si utilizzasse il 67 per cento dell'accrescimento (media europea) se ne otterrebbero 30 Mtep, che coprirebbero il 70 per cento dei consumi termici da fonte fossile. La gestione sostenibile delle foreste, unitamente alla previsione di politiche per la mitigazione degli incendi, migliora la capacità di assorbimento del carbonio. In Austria la capacità di assorbimento della CO2 è triplicata rispetto all'Italia che dispone di una insolazione molto superiore e ha grande disponibilità di acqua;

    20) per la geotermia, risorsa rinnovabile (calore della terra) e programmabile, è attribuito (dati RSE-GSE) un elevato potenziale geotermico presente nel 60 per cento del territorio italiano. L'Italia con oltre 30 impianti geotermoelettrici, attivi nel settore elettrico, per una potenza di 817 MW ed una produzione nel 2022 di 5.837 GWh, pari al 6 per cento circa della produzione elettrica da FER e al 2 per cento circa della produzione elettrica complessiva nazionale, si pone da molti anni al primo posto dei Paesi dell'Unione Europea in termini di capacità installata. La risorsa geotermica ai fini energetici è significativamente utilizzata nel Paese anche nel settore termico sia attraverso impianti di teleriscaldamento, sia mediante impianti di sfruttamento diretto del calore geotermico, che in impianti di sfruttamento del calore geotermico tramite pompa di calore. La geotermia, oltre ad essere una delle principali fonti rinnovabili per riscaldamento, raffreddamento e per la produzione programmabile di energia elettrica, risulta il mezzo più sostenibile per estrarre litio e altre materie prime critiche dai fluidi geotermici;

    21) per quanto riguarda l'energia idraulica secondo i dati contenuti nel Registro italiano dighe, le grandi dighe (volume d'invaso maggiore di 1.000.000 metri cubi, altezza maggiore di 15 metri) sono in totale 532. Di queste 497 sono ancora in attività e sono date in concessione soprattutto per la produzione di energia idroelettrica (306) dighe cui seguono gli usi irriguo potabile e industriale. La capacità d'invaso è di circa 14 chilometri cubi. Con interventi di manutenzione degli invasi e di ammodernamento delle turbine secondo alcuni studi si potrebbe avere un incremento di produzione di 25 TWh annui al 2030 (circa il 40 per cento in più). In Italia piovono annualmente circa 300 miliardi di metri cubi d'acqua, dei quali viene trattenuto solo l'11 per cento, mentre l'obiettivo raggiungibile è del 40 per cento. L'acqua è centrale per puntare all'autosufficienza alimentare e aumentare la resa produttiva per ettaro;

    22) nel settore del biogas l'Italia è leader in Europa con 1.600 impianti attivi, 1,7 miliardi di metri cubi di biometano (biogas depurato da CO2) prodotti e 12 mila occupati. La produzione di biogas si avvale oggi di tecnologie all'avanguardia, quali la digestione anaerobica dalla quale deriva un digestato considerato efficace fertilizzante. La produzione di biogas ha effetti a cascata sulla filiera agroalimentare, perché oltre all'energia e alla fertilizzazione, favorisce l'uso efficiente dell'acqua, accompagna tecniche di produzione basate sul precision farming e l'innovazione nella meccanica agraria, ma soprattutto accresce la competitività degli allevamenti preservando il futuro di una filiera fondamentale per il made in Italy. Oggi si trasforma in biogas il 15 per cento dei reflui zootecnici che possono arrivare entro il 2030 a una percentuale del 65 per cento con una produzione di 6,5 miliardi di metri cubi e la creazione di altri 25 mila posti di lavoro. Nel Piano nazionale ripresa resilienza la Missione 2 nella Componente C1 «Economia circolare e agricoltura sostenibile» è previsto lo sviluppo del biometano di origine agricola o da Forsu (frazione organica dei rifiuti urbani) (1,92 miliardi di euro) da destinare al greening della rete gas, pari a circa 2,3-2,5 miliardi metri cubi, per rispondere alla domanda crescente di decarbonizzazione sia del settore dell'industria, soprattutto quella Hard To Abate che non può essere elettrificata, e sia del settore trasporti, in forma liquida (bioGNL) o gassosa in aggiunta al biometano, l'Italia è fortemente impegnata nello sviluppo delle produzioni di bioGPL e di altri gas rinnovabili (es. DME);

    23) è necessario, infine, tener conto delle evidenze geopolitiche internazionali: la Cina è attualmente superpotenza nel settore delle energie rinnovabili, acquisendo in sostanza una leadership tecnologica, industriale, commerciale nell'eolico e nel fotovoltaico, nella supply chain della mobilità elettrica (delle terre rare, dalle materie prime alle batterie). Grazie ai massicci investimenti effettuati nelle rinnovabili, l'industria cinese è quasi monopolista nella produzione mondiale di pannelli solari e delle turbine eoliche, con una quota superiore ai due terzi. Se non adeguatamente sorretto da una industria europea, il mantra della transizione energetica al dopo-fossili affermatosi nei Paesi occidentali, rischia di trasformarsi in una dipendenza eccessiva dalle forniture cinesi e di mettere a repentaglio importanti catene di valore della meccanica europea;

    24) viceversa, nelle tecnologie relative ai settori delle turbine (idrauliche e non), dello sfruttamento delle biomasse, della geotermia, della produzione di biogas l'Italia è all'avanguardia o comunque svolge un ruolo da protagonista. Quanto all'efficienza energetica il sistema produttivo del nostro Paese presenta valori d'intensità energetica primaria (definita dal rapporto tra il consumo interno lordo di energia e il prodotto interno lordo) inferiori alla media dei Paesi dell'Unione europea;

    25) con riferimento infine all'energia nucleare, la Camera il 9 maggio 2023 ha approvato la mozione 1-00083, nella quale si impegna il Governo a valutare l'opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia e ad adottare iniziative volte ad includere la produzione di energia atomica all'interno della politica energetica europea, riaffermando in quella sede una posizione volta a mantenere nella tassonomia degli investimenti verdi la messa in esercizio di centrali nucleari realizzate con le migliori tecnologie disponibili;

    26) in ambito nucleare, si ricorda che l'Italia possiede il secondo settore industriale europeo, sia in termini di competenze che di capacità, avendo sempre mantenuto attività nel settore, a livello EU e internazionale. Inoltre, l'Italia forma circa il 10 per cento degli ingegneri nucleari europei. I ricercatori italiani e alcune infrastrutture sperimentali sono ben conosciuti e apprezzati nel mondo. Grazie a queste caratteristiche, l'Italia è oggetto di particolare attenzione, in particolare dalla Francia ed ultimamente dagli Stati Uniti, per la costituzione di una supply chain nucleare europea, finalizzata a realizzare: lo sviluppo delle nuove tecnologie; la formazione delle risorse umane; la realizzazione di nuove politiche energetiche che integrino in maniera sinergica fonti rinnovabili e nucleare;

    27) nel nuovo quadro regolatorio europeo, l'Italia può quindi giocare un ruolo da protagonista, partecipando sia allo sviluppo sia alla realizzazione delle nuove tecnologie nucleari in programmazione nei Paesi EU, seguendo le storiche orme dei «due Enrico»: Fermi, inventore dell'energia nucleare nel 1942, e Mattei, il primo a realizzare una centrale nucleare in Italia, a Latina, nel 1960;

    28) nella definizione della strategia energetica nucleare del nostro Paese, occorre considerare la definizione di partnership con gli altri Stati europei impegnati sul tema, anche al fine di incrementare il know how e le capacità industriali. In tale percorso sarebbe opportuno valutare la definizione di un'autorità indipendente di sicurezza nucleare nazionale con un'adeguata dotazione organica;

    29) in linea con le raccomandazioni dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, appare necessario individuare altresì una Nuclear energy programme implementing organization (Nepio) con il compito di valutare lo stato delle infrastrutture di base necessarie per avviare un programma nucleare nazionale e fornire al Governo le indicazioni necessarie per il loro completo sviluppo e operatività. Tale Nepio dovrebbe anche avere il compito di coinvolgere e coordinare tutti i soggetti pubblici e privati interessati, al fine di uno sviluppo organico e coerente di tutte le infrastrutture di base,

    impegna il Governo:

    1) in relazione all'adozione della versione definitiva del Piano nazionale integrato energia e clima ad adottare iniziative volte:

    a) a prevedere, per quanto di competenza, opportune forme di rendicontazione al Parlamento circa lo stato di avanzamento del Piano nazionale integrato energia e clima;

    b) a rafforzare nell'ambito del Piano nazionale integrato energia e clima, sulla base del principio della neutralità tecnologica, l'apporto di tutte le fonti rinnovabili o sostenibili con bassa emissione di CO2, sia termiche che non, tenendo conto della necessità di valorizzare la filiera produttiva nazionale, al contempo ottimizzando il rapporto costi/benefici per il sistema Paese, valutando il differente grado di programmabilità e garantendo il positivo apporto in termini di miglioramento della qualità dell'aria;

    c) nel settore civile, a prevedere riforme delle misure in vigore a supporto della riqualificazione edilizia, che garantiscono una maggiore efficacia e un impiego più efficiente delle risorse pubbliche;

    d) nel settore trasporti, a rafforzare le misure volte a favorire lo shift modale delle persone e delle merci verso modalità più efficienti e decarbonizzate, quali il trasporto pubblico e ferroviario, e, contemporaneamente, a supportare lo sviluppo delle produzioni dei biocarburanti e delle altre fonti rinnovabili;

    e) nel settore industriale, a prevedere lo sviluppo di diverse opzioni tecnologiche per la decarbonizzazione dei settori hard to abate quali l'efficienza energetica, l'idrogeno, il biometano e la Carbon capture and storage (Ccs), con un approccio integrato che non escluda nessuna di queste opzioni, ma che allo stesso tempo promuova e faciliti l'accesso a quelle più efficaci per ciascun ambito;

    f) a prevedere nel Piano un approfondimento riguardo la valutazione sugli effetti dell'eventuale adozione, nell'orizzonte temporale successivo al 2030 e traguardando gli obiettivi 2050, di tecnologie di generazione energetica basate sulla fonte nucleare, quali a titolo esemplificativo i reattori nucleari di piccole dimensioni (Smr), i piccoli reattori nucleari avanzati (Amr), i microreattori e le macchine a fusione;

    2) al fine di conseguire in modo efficace i target del Piano nazionale integrato energia e clima al 2030, ad adottare iniziative di competenza volte a:

    a) anche in ambito europeo, a individuare le risorse e gli strumenti di programmazione economica necessari ad attuare il Piano nazionale integrato energia e clima 2023-2030, valutando non solo ex ante, ma anche in itinere l'impatto economico, finanziario, sociale nonché sul sistema produttivo delle misure poste in essere per il raggiungimento dei target;

    b) a proseguire i tavoli di approfondimento già avviati sul settore civile, dei trasporti e sulle tematiche socio-economiche, per un efficace attuazione delle politiche previste dal Piano nazionale integrato energia e clima e per il monitoraggio della sostenibilità sociale, con particolare riferimento alla sostenibilità degli oneri per la riqualificazione energetica degli edifici residenziali e alle risorse necessarie per la formazione dei lavoratori nei settori che saranno maggiormente coinvolti dalla transizione energetica;

    c) ad adottare meccanismi di incentivazione, con ottimale rapporto costi/benefici, a sostegno dello sviluppo delle rinnovabili (elettriche, termiche e nei trasporti) e degli interventi di efficientamento energetico, con particolare attenzione a progetti integrati ed ai progetti di decarbonizzazione di impianti industriali;

    d) a sfruttare tutto il ventaglio delle tecnologie termiche, tenendo conto delle specificità nazionali, proseguendo altresì nel processo di efficientamento nella produzione di energia termica e di riduzione costante dei livelli emissivi;

    e) a semplificare i processi autorizzativi in ambito geotermico e delineare una strategia nazionale di massimizzazione dello sfruttamento di tale risorsa;

    f) ad avviare un processo di efficace manutenzione degli invasi e di ammodernamento delle turbine degli impianti idroelettrici, al fine di massimizzarne la producibilità;

    g) in ambito europeo per il superamento degli ostacoli che impediscono il rapido avvio degli investimenti per l'ammodernamento e il potenziamento delle infrastrutture idroelettriche, in considerazione degli evidenti benefici, anche in termini di stabilità della rete, derivanti dalla programmabilità della produzione di energia idroelettrica e della necessità, a fronte della estremizzazione degli eventi climatici, di incrementare lo stoccaggio della risorsa «acqua»;

    h) a proporre soluzioni anche in sede di Unione europea, finalizzate ad eliminare le distorsioni di prezzo tra i diversi Stati dell'Unione che vanno a discapito della nostra competitività industriale;

    i) a realizzare la transizione verso una mobilità sostenibile che tenga in dovuta considerazione la necessità di intervenire anche su settori quali l'aviazione e il marittimo, ove la decarbonizzazione può essere meno supportata dall'elettrificazione dei consumi;

    l) a continuare l'incentivazione della produzione di biometano utilizzando tutto il potenziale disponibile di feedstocks, valorizzando il settore agricolo ed agro-industriale nazionale oltre che quello della Forsu, attraverso nuovi sistemi di incentivi per il periodo post 2026 che, tenendo conto dei tempi di autorizzazione e realizzazione degli impianti, arrivino oltre il 2030, per rispondere alla domanda crescente di decarbonizzazione del settore dell'industria che non può essere elettrificata, e sia del settore trasporti, in forma liquida (bioGNL) o gassosa, nonché ad implementare misure di sostegno allo sviluppo delle produzioni di gas rinnovabili liquefatti (bioGPL e DME) a sostegno della decarbonizzazione del settore industriale e di quello dei trasporti;

    m) a completare il quadro normativo relativo alla Carbon capture and storage (Ccs), per poter avviare le iniziative progettuali, a partire da quelle nell'area dell'Alto Adriatico, individuando la governance della filiera, la regolazione tecnico economica delle attività di trasporto e stoccaggio, dei sistemi di supporto e degli strumenti di garanzia;

    n) a limitare la dipendenza tecnologica da Paesi posti al di fuori dell'Unione europea;

    o) a risolvere il problema della saturazione virtuale della rete elettrica di trasmissione e garantire un efficace meccanismo di gestione delle richieste di connessione, attraverso la commisurazione del costo della connessione non solo alla capacità impegnata ma anche alla durata dell'impegno e, contemporaneamente, mediante la determinazione della decadenza delle richieste di connessioni non supportate da ragionevoli aspettative di conferma e attivazione;

    p) anche nella prospettiva dell'aggiornamento del Pniec, a valutare la possibilità di istituire, nel rispetto delle normative internazionali ed europee e compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, un'apposita autorità amministrativa indipendente di regolamentazione competente in materia di autorizzazione tecnica, certificazione, realizzazione, gestione e dismissione degli impianti nucleari, di sicurezza nucleare e di radioprotezione con le funzioni e i compiti di Autorità nazionale per la regolamentazione tecnica e le istruttorie connesse ai processi autorizzativi, le valutazioni tecniche, il controllo, anche ispettivo, e la vigilanza degli impianti, nonché a valutare l'opportunità di incrementare programmi di finanziamento per la ricerca e il potenziamento dell'industria nazionale nel settore nucleare, nell'ottica di renderla più competitiva rispetto agli attori internazionali, creando le migliori condizioni per lo sviluppo di una filiera italiana;

    q) a valutare l'opportunità della creazione, in linea con le raccomandazioni dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, di una Agenzia con il compito di valutare lo stato delle infrastrutture di base necessarie per avviare un programma nucleare nazionale e fornire al Governo le indicazioni necessarie per il loro completo sviluppo e operatività.
    (1-00295) (Testo modificato nel corso della seduta) «Squeri, Mattia, Zinzi, Cavo, Cortelazzo, Zucconi, Barabotti, Alessandro Colucci, Battistoni, Benvenuti Gostoli, Bof, Semenzato, Casasco, Foti, Montemagni, Mazzetti, Iaia, Pizzimenti, Polidori, Lampis, Milani, Fabrizio Rossi, Rotelli, Rachele Silvestri».

 

 

 

 

 

 

 

Nel cuore del Verbano-Cusio-Ossola, in Piemonte, c’è un piccolo paese di poco più di 200 abitanti, in cui il sole non brilla da novembre a febbraio.

Stiamo parlando di Viganella, il piccolo paese immerso nella Valle Antrona che, però, non è rimasto in penombra e, grazie all’impegno del suo ex sindaco, ha ritrovato la luce con una soluzione ingegnosa.

Viganella e lo “Specchio del Sole”

Gli abitanti del piccolo borgo di Viganella hanno saputo adattarsi agli 83 giorni di buio, che ogni anno caratterizzano l’inverno del paese, da novembre a febbraio.

Viganella, infatti, si trova in una posizione particolare, proprio in mezzo ad alcune montagne che impediscono al sole di raggiungerlo durante i mesi invernali.

La penombra è però finita nel 2006, quando l’allora sindaco del paese, Franco Midali, con la collaborazione dell’amico architetto Giacomo Bonzani, ha inaugurato il cosiddetto “Specchio del Sole”.

Si tratta di uno specchio gigante – 8 metri di larghezza per 5 di altezza – situato in una posizione strategica su una montagna vicina, che riflette i raggi del sole sul paese.

Tramite un sistema di motori elettrici comandati da computer, lo specchio viene ruotato in modo da catturare i raggi solari e rifletterli sul paese, creando così un’illuminazione artificiale durante i mesi invernali.

Nella notte viene riposizionato in modo che il mattino seguente possa ripartire dalla posizione prestabilita e fare il proprio lavoro durante l’arco della giornata.

Sei ore di sole assicurate ogni giorno fino al 2 di febbraio, data in cui il sole torna a illuminare il piccolo borgo, evento festeggiato in grande dagli abitanti di Viganella.


 


Cosa vedere a Viganella: curiosità

Lo specchio gigante di Viganella non è la sola attrazione di questa curiosa località: posto a 1000 metri sopra il mare e a ridosso del confine svizzero, Viganella è la meta perfetta per gli amanti delle escursioni alpine.

Proprio dal centro di Viganella, nei pressi della chiesa seicentesca dedicata alla natività di Maria Vergine, parte un sentiero che porta alle tracce ancora esistenti delle miniere di ferro di Ogaggia.

Un altro consiglio? Percorrete il sentiero che da Viganella conduce all’Alpe Cavallo, passando attraverso diversi alpeggi, tra foreste e ruscelli di montagna.

 

 

 

 

 

Sistema di Gestione e Controllo PRNN

https://www.mase.gov.it/pagina/pnrr/sistema-di-gestione-e-controllo

 

 

DIRITTO ALLE VISITE SANITARIE  GRATUITE

www.sportellisalute.lo.it/sito/

 

 

 

Le telecomunicazioni sono un asset strategico per la crescita e lo sviluppo sostenibile del Paese. La disponibilità di una infrastruttura di telecomunicazioni performante è determinante ai fini della competitività. È dunque essenziale essere informati su quello che sta accadendo nel settore anche per capire in che direzione sta andando il Paese.

Ecco una lista delle fonti più affidabili.

Mimit: il ministero per le Imprese e Made in Italy è diviso in sezioni. La sezione “Comunicazioni” è organizzata in due sotto-sezioni: una dedicata alla banda ultralarga dove è possibile accedere al catasto delle infrastrutture e al portale bandaultralarga.italia.it dove è possibile monitorare lo stato dei lavori. L’altra sezione è dedicata a Internet con tutte le info relative all’Internet governance, la sicurezza informatica, le autorizzazioni ai provider e la normativa sull’accessibilità. Nella sezione Media disponibili gli ultimi annunci e azioni del ministero per accelerare sulla diffusione della connettività in Italia.

Infratel: la società di Invitalia è impegnata in interventi di infrastrutturazione del Paese, per il superamento del digital divide e l’abilitazione alla diffusione di servizi di connettività avanzati. Si può accedere alla Data Room, lo spazio online progettato per condividere i dati che sono alla base degli interventi di infrastrutturazione digitale su tutto il territorio nazionale. Inoltre è presente il link al portale del piano nazionale banda ultralarga per monitorare lo stato dei lavori e aanche quello del progetto “Wifi Italia”.

Corecom: i Comitati regionali per le comunicazioni sono gli organi funzionali di Agcom sul territorio. Sui portali regionali attività, stato dell’arte sulla diffusione delle reti e ricerche.

FONTI ISTITUZIONALI EUROPEE E INTERNAZIONALI
Dg Connect: è la direzione della Commissione europea per le Reti di comunicazione dove è possibile trovare tutto il programma di lavoro della Commissione, i piani strategici e di gestione e infine le relazioni annuali delle attività con i risultati e risorse utilizzate dalla direzione anno per anno.

Etsi: lo European Telecommunications Standards Institute è un organismo internazionale, indipendente e senza fini di lucro, responsabile della definizione e dell’emissione di standard nel campo delle Tlc in Europa. Tutti gli standard sono disponibili online.

Itu: l’International Communication Union è l’agenzia Onu per le telecomunicazioni. Il portale istituzionale elenca e approfondisce le azioni strategiche che l’ente sta mettendo in campo per ridurre il digital divide in tutto il mondo e una serie di interviste ad esperti e membri dell’Agenzia stessa sulle strategie da adottare per un mondo più connesso.

LE ASSOCIAZIONI ITALIANE
Asstel: l’associazione che raccoglie le grandi telco italiane a disposizione notizie sulle attività, le legislazioni di riferimento del settore e lo stato dell’arte sul mondo del lavoro e sulle relazioni industriali.

Aiip: l’associazione italiana internet provider raccoglie le telco medie e piccole. Sul portale è possibile accedere ai contenuti sulle attività dell’organizzazione e degli associati e sul ruolo delle Pmi del settore per uno sviluppo sostenibile del settore.

Assoprovider: l’associazione rappresenta gli internet service provider. Online sul portale una serie di contenuti su attività, legislazione e strategie.

Quadrato della Radio: raccoglie manager, esperti e ricercatori che “studiano” l’evoluzione delle Tlc in Italia e nel mondo. Sul sito disponibili tutte le attività e le ricerche.

LE ASSOCIAZIONI INTERNAZIONALI
Etno: l’European Telecommunications Network Operators’ Association raccoglie le telco europee. Il sito fornisce aggiornamenti sulle ultime notizie e comunicati stampa relativi alle attività di Etno e all’industria delle telecomunicazioni in generale nonché una serie di documenti, rapporti e pubblicazioni su argomenti chiave per l’industria delle telecomunicazioni.

Ecta: la European Competitive Telecommunications Association raccoglie gli operatori alternativi, compresi gli Mnvo. Su sito le informazioni sull’associazione, comprese le posizioni e le advocacy rispetto ai temi che riguardano gli operatori concorrenti in Europa. Disponibili anche report, analisi e informazioni sulle tendenze del settore.

Ftth Council Europe: è un’organizzazione senza scopo di lucro che rappresenta gli operatori di rete a banda larga in fibra ottica in Europa. Sul portale sono disponibili informazioni sui vantaggi della tecnologia Ftth, report e analisi sugli impatti economici e sociali della fibra su economia e società e risorse tecniche e informative per aiutare le telco nella pianificazione e nella realizzazione di reti Ftth.

Gsma: la Global System for Mobile Communications Association, è un’organizzazione internazionale che rappresenta gli operatori di Tlc mobili di tutto il mondo. Disponibili notizie e aggiornamenti sulle ultime tendenze, innovazioni e sviluppi nel settore delle telecomunicazioni mobili e anche analisi e studi di mercato. Online anche risorse e best practice per gli operatori di telefonia mobile, come linee guida operative, documenti tecnici, standard e regolamenti.

TESTATE E PORTALI ONLINE
CorCom: testata del Gruppo Digital360, è il più importante quotidiano online italiano che si occupa di tematiche inerenti le Tlc. Sono disponibili news, approfondimenti e interviste ai protagonisti del settore che raccontano come sta evolvendo il mondo delle Tlc e l’impatto su economia e società. Ogni giorno è inviata una newsletter con le notizie più rilevanti.

Techflix360: è il nuovo centro di risorse del Gruppo Digital360. Un vero e proprio “knowledge hub” sull’innovazione digitale e le telecomunicazioni che consente di approfondire gli argomenti di interesse attraverso white paper, webcast, eBook, infografiche, webinar.    

Telecompaper: fornisce notizie, analisi, rapporti di settore e servizi di consulenza per le industrie delle telecomunicazioni, dei media e della tecnologia. Telecompaper monitora costantemente l’evoluzione del settore, raccogliendo informazioni da diverse fonti e fornendo aggiornamenti sulle tendenze, gli sviluppi e le innovazioni nel campo delle telecomunicazioni.

Total Telecom: il sito offre notizie, approfondimenti e interviste a protagonisti del settore delle Tlc europeo e internazionale. Disponibili anche podcast e webinar.

Mobile World Live: è una piattaforma online che fornisce notizie, analisi e informazioni sul settore delle telecomunicazioni e della tecnologia mobile. È gestita dalla Gsma e offre una copertura dettagliata degli eventi e delle novità dell’industria, tra cui le ultime tendenze, gli sviluppi tecnologici, le partnership commerciali e le iniziative di innovazione nel campo delle comunicazioni mobili.

Fierce Telecom: il sito online fornisce aggiornamenti sulle ultime tendenze, sviluppi e innovazioni nell’industria delle telecomunicazioni. Fierce Telecom copre una vasta gamma di argomenti, tra cui reti di comunicazione, servizi di connettività, infrastrutture, tecnologie emergenti, regolamentazione e molto altro.

 

 

 

CAMERA DEI DEPUTATI – TESTO UNIFICATO – Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull’operato del Governo e sulle misure da esso adottate per prevenire e affrontare l’emergenza epidemiologica del COVID- 19

 

 

TO.11.06.23

H2 Mb

l’H2 e’ una riserva di energia non e’ un vettore energetico visto che il suo rapporto energetico e’ di 2 a 1? Per cui la produzione corretta di H2 da stoccaggio e’ a km0 .
Vettore energetico significa trasportare l’energia come il gas la trasporta dai giacimenti nei gas dotti.
H2 e’ una riserva di energia che viene prodotta e conservata in un luogo definito in funzione dell’uso che se ne puo’ fare in una centrale elettrica in termini di tempo oppure per l’auto in termini di spazio per viaggiare . L’H2 e’ un trasporto mediato dell’elettricita’.
Alla base dell’H2 ci sono l’elettricità’ da fonte rinnovabile e l’acqua. Si produce l’H2 perché dove c’e’ bisogno di energia non si può portare con un filo elettrico. Per cui l’H2 e’ una riserva di energia che viene prodotta e posizionata dove e quando serve. Per cui a H2 e non ha senso produrre H2 con elettricità rinnovabile per poi tornare a produrre elettricità. A questo punto ha molto più senso produrre elettricità, prendere un filo elettrico e portare l’elettricità’ dove e quando serve. Ci sono dei casi in cui l’elettricità’ non può essere portata con un filo, come per l’autotrazione e quindi si usa l’H2 come riserva di elettricità da usare in movimento senza un filo o una batteria. Quindi con l’elettricità’ e l’acqua si produce l’H2 , che poi si libera rilasciando elettricità con uno spostamento d’acqua dal luogo di produzione dell’H2 a quello di utilizzo. In una centrale elettrica dove l’H2 viene prodotto per costituire una riserva, quando l’H2 si riutilizza anche l’acqua viene recuperata . Sia per l’autotrazione sia per le centrali elettriche la produzione ottimale e’ a KM0 . Cioe’ il distributore e la produzione di energia elettrica. Ecco perche’ non ha senso H2MED.

PROGETTO ITH2 per;
1) un progetto nazionale integrato energia-clima PNIEC
2) PRODUZIONE DELLA TOYOTA PRIUS H2 A TORINO

Premessa: La produzione dell’H2 e’ quella di una infrastruttura che produca energia rinnovabile con fotovoltaico che non consumi territorio e con boe marine per produrre H2 a KM0 con idrogenatori.

OBIETTIVO : H2 KM0 e’ l’obiettivo finale in quanto il rapporto energico fra la produzione ed il risultato e’ di 2 a 1. Significa che per produrre 1 di H2 con idrogenatore occorre utilizzare 2 energia elettrica. Per cui non hanno senso gli idrogenodotti per trasportare H2, in quanto ha una convenienza produrre H2 dove viene utilizzato. Ecco perche’ ha piu’ senso trasportare l’elettricità con elettrodotti, da fonte rinnovabile per produrre H2 dove quando serve.

A COSA PUO’ SERVIRE L’H2 ?: 2 possono essere gli utilizzi dell’H2
1) Autotrazione
2) Produzione di energia elettrica quando le energie rinnovabili non sono disponibili.

PROGETTI DI SVILUPPO: Sviluppando rapidamente una rete dell’H2 per autotrazione attraverso la GDO ed AUTOGRILL si possono realizzare pensiline fotovoltaiche per produrre energia elettrica per l’H2.
Con una base distributiva dell’H2 si creano le premesse ed un modello europeo per la domanda di H2 e delle auto ad H2 per cui si può arrivare a produrre negli stabilimenti Pininfarina la futura top dell’H2 : TOYOTA PRIUS H2.

Marco BAVA
 

https://www.youtube.com/watch?v=dDCfk3u9vU0 (VIDE MINISTRO PICHETTO)

https://www.youtube.com/watch?v=Cr1FmAgE-WY (video integrale DR QUADRINO)

 

 

BENITO MUSSOLINI : PERDENTE

L’8 settembre 1943 a Modena
La sera dell’8 settembre 1943 il generale Matteo Negro presidia il Palazzo ducale di Modena. I militari presenti sono troppo pochi per tentare una difesa. Diversi sono impegnati nel campo estivo alle Piane di Mocogno, agli ordini del colonnello Giovanni Duca. Negro, tutt’altro che ostile ai nazisti, decide di consegnarsi alle forze occupanti. In città cerca di resistere soltanto un reparto del 6° reggimento di artiglieria, che punta alcuni pezzi contro i nazisti. Poco dopo, tuttavia, il comando ordina di desistere e la Wehrmacht trova via libera.

Il mattino del 9 settembre i modenesi si risvegliano sotto l’occupazione nazista. La situazione è molto confusa, ma il cronista Adamo Pedrazzi non teme che si scatenino particolari violenze. La città sembra ordinata e piuttosto pronta ad abituarsi alla nuova situazione. Le cose sono però molto diverse là dove la fame si fa sentire.

In vari luoghi della provincia i civili prendono d’assalto ammassi e salumifici per evitare che le scorte finiscano nelle mani dei militari. I più disperati cercano di accaparrarsi quel cibo che è sempre più raro. Da qualche parte la foga è tale da generare veri e propri pericoli. A Castelnuovo Rangone i nazisti intervengono con le armi mentre tante persone cercano di portare via qualcosa dal salumificio Villani.

Passano alcuni giorni e la situazione diventa più chiara. I nazisti non sembrano voler infierire con la violenza, ma i fascisti della Repubblica sociale italiana si mostrano subito determinati ad affermare la propria autorità. Pretendono che le famiglie restituiscono il cibo prelevato dagli ammassi e gli oggetti abbandonati dai militari in fuga. Non vogliono che nessuno sgarri. Pur di evitare il tradimento del patto con la Germania nazista, sono disposti a scatenare una guerra civile.

 

TUTTO QUELLO CHE GAIA TORTORA NON VUOLE VEDERE  E SAPERE :

Dott.Alberto Donzelli Conferenza 21/03/2024 Hotel "Il Chiostro" Verbania Intra

 

https://rumble.com/v4npnxf-dott.alberto-donzelli-conferenza-21032024-hotel-il-chiostro-verbania-intra.html

 

STRAGI DI STATO PER SPECULAZIONE INTERNAZIONALE  DA VACCINI

«Qual è l’incidenza assoluta di ictus ischemico e attacco ischemico transitorio dopo una vaccinazione bivalente COVID-19?».

A questa domanda hanno cercato di rispondere in uno studio pubblicato su MedRxiv i ricercatori del Kaiser Permanente Katie Sharff, Thomas K Tandy, Paul F Lewis ed Eric S Johnson che hanno rilevato ben 100mila casi di ictus ischemico tra pazienti americani over 65 del Nord-Ovest vaccinati con i sieri genici mRNA Pfizer o Moderna.

L’ischemia cerebrale è una condizione in cui il cervello non riceve abbastanza sangue da soddisfare i suoi bisogni metabolici. La conseguente carenza di ossigeno può portare alla morte del tessuto cerebrale, e di conseguenza all’ictus ischemico. E’ pertanto una patologia che mette in correlazione due note reazioni avverse dei sieri genici Covid mRNA o mDNA: le patologie cardiovascolari e quelle neurocerebrali, vergognosamente occultate dalla Pfizer nei suoi trial clinici.

«Abbiamo condotto uno studio di coorte retrospettivo su pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari o superiore a 18 anni che sono stati vaccinati con la formulazione Pfizer o Moderna del vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e il 1 marzo 2023. I pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se fossero iscritti al KP al momento della vaccinazione e durante il periodo di follow-up di 21 giorni. Abbiamo replicato la metodologia di analisi del ciclo rapido Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella posizione primaria che in qualsiasi posizione».

E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata “Rischio di ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19 in un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke after COVID-19 Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health System)”.

Lo studio dei ricercatori americani di Kaiser Permanente – link a fondo pagina

«Abbiamo aspettato 90 giorni dalla fine del follow-up (21 marzo 2023) per l’accumulo completo dei dati non KP prima di analizzare i dati per tenere conto del ritardo nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurativo al di fuori dell’ospedale – proseguono i ricercatori di Kaiser Permanente – Due medici hanno giudicato possibili casi rivedendo le note cliniche nella cartella clinica elettronica. Le analisi sono state stratificate per età pari o superiore a 65 anni per consentire confronti con i VSD che hanno riferito alla riunione dell’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) l’incidenza di ictus ischemico o TIA (incidenza riportata da VSD; 24,6 casi di ictus ischemico o TIA per 100.000 pazienti vaccinato)».

I risultati dello studio sono stati sconcertanti ed hanno confermato anche la ricerca tedesca che per prima aveva segnalato la pericolosità dei booster bivalenti che erano stati testati solo sui topi ma, nonostante ciò, furono raccomandati dal Dipartimento della Salute USA e dal Ministero della Salute italiano anche per i bambini.

«L’incidenza di ictus ischemico o TIA è stata di 34,3 per 100.000 (IC al 95%, da 17,7 a 59,9) nei pazienti di età pari o superiore a 65 anni che hanno ricevuto il vaccino bivalente Pfizer, sulla base di un codice diagnostico nella posizione primaria del pronto soccorso o dell’ospedale scarico. L’incidenza è aumentata a 45,7 per 100.000 (IC 95% da 26,1 a 74,2) quando abbiamo ampliato la ricerca a una diagnosi in qualsiasi posizione e non ci siamo pronunciati per la conferma. Tuttavia, la maggior parte di queste diagnosi aggiuntive di ictus apparente o TIA erano diagnosi di falsi positivi basate sul giudizio dei medici. La stima dell’incidenza basata sulla posizione primaria concordava strettamente con la stima dell’incidenza basata su qualsiasi posizione e giudizio medico: 37,1 su 100.000 (IC 95% da 19,8 a 63,5). Il 79% dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali non di proprietà del sistema di consegna integrato».

«Abbiamo identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus ischemico per 100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni vaccinati con il vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati dal VSD. Il 79% dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali che non sono di proprietà del sistema di consegna integrato e un ritardo nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurative esterne all’ospedale è stato probabilmente responsabile della discrepanza nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. Il giudizio medico di tutti i casi in questo studio ha consentito stime accurate dell’incidenza assoluta dell’ictus per 100.000 destinatari del vaccino ed è utile nel calcolo del beneficio netto per le raccomandazioni politiche e il processo decisionale condiviso».

«Poiché i vaccini COVID-19 caricano il corpo con il codice genetico per la proteina trombogenica e letale Wuhan Spike, coloro che prendono un vaccino sono vulnerabili a una catastrofe se vengono infettati da SARS-CoV-2 dopo aver recentemente preso uno dei vaccini» il famoso cardiologo americano Peter McCullough ha commentato così lo studio del professor Fadi Nahab dei Dipartimenti di Neurologia e Pediatria della Emory University a cui avevamo dedicato ampio risalto.

«Nahab e colleghi di Emory hanno analizzato un database statale di destinatari del vaccino COVID-19. Circa 5 milioni di georgiani adulti hanno ricevuto almeno un vaccino COVID-19 tra dicembre 2020 e marzo 2022: il 54% ha ricevuto BNT162b2, il 41% ha ricevuto mRNA-1273 e il 5% ha ricevuto Ad26.COV2.S. Quelli con concomitante infezione da COVID-19 entro 21 giorni dalla vaccinazione avevano un aumentato rischio di ictus ischemico (OR = 8,00, 95% CI: 4,18, 15,31) ed emorragico (OR = 5,23, 95% CI: 1,11, 24,64)» scrive McCullough nel suo Substack citando l’abstract dello studio.

«Questa analisi mostra uno dei tanti grandi pericoli presenti nello sviluppo e nel lancio rapidi di un vaccino senza una sicurezza e un monitoraggio dei dati sufficienti. L’ictus è un risultato devastante e sembra che un gran numero di casi debilitanti avrebbe potuto essere evitato se i vaccini COVID-19 fossero stati ritirati dal mercato nel gennaio 2021 per eccesso di mortalità. I pazienti in questo studio sarebbero stati risparmiati da ictus e disabilità» aggiunge il cardiologo americano rilevando l’importanza dello studio.

Verissimo! Ma quanti ictus avrebbero potuto essere evitati se lo studio fosse stato revisionato e pubblicato mesi fa sia sulla prestigiosa rivista che poi su PUBMED, la libreria scientifica dell’Istituto Nazionale della Salute americano (NIH) che l’ha ripreso?

 

Il 13 novembre, mi sono unito alla deputata statunitense Marjorie Taylor Greene e a sette suoi colleghi repubblicani della Camera, in un'audizione intitolata Injuries Caused by COVID-19 Vaccines, che ha esplorato i potenziali collegamenti tra la vaccinazione COVID-19 e gli eventi avversi tra cui miocardite, pericardite e coaguli di sangue. , danni neurologici, arresto cardiaco, aborti spontanei, problemi di fertilità e altro ancora. Il gruppo ha ascoltato le testimonianze sugli eventi avversi dei vaccini da parte degli esperti medici Dr. Robert Malone e Dr. Kimberly Biss e ha anche ascoltato l'avvocato Thomas Renz che rappresentava gli informatori del Dipartimento della Difesa (DOD) che hanno rivelato aumenti di diagnosi mediche tra i membri del servizio registrati in un DOD Banca dati. Scopri di più in questo comunicato stampa .

Altre notizie sul COVID-19

ASCOLTA - La verità con Lisa Boothe Podcast: Rivendicato con il senatore Ron Johnson

LEGGI - New York Post: Il senatore Johnson richiede un colloquio con il consigliere di Fauci, i dati chiave del COVID "profondamente preoccupati" sono stati distrutti

VEDI - Post su X: "E-mail confidenziale del consulente di Fauci che descrive in dettaglio gli sforzi per eludere la mia supervisione sulle origini del COVID-19 . Maggiori dettagli nel comunicato stampa.

GUARDA - Solo la Notizia: "Nessuno vuole ammettere di aver sbagliato". - Il senatore Johnson sugli ultimi numeri del vaccino COVID

 

Il British Medical Journal ha accusato la Food and Drug Administration, l’ente americano regolatore dei farmaci, di aver occultato il risultato di un grande studio di farmacovigilanza attiva, quindi non basato solo su segnalazioni individuali e gratuite a database (EudraVigilance gestita da EMA nell’Unione Europea e VAERS da CDC negli Stati Uniti), si è invece concentrato anche sul follow-up di alcuni vaccinati.

La ricerca statistica denominata “Sorveglianza della sicurezza del vaccino COVID-19 tra le persone anziane di età pari o superiore a 65 anni” è stata finalmente rilasciata dalla FDA e pubblicata il 1° dicembre 2022 dalla rivista specializzata Journal of Vaccine and Elsevier di Science Direct.

Il primo firmatario è Hui-Lee Wong, Direttrice associata per l’innovazione e lo sviluppo dell’Ufficio di biostatistica ed epidemiologia, Centro per la valutazione biologica della Food and Drug Administration statunitense, Silver Spring, MD, USA. Lo studio si concentra sui dati relativi a 30.712.101 persone anziane.

 

 

DOPO I VACCINI 15 INCIDENTI DI BUS PER MALORI DEI CONDUCENTI

Piazzola sul Brenta (PD), Marzo 2022, “Malore dopo l’incidente a Piazzola sul Brenta, grave un autista di bus. Il conducente 44enne ha tamponato un autocarro. Dopo la telefonata a BusItalia si è accasciato sul volante perdendo i sensi”;
Cesena, Dicembre 2022, “Cesena, malore mentre guida l’autobus: 9 auto danneggiate”;
Trento, Aprile 2023, “Paura a Trento, l’autista ha un malore e il bus esce di strada: il mezzo resta in bilico sul muretto del giardino di una casa”;
La Spezia, Maggio 2022, “Malore improvviso per l’autista dello scuolabus, mezzo fa un volo di venti metri”, Catania, Ottobre 2022, “Catania: autista si sente male, bus si schianta”;
Limone Piemonte, Marzo 2023, “maestra interviene per malore autista”;
Sandrà di Castelnuovo del Garda (VR), “Verona, l’autista ha un malore: il bus degli studenti esce di strada e finisce in un vigneto” (conducente di soli 26 anni);
Alessandria, Aprile 2022, “Autista di pullman muore alla guida per un malore”;
Settingiano (CZ), Luglio 2023, “Accosta ai primi sintomi: autista salva passeggeri bus prima di morire di infarto”;
Venezia, Ottobre 2022, “Malore improvviso prima di prelevare una scolaresca: Oscar Bonazza muore a 63 anni;
Roma, Dicembre 2022, “Roma, bus con 41 bimbi a bordo finisce fuori strada per malore autista”;
Cittadella (PD), Gennaio 2023, “Autista di scuolabus muore alla guida per un malore e centra un pullman a Cittadella. Il conducente aveva appena lasciato gli alunni a scuola”;
Genova, Luglio 2023, “Autobus sbanda e colpisce le auto in sosta per un malore dell’autista. L’autista è stato accompagnato al Pronto soccorso un condizioni di media gravità”;
Cagliari, Maggio 2023, “Malore improvviso, l’autista perde il controllo del bus, esce di strada e abbatte due semafori: strage sfiorata”;
Piacenza, Aprile 2023, “Autobus di linea contro un albero dopo il malore dell’autista”… Il più curioso, guardacaso, è poi questo;
L’Aquila, Luglio 2023, “Troppo caldo a bordo del bus, autista dell’Azienda mobilità aquilana (Ama) viene colpito da un malore”.

 

27.11.23

Su 326 autopsie di vaccinati morti «un totale di 240 decessi (73,9%) sono stati giudicati in modo indipendente come direttamente dovuti o a cui ha contribuito in modo significativo la vaccinazione COVID-19».

A scriverlo nero su bianco è una ricerca pubblicata in pre-print (ovvero ancora in attesa di revisione paritaria che potrebbe arrivare tra un mese o tra due anni) dal sito Zenodo che non può essere ritenuta una piattaforma poco affidabile in quanto è gestito dal CERN per OpenAIRE.

Zenodo è un archivio open access per le pubblicazioni e i dati da parte dei ricercatori. Il suo nome deriva da Zenodotos di Ephesos, il primo Direttore della grande biblioteca di Alessandria che ha messo le basi per la costruzione della biblioteconomia.

L’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, comunemente conosciuta con la sigla CERN, è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, posto al confine tra la Francia e la Svizzera, alla periferia ovest della città di Ginevra, nel comune di Meyrin. La convenzione che lo istituiva fu firmata il 29 settembre 1954 da 12 stati membri mentre oggi ne fanno parte 23 più alcuni osservatori, compresi stati extraeuropei.

OpenAIRE è un partenariato senza scopo di lucro di 50 organizzazioni, fondato nel 2018 come entità giuridica greca, OpenAIRE A.M.K.E, per garantire un’infrastruttura di comunicazione accademica aperta e permanente a sostegno della ricerca europea.

Lo studio è stato presentato dal laureato in science (BS) Nicolas Hulscher presso il Dipartimento di Epidemiologia dell’Università del Michigan lo scorso venerdì 17 novembre 2023 durante una “poster session”. In ambito accademico l’esposizione di un “poster”, in un congresso o una conferenza con un focus accademico o professionale, è la presentazione di informazioni di ricerca sotto forma di poster cartaceo che i partecipanti alla conferenza possono visualizzare.

Il giovane Hulsher è stato accreditato con un progetto approvato denominato “Systematic Review of Autopsy Findings in Deaths after COVID-19 Vaccination – Revisione sistematica dei risultati dell’autopsia nei decessi dopo la vaccinazione COVID-19” in cui ha potuto fregiarsi di mentor senior di fama mondiale soprattutto nell’ambito delle inchieste sui danni da sieri genici mRNA o mDNA.

McCullough, che ha dato risalto all’evento sul suo substack, è il noto cardiologo americano che per primo ha denunciato i pericoli di miocarditi letali, confermati dagli studi FDA, CDC e infine anche dall’EMA, mentre Makis è l’oncologo canadese che ha scoperto il fenomeno del turbo-cancro.

Nei mesi scorsi lo studio era stato pubblicato anche dalla nota rivista britannica The Lancet che però lo aveva ritirato dopo 24 ore perché aveva scatenato – giustamente – una bufera sui media, sui social e di conseguenza nella comunità scientifica internazionale.

presentazione ufficiale presso l’Università de Michigan e dalla pubblicazione sul sito Zenodo gestito dal CERN.

D’altronde soltanto una volontà paranoica di censura potrebbe oscurarlo essendo basato su una semplice analisi di documenti pubblicati sul più importante archivio medico del mondo: la libreria PUBMED gestita dall’NIH, ovvero l’Istituto Nazionale per la Salute del Governo USA.

«Il rapido sviluppo e l’ampia diffusione dei vaccini contro il COVID-19, combinati con un elevato numero di segnalazioni di eventi avversi, hanno portato a preoccupazioni sui possibili meccanismi di danno, tra cui la distribuzione sistemica delle nanoparticelle lipidiche (LNP) e dell’mRNA, il danno tissutale associato alle proteine ​​spike, la trombogenicità, disfunzione del sistema immunitario e cancerogenicità. Lo scopo di questa revisione sistematica è indagare i possibili collegamenti causali tra la somministrazione del vaccino COVID-19 e la morte utilizzando autopsie e analisi post mortem».

Si legge nell’Abstract della ricerca che fa riferimento a problematiche già certificate separatamente da altre decine di studi  come quello del biochimico italiano Gabriele Segalla sulle nanoforme e sugli eccipienti tossici del siero genico Comirnaty di Pfizer-Biontech autorizzato dall’European Medicines Agency nonostante non potesse “non sapere della tossicità delle inoculazioni”.

«Abbiamo cercato tutti i rapporti autoptici e necroscopici pubblicati relativi alla vaccinazione COVID-19 fino al 18 maggio 2023 – riferiscono Hulsher et al. – Inizialmente abbiamo identificato 678 studi e, dopo lo screening dei nostri criteri di inclusione, abbiamo incluso 44 documenti che contenevano 325 casi di autopsia e un caso di necroscopia. Tre medici hanno esaminato in modo indipendente tutti i decessi e hanno determinato se la vaccinazione contro il COVID-19 fosse la causa diretta o avesse contribuito in modo significativo alla morte».

«Il sistema di organi più implicato nella morte associata al vaccino COVID-19 è stato il sistema cardiovascolare (53%), seguito dal sistema ematologico (17%), dal sistema respiratorio (8%) e da sistemi multipli di organi (7%). In 21 casi sono stati colpiti tre o più apparati. Il tempo medio dalla vaccinazione alla morte è stato di 14,3 giorni. La maggior parte dei decessi si è verificata entro una settimana dall’ultima somministrazione del vaccino. Un totale di 240 decessi (73,9%) sono stati giudicati in modo indipendente come direttamente dovuti o a cui ha contribuito in modo significativo la vaccinazione COVID-19» si legge nello studio consultabile su Zenodo (link a fondo pagina).

Ecco quindi le considerazioni finali dei ricercatori scientifici e medici:

«La coerenza osservata tra i casi in questa revisione con eventi avversi noti del vaccino COVID-19, i loro meccanismi e il relativo eccesso di morte, insieme alla conferma dell’autopsia e alla decisione della morte guidata dal medico, suggerisce che esiste un’alta probabilità di un nesso causale tra COVID-19 vaccini e morte nella maggior parte dei casi. Sono necessarie ulteriori indagini urgenti allo scopo di chiarire i nostri risultati».

«Il sistema di organi più implicato nella morte associata al vaccino COVID-19 è stato il sistema cardiovascolare (53%), seguito dal sistema ematologico (17%), dal sistema respiratorio (8%) e da sistemi multipli di organi (7%). In 21 casi sono stati colpiti tre o più apparati. Il tempo medio dalla vaccinazione alla morte è stato di 14,3 giorni. La maggior parte dei decessi si è verificata entro una settimana dall’ultima somministrazione del vaccino. Un totale di 240 decessi (73,9%) sono stati giudicati in modo indipendente come direttamente dovuti o a cui ha contribuito in modo significativo la vaccinazione COVID-19» si legge nello studio consultabile su Zenodo (link a fondo pagina).

Ecco quindi le considerazioni finali dei ricercatori scientifici e medici:

«La coerenza osservata tra i casi in questa revisione con eventi avversi noti del vaccino COVID-19, i loro meccanismi e il relativo eccesso di morte, insieme alla conferma dell’autopsia e alla decisione della morte guidata dal medico, suggerisce che esiste un’alta probabilità di un nesso causale tra COVID-19 vaccini e morte nella maggior parte dei casi. Sono necessarie ulteriori indagini urgenti allo scopo di chiarire i nostri risultati».

 

La ricerca pubblicata sul sito Zenodo gestito dal CERN – link al fondo dell’articolo tra le fonti

 

 

Brevetto Moderna ammette i problemi di tumori nel DNA da laboratorio

Bre

 

Leggiamo infatti nel brevetto dell’agosto 2019 sui vaccini mRNA contro il virus parainfluenzale umano 3 (HPIV-3) quanto segue:

“L’iniezione diretta di DNA geneticamente modificato (ad esempio DNA plasmidico nudo) in un ospite vivente fa sì che un piccolo numero delle sue cellule producano direttamente un antigene, determinando una risposta immunologica protettiva. Da questa tecnica, tuttavia, derivano potenziali problemi, inclusa la possibilità di mutagenesi inserzionale, che potrebbe portare all’attivazione di oncogeni o all’inibizione di geni oncosoppressori”.

La soppressione del gene che contrasta lo sviluppo dei tumori è proprio quel meccanismo che molti oncologi ritengono sia responsabile delle forme anomale di turbo-cancro rilevate tra le persone vaccinate coi sieri genici mRNA Covid

 

21.10.23

Giovedì Health Canada ha confermato la presenza di contaminazione del DNA nei vaccini Pfizer COVID-19 e ha anche confermato che Pfizer non ha rivelato la contaminazione all’autorità sanitaria pubblica. La contaminazione del DNA include il promotore e potenziatore Simian Virus 40 (SV40) che Pfizer non aveva precedentemente rivelato e che secondo alcuni esperti rappresenta un rischio di cancro a causa della potenziale integrazione con il genoma umano.

Health Canada, l’autorità sanitaria pubblica del paese, ha dichiarato a The Epoch Times che mentre Pfizer ha fornito le sequenze complete di DNA del plasmide nel suo vaccino al momento della presentazione iniziale, il produttore del vaccino “non ha identificato specificamente la sequenza SV40”.

“Health Canada si aspetta che gli sponsor identifichino qualsiasi sequenza di DNA biologicamente funzionale all’interno di un plasmide (come un potenziatore SV40) al momento della presentazione”, ha affermato.

L’ammissione di Health Canada è arrivata dopo che due scienziati, Kevin McKernan e Phillip J. Buckhaults, Ph.D., hanno scoperto la presenza di DNA plasmidico batterico nei vaccini mRNA COVID-19 a livelli potenzialmente 18-70 volte superiori ai limiti stabiliti dagli Stati Uniti. Food and Drug Administration (FDA) e Agenzia europea per i medicinali. L’immunologo virale Dr. Byram Bridle dell’Università di Guelph in Canada, commentando l’ammissione di Health Canada ha scritto sul suo Substack: “Questa è un’ammissione di proporzioni epiche”.

Bridle ha anche scritto:

“Bisogna chiedersi perché la Pfizer non abbia voluto rivelare la presenza di una sequenza di DNA biologicamente funzionale a un ente regolatore sanitario. Alla Pfizer è stato richiesto di rivelare alle agenzie di regolamentazione sanitaria tutte le sequenze bioattive nel DNA plasmidico batterico utilizzato per produrre le loro iniezioni.Bridle ha osservato che sono trascorsi “818 giorni in totale” da quando l’Università di Guelph gli ha vietato di accedere al suo ufficio e al suo laboratorio per aver tentato di condurre ricerche simili, mentre altri ricercatori “sono stati al centro di attacchi da parte di molti cosiddetti ‘esperti di disinformazione’, ” anche se nessuno “è stato in grado di confutare le proprie scoperte”. L’immunologa, biologa e biochimica Jessica Rose, Ph.D., ha dichiarato a The Defender: “DNA residuo è stato trovato nei prodotti Pfizer e Moderna – e soprattutto Pfizer -, in fiale più vecchie e più nuove, incluso il monovalente per adulti XBB.1.5 [ vaccino].”

Rose ha affermato che ciò indica che tale contaminazione “è un problema continuo”.

In osservazioni separate fatte mercoledì al programma “Good Morning CHD” di CHD.TV, Rose ha detto che McKernan “ha anche esaminato il vaccino Janssen [Johnson & Johnson] e ha scoperto DNA residuo a livelli molto alti”.  “Il DNA plasmidico viene utilizzato nella produzione di vaccini mRNA e dovrebbe essere rimosso a un livello inferiore a una soglia stabilita dalle agenzie di regolamentazione sanitaria prima che il prodotto finale venga rilasciato per la distribuzione”, ha riferito The Epoch Times.

La scoperta di McKernan ha reso “possibile per Health Canada confermare la presenza del potenziatore sulla base della sequenza di DNA plasmidico presentata da Pfizer rispetto alla sequenza del potenziatore SV40 pubblicata”, ha affermato Health Canada.

L’SV40 è spesso utilizzato nella terapia genica per la sua capacità unica di trasportare geni alle cellule bersaglio.

Nel processo di produzione del vaccino, l’SV40 “viene utilizzato come potenziatore per guidare la trascrizione genetica”, ha scritto The Epoch Times. McKernan il mese scorso “ha avvertito che la presenza di plasmidi di DNA nei vaccini significa che potrebbero potenzialmente integrarsi nel genoma umano”.

Descrivendo la ricerca di McKernan come “ineccepibile”, Kirsch ha scritto sul suo Substack: “Il DNA dura per sempre e, se si integra nel tuo genoma, produrrai il suo prodotto per sempre”.

“Ciò può far sì che la cellula appena programmata si riproduca e produca mRNA con le risultanti proteine ​​spike per un tempo sconosciuto, potenzialmente per sempre e persino per la generazione successiva”.

 

23.09.23

L'Asl To5 l'aveva sospesa nel periodo Covid perché non vaccinata bloccando la retribuzione, ora dovrà restituire stipendi e interessi
Il tribunale dà ragione alla dipendente No Vax
massimiliano rambaldi
L'Asl To 5 l'aveva sospesa dal suo lavoro d'ufficio nel periodo Covid, perché si era rifiutata di vaccinarsi interrompendole anche il pagamento dello stipendio. Una volta rientrata, alla fine delle restrizioni previste, la donna aveva fatto causa all'azienda sanitaria nonostante in quel periodo ci fossero delle direttive ben chiare sull'obbligo vaccinale. Dieci giorni fa la decisione, per certi versi inaspettata, del tribunale del lavoro di Torino: con la sentenza 1552 i giudici hanno infatti accolto il ricorso della dipendente, accertando e dichiarando «l'illegittimità della sospensione dal servizio – si legge nel documento pubblicato dall'azienda sanitaria di Chieri – condannando quindi l'Asl To 5 a corrispondere alla dipendente il trattamento retributivo richiesto, oltre agli interessi, rivalutazione e compensazione delle spese di lite». In sostanza, secondo quel giudice, l'Asl non poteva sospendere la donna dal posto di lavoro e men che meno negarle lo stipendio. E ora, nell'immediato, dovrà pagarle tutto, interessi compresi nonché le spese legali. Questo perché, nonostante l'azienda sanitaria abbia già deciso di ricorrere in appello contro tale sentenza: «in ragione della provvisoria esecutività della stessa – spiegano dalla direzione nella medesima documentazione - pur non essendo passata in giudicato, l'Asl è tenuta all'ottemperanza». Gli importi dovuti e i giorni di sospensione della dipendente non sono stati resi noti.
La dipendente in questione lavora in ambito amministrativo e non è a contatto con pazienti di un ospedale specifico. Ricordiamo tutti, però, che il governo si era dimostrato estremamente rigoroso contro chi non voleva ricevere il vaccino. In assenza di motivazioni valide (l'unica accettata era una certificata grave patologia pregressa) la persona no vax non poteva più esercitare la propria professione e, qualora fosse stato possibile, doveva essere destinata a mansioni alternative. In caso di impossibilità a spostamenti, sarebbe scattata l'immediata sospensione non retribuita che poteva terminare solo una volta effettuata la vaccinazione. Altrimenti il divieto di andare al lavoro sarebbe continuato fino al completamento della campagna vaccinale. In sostanza quello che è capitato nel caso in questione. La dipendente aveva però deciso di intraprendere le vie legali perché pretendeva di essere regolarmente pagata e di lavorare ugualmente, anche senza aver seguito il percorso anti Covid. Presentando a sua difesa documentazioni che il giudice del lavoro, a quanto pare, ha ritenuto valide. «La decisione e la linea interpretativa del tribunale del lavoro non può essere condivisa – spiegano dall'azienda sanitaria -, in quanto non è coerente con il dispositivo contenuto nel decreto legge 172 del 2021, anche alla luce del diverso orientamento espresso sul punto dalla Corte d'Appello di Torino, sezione lavoro». Immediata quindi la decisione di ricorrere in appello, affidando la questione ai legali di fiducia.

 

 

 

22.09.23

Testimonianza coraggiosa del dottor Phillip Buckhaults dell'Università della Carolina del Sud.

I “vaccini” Covid non sono stati adeguatamente testati e i loro danni non sono stati adeguatamente indagati. La FDA e il CDC devono ammettere i propri fallimenti normativi ed essere onesti con il pubblico.

Si prega di guardare questo video di 18 minuti.

 

 

17.09.23

La Ricerca delle Università Australiane basata su 253 Studi Internazionali
L’hanno pubblicata gli scienziati autraliani Peter I Parry dell’Unità clinica di ricerca sulla salute dei bambini, Facoltà di Medicina, Università del Queensland, South Brisbane, Australia, Astrid Lefringhausen, Robyn Cosford e Julian Gillespie, Children’s Health Defense (Capitolo Australia), Huskisson, Conny Turni, Ricerca microbiologica, QAAFI (Queensland Alliance for Agriculture and Food Innovation), Università del Queensland, St. Lucia, Christopher J. Neil, Dipartimento di Medicina, Università di Melbourne, Melbourne, e Nicholas J. Hudson, Scuola di Agricoltura e Scienze Alimentari, Università del Queensland, Brisbane.

E’ un colossale lavoro di letteratura scientifica basato su ben 253 studi nei quali vengono citati i più significativi sulla tossicità della proteina Spike e dei vaccini che la innesca nell’organismo attraverso i vettori mRNA. Vengono infatti menzionati lavori sulle malattie autoimmuni della biofisica Stephanie Seneff, scienziata del prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Cambridge, del cardiologo americano Peter McCullough (fonte 29 nello studio linkato a fondo pagina), quelli sui rischi di tumori dell’oncologo britannico Angus Dalgleish (fonti 230-231), quelli dell’esperto di genomica Kevin McKernan sulla replicazione cellulare dei plasmidi di Dna Spike nel corpo umano (fonte 91), quelli della chimica americana Alana F. Ogatache fu tra le prime a denunciare la pericolosità dei sieri genici mRNA Moderna (fonte 52), ed ovviamente non poteva mancare lo strepitoso e rivoluzionario del biochimico italiano Gabriele Segalla sulle nanoparticelle tossiche del vaccino Comirnaty di Pfizer-Biontech (fonte 61).

“Spikeopatia”: la proteina Spike del COVID-19 è patogena, sia dall’mRNA del virus che da quello del vaccino.
di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine (link allo studio completo a fondo pagina)

La pandemia di COVID-19 ha causato molte malattie, molti decessi e profondi disagi alla società. La produzione di vaccini “sicuri ed efficaci” era un obiettivo chiave per la salute pubblica. Purtroppo, tassi elevati senza precedenti di eventi avversi hanno messo in ombra i benefici. Questa revisione narrativa in due parti presenta prove dei danni diffusi dei nuovi vaccini anti-COVID-19 mRNA e adenovettoriali ed è innovativa nel tentativo di fornire una panoramica approfondita dei danni derivanti dalla nuova tecnologia nei vaccini che si basavano sulla produzione di cellule umane di un antigene estraneo che presenta evidenza di patogenicità.

Questo primo articolo esplora i dati sottoposti a revisione paritaria in contrasto con la narrativa “sicura ed efficace” collegata a queste nuove tecnologie. La patogenicità delle proteine ​​spike, denominata “spikeopatia”, derivante dal virus SARS-CoV-2 o prodotta dai codici genetici del vaccino, simile a un “virus sintetico”, è sempre più compresa in termini di biologia molecolare e fisiopatologia.

La trasfezione farmacocinetica attraverso tessuti corporei distanti dal sito di iniezione mediante nanoparticelle lipidiche o trasportatori di vettori virali significa che la “spikeopatia” può colpire molti organi. Le proprietà infiammatorie delle nanoparticelle utilizzate per trasportare l’mRNA; N1-metilpseudouridina impiegata per prolungare la funzione dell’mRNA sintetico; l’ampia biodistribuzione dei codici mRNA e DNA e le proteine ​​spike tradotte, e l’autoimmunità attraverso la produzione umana di proteine estranee, contribuiscono agli effetti dannosi.

Questo articolo esamina gli effetti autoimmuni, cardiovascolari, neurologici, potenziali oncologici e le prove autoptiche per la spikeeopatia. Con le numerose tecnologie terapeutiche basate sui geni pianificate, una rivalutazione è necessaria e tempestiva.

Discussione

Abbiamo iniziato questo articolo citando la risposta dell’ente regolatore sanitario australiano, il TGA, alla domanda di un senatore australiano sui rischi dei vaccini genetici che inducono le cellule umane a produrre la proteina spike SARS-CoV-2. La risposta è stata che la proteina Spike non era un agente patogeno. Abbiamo presentato prove significative che la proteina spike è patogena. Ciò vale quando fa parte del virus, quando è libero ma di origine virale e quando è prodotto nei ribosomi dall’mRNA dei vaccini COVID-19 mRNA e adenovettoreDNA. I meccanismi fisiopatologici d’azione della proteina spike continuano ad essere chiariti.

Abbiamo stabilito che la proteina spike provoca danni legandosi al recettore ACE-2 e quindi sottoregolando il recettore, danneggiando le cellule endoteliali vascolari. La proteina spike ha un dominio legante simile alla tossina, che si lega a α7 nAChR nel sistema nervoso centrale e nel sistema immunitario, interferendo così con le funzioni di nAChR, come la funzione di ridurre l’infiammazione e le citochine proinfiammatorie, come IL-6. Il collegamento con le malattie neurodegenerative avviene anche attraverso la capacità della proteina “spike” di interagire con le proteine che formano l’amiloide leganti l’eparina, avviando l’aggregazione delle proteine cerebrali.

La persistenza della proteina spike causa un’infiammazione persistente (infiammazione cronica), che potenzialmente alla fine sposta il sistema immunitario verso la tolleranza immunitaria (IgG4). Un effetto particolare per le donne e la gravidanza è il legame della proteina Spike al recettore alfa degli estrogeni, che interferisce con il messaggio degli estrogeni.

La proteina Spike è citotossica all’interno delle cellule attraverso l’interazione con i geni soppressori del cancro e causando danni mitocondriali. Le proteine ​​spike espresse sulla superficie delle cellule portano alla risposta autoimmune citopatica.

La proteina spike libera si lega all’ACE-2 su altre cellule di organi e sangue. Nel sangue la proteina Spike induce le piastrine a rilasciare fattori di coagulazione, a secernere fattori infiammatori e a formare aggregati leucociti-piastrine. La proteina spike lega il fibrinogeno, inducendo la formazione di coaguli di sangue.

Esiste anche un’omologia problematica tra la proteina spike e le proteine chiave nel sistema immunitario adattativo che portano all’autoimmunità se vaccinati con l’mRNA che produce la proteina spike.

I fattori farmacocinetici contribuiscono alla fisiopatologia. Come accennato, lo studio sulla biodistribuzione di Pfizer (dove il 75% delle molecole trasportatrici di nanoparticelle lipidiche ha lasciato il deltoide per tutti gli organi entro 48 ore) per il PMDA giapponese era noto alla TGA australiana prima dell’autorizzazione provvisoria dei vaccini mRNA COVID-19 per l’Australia popolazione [5]. Poiché causano la replicazione della proteina Spike in molti organi, i vaccini basati sui geni agiscono come virus sintetici.

Il trasportatore di nanoparticelle lipidiche dell’mRNA e il PEG associato che rende il complesso mRNA-LNP più stabile e resistente alla degradazione, hanno i propri effetti tossici; le nanoparticelle lipidiche principalmente attraverso effetti proinfiammatori e il PEG mediante anafilassi in individui sensibili.

Röltgen et al. [53] hanno scoperto che l’mRNA stabilizzato con N1-metilpseudouridina nei vaccini COVID-19 produce proteine ​​spike per almeno 60 giorni. Altre ricerche citate sulla retroposizione del codice genetico [249] suggeriscono la possibilità che tale produzione di una proteina patogena estranea possa potenzialmente durare tutta la vita o addirittura transgenerazionale.

Un ampio corpo di ricerche emergenti mostra che la stessa proteina spike, in particolare la subunità S1, è patogena e causa infiammazione e altre patologie osservate nel COVID-19 acuto grave, probabilmente nel COVID-19 lungo, e nelle lesioni da vaccino mRNA e adenovettoriDNA COVID-19 . La parola “spikeopatia” è stata coniata dal ricercatore francese Henrion-Caude [98] in una conferenza e dati gli effetti patologici vari e sostanziali della proteina spike SARS-CoV-2, suggeriamo che l’uso del termine avrà un valore euristico.

La piccopatia esercita i suoi effetti, come riassunto da Cosentino e Marino [86] attraverso l’aggregazione piastrinica, la trombosi e l’infiammazione correlate al legame dell’ACE-2; interruzione delle glicoproteine ​​transmembrana CD147 che interferiscono con la funzione cardiaca dei periciti e degli eritrociti; legandosi a TLR2 e TLR4 innescando cascate infiammatorie; legandosi all’ER alfa probabilmente responsabile delle irregolarità mestruali e dell’aumento del rischio di cancro attraverso le interazioni con p53BP1 e BRCA1. Altre ricerche mostrano ulteriori effetti spikeo-patologici attraverso la produzione di citochine infiammatorie indotte da ACE-2, la fosforilazione di MEK e la downregulation di eNOS, compromettendo la funzione delle cellule endoteliali.

Effetti particolarmente nuovi della proteina spike comportano lo squilibrio del sistema colinergico nicotinico attraverso l’inibizione di α7 nAChR, portando a vie biochimiche antinfiammatorie alterate in molte cellule e sistemi di organi, nonché a un alterato tono vagale parasimpatico.

Le lesioni provocate dal vaccino mRNA e adenovettoriale del COVID-19 si sovrappongono alla grave malattia acuta da COVID-19 e al COVID lungo, ma sono più varie, data la più ampia biodistribuzione e la produzione prolungata della proteina spike.

La miopericardite è riconosciuta ma spesso è stata minimizzata come lieve e rara, tuttavia l’evidenza di una miopericardite subclinica correlata al vaccino COVID-19 relativamente comune [113,115] e l’evidenza autoptica [246,247,248] suggeriscono un ruolo nelle morti improvvise in persone relativamente giovani e in forma [116,117 ]. Le proteine ​​spike hanno anche meccanismi per aumentare la trombosi attraverso l’infiammazione correlata all’ACE-2, il disturbo del sistema dell’angiotensina [119], il legame diretto con i recettori ACE-2 sulle piastrine [1], l’interruzione dell’antitrombina [122], ritardando la fibrinolisi [123] (prestampa) e riducendo la repulsione elettrostatica degli eritrociti che porta all’emoagglutinazione [124].

Le malattie autoimmuni di nuova insorgenza dopo la vaccinazione COVID-19 potrebbero riguardare l’omologia della proteina spike e, nella malattia virale che include altre proteine SARS-CoV-2, con le proteine umane [5,138].

Il complesso mRNA-LNP attraversa la BBB e i disturbi neurologici sono altamente segnalati nei database di farmacovigilanza a seguito dei vaccini COVID-19. Numerosi meccanismi di spikepatia vengono chiariti come disturbi sottostanti che coinvolgono: permeabilità del BBB [128]; danno mitocondriale [168]; disregolazione dei periciti vascolari cerebrali [169]; Neuroinfiammazione mediata da TLR4 [170]; morte delle cellule dell’ippocampo [171]; disregolazione delle cascate del complemento e della coagulazione e dei neutrofili che causano coagulopatie [173] (prestampa); neuroinfiammazione e demielinizzazione tramite disregolazione microgliale [174,177,180]; aumento dell’espressione di α-Syn coinvolta nella malattia neurodegenerativa [175]; livelli elevati di chemochina 11 del motivo CC associati all’invecchiamento e alla successiva perdita di cellule neurali e mielina; legandosi al recettore nicotinico dell’acetilcolina α7 (nAChR), aumentando i livelli di IL-1b e TNFα nel cervello causando elevati livelli di infiammazione [172,177]; la subunità S1 è amiloidogenica [185]; disautonomia [96], mediante danno neuronale diretto o meccanismi immunomediati indiretti, ad esempio inibizione di α7 nAChR; anosmia causata sia dal vaccino che dalla malattia [44], anch’essa prodromica alla malattia di Parkinson.

Inoltre, gli autoanticorpi nel dominio C-terminale globulare possono causare la malattia di Creutzfeldt Jakob (CJD) [218], miR-146a è alterato in associazione con COVID-19 [222] e associato sia a infezioni virali che a malattie da prioni nel cervello, e È stato dimostrato che S1 induce senescenza nelle cellule trasfettate.

La quantità di possibili meccanismi di danno mediato dai picchi nel cervello è pari nella vita reale alla prevalenza di effetti avversi neurologici e neurodegenerativi e richiede urgentemente ulteriori ricerche.

Il cancro, anche se non è stato dimostrato con certezza che sia causato dai vaccini, sembra seguire da vicino la vaccinazione e abbiamo esaminato le possibili cause sotto forma di interazioni delle proteine ​​spike con fattori di trascrizione e geni soppressori del cancro.

Il vaccino doveva proteggere le persone di età superiore ai 60 anni con il maggior rischio di mortalità da COVID-19 [10], tuttavia un’analisi del rischio condotta da Dopp e Seneff (2022) [250] ha mostrato che la probabilità di morire a causa dell’iniezione è solo 0,13 % inferiore al rischio di morte per infezione nelle persone di età superiore a 80 anni.

Inoltre, l’invecchiamento naturale è accompagnato da cambiamenti nel sistema immunitario che compromettono la capacità di rispondere efficacemente ai nuovi antigeni. Similmente alle risposte ai virus stratificate per età, ciò significa che i vaccini diventano meno efficaci nell’indurre l’immunità negli anziani, con conseguente ridotta capacità di combattere nuove infezioni [251].

La vaccinazione con mRNA COVID-19 a due dosi ha conferito una risposta immunitaria adattativa limitata tra i topi anziani, rendendoli suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 [252]. Secondo uno studio di Vo et al., (2022) [253], il rischio di malattie gravi tra i veterani statunitensi dopo la vaccinazione è rimasto associato all’età. Questo rischio di infezioni intercorrenti era anche maggiore se erano presenti condizioni di immunocompromissione.

Infine, abbiamo esaminato le migliori serie di casi di autopsia attualmente disponibili, eseguite in Germania, che stabiliscono le connessioni tra spikeopatia e fallimenti multipli di organi, neuropatie e morte.

Conclusioni
In questa revisione narrativa, abbiamo stabilito il ruolo della proteina spike SARS-CoV-2, in particolare della subunità S1, come patogena. Ora è anche evidente che le proteine ​​spike ampiamente biodistribuite, prodotte dai codici genetici dell’mRNA e del DNA adenovettoriale, inducono un’ampia varietà di malattie. I meccanismi fisiopatologici e biochimici sottostanti sono in fase di chiarimento.

I trasportatori di nanoparticelle lipidiche per i vaccini mRNA e Novavax hanno anche proprietà proinfiammatorie patologiche. L’intera premessa dei vaccini basati sui geni che producono antigeni estranei nei tessuti umani è irta di rischi per disturbi autoimmuni e infiammatori, soprattutto quando la distribuzione non è altamente localizzata.

Le implicazioni cliniche che seguono sono che i medici in tutti i campi della medicina devono essere consapevoli delle varie possibili presentazioni della malattia correlata al vaccino COVID-19, sia acuta che cronica, e del peggioramento delle condizioni preesistenti.

Sosteniamo inoltre la sospensione dei vaccini COVID-19 basati sui geni e delle matrici portatrici di nanoparticelle lipidiche e di altri vaccini basati sulla tecnologia mRNA o DNA vettoriale virale. Una strada più sicura è quella di utilizzare vaccini con proteine ricombinanti ben testate, tecnologie virali attenuate o inattivate, di cui ora ce ne sono molti per la vaccinazione contro la SARS-CoV-2.

di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine

BIOMEDICINE – ‘Spikeopathy’: COVID-19 Spike Protein Is Pathogenic, from Both Virus and Vaccine mRN
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14.09.23

Fondata nel 1945, Kaiser Permanente è riconosciuta come uno dei principali fornitori di assistenza sanitaria e piani sanitari senza scopo di lucro d’America. Attualmente opera in 8 stati (California del Nord, California del Sud, Colorado, Georgia, Hawaii, Virginia, Oregon, Washington) e nel Distretto di Columbia.

«La cura dei membri e dei pazienti si concentra sulla loro salute totale. I medici, gli specialisti e i team di operatori sanitari di Permanente Medical Group guidano tutte le cure. I nostri team medici possono avvalersi di tecnologie e strumenti leader del settore per la promozione della salute, la prevenzione delle malattie, l’erogazione delle cure e la gestione delle malattie croniche» spiega l’organizzazione medica.

«Abbiamo condotto uno studio di coorte retrospettivo su pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari o superiore a 18 anni che sono stati vaccinati con la formulazione Pfizer o Moderna del vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e il 1 marzo 2023. I pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se fossero iscritti al KP al momento della vaccinazione e durante il periodo di follow-up di 21 giorni. Abbiamo replicato la metodologia di analisi del ciclo rapido Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella posizione primaria che in qualsiasi posizione».

E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata “Rischio di ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19 in un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke after COVID-19 Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health System)”.«Abbiamo identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus ischemico per 100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni vaccinati con il vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati dal VSD. Il 79% dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali che non sono di proprietà del sistema di consegna integrato e un ritardo nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurative esterne all’ospedale è stato probabilmente responsabile della discrepanza nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. ».

 

 

18.08.23

Il procuratore generale del Texas Ken Paxton ha cercato di fare luce sulla sicurezza dei vaccini Covid e sugli esperimenti americani Gain of Function (GOF) per il potenziamento dei virus SARS in laboratorio, condotti dal virologo Anthony Fauci tra gli USA (University of North Carolina) e il Wuhan Institute of Virology, ma è stato subito colpito da un impeachment (per altre ragioni politiche) che ha bloccato la sua inchiesta.

Ora quattro famiglie americane delle vittime Covid hanno presentato una formale denuncia per quelle pericolosissime ricerche prendendo di mira il famigerato zoologo di origini britanniche Peter Daszak, presidente della società EcoHealthAlliance di New York che fu finanziata dalla Bill & Melinda Gates Foundation e soprattutto dall’Istituto Nazionale Allergie e Malattie Infettive diretto da Fauci (fino al dicembre 2022) per i progetti di costruzione di coronavirus chimerici del ceppo SARS chimerici nel centro virologico cinese.

l dottor Zhou Yusen misteriosamente morto tre mesi dopo aver brevettato un vaccino contro il Covid-19 nel febbraio 2020 che, secondo gli investigatori americani, sarebbe morto misteriosamente proprio cadendo dal tetto del WIV di Wuhan.

Nel giugno 1998 durante il vertice sino-americano in Cina il presidente Bill Clinton siglò una “Convenzione sulla armi biologiche” con il presidente cinese Jiang Zemin,

Nell’aprile 2004 la Commissione Europea presieduta dall’italiano Romano Prodi e composta anche dal commissario Mario Monti diede il primo finanziamento di quasi 2milioni di euro al Wuhan Institute of Virology grazie al quale la direttrice del Centro di Malattie Infettive Shi Zengli, soprannominata bat-woman per i suoi esperimenti sui coronavirus dei pipistrelli cinesi a ferro di cavallo, creò il primo virus chimerico ricombinante potenziando un ceppo di SARS con plasmidi infettati dal virus HIV.

 

 

16.08.23

 l’instabilità del sistema colloidale di nanomateriali lipidici (e il conseguente maggior rischio tossicologico) della prima versione di Comirnaty sia sostanzialmente dovuta alla presenza, in quella formulazione, di fattori destabilizzanti, quali, appunto, i composti inorganici elettrolitici in eccesso, costituiti principalmente dai componenti del tampone pH PBS utilizzato da Pfizer-BioNTech».

Evidenzia il dottor Segalla illustrando le differenti caratteristiche della stabilizzazione del farmaco concorrente Spikevax di Moderna.

«A questo proposito, però, quanto riportato nel brevetto della stessa BioNTech (co- titolare, insieme a Pfizer, del vaccino Comirnaty) US 10,485,884 B2 RNA Formulation for Immunoterapy [Formulazioni a RNA per immunoterapia] del 26 novembre 2019, risulta ancor più esplicito al riguardo della “elevata tossicità” attribuita a “liposomi e lipoplexes” caricati positivamente».

«Ciò si riferisce a formulazioni a base di RNA incapsulato in nanoparticelle lipidiche cationiche – del tipo cioè di quelle usate nel Comirnaty – e denominate, in questo contesto, “lipoplexes”. Nella descrizione del brevetto, si spiega, fra l’altro, come le nanoparticelle cationiche contenenti RNA si formino soprattutto grazie a determinati rapporti di massa/carica tra i lipidi cationici (+) e le componenti anioniche (-) dell’ RNA, e come tali rapporti giochino un ruolo fondamentale anche per quanto riguarda il passaggio delle nanoparticelle contenenti RNA attraverso la membrana cellulare e il conseguente trasferimento dell’RNA all’interno della cellula (trasfezione) per modificarne le caratteristiche funzionali:

Con una minore carica positiva in eccesso, l’efficacia della trasfezione scende drasticamente, andando praticamente a zero. Sfortunatamente, però, per liposomi e lipoplexes [nanoparticelle lipidiche] caricati positivamente è stata segnalata un’elevata tossicità, che può essere un problema per l’applicazione di tali preparati come prodotti farmaceutici. [corsivi aggiunti] (Figura 26)».

«Le ragioni per cui i tamponi pH del tipo PBS non vanno assolutamente bene in preparati a base di nanoparticelle cationiche inglobanti RNA sono spiegate molto chiaramente nella sezione del brevetto intitolata “Effects of Buffers/ Ions on Particle Sizes and PI of RNA Lipoplexes” [Effetti dei tamponi / composti ionici sulle dimensioni e Indice di polidispersione delle nanoparticelle lipidiche contenenti RNA] del suddetto brevetto di BioNTech US 10,485,884 B2, 44 (47-50), 45 (4-6), 45 (31- 33)».

In condizioni fisiologiche (cioè a pH 7,4; 2,2 mM Ca++), è imperativo assicurarsi che ci sia un rapporto di carica prevalentemente negativa, a causa dell’ instabilità delle nanoparticelle lipidiche neutre o caricate positivamente. [corsivi aggiunti] (Figura 27)

«In altre parole, sulla base di quanto scientificamente documentato e riportato in un brevetto della stessa BioNTech, in aggiunta a quanto già descritto riguardo alla pericolosità intrinseca delle nanoparticelle lipidiche caricate positivamente, apprendiamo che un sistema colloidale di nanoparticelle lipidiche cationiche inglobanti mRNA.

NON dovrebbe contenere nella propria formulazione un tampone ionico come il PBS, al fine di prevenire fenomeni di aggregazione, agglomerazione, flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte le conseguenze di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione composti ionici (come ad es. cloruro di sodio), al fine di prevenire fenomeni di aggregazione, agglomerazione, flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte le conseguenze di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe essere iniettato per via intramuscolare, a causa della sua instabilità quando viene a trovarsi nelle condizioni fisiologiche del distretto extracellulare (pH 7,4; 2,2 mM Ca++).
«Tutte e tre queste rigorose raccomandazioni, riportate nel succitato brevetto di BioNTech del 2019, sono spudoratamente disattese, o ignorate, nel 2020, sia da Pfizer-BioNTech sia dagli enti certificatori, sia nel merito della formulazione (ionico/ elettrolitico) sia in quello della destinazione d’uso (inoculazione intramuscolare) del preparato Comirnaty» rimarca il biochimico italiano segnalando che tali «criticità» sono «in palese contrasto con le specifiche e pertinenti raccomandazioni asserite dalla stessa BioNTech nel suo sopramenzionato brevetto US 10,485,884 B2»

 

14.08.23

«Per i suesposti motivi, questo giudicante ritiene non legittima e non conforme ai Principi Generali dell’Ordinamento e della Costituzione la normativa in materia di obbligo vaccinale, che pertanto va disapplicata. Con riguardo alle spese di giudizio sussistono giustificati motivi per compensarle, attesa la “particolarità” della materia trattata».

L’anonimo italiano over 50 che ha fatto ricorso al Giudice di Pace di Santa Maria Capua a Vetere contro l’imposizione della vaccinazione Covid e la conseguente multa da 100 euro emanata dall’Agenzia delle Entrate per conto del Ministero della Salute dovrà pagare solo una ventina di euro. Ovvero la metà dell’ammontare delle spese giudiziarie per ricorsi inferiori a 1.100 euro.

Non è il primo e non sarà l’ultimo pronunciamento giudiziario che contesta l’obbligatorietà dei sieri genici sperimentali. Il caso più famoso è ovviamente quello della giudice Susanna Zanda del Tribunale Civile di Firenze che, avendo osato anche segnalare i decessi per presunte reazioni avverse ai vaccini alla Procura della Repubblica di Roma, è finita nel fuoco incrociato della Procura Generale della Corte di Cassazione che ha aperto un procedimento disciplinare nei suoi confronti subito dopo le esternazioni politiche del Ministro della Giustizia Carlo Nordio.

«Ebbene, al di là delle pronunce del Consiglio d’Europa che ha avuto occasione di occuparsi della tematica della vaccinazione Covid (con la Risoluzione 2361 del 2021) e di decisioni, invece, contrarie, a parere di questo giudice, appaiono decisive le circostanze, ormai conclamate, che il non vaccinato — a prescindere dalle decisioni relative all’età — non ha determinato alcun rischio maggiore per la salute pubblica rispetto ai soggetti vaccinati provvisti di green pass, perché l’idoneità dei vaccini (quale strumento di prevenzione del contagio), non solo non è pari o vicina al 100 % ma si è di fatto rivelata prossima allo zero (Trib. Napoli marzo 2023)

«Il Tribunale del Lavoro di Catania, con la decisione del 14.03.2022, ribadisce che “sebbene non si ignori che l’impianto del D.D. 44/2021 sia ispirato alla finalità “di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, co. 1, D.L. 44/2021), nell’ambito di una situazione emergenziale e del tutto straordinaria, le conseguenze che esso implica nella sfera del dipendente non vaccinato — e che si sono irrigidite a seguito delle modifiche apportate all’originaria formulazione del decreto – appaiono tuttavia eccessivamente sproporzionate e sbilanciate, nell’ottica della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti, tra cui, tra i primi, la dignità della persona, bene protetto da co. 2, 36,41 Cost. plurime previsioni della Carta: artt. 2, 3»

«Sebbene la legge possa prevedere l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari, sono rarissimi, ed ancorati a precisi presupposti, ì casi in cui l’ordinamento consente la possibilità di eseguirli contro la volontà della persona (ad es., è il caso del TSO), valendo da sempre il principio che gli accertamenti ed i trattamenti obbligatori debbano essere ‘accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”…»

«E ciò a conferma della consapevolezza del legislatore che l’obbligo al trattamento sanitario costituisce pur sempre un’eccezione rispetto al principio, di cui è espressione l’art. 32 Cost., della libera determinazione dell’individuo in materia sanitaria».

In virtù di questi motivi ha accolto «il ricorso annullando il provvedimento opposto» dall’avvocato Alessandra De Rosa contro l’avviso di addebito di 100 euro al suo assistito.

 

08.08.23

Un manager della Pfizer in Oceania ha ammesso che agli impiegati australiani dell’azienda farmaceutica di New York sono somministrati dati lotti di vaccini differenti da quelli distribuiti al pubblico.

Lo ha dichiarato durante un’Audizione davanti al Senato Australiano che, a differenza dei politici dell’Unione Europea foraggiati dalle ONG di Bill Gates, ha già avviato un’inchiesta formale per indagare sulla natura dei sieri genici acquistati, sull’occultamento dei dati dei trials clinici e sui danni causati ai vaccinati.

L’ammissione è arrivata durante una rigorosa sessione di interrogatorio mercoledì, in cui il direttore medico nazionale di Pfizer Australia, il dott. Krishan Thiru, e il capo delle scienze normative, il dott. Brian Hewitt, hanno parlato davanti al “Comitato per la legislazione sull’istruzione e l’occupazione” del Senato australiano sui vaccini sperimentali contro il COVID-19, aggiunge Gateway Pundit

23.07.23

I vaccini Covid contengono proporzioni considerevoli di residui di DNA in grado di integrarsi permanentemente nel genoma umano, causando malattie croniche e tumori. Questo potrebbe anche spiegare l’eccesso di mortalità osservato dall’inizio delle campagne di vaccinazione.

L’ex banchiere svizzero Pascal Najadi e' l’autore di una denuncia penale per abuso di potere contro il presidente della Confederazione Alain Berset è vaccinato tre volte e altrettante volte si è costituito contro le autorità sanitarie da quando un’analisi del suo sangue gli ha rivelato che il suo organismo continua a produrre la proteina spike del vaccino più di 18 mesi dopo la sua ultima iniezione Pfizer/BioNTech.

Contattato, l’interessato ci ha fornito i risultati del laboratorio oltre ad una lettera del Prof. Sucharid Bhakdi confermando che “i risultati del test indicano chiaramente che il signor Najadi soffre di effetti irreparabili a lungo termine causati dal prodotto di mRNA iniettato fabbricato da PfizerBiontech.

L’ex banchiere aveva consultato l’Ufficio federale della sanità pubblica in Svizzera su questo argomento. Quest’ultimo non è stato in grado di dargli risposte, sostenendo che non poteva commentare un singolo caso. Pascal Najadi ne aveva dedotto che l’ufficio in realtà non controllava nulla riguardo a queste nuove tecnologie vaccinali.

La persistenza della presenza della proteina spike rilevata a Najadi e altri iniettati rimane ufficialmente inspiegabile ed è ben oltre i 14 giorni comunicati quando sono state lanciate le campagne di vaccinazione contro il Covid.

Tutti conoscono il DNA, rappresentato da una doppia elica e contenente il nostro codice genetico. L’RNA è costituito solo da un singolo filamento. La cellula lo produce secondo necessità leggendo parte del DNA che servirà poi come specifiche per la produzione di una proteina.

Una dose di “vaccino” Covid a RNA messaggero contiene miliardi di filamenti di RNA messaggero, che innescheranno la produzione di altrettante proteine ​​​​spike del virus SARS-CoV-2 nelle cellule che raggiungono. Queste proteine ​​spike attiveranno una risposta del sistema immunitario.

a proteina avanzata è stata anche presentata come sostanza innocua durante le campagne di vaccinazione quando è nota per essere tossica per l’organismo umano e causare la maggior parte delle complicanze del Covid, comprese le reazioni infiammatorie e allergiche.

Per comunicare, i batteri si scambiano importanti “messaggi” genetici con l’aiuto dei cosiddetti plasmidi. Ad esempio, se un batterio trova un nuovo meccanismo che aumenta la sua resistenza agli antibiotici, incapsula questa informazione in plasmidi, che verranno prodotti e ‘diffusi’ ad altri batteri.

Il processo di produzione dei filamenti di RNA dei vaccini Covid richiede appunto di passare attraverso la manipolazione genetica dei batteri mediante plasmidi, nei quali sarà stata precedentemente introdotta la sequenza di DNA corrispondente alla proteina spike di SARS-CoV-2.

Il plasmide viene propagato nei batteri e utilizzato come stampo per la produzione di massa di RNA messaggero che sarà in grado di innescare la produzione di proteine ​​spike nelle cellule vaccinate. Il DNA deve poi essere rimosso e l’RNA messaggero viene poi miscelato con i lipidi per produrre nanoparticelle in grado di portare l’mRNA nelle nostre cellule

Nell’ambito dell’autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino Pfizer, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) si è quindi dovuta accontentare di consultare i dati forniti dal produttore. EMA ha espresso sorpresa al produttore per il fatto che il prodotto finale non fosse stato sequenziato geneticamente per garantire che contenesse solo RNA messaggero e nessun DNA o altri residui, apprende lo scienziato tedesco Florian Schilling in una presentazione

Pfizer ha risposto di aver rinunciato volontariamente al sequenziamento, ammettendo che non era certo ottimale, ma che era giustificato per ridurre i costi. Anche altri produttori hanno rinunciato a questo sequenziamento genetico come parte della loro garanzia di qualità.

Tra le tecniche alternative di valutazione del prodotto utilizzate da Pfizer c’è l’elettroforesi, che conta gli elementi presenti in una soluzione in base alla loro dimensione.

Nei documenti forniti da Pfizer alla WEA, l’RNA messaggero della proteina spike del vaccino è rappresentato da un alto picco centrale. L’anomalia sono le “pendenze” su entrambi i lati del picco, che rappresentano misteriosi “oggetti” genetici che non corrispondono alle dimensioni dell’RNA messaggero e non dovrebbero essere presenti in una soluzione purificata.

Anche l’EMA aveva voluto saperne di più e aveva richiesto i dati grezzi a Pfizer. Il produttore aveva accettato di fornirli ma ad oggi non sono ancora stati consegnati.

Un gruppo di ricercatori, preoccupato in particolare per le conseguenze delle iniezioni di Covid sui giovani, ha deciso all’inizio del 2023 di prendere in mano la situazione e mettere in sequenza lotti di “vaccini” di Pfizer e Moderna. Il loro intero approccio è spiegato in dettaglio in un primo articolo e nel suo supplemento scritto da Kevin McKernan, biologo molecolare, specialista in manipolazione genetica e sequenziamento, che ha partecipato all’analisi.

Le loro scoperte sono di natura inquietante:

Quantità di DNA anormalmente elevata – La presenza di plasmidi contenenti DNA proteico spike è stata confermata in proporzioni notevoli per i “vaccini” di Pfizer e Moderna: tra il 20 e il 35%, ben oltre i limiti di contaminazione fissati dall’EMA (0,033%) . Una singola dose contiene quindi diversi miliardi di questi plasmidi che servivano per produrre l’RNA messaggero e che poi avrebbero dovuto essere eliminati. Queste informazioni sono già prova della non conformità di questi prodotti alle normative vigenti.


Accelerazione della resistenza agli antibiotici – Fatto preoccupante, il DNA di questi plasmidi contiene geni che li rendono resistenti a due antibiotici: neomicina e kanamicina. L’introduzione di miliardi di geni di resistenza agli antibiotici in plasmidi altamente replicabili, consentendo la selezione di batteri resistenti a questi trattamenti nel microbioma, dovrebbe sollevare preoccupazioni sull’accelerazione della resistenza agli antibiotici su scala globale. Alcuni esperti stimavano già prima della crisi del Covid che entro il 2050 non avremmo più avuto antibiotici efficaci.
Elevato fattore di errore di copia – Gli scienziati affermano che la presenza di un nucleotide chiamato pseudouridina è molto preoccupante poiché è noto che ha un tasso di errore di copia di uno su 4000 nucleotidi, ovvero tra 5 e 8,5 milioni di possibili errori di copia per dose di vaccino. E nessuno può dire a cosa corrispondano questi errori poiché sono imprevedibili.


Integrazione permanente e transgenerazionale: i plasmidi vaccinali possono raggiungere un batterio o una cellula umana. Quest’ultimo caso è considerato problematico perché è possibile che il filamento di DNA contenuto nel plasmide sia permanentemente integrato nel codice genetico della cellula umana, permettendole in qualsiasi momento di produrre autonomamente la proteina spike del vaccino, per tutta la vita. Con ogni probabilità, questo è ciò che sta accadendo ai clienti di Pascal Najadi e Me Ulbrich in Germania. L’insegnante. Bhakdi ha ricordato a questo proposito che ogni divisione cellulare è un’opportunità per questo DNA importato di modificare il genoma dell’ospite. Se questa integrazione avviene in una cellula staminale, ovulo o spermatozoo, la modificazione genetica verrà trasmessa alle generazioni successive.

Questo è grave perché oggi la scienza non offre uno strumento per rimuovere un gene. Più incomprensibilmente, il DNA del plasmide utilizzato da Pfizer contiene una sequenza (SV 40) che gli permette di essere trasferito nel nucleo anche quando la cellula non si sta dividendo e quindi di influenzare le cellule. La sua presenza è comunque inutile per la produzione di RNA messaggero nei batteri. Questa sequenza è assente dai plasmidi utilizzati da Moderna.

l vaccino Covid di Johnson & Johnson presenta un rischio di integrazione ancora maggiore perché si basa su un virus a DNA e utilizza un promotore molto più potente dell’SV 40, chiamato CMV. Ciò comporta un rischio molto più elevato di oncogenesi e continua produzione di proteine ​​spike rispetto agli RNA messaggeri, afferma Marc Wathelet, biologo molecolare e specialista di coronavirus che abbiamo consultato (vedi intervista alla fine dell’articolo).

Poiché il DNA della proteina spike del plasmide prende di mira le cellule dei mammiferi, ci sono pochissime possibilità che si integri permanentemente nel genoma di un batterio intestinale. Non riuscendo a diventare fabbriche proteiche avanzate, questi batteri – che non sono cellule umane – potrebbero invece moltiplicare i plasmidi del vaccino e contribuire così ad aumentare il rischio di contaminazione con cellule umane, chiamato “bactofezione” o “trasfezione”.

Marc Wathelet conferma che se “il rischio di contaminazione dei batteri nel microbioma rimane basso, sono i rischi di infiammazione e soprattutto di tumori legati alla contaminazione delle cellule del corpo delle persone vaccinate da parte del DNA che sono più preoccupanti”.

L’esperto sottolinea che è “impossibile quantificare questo rischio”. Trova “un aumento di alcuni tumori, ma non è chiaro se sia dovuto a DNA, mRNA, un indebolimento del sistema immunitario, lipidi nelle nanoparticelle o una combinazione di questi fattori

 

21.07.23

Come risulta, la proteina spike e l’mRNA non sono gli unici rischi di queste iniezioni. Il team di McKernan ha anche scoperto i promotori del virus della simmia 40 (SV40) che, da decenni, sono sospettati di provocare il cancro negli esseri umani, compresi mesoteliomi, linfomi e tumori del cervello e delle ossa.3 I risultati4,5,6,7 sono stati pubblicati su OSF Preprints all’inizio di aprile 2023. Come spiegato nell’abstract:8

“Sono stati utilizzati diversi metodi per valutare la composizione degli acidi nucleici di quattro fiale scadute dei vaccini mRNA bivalenti Moderna e Pfizer. Sono stati valutati due flaconi di ciascun fornitore… Molteplici test supportano una contaminazione da DNA che supera i requisiti dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) di 330ng/mg e della FDA [Food and Drug Administration] di 10ng/dose…

Come riportato in una recensione del libro di Lancet “The Virus and the Vaccine: The True Story of a Cancer-Causing Monkey Virus, Contaminated Polio Vaccine and the Millions of Americans Exposed”:13

“Nel 1960, gli scienziati e i produttori di vaccini sapevano che i reni delle scimmie erano fogne di virus scimmieschi. Tale contaminazione spesso rovinava le colture, comprese quelle di una ricercatrice del NIH di nome Bernice Eddy, che lavorava sulla sicurezza dei vaccini… La sua scoperta… minacciava uno dei più importanti programmi di salute pubblica degli Stati Uniti…”.

Eddy cercò di informare i colleghi, ma fu imbavagliata e privata dei suoi compiti di regolamentazione dei vaccini e del suo laboratorio… [Due] ricercatori della Merck, Ben Sweet e Maurice Hilleman, identificarono presto il virus del rhesus, poi chiamato SV40, l’agente cancerogeno che era sfuggito a Eddy.

“Nel 1963, le autorità statunitensi decisero di passare alle scimmie verdi africane, che non sono ospiti naturali dell’SV40, per produrre il vaccino antipolio. A metà degli anni ’70, dopo studi epidemiologici limitati, le autorità conclusero che, sebbene l’SV40 causasse il cancro nei criceti, non sembrava farlo nelle persone.

“Arriviamo agli anni ’90: Michele Carbone, allora all’NIH [National Institutes of Health], stava lavorando sul modo in cui l’SV40 induce i tumori negli animali. Uno di questi era il mesotelioma, un raro tumore della pleura che nelle persone si pensa sia causato principalmente dall’amianto. L’ortodossia riteneva che l’SV40 non causasse tumori nell’uomo.

“Incoraggiato da un articolo del 1992 del NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il virus della scimmia era attivo e produceva proteine.

“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.

“Incoraggiato da un articolo del 1992 del NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il virus della scimmia era attivo e produceva proteine.

“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.

 Torniamo alle scoperte di McKernan, che oltre al video in evidenza sono discusse anche nel podcast di Daniel Horowitz qui sopra. In breve, il suo team ha scoperto livelli elevati di plasmidi di DNA a doppio filamento, compresi i promotori SV40 (sequenza di DNA essenziale per l’espressione genica) che sono noti per innescare lo sviluppo del cancro quando incontrano un oncogene (un gene che ha il potenziale di causare il cancro).

Il livello di contaminazione varia a seconda della piattaforma utilizzata per la misurazione, ma indipendentemente dal metodo utilizzato, il livello di contaminazione del DNA è significativamente superiore ai limiti normativi sia in Europa che negli Stati Uniti, afferma McKernan. Il livello più alto di contaminazione del DNA riscontrato è stato del 30%, un dato piuttosto sorprendente.

Come spiegato da McKernan, quando si utilizza un tipico test PCR, si viene considerati positivi se il test rileva il virus SARS-CoV-2 utilizzando una soglia di ciclo (CT) di circa 40. In confronto, la contaminazione del DNA viene rilevata con TC inferiori a 20. Ciò significa che la contaminazione è di un milione di milioni di unità.

Ciò significa che la contaminazione è un milione di volte superiore alla quantità di virus che si dovrebbe avere per risultare positivi al test COVID-19. “Quindi, c’è un’enorme differenza per quanto riguarda la quantità di materiale presente”, afferma McKernan.

Nel suo articolo su Substack14 , McKernan sottolinea anche che chi sostiene che il DNA a doppio filamento e l’RNA virale siano una falsa equivalenza, perché l’RNA virale è in grado di replicarsi, si sbaglia.

“La maggior parte dell’sgRNA che state rilevando in un tampone nasale nel vostro naso NON È ADEGUATO ALLA REPLICAZIONE, come dimostrato da Jaafar et al.15 È solo un frammento di RNA che dovrebbe avere una longevità inferiore nelle vostre cellule rispetto ai frammenti contaminanti di dsDNA”, scrive.

Se si sequenzia il DNA, si scopre che corrisponde a quello che sembra essere un vettore di espressione usato per produrre l’RNA… Ogni volta che vediamo una contaminazione del DNA, come quella dei plasmidi, finire in un prodotto iniettabile, la prima cosa a cui si pensa è se sia presente l’endotossina dell’E. coli (Escherichia coli, ndr), perché crea anafilassi per chi viene iniettato.
 

Mentre i deceduti non vaccinati sono stati soltanto 304 e quelli vaccinati con ciclo incompleto (senza seconda dose) 25. Il periodo preso in considerazione dalla tabella ISS è quello che va dal 29 aprile al 29 maggio 2022.

 

La tabella del Bollettino Covid-19 pubblicato il 24 giugno scorso dall’Istituto Superiore della Sanità di Roma – link a fondo pagina

 

«Numerosi studi riportano l’insorgenza di reazioni autoimmuni a seguito della vaccinazione contro il COVID-19 (Gadi et al., 2021; Watad et al., 2021; Bril et al., 2021; Portoghese et al., 2021; Ghielmetti et al., 2021; Vuille – Lessard et al., 2021; Chamling et al., 2021; Clayton-Chubb et al., 2021; Minocha et al., 2021; Elrashdy et al., 2021; Garrido et al., 2021; Chen et al., 2022; Fatima et al., 2022; Mahroum et al., 2022; Finsterer, 2022; Garg & Paliwal, 2022; Kaulen et al., 2022; Kwon & Kim, 2022; Ruggeri, Giovanellla & Campennì, 2022). I dati istopatologici forniscono una prova indiscutibile che dimostra che i vaccini genetici presentano una distribuzione fuori bersaglio, provocando la sintesi della proteina spike e innescando così reazioni infiammatorie autoimmuni, anche in tessuti terminali differenziati».

Furono proprio gli esami patologici del medico tedesco Morz a rilevare l’anomala persistenza nel corpo umano della proteina Spike di cui un altro studio americano asseverato dalla virologa Jessica Rose spiegò la proliferazione attraverso i plasmidi di RNA.

«In generale, i potenziali rischi dei vaccini genetici che inducono le cellule umane a diventare bersagli per l’attacco autoimmune non possono essere valutati completamente, senza conoscere l’esatta distribuzione e cinetica di LNP e mRNA, nonché la produzione e la farmacocinetica della proteina spike».

Lo studio sottoscritto anche da Donzelli e Bellavite poi conclude:

«Poiché il corpo umano non è un sistema strettamente compartimentato, questo è motivo di seria preoccupazione per ogni vaccino genetico attuale o futuro che induca le cellule umane a sintetizzare antigeni non self. Infatti, per i tessuti terminalmente differenziati, la perdita di cellule determina un danno irreversibile con prognosi potenzialmente fatale. In conclusione, alla luce delle innegabili prove di distribuzione fuori bersaglio, la somministrazione di vaccini genetici contro COVID-19 dovrebbe essere interrotta fino a quando non saranno eseguiti accurati studi di farmacocinetica, farmacodinamica e genotossicità, oppure dovrebbero essere somministrati solo in circostanze quando i benefici superano di gran lunga i rischi».

L’invito a indagare sui danni da sieri genici e a fermarne l’inoculazione è giunto anche da una ricercatrice dell’Istituto Superiore della Sanità e dalla sentenza del Tribunale di Firenze che ha inviato gli atti alla Procura della Repubblica di Roma per un’accurata inchiesta.

 

di Peter McCullough – pubblicato in origine sul suo Substack

Mi viene spesso chiesto: perché tante persone che hanno assunto il vaccino COVID-19 stanno apparentemente bene, mentre altre subiscono danni al cuore, ictus, coaguli di sangue e finiscono per essere invalide o morte? Da molti mesi si sospetta che ci possano essere variazioni nei lotti o nelle partite di vaccino che potrebbero spiegare in parte queste osservazioni. In altre parole, non tutti ricevono la stessa dose di mRNA.

In base all’autorizzazione all’uso in emergenza, le aziende produttrici di vaccini e i loro subappaltatori non effettuano alcuna ispezione delle fiale finali riempite e finite. Si tratta di una situazione senza precedenti per un prodotto di largo uso di qualsiasi tipo.

È possibile che le nanoparticelle lipidiche si aggreghino in sospensione e quindi alcuni lotti potrebbero contenere più mRNA di altri. Allo stesso modo, poiché le dimensioni dei lotti sono variate nel tempo, è possibile che i contaminanti del processo di produzione si concentrino in alcuni lotti più piccoli rispetto a quelli più grandi.

Infine, il trasporto, la conservazione e l’uso del prodotto possono essere fattori che denaturano l’mRNA, tra cui il riscaldamento, l’aria iniettata nelle fiale e gli aghi multipli immersi nella sospensione.

Il problema della contaminazione è emerso quando il Giappone ha restituito milioni di dosi e sono stati riscontrati detriti visibili sul fondo delle fiale. Inoltre, poiché i contactor di biodifesa utilizzano sfere metalliche, è possibile che i lotti iniziali più piccoli avessero detriti magnetici che spiegavano il “magnetismo” nel braccio in cui veniva somministrata l’iniezione, come riportato all’inizio della campagna vaccinale.

Un rapporto di Schmeling e collaboratori sul vaccino Pfizer BNT162b2 mRNA COVID-19 ha rilevato che il 71% degli eventi avversi gravi proveniva dal 4,2% delle dosi (lotti ad alto rischio), mentre <1% di questi eventi proveniva dal 32,1% delle dosi (lotti a basso rischio). La variazione spiegata per i lotti ad alto e moderato rischio è stata rispettivamente del 78 e dell’89%. Pertanto, più dosi sono state somministrate da quelle fiale, maggiore è stato il numero di effetti collaterali segnalati. Ciò significa che la maggior parte del rischio risiede nell’iniezione e non nella persona che l’ha ricevuta.

Si tratta di risultati di importanza cruciale. Essi implicano che la debacle del vaccino COVID-19 è effettivamente un problema di prodotto e non è dovuta alla suscettibilità del paziente nella maggior parte delle circostanze. Inoltre, la mancanza di ispezioni ha portato a un disastro di sicurezza. Alcuni sfortunati pazienti ricevono una quantità eccessiva di mRNA, di contaminanti o di entrambi e sono quindi esposti a iniezioni dannose e, in alcuni casi, letali.

 

IN ITALIA

Il trait d’union tra questa nuova ricerca sponsorizzata dalla Commissione Europea e Rappuoli è proprio la Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) che ha creato un park science accentratore di aziende operanti in campo sanitario medico, diagnostico e farmaceutico.

TOSCANA LIFE SCIENCES NEL BIOTECNOPOLO DI SIENA
TLS è anche deputata a diventare uno dei pilastri del progetto del Biotecnopolo di Siena, in fase di realizzazione nell’ex caserma in Viale Cavour, che riceverà una cospicua dotazione finanziaria dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNNR) così suddivisa: 9 milioni di euro per il 2022, 12 milioni per il 2023 e 16 milioni per il 2024. Ma la fetta più grossa spetta proprio all’hub antipandemico (Centro Nazionale Antipandemico – CNAP), che riceverà 340 milioni di euro da qui al 2026.

Una somma ingente in considerazione che le finalità sono praticamente analoghe a quelle del Fondazione Centro Nazionale di Ricerca “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA” che vede come capofila l’Università di Padova e come partner altri atenei italiani ma, soprattutto, le Big Pharma dei vaccini Pfizer, Biontech e AstraZeneca.

Dal canto suo la Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) fin dall’agosto 2022 aveva subito accolto «con estremo favore la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (GU) della Repubblica Italiana dello Statuto della Fondazione Biotecnopolo, che avrà sede legale e operativa a Siena. Un passo molto atteso che include la partecipazione della Fondazione Toscana Life Sciences in qualità di “nuovo fondatore” attraverso la stipula di un atto convenzionale entro sessanta giorni dall’adozione dello Statuto stesso. Sono soci fondatori il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dello Sviluppo Economico, cui si aggiungerà la Fondazione TLS come “nuovo fondatore”

Esaote (che ha sede a Genova ma una filiale a Firenze) e TLS, nella primavera 2021, si trovarono insieme a un vertice convocato dalla Regione Toscana per costruire un eco-sistema per un vaccino anti Covid-19 made in Tuscany. All’incontro presero parte, oltre agli assessori Simone Bezzini (Sanità) e Leonardo Marras (Attività produttive), i rappresentanti del Gruppo farmaceutico Menarini, di Kedrion, Eli Lilly, Molteni Farmaceutici, Diesse Diagnostica, Aboca, Abiogen, e di Gsk Vaccines.

Ora il Biotecnopolo di Siena e Toscana Life Sciences si assumeranno l’onere di portare avanti questo obiettivo puntando sulla figura di Rappuoli.

La Fondazione Toscana Life Sciences è il soggetto operativo che coordina e gestisce le attività del Distretto Toscano Scienze della Vita, il cluster regionale che aggrega tutti i soggetti pubblici e privati che operano nei settori delle biotecnologie, del farmaceutico, dei dispositivi medici, della nutraceutica, della cosmeceutica e dell’Ict applicato alle life sciences.

E’ nata nel 2011 per iniziativa della Regione Toscana allora governata dal presidente Alberto Monaci, bancario e ex deputato della Democrazia Cristiana e poi del Partito Democratico, ed oggi rappresenta un ecosistema dell’innovazione che raggruppa oltre 32 Centri Ricerca e 14 Enti di Ricerca, incluse le Università toscane (Firenze, Pisa, Siena); le Scuole Superiori (Scuole di Alta Formazione Sant’Anna e Normale di Pisa e Istituto di Alti Studi Imt di Lucca); gli Istituti del CNR. Sono affiliate al Distretto oltre 200 aziende del settore pharma, medical devices, biotech, ICT for health, nutraceutica, servizi correlati, per oltre 6 miliardi di fatturato.

Tra queste spicca il nome della bio-farmaceutica Kedrion della famiglia Marcucci dell’ex senatore del PD Andrea Marcucci (non riconfermato alle elezioni del 2022) che attirò l’attenzione dei media per l’interessamento a gestire a livello industriale (con una società Israeliana del Gruppo della Big Pharma americana Moderna finanziata da Gates) le cure del Covid-19 col plasma del medico Giuseppe De Donno, primario di Pneumologia dell’ospedale Poma di Mantova, morto suicida in circostanze misteriose dopo che la sperimentazione fu sottratta dal governo al suo centro di ricerca e assegnata a quello di Pisa.

 

19.10.24

Un gruppo di scienziati argentini ha identificato 55 elementi chimici – non elencati nei foglietti illustrativi – nei vaccini COVID-19 di Pfizer, Moderna, AstraZeneca, CanSino, Sinopharm e Sputnik V, secondo uno studio pubblicato la scorsa settimana sull’International Journal of Vaccine Theory, Practice, and Research.

Gli elementi chimici includono 11 metalli pesanti – come cromo, arsenico, nichel, alluminio, cobalto e rame – che gli scienziati considerano tossici sistemici noti per essere cancerogeni e indurre danni agli organi, anche a bassi livelli di esposizione.

I campioni contenevano anche 11 dei 15 lantanidi, o elementi delle terre rare, che sono metalli più pesanti e argentei spesso utilizzati nella produzione. Questi elementi chimici, che comprendono lantanio, cerio e gadolinio, sono meno noti al grande pubblico rispetto ai metalli pesanti, ma hanno dimostrato di essere altamente tossici.

“Il rilevamento di più elementi tossici non dichiarati, tra cui metalli pesanti e lantanidi, nei vaccini COVID-19 solleva una duplice e molteplice preoccupazione per la salute umana”, ha dichiarato a The Defender James Lyons-Weiler, Ph.D., membro del comitato editoriale della rivista e non coinvolto nella ricerca. “Singolarmente, queste sostanze chimiche sono note per causare danni neurologici, cardiovascolari e immunologici”.

Per lo studio argentino, i ricercatori miravano a corroborare le precedenti scoperte di elementi non dichiarati e a rilevare e misurare eventuali elementi non identificati in quegli studi.

Hanno analizzato 13 fiale di diversi lotti di sei marche di vaccini COVID-19 presso un laboratorio dell’Università Nazionale di Córdoba. Hanno utilizzato una tecnica analitica altamente sensibile – la spettrometria di massa al plasma accoppiato induttivamente – che consente di misurare gli elementi a livelli di traccia nei fluidi biologici.

I ricercatori hanno analizzato almeno due fiale di ogni vaccino, ad eccezione di CanSino, un vaccino vettoriale virale prodotto in Cina, per il quale hanno analizzato solo una fiala.

Il loro documento include un lungo elenco di componenti del vaccino COVID-19 dichiarati dai produttori. I componenti variano a seconda del produttore del vaccino. I ricercatori hanno ottenuto gli elenchi attraverso richieste di informazioni pubbliche.

Ad eccezione di Sputnik V e Sinopharm, i produttori non dichiarano le quantità degli eccipienti nominati nei loro vaccini, cosa che i ricercatori hanno segnalato come una “omissione molto grave a livello normativo”.

I vaccini spesso includono eccipienti – additivi utilizzati come conservanti, coadiuvanti, stabilizzatori o per altri scopi. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), le sostanze utilizzate nella produzione di un vaccino, ma non elencate nel contenuto del prodotto finale, devono essere riportate nel foglietto illustrativo.

L’elenco degli eccipienti è importante, sostengono i ricercatori, perché gli eccipienti possono includere allergeni e altri “pericoli nascosti” per i destinatari dei vaccini.

OpenVAERS riferisce che il CDC ha reso le informazioni sugli eccipienti dei vaccini disponibili al pubblico “quasi impossibili da trovare”. OpenVAERS offre un elenco completo degli eccipienti dei vaccini per tipo e per vaccino.

Tuttavia, il sito OpenVAERS rileva anche che test indipendenti sulle fiale di vaccino hanno trovato “contaminanti che vanno ben oltre quelli resi pubblici dai produttori”, come identificato in questo studio.

Le tre fiale Pfizer contenevano rispettivamente 19, 16 e 21-23 elementi non dichiarati. Le fiale Moderna contenevano 21 e tra 16-29 elementi non dichiarati.

Tutti i metalli pesanti rilevati sono collegati a effetti tossici sulla salute umana, scrivono i ricercatori. Sebbene i metalli si presentassero con frequenze diverse, molti erano presenti in più campioni. “Ci sono elementi chimici non dichiarati in comune, come boro, calcio, titanio, alluminio, arsenico, nichel, cromo, rame, gallio, stronzio, niobio, molibdeno, bario e afnio in tutte le marche” di vaccini COVID-19, hanno scritto i ricercatori.

Altri elementi, come il cromo e l’arsenico, che aumentano il rischio di gravi tumori e malattie della pelle, erano presenti come elementi non dichiarati rispettivamente nel 100% e nell’82% dei campioni. I ricercatori hanno anche trovato il lantanide cerio, che può danneggiare il fegato e causare embolie polmonari, nel 76% dei campioni.

Questi elementi chimici sono solo alcuni esempi dei 62 elementi chimici non dichiarati identificati da questo studio e da studi precedenti messi insieme, scrivono i ricercatori. Essi hanno concluso che, data la “diversità e la notevole presenza in tutte le marche, insieme alle caratteristiche peculiari degli elementi trovati”, è improbabile che i risultati siano dovuti a contaminazione o adulterazione accidentale.

INOLTRE il lavoro, pubblicato il 18 luglio 2024 sul’International Journal of Vaccine Theory, Practice, and Research (IJVTPR con sede a Dallas, USA), conferma per l’ennesima volta la presenza di grafene nei sieri genici mRNA e ne certifica la presenza non solo in Pfizer ma pure nel prodotto farmacologico di Moderna, come peraltro già testimoniato dagli specifici brevetti della Big Pharma di Cambrdige (Massachusetts) .

Lo studio è stato condotto dalla dottoressa Young Mi Lee, medica specializzanda in Ostetricia e Ginecologia dell’Hanna Women’s Clinic di Jeju (Repubblica di Corea) che si occupa anche di ricerche sulla fertilità e ha prestato particolare attenzione anche sulla pericolosità di tali terapie geniche sul liquido seminale maschile.

E dal ricercatore Daniel Broudy, docente di Linguistica dell’Okinawa Christian University (Giappone) ma esperto anche nell’ambito elettromagnetico che gospa News aveva già citato in realzione agli studi sulle segnali Bluetooth riscontrati da un esperimento nei vaccinati.

A lui è toccato il compito di curare la redazione del testo finale ed analizzare le immagini e i dati raccolti dalla scienziata medica in una lunga e meticolosa analisi biochimica condotta con uno stereomicroscopio (specializzato per l’esame di campioni tridimensionali e dinamici ) potenziato da una camera di conteggio Makler (specializzata anche nel conteggio degli spermatozoi in spazi limitati per la valutazione della fertilità maschile).

«Questo rapporto sui nostri risultati è stato aiutato dalla ricerca indipendente di un gruppo noto come Korea Veritas Doctors (KoVeDoc) con il quale abbiamo condiviso gli iniettabili prodotti da Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Novavax».

Come si spiega nel paragrafo Materiali e metodi: «Nello studio sono stati utilizzati cinquantaquattro campioni: 50 fiale iniettabili residue (43 Pfizer, 7 Moderna) acquisite immediatamente dopo il loro utilizzo nella campagna di vaccinazione contro il COVID-19 e 4 fiale iniettabili nuove non aperte (2 Pfizer, 1 AstraZeneca, 1 Novavax)».

riportiamo integralmente l’Abstract della ricerca intitolata: “Autoassemblaggio in tempo reale di costruzioni artificiali visibili allo stereomicroscopio in campioni incubati di prodotti mRNA principalmente da Pfizer e Moderna: uno studio longitudinale completo– Real-Time Self-Assembly of Stereomicroscopically Visible Artificial Constructionsin Incubated Specimens of mRNA Products Mainly from Pfizer and Moderna: A Comprehensive Longitudinal Study”.

«Le lesioni osservabili in tempo reale a livello cellulare nei destinatari degli iniettabili COVID-19 “sicuri ed efficaci” sono documentate qui per la prima volta con la presentazione di una descrizione completa e un’analisi dei fenomeni osservati. La somministrazione globale di questi prodotti, spesso obbligatori, dalla fine del 2020 ha innescato una serie di studi di ricerca indipendenti sulle terapie geniche iniettabili con RNA modificato, in particolare quelle prodotte da Pfizer e Moderna. Le analisi qui riportate consistono in una precisa “scienza da banco” di laboratorio che mira a comprendere perché si sono verificati sempre più gravi infortuni debilitanti e prolungati (e molti decessi) senza alcun effetto protettivo misurabile da parte dei prodotti commercializzati in modo aggressivo. Il contenuto degli iniettabili COVID-19 è stato esaminato allo stereomicroscopio con un ingrandimento fino a 400X. I campioni accuratamente conservati sono stati coltivati in una gamma di terreni distinti per osservare le relazioni di causa-effetto immediate e a lungo termine tra le sostanze iniettabili e le cellule viventi in condizioni attentamente controllate».

«Da tale ricerca si possono trarre ragionevoli deduzioni sugli infortuni osservati in tutto il mondo che si sono verificati da quando le sostanze iniettabili sono state inoculate su miliardi di individui. Oltre alla tossicità cellulare, i nostri risultati rivelano numerose entità artificiali autoassemblanti visibili, nell’ordine di 3~4 x 106 per millilitro di iniettabile, che vanno da circa 1 a 100μm, o più, di molte forme diverse. C’erano entità animate simili a vermi, dischi, catene, spirali, tubi, strutture ad angolo retto contenenti altre entità artificiali al loro interno e così via. Tutti questi sono estremamente al di là di qualsiasi livello previsto e accettabile di contaminazione degli iniettabili COVID-19 e gli studi di incubazione hanno rivelato il progressivo autoassemblaggio di molte strutture artefatte. Con il passare del tempo durante l’incubazione, semplici strutture uni e bidimensionali nell’arco di due o tre settimane sono diventate più complesse nella forma e nelle dimensioni sviluppandosi in entità stereoscopicamente visibili in tre dimensioni. Assomigliavano a filamenti, nastri e nastri di nanotubi di carbonio, alcuni apparivano come membrane trasparenti, sottili e piatte, e altri come spirali tridimensionali e catene di perline. Alcuni di questi sembravano apparire e poi scomparire nel tempo. Le nostre osservazioni suggeriscono la presenza di qualche tipo di nanotecnologia negli iniettabili COVID-19».

«Sulla scia del programma di vaccinazione di massa, già nel marzo 2021 e nei mesi successivi, si sono verificati aumenti significativi di decessi in eccesso per cause “sconosciute” e gravi sequele: coaguli di sangue, emorragie inspiegabili, danni (e guasti) a più organi), picchi improvvisi (cardiotossine) nelle malattie cardiache, tumori del sangue tra cui leucemia e linfoma, una serie di altri tumori “turbo”, aborti spontanei, disturbi neurologici e autoimmuni, per citarne alcuni, sono comparsi nei pazienti (Nyström e Hammarström, 2022; Santiago & Oller, 2023 Perez et al., 2023»

«Degno di nota è stato il comportamento di ciascun tipo di cellule del sangue, che si mobilitano come in una battaglia in prima linea contro ciascuno degli iniettabili: globuli rossi contro Pfizer e AstraZeneca, globuli bianchi contro Moderna e piastrine contro Novavax. Nonostante il comportamento osservato, questi fenomeni specifici delle sostanze iniettabili potrebbero essere correlati alla loro caratteristica fisiopatologia diretta del sangue: stasi del flusso sanguigno e conseguente ipossiemia (affaticamento) dovuta al modello Rouleaux, soppressione immunitaria dovuta a danno dei globuli bianchi e formazione di coaguli di sangue (trombosi) o tendenza al sanguinamento da danno o aggregazione piastrinica».«Nell’analisi dei coaguli di sangue di persone vaccinate, sono state trovate alcune strutture filamentose attaccate a coaguli bianchi torbidi omogenei brunastri estratti dallo strato intermedio del sedimento di sangue intero. Quando si trovano in prossimità di un campo elettromagnetico, i filamenti potrebbero innescare la formazione di un coagulo e, quindi, disturbare il libero flusso sanguigno o linfatico. Date le loro dimensioni microscopiche e l’ampia distribuzione in tutto il corpo, se questi materiali estranei interagiscono con fonti di energia interne o esterne, come afferma la letteratura, potrebbero allungarsi, allargarsi e fungere da misteriose modalità di morbilità ed eventuale mortalità».

Scrivono Young MI Lee e Daniel Broudy tanto da sentirsi poi legittimati a fare delle ipotesi assai inquietanti che partono da quanto affermato (mai poi rimosso dopo l’inizio della produzione dei vaccini Covid) dal sito di Moderna sull’uso della «tecnologia mRNA è spesso commercializzata in termini di software come una sorta di sistema operativo o piattaforma tecnologica».

«La ricerca nell’ingegneria dei nanomateriali mostra che i robot magnetici bioibridi (Magnobot basati su microalghe) potrebbero essere prodotti e azionati in tutto il corpo da una varietà di fattori scatenanti: energia elettromagnetica, variazione dell’intervallo di pH, manipolazione dei livelli di glucosio e variazione degli spettri luminosi con l’obiettivo di colpire determinati tessuti (Li et al., 2023). Le osservazioni durante i nostri studi di incubazione suggeriscono la presenza di magnobot, soprattutto nel campione Pfizer».

 

 

NO AL NUCLEARE , SULL'H2-FOTOVOLTAICO  NON SI SPECULA
  1. IL RAZIONAMENTO ENERGETICO NON RISOLTO CON LE RINNOVABILI PUO' ESSERE USATO  PER  GIUSTIFICARE IL NUCLEARE CHE UCCIDE VEDI RUSSIA E GIAPPONE.
  2. CON LA SCUSA DEL NUCLEARE SI PUO' FAR PAGARE 10 QUELLO CHE VALE 1
  3. MENTRE LA FRANCIA INVESTE PER SANARE LO SFASCIO DEL NUCLEARE L'ITALIA CI VUOLE ENTRARE ?
  4. GLI INCIDENTI NUCLEARI IN RUSSIA E GIAPPONE NON CI HANNO INSEGNATTO NULLA ? NE VOGLIAMO UNO ANCHE IN ITALIA ?

 

LA CHIMERA MANGIA-SOLDI DELLA FUSIONE NUCLEARE    FUSIONE NUCLEARE    QUANTE RINNOVABILI SI POSSONO FARE ? IL CNR SPENDE PIU' PER IL FINTO NUCLEARE CHE PER LA BANCA DEL SEME AGRICOLO.

IL FUTURO H2 CHE NON SI VUOLE VEDERE

E' ASSURDO CONTINUARE A PENSARE DI GESTIRE A COSTI BASSI ECONOMICAMENTE VANTAGGIOSI LA FUSIONE NUCLEARE QUANDO ESISTONO ENERGIE RINNOVABILI MOLTO più CONTROLLABILI ED EFFICIENTI A COSTI più BASSI, COME DIMOSTRA IL : https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_3131

 

   INFETT VIRUS  DIO UOMINI      IL DOPPIO SACRILEGIO DELLA BESTEMMIA     BESTEMMIA

   RICETTA LIEVITO MADRE LIEVITO MADRE

RICAMBIO POLITICO BLOCCATO BLOCCO   ROMA  MELONI    INTERNI

 

L'Ucraina in fiamme - Documentario di Igor Lopatonok Oliver Stone 2016 (sottotitoli italiano)

https://www.youtube.com/watch?v=2AKpsBF-bvo

"Abbiamo creato un archivio online per documentare i crimini di guerra della Russia". Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. "Le prove raccolte delle atrocità commesse dall'esercito russo in Ucraina garantiranno che questi criminali di guerra non sfuggano alla giustizia", aggiunge, con il link al sito in inglese

https://war.ukraine.ua/russia-war-crimes/

 

 

 

Cosa c’entra il climate change con l’incidente al ghiacciaio della Marmolada?

 

Temperature di 10°C a 3.300 metri di altezza da giorni, anomalie termiche pronunciate da maggio. Sono questi i fattori alla base del crollo del seracco che ha travolto due cordate di alpinisti domenica 3 luglio sotto Punta Penia

 

Ghiacciaio della Marmolada: il climate change fa almeno 6 morti
crediti: Local Team

Il ghiacciaio della Marmolada si sta ritirando di 6 metri l’anno

(Rinnovabili.it) – Almeno 10 morti, 9 feriti e un disperso. È il bilancio provvisorio dell’incidente che ha coinvolto il 3 luglio due cordate di alpinisti nella zona di Punta Rocca, proprio sotto il ghiacciaio della Marmolada. Una parte del ghiacciaio è collassata per le temperature elevate, scivolando rapidamente a valle in una enorme valanga di ghiaccio, pietre e acqua fusa.

La dinamica dell’incidente

Verso le 14 del 3 luglio ha ceduto un seracco del ghiacciaio della Marmolada, la vetta più alta delle Dolomiti, tra Punta Rocca e Punta Penia a oltre 3000 metri di quota. La scarica che si è creata è stata imponente, alta 60 metri con un fronte largo circa 200, e ha investito un tratto della via normale per la cima di Punta Penia precipitando a 300 km/h.

Il punto di distacco del seracco è ben visibile in alto a destra. Crediti: Local Team.

Ogni ghiacciaio ha dei seracchi, blocchi di ghiaccio che assomigliano a dei pinnacoli e si formano con il movimento del corpo glaciale. Scorrendo verso il basso, il ghiacciaio incontra delle variazioni nella pendenza della montagna. Queste deformano il ghiacciaio e provocano la formazione di crepacci, che a loro volta danno luogo a delle “torri” di ghiaccio, i seracchi. Queste formazioni, seppur normali, sono per loro natura instabili. Tendono a cadere a valle, ricompattandosi con il resto del corpo glaciale, ed è difficile prevedere quando esattamente un evento del genere si può verificare.

Il climate change sul ghiacciaio della Marmolada

Il distacco del seracco dal ghiacciaio della Marmolada, con ogni probabilità, è stato facilitato e reso più rovinoso dal cambiamento climatico. Negli ultimi giorni, anche sulle cime di quel settore delle Dolomiti il termometro è salito regolarmente a 10°C. Ma è da maggio che si registrano anomalie termiche molto pronunciate.

Anomalie che investono tutto l’arco alpino. Sulla cima del monte Sonnblick, in Austria, 100 km più a nord-est, uno degli osservatori con le serie storiche più lunghe e affidabili della regione alpina ieri segnalava il quasi completo scioglimento del manto nevoso. Un dato che illustra molto bene quanto l’estate del 2022 sia eccezionale: lì la neve non si era mai sciolta prima del 13 agosto (capitò nel 1963 e nel caldissimo 2003).

Che legame c’è tra il crollo del seracco e le temperature elevate? Secondo la società meteorologica alpino-adriatica, “il ghiacciaio si è destabilizzato alla base a causa della grande disponibilità di acqua di fusione dopo settimane di temperature estremamente elevate e superiori alla media”. Il caldo ha accelerato lo scioglimento del ghiacciaio: “la lubrificazione dell’acqua alla base (o negli interstrati) e l’aumento della pressione nei crepacci pieni d’acqua sono probabilmente le cause principali di questo evento catastrofico”.

Normalmente, il ghiaccio sciolto – acqua di fusione – penetra fra gli strati di ghiaccio o direttamente sul fondo del ghiacciaio, incuneandosi tra massa glaciale e rocce sottostanti, per sgorgare poi al fondo della lingua glaciale. Questo processo “lubrifica” il ghiacciaio, accelerandone lo scivolamento, ma può anche creare delle “sacche” piene d’acqua che non trova uno sfogo e preme sul resto del ghiacciaio.

Come tutti gli altri ghiacciai alpini, anche il ghiacciaio della Marmolada è in veloce ritirata a causa del riscaldamento globale. L’ultima campagna di rilevazioni, condotta dal Comitato Glaciologico Italiano e da Arpa Veneto lo scorso agosto, ha segnalato un ritiro di 6 metri in appena 1 anno, mentre la perdita complessiva di volume raggiunge il 90% in 100 anni.

Il cambiamento climatico corre più veloce sulle Alpi che nel resto del pianeta, facendo delle terre alte uno dei settori più vulnerabili. Un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi si traduce in un innalzamento, sulle montagne italiane, di 1,8 gradi (con un margine d’errore di ±0,72°C). Superare i 2 gradi a livello globale significa invece Alpi 2,51°C più calde (±0,73°C). Ma durante i mesi estivi, l’aumento di temperatura è ancora più pronunciato e può arrivare, rispettivamente, a 2,09°C ±1,24°C e a 2,81°C ±1,23°C.

 

 

https://www.rinnovabili.it/ambiente/impatti-ambientali-delle-guerre/

 

 

 

 

 

LA STRAGE DI USTICA

«Il 22 maggio 1988 il sommergibile Nautile esplora il Mar Tirreno alla ricerca del Dc9 Itavia. Alle 11,58 le telecamere inquadrano una forma particolare. Uno dei due operatori dell’Ifremer scandisce in francese la parola “misil”. Alle 13,53 s’intravede un’altra classica forma di missile. Le ricerche della società di Tolone vengono sospese tre giorni dopo. L’ingegner Jean Roux, dirigente della sezione recuperi dell’Ifremer, subisce uno stop inspiegabile dall’ingegner Massimo Blasi, capo della commissione dei periti del Tribunale di Roma» si legge ancora nell’articolo.

«I due missili non vengono raccolti neppure durante la seconda operazione di recupero affidata a una società inglese. Forse, perché la Stella di Davide è intoccabile? – si domanda Lannes – Trascorrono tre anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di visionare i nastri dell’operazione Ifremer. Secondo un primo tentativo di identificazione di tratta di un “Matra R 530 di fabbricazione francese” e di uno “Shafrir israeliano”. I dati tecnici parlano chiaro. Quel Matra è “lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri con ingombro alare di 110, pesa 110 chilogrammi: è munito di una testata a frammentazione e può colpire il bersaglio a 3 km di distanza con la guida a raggi infrarossi e a 15 km con la guida radar semiattiva”. L’altro missile è “lungo 2,5 metri, 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa 93 kg e ha una gittata di 5 km”. Entrambi i missili erano in dotazione ai caccia di Israele, in particolare: Mirage III, Kfir, F4, A4, F15, F16. Uno di quei missili è stato lanciato contro il Dc9».

Lannes ha aggiunto particolari agghiaccianti. «Qualche anno fa – accompagnato alla Procura della Repubblica di Roma da due poliziotti della scorta della Polizia di Stato – ho riferito, o meglio verbalizzato ai magistrati Amelio e Monteleone quanto avevo scoperto indagando per dieci anni sulla strage di Ustica. Ed ho indicato loro alcuni testimoni (ex militari) mai interrogati dall’autorità giudiziaria. Uno di essi (un ex ufficiale della Marina Militare) ha dichiarato che il 27 giugno 1980 era in corso un’imponente esercitazione aeronavale della NATO nel Mar Tirreno. E che l’unità su cui era imbarcato, la Vittorio Veneto non ha prestato alcun soccorso, pur essendo vicina al luogo di impatto del velivolo civile, ma ricevette l’ordine di far rientro a La Spezia. Due di questi ex militari, già appartenenti all’Aeronautica Militare sono stati minacciati, ed uno di essi ha subito addirittura un trattamento sanitario obbligatorio messo in atto dall’Arma Azzurra».

 

 

IL VERO OBBIETTIVO DELLA MAFIA ESSERE LEGITTIMATA A TRATTARE ALLA PARI CON LO STATO.

QUESTO LA HA FATTO LO GIURISPRUDENZA DELLA TRATTATIVA STATO MAFIA  CHE HA LEGITTIMATO DI FATTO LA MAFIA A TRATTARE ALLA PARI CON LO STATO.

LA RESPONSABILITA' DEI SERVIZI SEGRETI NELLA MORTE DI FALCONE E BORSELLINO , E PALESE.

I SERVIZI SEGRETI DIPENDONO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO


Dichiarazione di Giuliano AMATO

«Stragi del '92 con matrice oscura. Giusto l'intervento di Pisanu» - INTERVISTA

(02 luglio 2010) - fonte: Corriere della Sera - Giovanni Bianconi - inserita il 02 luglio 2010 da 31

«Certo che il nostro è uno strano Paese», esordisce Giuliano Amato, presidente del Consiglio nel 1992 insanguinato dalle stragi di mafia, e dunque testimone diretto di quella drammatica stagione rievocata nella relazione del presidente della commissione parlamentare antimafia Giuseppe Pisanu.

Perché, presidente?

«Perché quando un personaggio di primissimo rango come Giulio Andreotti esce indenne da un lungo processo si dice che questo capita se si confonde la responsabilità penale con quella politica, mentre quando un presidente dell`Antimafia come Pisanu si sforza di cercare responsabilità politiche laddove non ne sono state individuate di penali gli si risponde che bisogna lasciar lavorare i giudici. Ma allora che bisogna fare?».

Secondo lei?

«Secondo me il lavoro di Pisanu è legittimo e prezioso, perché può aiutare la politica a cercare delle chiavi di lettura che non possono sempre venire dalla magistratura. E a trovare finalmente il giusto modo di affrontare la questione mafiosa. Provando a capire che cosa è accaduto in passato si può affrontare meglio anche il presente».

Il passato, in questo caso, sono le stragi del 1992 e 1993. Lei divenne capo del governo dopo la morte di Giovanni Falcone e prima di quella di Borsellino. Ha avuto la sensazione di «qualcosa di simile a una trattativa», come dice Pisanu?

«Sinceramente no. L`ho detto anche ai procuratori di Caltanissetta quando mi hanno interrogato.
Io in quelle settimane ero molto impegnato ad affrontare l`emergenza economico-finanziaria, dovevamo fare una manovra da 30.000 miliardi di lire per il`92 e impostare quella del `93. La strage di via D`Amelio ci colse nel pieno dei vertici economici internazionali.
Ricordo però che dopo quel drammatico avvenimento ebbi quasi un ordine da Martelli, quello di far approvare subito il decreto-legge sul carcere duro per i mafiosi varato dopo l`eccidio di Capaci. Andai di sera dal presidente del Senato Spadolini, ed ottenni una calendarizzazione ad horas del provvedimento».

Dei contatti tra alcuni ufficiali del Ros dei carabinieri e l`ex sindaco mafioso di Palermo Ciancimino lei sapeva qualcosa, all`epoca?

«No, però voglio dire una cosa. Che ci sia stato un certo lavorio di qualche apparato a livello inferiore è possibile, ma pensare che dei contatti poco chiari potessero avere una sponda in Nicola Mancino che era stato appena nominato ministro dell`Interno è un ipotesi che considero offensiva, in primo luogo per lo stesso Mancino. Sulle ragioni della sua nomina è Arnaldo Forlani che può fare chiarezza».

Perché?

«Perché la Dc di cui allora era segretario decise, o fu spinta a decidere, che bisognava tagliare Gava dal governo. Ma a Gava bisognava comunque trovare una via d`uscita onorevole, individuata nella presidenza del gruppo al Senato che era di Mancino».

L`ex presidente del Consiglio Ciampi ha ripetuto che dopo le stragi del '93 lui, da Palazzo Chigi, ebbe timore di un colpo di Stato. Lei pensò qualcosa di simile, nello stesso posto, dopo le bombe del '92?

«No, ma del resto non ebbi timori di quel genere nemmeno dopo le stragi degli anni Settanta. All`indomani di via D`Amelio non ebbi allarmi particolari dal ministro dell`Interno, né dal capo della polizia Parisi o da quelli dei servizi segreti. Parisi lo trovai ai funerali di Borsellino, dove io e il presidente Scalfaro subimmo quasi un`aggressione e avemmo difficoltà ad entrare in chiesa.
Ma attribuimmo l`episodio alla rabbia contro lo Stato che non era riuscito ad evitare quella morte. Il problema che ancora oggi resta insoluto è la vera matrice di quelle stragi».

Che intende dire?

«Che per la mafia furono un pessimo affare. Non solo quella di via D`Amelio, dopo la quale Martelli applicò immediatamente il regime di carcere duro a centinaia di boss, ma anche quella di Capaci. Certo, Falcone era un nemico, ma in quel momento un`impresa economico-criminale come Cosa Nostra avrebbe avuto tutto l`interesse a stare lontana dai riflettori, anziché accenderli con quella manifestazione di violenza. Quali interessi vitali dell`organizzazione mafiosa stava mettendo in pericolo, Falcone?
La spiegazione che volevano eliminare un magistrato integerrimo, come lui o come Borsellino, è troppo semplice. In ogni caso potevano ucciderlo con modalità meno eclatanti, come hanno fatto in altre occasioni. Invece vollero colpire lui e insieme lo Stato, imponendo una devastante dimostrazione di potere».

Chi può esserci allora, oltre a Cosa nostra, dietro gli attentati che per la mafia furono controproducenti?

«Purtroppo non lo sappiamo, ma è questa la domanda-chiave a cui dovremmo trovare la risposta. Perché vede, per le stragi degli anni Settanta si sono trovate molte spiegazioni; compresa quella che sosteneva il prefetto Parisi, il quale immaginava un ruolo dei servizi segreti israeliani per punire la politica estera italiana sul versante palestinese. E per le stragi del 1993 io trovo abbastanza convincente la tesi di una ritorsione per il carcere duro affibbiato a tanti boss e soprattutto al loro capo, Riina, arrestato all`inizio dell`anno. Per quelle del`92, invece, non riesco a immaginare motivazioni mafiose sufficienti a superare le ripercussioni negative. E questo conferma l`ipotesi di qualche condizionamento esterno rispetto ai vertici di Cosa nostra.
Perciò ha ragione Pisanu a interrogarsi e chiedere di fare luce».

Anche laddove i magistrati non riescono ad arrivare?

«Ma certo. Noi siamo arrivati al limite del giuridicamente accettabile con il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che io condivido ma che faccio fatica a spiegare all`estero.
Al di là di quel reato, però, non ci sono solo i boy scout; possono esistere rapporti pericolosi, magari meno diretti o meno importanti, ma pur sempre rapporti. E di questi dovrebbe occuparsi la politica, prima dei magistrati».

Infatti Andreotti e Cossiga, agli ordini  di Henry Kissinger,  se ne interessarono con Delle Chiaie che rappresentava un estremismo di destra che teneva rapporti con la mafia di Rejna , secondo Lo Cicero.

 

 

 

CARO PIERO ANGELA UOMO DI STATO

CARO

 

 

ESPERIENZA STORICA DELL'ARROGANZA DELLA FIAT

https://www.rainews.it/tgr/piemonte/video/2022/07/watchfolder-tgr-piemonte-web-de-ponte-auto-elettrica-vl-tg1tgp2mxf-5f9b9ee5-2a7f-4d92-81c5-52a913e172bc.html

 

 

Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks

 

 FATTI NO BLA BLA BLA  DELLA STAMPA PER CONDIZIONARE LA VITA DELLE PERSONE CHE NON PENSANO PRIMA DI AGIRE

LE NON RISPOSTE DI DRAGHI E CINGOLANI DOCUMENTATE DA REPORT

DRAGHI NO RISP

QUALE E' LA VERITA' SUI MANDANTI DELLA MORTE DI FALCONE E BORSELLINO ?

Era il 23 maggio del 1992 quando Giovanni Falcone guidava la Fiat Croma della sua scorta che lo accompagnava dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo.

Assieme a lui c’erano la moglie Francesca Morvillo, e l’autista Giuseppe Costanza che quel giorno sedeva dietro.

Nel corteo delle auto che accompagnano il magistrato palermitano c’erano anche altre due auto, la Fiat Croma marrone sulla quale viaggiavano gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, e la Fiat Croma azzurra sulla quale erano presenti gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo.

Alle 17:57 circa, secondo la ricostruzione della versione ufficiale, viene azionato da Giovanni Brusca il telecomando della bomba posta sotto il viadotto autostradale nel quale passava il giudice Falcone.

La prima auto, quella degli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo viene sbalzata in un campo di ulivi che si trovava vicino alla carreggiata. Muoiono tutti sul colpo.

L’auto di Falcone e di sua moglie Francesca viene investita da una pioggia di detriti e l’impatto tremendo scaglia entrambi contro il parabrezza della macchina.

In quel momento sono ancora vivi, ma le ferite riportate sono molto gravi ed entrambi moriranno nelle ore successive all’ospedale.

L’autista Giuseppe Costanza sopravvive miracolosamente alla strage ed è ancora oggi vivo.

Mai in Italia la mafia era riuscita ad eseguire una operazione così clamorosa e così ben congegnata tale da far pensare ad un coinvolgimento di apparati terroristici e militari che andavano ben oltre le capacità di Cosa Nostra.

Capaci è una strage unica probabilmente anche a livello internazionale. Fu fatta saltare un’autostrada con 200 kg di esplosivo da cava. Appare impossibile pensare che furono soltanto uomini come Giovanni Brusca o piuttosto Totò Riina soprannominato Totò U Curtu potessero realizzare qualcosa del genere.

Impossibile anche che nessuno si sia accorto di come nei giorni precedenti sia stata portata una quantità considerevole di esplosivo sotto l’autostrada senza che nessuno notasse nulla.

È alquanto probabile che gli attentatori abbiano utilizzato dei mezzi pesanti per trasportare il tritolo e il T4 utilizzati per preparare l’ordigno.

Il via vai di mezzi deve essere stato frequente ed è difficile pensare che questo passaggio non sia stato notato da nessuno nelle aree circostanti.

Così come è impossibile che gli attentatori sapessero l’ora esatta in cui Falcone sarebbe sbarcato a Palermo senza avere una qualche fonte dall’interno che li informasse dei movimenti e degli spostamenti del magistrato.

Capaci per tutte le sue caratteristiche quindi è un evento che appare del tutto inattuabile senza il coinvolgimento di elementi infedeli presenti nelle istituzioni che diedero agli attentatori le informazioni necessarie per eseguire la strage.

Senza i primi, è impossibile sapere chi sono i veri mandanti occulti dell’eccidio che è costato la vita a 5 persone e che sconvolse l’Italia.

E per poter comprendere quali siano questi mandanti occulti è necessario guardare a cosa stava lavorando Falcone nelle sue ultime settimane di vita.

Senza posare lo sguardo su questo intervallo temporale, non possiamo comprendere nulla di quello che accadde in quei tragici giorni.

La stampa nostrana sono trent’anni che ci offre una ricostruzione edulcorata e distorta della strage di Capaci.

Ci vengono mostrate a ripetizione le immagini di Giovanni Brusca. Ci è stato detto tutto sulla teoria strampalata che vedrebbe Silvio Berlusconi tra i mandanti occulti dell’attentato, teoria che pare aver trovato una certa fortuna tra gli allievi liberali montanelliani, quali Peter Gomez e Marco Travaglio.

Non ci viene detto nulla però su ciò che stava facendo davvero Giovanni Falcone prima di morire.

L’indagine di Falcone sui fondi neri del PCI

All’epoca dei fatti, Falcone era direttore generale degli affari penali, incarico che aveva ricevuto dall’allora ministro della Giustizia, Claudio Martelli.

Nei mesi prima di Capaci, Falcone riceve una vera e propria richiesta di aiuto da parte di Francesco Cossiga, presidente della Repubblica.

Cossiga chiede a Falcone di fare luce sulla marea di fondi neri che erano piovuti da Mosca dal dopoguerra in poi nelle casse dell’ex partito comunista italiano.

Si parla di somme da capogiro pari a 989 miliardi di lire che sono transitati dalle casse del PCUS, il partito comunista dell’Unione Sovietica, a quelle del PCI.

La politica del PCUS era quella di finanziare e coordinare le attività dei partiti comunisti fratelli per diffondere ed espandere ovunque l’influenza del pensiero marxista e leninista e dell’URSS che si dichiarava custode di quella ideologia.

Questa storia è raccontata dettagliatamente in un avvincente libro intitolato "Il viaggio di Falcone a Mosca" firmato da Francesco Bigazzi e da Valentin Stepankov, il procuratore russo che stava collaborando con Falcone prima di essere ucciso.

Il sistema di finanziamento del PCUS era piuttosto complesso e spesso si rischia di perdersi in un fitto dedalo di passaggi e sottopassaggi nei quali è spesso difficile comprendere dove siano finiti effettivamente i fondi.

I finanziamenti erano erogati dal partito comunista sovietico agli altri suoi satelliti nel mondo e di questo c’è traccia nelle carte esaminate da Stepankov.

Ricevevano fondi il partito comunista francese e persino il partito comunista americano rappresentato da Gus Hall che a Mosca assicurava tutto il suo impegno contro l’imperialismo americano portato avanti da Ronald Reagan.

Il partito comunista italiano era però quello che riceveva la quantità di fondi più ingenti perché questo era il partito comunista più forte d’Occidente ed era necessario nell’ottica di Mosca assicurargli un costante sostegno per tenera aperta la possibilità di spostare l’Italia dall’orbita del patto Atlantico a quella del patto di Varsavia.

Una eventualità che se fosse mai avvenuta avrebbe provocato non solo la probabile fine della stessa NATO ma anche un probabile conflitto tra Washington e Mosca che si contendevano un Paese fondamentale, allora come oggi, per gli equilibri dell’Europa e del mondo.

Ed è in questa ottica che va vista la strategia della tensione ispirata e attuata da ambienti atlantici per impedire che Roma si avvicinasse troppo a Mosca.

Nell’ottica di questa strategia era necessario colpire la popolazione civile attraverso gruppi terroristici, ad esempio le Brigate Rosse, infiltrati da ambienti dell’intelligence americana per eseguire azioni clamorose, su tutte il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.

Il sangue versato dall’Italia nel dopoguerra per volontà del cosiddetto stato profondo di Washington è stato versato per impedire all’Italia di intraprendere un cammino politico che avrebbe potuto allontanarla troppo dalla sfera di dominio Euro-Atlantica non tanto per approdare in quella sovietica, ma piuttosto, secondo la visione di Moro, nel campo dei Paesi non allineati né con un blocco né con l’altro.

Nel 1992 questo mondo era già crollato e non esisteva più la cosiddetta minaccia sovietica. A Mosca regnava il caos. Una epoca era finita e l’URSS era crollata non per via della sua struttura elefantiaca, come pretende di far credere una certa vulgata atlantista, ma semplicemente perché si era deciso di demolirla dall’interno.

La perestrojka, termine russo che sta per ristrutturazione, di cui l’ex segretario del PCUS, Gorbachev, fu un convinto sostenitore fu ciò che preparò il terreno alla caduta del blocco sovietico.

Gorbachev era ed è un personaggio molto vicino agli ambienti del globalismo che contano e fu uno dei primi sovietici ad essere elogiato e sostenuto dal gruppo Bilderberg che nel 1987 guarda con vivo interesse e ammirazione alla sua apertura al mondo Occidentale.

Al Bilderberg c’è il gotha della società mondiale in ogni sua derivazione politica, economica, finanziaria e ovviamente mediatica senza la quale sarebbe stato impossibile perseguire i piani di questa struttura paragovernativa internazionale.

Uno dei membri di spicco di questo club, David Rockefeller, ringraziò calorosamente alcuni anni dopo gli esponenti della stampa mondiale, soprattutto quella anglosassone, per aver taciuto le attività di questa società segreta che senza il silenzio dei media non sarebbe mai riuscita a portare avanti indisturbata i suoi piani.

Nella visione di questi ambienti, l’URSS, di cui, sia chiaro, non si ha nostalgia, era comunque diventata ingombrante e doveva essere rimossa.

Il segretario del partito comunista, Gorbachev, attraverso le sue “riforme” ebbe un ruolo del tutto fondamentale nell’ambito del raggiungimento di questo obbiettivo.

I signori del Bilderberg avevano deciso che gli anni 90 avrebbero dovuto essere gli anni della globalizzazione e della concentrazione di un potere mai visto nelle mani della NATO che per poter avvenire doveva passare dall’eliminazione del blocco opposto, quello dell’Unione Sovietica.

Il crollo dell’URSS ebbe un impatto devastante sulla società post-sovietica russa. Moltissimi dirigenti, 1746, si tolsero la vita. Un numero di morti per suicidio che non trova probabilmente emuli nella storia politica recente di nessun Paese.

Alcuni suicidi furono piuttosto anomali e si pensò che alcuni influenti notabili di Mosca in realtà siano stati suicidati per non far trapelare le verità scomode che sapevano riguardano ai finanziamenti del partito.

A Mosca era iniziato il grande saccheggio e le svendite di tutto quello che era il patrimonio pubblico dello Stato.

L’URSS era uscita dall’era della proprietà collettivizzata per entrare in quella del neoliberismo più feroce e selvaggio così come avvenne per gli altri Paesi dell’Europa Orientale che furono messi all’asta e comprati da corporation angloamericane.

Il procuratore russo Stepankov voleva far luce sulla enorme quantità di soldi che era uscita dalle casse del partito. Voleva capire dove fosse finito tutto questo denaro e come esso fosse stato speso.

Per fare questo, chiese assistenza all’Italia e il presidente Cossiga girò questa richiesta di aiuto all’allora direttore generale degli affari penali, Giovanni Falcone.

Falcone accettò con entusiasmo e ricevette a Roma nel suo ufficio il procuratore Stepankov per avviare quella collaborazione, inedita dal secondo dopoguerra in poi, tra l’Italia e la neonata federazione russa.

Al loro primo incontro, Falcone e Stepankov si piacciono subito. Entrambi si riconoscono una integrità e una determinazione indispensabili per degli inquirenti determinati a comprendere cosa fosse accaduto con quella enorme quantità di denaro che aveva lasciato Mosca per finire in Italia.

I fondi venivano stanziati in dollari e poi convertiti in lire ma per poter completare questo passaggio era necessaria l’assistenza di un’altra parte, che Falcone riteneva essere la mafia che in questo caso avrebbe agito in stretto contatto con l’ex PCI.

I legami tra PCI e mafia non sono stati nemmeno sfiorati dai media mainstream italiani. La sinistra progressista si è attribuita una sorta di primato morale nella lotta alla mafia quando questa storia e questa indagine rivelano invece una sua profonda contiguità con il fenomeno mafioso.

L’indagine di Falcone rischiava di mandare a monte il piano di Mani Pulite

Giovanni Falcone era determinato a fare luce su questi legami, ma non fece in tempo. Una volta iniziata la sua collaborazione con Stepankov la sua vita fu stroncata brutalmente nella strage di Capaci.

Era in programma un viaggio del magistrato nei primi giorni di giugno a Mosca per continuare la collaborazione con Stepankov.

Il giudice si stava avvicinando ad una verità scabrosa che avrebbe potuto travolgere l’allora PDS che aveva abbandonato la falce e martello del partito comunista due anni prima nella svolta della Bolognina inaugurata da Achille Occhetto.

Il PCI si stava tramutando in una versione del partito democratico liberal progressista molto simile a quella del partito democratico americano.

Il processo di conversione era già iniziato anni prima quando a Washington iniziò a recarsi sempre più spesso Giorgio Napolitano che divenne un interlocutore privilegiato degli ambienti che contano negli Stati Uniti, soprattutto quelli sionisti e atlantisti.

A Washington avevano già deciso probabilmente in quegli anni che doveva essere il nuovo partito post-comunista a trascinare l’Italia nel girone infernale della globalizzazione.

Il 1992 fu molto di più che l’anno della caccia alle streghe giudiziaria. Il 1992 fu una operazione internazionale decisa nei circoli del potere anglo-sionista che aveva deciso di liberarsi di una classe politica che, seppur con tutti i suoi limiti, aveva saputo in diverse occasioni contenere l’atlantismo esasperato e aveva saputo esercitare la sua sovranità come accaduto a Sigonella nel 1984 e come accaduto anche con l’omicidio di Aldo Moro, che pagò con la vita la decisione di voler rendere indipendente l’Italia dall’influenza di questi centri di potere transnazionali.

Il copione era quindi già scritto. Il pool di Mani Pulite agì come un cecchino. Tutti i partiti vennero travolti dalle inchieste giudiziarie e tutti finirono sotto la gogna mediatica della pioggia di avvisi di garanzia che in quel clima da linciaggio popolare equivalevano ad una condanna anticipata.

Il PSI di Craxi fu distrutto così come la DC di Andreotti. Tutti vennero colpiti ma le inchieste lasciarono, “casualmente”, intatto il PDS.

Eppure era abbastanza nota la corruzione delle cosiddette cooperative rosse, così come era nota la corruttela che c’era nel partito comunista italiano che riceveva fondi da una potenza straniera, allora nemica, e poi li riciclava attraverso la probabile assistenza di organizzazioni mafiose.

Questa era l’ipotesi investigativa alla quale stava lavorando Giovanni Falcone e questa era la stessa ipotesi che subito dopo raccolse Paolo Borsellino, suo fraterno amico e magistrato ucciso soltanto 55 giorni dopo a via d’Amelio.

Mai la mafia era giunta a tanto, e non era giunta a tanto perché non era nelle sue possibilità. C’è un unico filo rosso che lega queste due stragi e questo filo rosso porta fuori dai confini nazionali.

Porta direttamente in quei centri di potere che avevano deciso che tutta la ricchezza dell’industria pubblica italiana fosse smantellata per essere portata in dote alla finanza anglosionista.

Questi stessi centri di potere globali avevano deciso anche che dovesse essere il nuovo PDS a proseguire lo smantellamento dell’economia italiana attraverso la sua adesione alla moneta unica.

E fu effettivamente così, salvo la parentesi berlusconiana del 94. Il PDS portò l’Italia sul patibolo dell’euro e di Maastricht e privò della sovranità monetaria il Paese agganciandola alla palla al piede della moneta unica, arma della finanza internazionale.

E fu il turbare di questi equilibri che portò alla prematura morte dei magistrati Falcone e Borsellino. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avevano messo le mani sui fili dell’alta tensione. Quelli di un potere così forte che fa impallidire la mafia.

I due brillanti giudici sapevano che il fenomeno mafioso non poteva essere compreso se non si guardava al piano superiore, che era quello costituito dalla massoneria e dal potere finanziario.

Cosa Nostra e le altre organizzazioni sono solamente della manovalanza di un potere senza volto molto più potente.

È questa la verità che non viene raccontata agli italiani che ogni anno quando si celebrano queste stragi vengono sommersi da un fiume di retorica o da una scadente cinematografia di regime che mai sfiora la verità su quanto accaduto in quegli anni e mai sfiora il vero potere che eseguì il colpo di Stato del 1992 e che insanguinò l’Italia nello stesso anno.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due figure che vanno ricordate non solo per il loro eroismo, ma per la loro ferma volontà e determinazione nel fare il loro mestiere, anche se questo voleva dire pagare con la propria vita.

Lo fecero fino in fondo sapendo di sfidare un potere enormemente più forte di loro. Sapevano che in gioco c’erano equilibri internazionali e destini decisi da uomini seduti nei consigli di amministrazione di banche e corporation che erano i veri registi della mafia.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vanno ricordati perché sono due eroi italiani che si sono opposti a ciò che il Nuovo Ordine Mondiale aveva deciso per l’Italia e pur di farlo non hanno esitato a sacrificare la loro vita.

Oggi, trent’anni dopo, sembra che stiano per chiudersi i conti con quanto accaduto nel 1992 e l’Italia sembra più vicina all’avvio di una nuova fase della sua storia, una nella quale potrebbe esserci la seria possibilità di avere una sovranità e una indipendenza come non la si è avuta dal 1945 in poi.

 

 

 

Autovelox mobili: la multa non è valida se non sono segnalati
multe autovelox

La Cassazione ha confermato che anche gli autovelox posti sulle pattuglie delle varie forze dell’ordine devono essere adeguatamente segnalati.
Autovelox mobili: la multa non è valida se non sono segnalati

AUTOVELOX MOBILI - Subire una multa per eccesso di velocità non è certamente piacevole, soprattutto perché questo comporta la necessità di dover mettere mano al portafoglio per una spesa imprevista. Ci sono però delle situazioni in cui la sanzione può essere ritenuta non valida e quindi annullata, come indicata da una recente sentenza emessa dalla Corte di Cassazione. Che ha così chiarito i dubbi su cosa può accadere nel caso in cui l’autovelox presente in un tratto di strada non sia opportunamente segnalato: l’obbligo è valido anche per gli autovelox mobili montati sulle auto della polizia.

UNA LUNGA TRAFILA LEGALE - La vicenda trae origine da un’automobilista di Feltre (Belluno) aveva subito sei anni fa una multa per eccesso di velocità dopo essere stato sorpreso a 85 km/h in un tratto di strada in cui il limite era invece di 70 m/h. Una pattuglia della polizia presente sul posto dotata di autovelox Scout Speed aveva provveduto a sanzionarlo. L’uomo era però convinto di avere subito un’ingiustizia e aveva così deciso di fare ricorso. Alla fine, nonostante la trafila sia stata particolarmente lunga, è stato proprio il conducente a vincere fino ad arrivare alla sentenza della Cassazione emessa pochi giorni fa.

LA SENTENZA - Nella quale si legge: "In attuazione del generale obbligo di preventiva e ben visibile segnalazione, contempla la possibilità di installare sulle autovetture dotate del dispositivo Scout Speed messaggi luminosi contenenti l'iscrizione “controllo velocità” o “rilevamento della velocità”, visibili sia frontalmente che da tergo. Molteplici possibilità di impiego e segnalazione sono correlate alle caratteristiche della postazione, fissa o mobile, sicché non può dedursi alcuna interferenza negativa che possa giustificare, avuto riguardo alle caratteristiche tecniche della strumentazione impiegata nella postazione di controllo mobile, l'esonero dall'obbligo della preventiva segnalazione".

 

  

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per non fare diventare l'ITALIA un'hotspot europeo dell'immigrazione in quanto bisogna resistere come italiani nel nostro paese dando agli immigrati un messaggio forte e chiaro : ogni paese puo' svilupparsi basta impegnarsi per farlo con le risorse disponibili e l'intelligenza , che significa adattamento nel superare le difficolta'.

Inventarsi un lavoro invece che fare l'elemosina.

Quanti miracoli ha fatto Maometto rispetto a Gesu' ?

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1) esame d'italiano e storia italiana per gli immigrati

2) lavori socialmente utili

3) pulizia e cucina autonoma

3 gennaio 1917, Suor Lucia nel Terzo segreto di Fatima: Il sangue dei martiri cristiani non smetterà mai di sgorgare per irrigare la terra e far germogliare il seme del Vangelo.  Scrive suor Lucia: “Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “Qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio”. interpretazione del Terzo segreto di Fatima era già stata offerta dalla stessa Suor Lucia in una lettera a Papa Wojtyla del 12 maggio 1982. In essa dice:  «La terza parte del segreto si riferisce alle parole di Nostra Signora: “Se no [si ascolteranno le mie richieste la Russia] spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte” (13-VII-1917). La terza parte del segreto è una rivelazione simbolica, che si riferisce a questa parte del Messaggio, condizionato dal fatto se accettiamo o no ciò che il Messaggio stesso ci chiede: “Se accetteranno le mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, etc.”. Dal momento che non abbiamo tenuto conto di questo appello del Messaggio, verifichiamo che esso si è compiuto, la Russia ha invaso il mondo con i suoi errori. E se non constatiamo ancora la consumazione completa del finale di questa profezia, vediamo che vi siamo incamminati a poco a poco a larghi passi. Se non rinunciamo al cammino di peccato, di odio, di vendetta, di ingiustizia violando i diritti della persona umana, di immoralità e di violenza, etc. E non diciamo che è Dio che così ci castiga; al contrario sono gli uomini che da se stessi si preparano il castigo. Dio premurosamente ci avverte e chiama al buon cammino, rispettando la libertà che ci ha dato; perciò gli uomini sono responsabili».

Le storie degli immigrati occupanti che cercano di farsi mantenere insieme alle loro famiglie , non lavoro come gli immigrati italiani all'estero:

1)  Mi trovavo all'opedale per prenotare una visita delicata , mentre stato parlando con l'infermiera, una donna mi disse di sbrigarmi : era di colore.

2) Mi trovavo in C,vittorio ang V.CARLO ALBERTO a Torino, stavo dando dei soldi ad un bianco che suonava una fisarmonica accanto ai suoi pacchi, arriva un nero in bici e me li chiede

3) Ero su un bus turistico e' salito un nero ha spostato la roba che occupava i primi posti e si e' messo lui

4) Ero in un team di startup che doveva fare proposte a TIM usando strumenti della stessa la minoranza mussulmana ha imposto di prima vedere gli strumenti e poi fare le proposte: molto innovativo !

5) FINO A QUANDO I MUSSULMANI NON ACCETTANO LA PARITA' UOMO DONNA , ANCHE SE LO SCRIVE IL CORANO E' SBAGLIATO. E' INACCETTABILE QUESTO PRINCIPIO CHE CI PORTA INDIETRO.

6) perche' lITALIA deve accogliere tutti ? anche gli alberghi possono rifiutare clienti .

7) Immigrazione ed economia sono interconnesse in quanto spostano pil fuori dal paese.

8) Gli extracomunitari ti entrano in casa senza chiedere permesso. Non solo desiderano la roba d altri ma la prendono.
Forse il primo insegnamento sarebbe il rispetto della liberta' altrui.

 

09.01.19

Tutti i nulllafacenti immigrati Boeri dice che ne abbiamo bisogno : per cosa ? per mantenerli ?

04.02.17l

L'ISIS secondo me sta facendo delle prove di attentato con l'obiettivo del Vaticano con un attacco simultaneo da terra con la tecnica dei camion e dal cielo con aerei come a NY l'11.09.11.

Riforma sostenuta da una maggioranza trasversale: «Non razzismo, ma realismo» Case Atc agli immigrati La Regione Piemonte cambia le regole Gli attuali criteri per le assegnazioni penalizzano gli italiani .

Screening pagato dalla Regione e affidato alle Molinette Nel Centro di Settimo esami contro la Tbc “Controlli da marzo” Tra i profughi in arrivo aumentano i casi di scabbia In sei mesi sono state curate un migliaio di persone.

Il Piemonte è la quarta regione italiana per numero di richiedenti asilo. E gli arrivi sono destinati ad aumentare. L’assessora Cerutti: “Un sistema che da emergenza si sta trasformando in strutturale”. Coinvolgere maggiormente i Comuni.In Piemonte ci sono 14.080 migranti e il flusso non accenna ad arrestarsi: nel primo mese del 2017 sono già sbarcati in Italia 9.425 richiedenti asilo, in confronto ai 6030 dello scorso anno e ai 3.813 del 2015. Insomma, serve un piano. A illustrarlo è l’assessora all’Immigrazione della Regione Monica Cerutti, che spiega come la rete di accoglienza in questi anni sia radicalmente cambiata, trasformando il sistema «da emergenziale a strutturale».

La Regione punta su formazione e compensazioni mentre aumentano i riconoscimenti In Piemonte 14 mila migranti Solo 1200 nella rete dei Comuni A Una minoranza inserita in progetti di accoglienza gestiti dagli enti locali umentano i riconoscimenti delle commissioni prefettizie, meno rigide rispetto al passato prossimo: la tendenza si è invertita, le domande accolte sono il 60% rispetto al 40% dei rigetti. Non aumenta, invece, la disponibilità a progetti di accoglienza e di integrazione da parte dei Comuni. Stando ai dati aggiornati forniti dalla Regione, si rileva che rispetto ai 14 mila migranti oggi presenti in Piemonte quelli inseriti nel sistema Sprar - gestito direttamente dai Comuni - non superano i 1.200. Il resto lo troviamo nelle strutture temporanee sotto controllo dalle Prefetture. Per rendere l’idea, nella nostra regione i Comuni sono 1.2016. La trincea dei Comuni Un bilancio che impensierisce la Regione, alle prese con resistenze più o meno velate da parte degli enti locali: il termometro di un malumore, o semplicemente di indifferenza, che impone un lavoro capillare di convincimento. «Di accompagnamento, di compensazione e prima ancora di informazione contro la disinformazione e certe strumentalizzazioni politiche», - ha precisato l’assessora Monica Cerutti riepilogando le azioni previste nel piano per regionale per l’immigrazione. A stretto giro di posta è arrivata la risposta della Lega Nord nella persona del consigliere regionale Alessandro Benvenuto: «Non esistono paure da disinnescare ma necessità da soddisfare sia in termini di sicurezza e controllo del territorio, sia dal punto di vista degli investimenti. Il Piemonte ha di per sé ben poche risorse, che andrebbero utilizzate per creare lavoro e risolvere i problemi che attanagliano i piemontesi, prima di essere adoperate per far fare un salto di qualità all’accoglienza». Progetti di accoglienza Tre i progetti in campo: «Vesta» (ha come obiettivo il miglioramento dei servizi pubblici che si relazionano con i cittadini di Paesi terzi), “Petrarca” (si occupa di realizzare un piano regionale per la formazione civico linguistica), “Piemonte contro le discriminazioni” (percorsi di formazione e di inclusione volti a prevenire le discriminazioni). Inoltre la Regione ha attivato con il Viminale un progetto per favorire lo sviluppo delle economie locali sostenendo politiche pubbliche rivolte ai giovani ivoriani e senegalesi. Più riconoscimenti Come si premetteva, aumentano i riconoscimenti: 297 le domande accolte dalla Commissione di Torino nel periodo ottobre-dicembre 2016 (status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria); 210 i rigetti. In tutto i convocati erano mille: gli altri o attendono o non si sono presentati. I tempi della valutazione, invece, restano lunghi: un paio di anni, considerando anche i ricorsi. Sul fronte dell’assistenza sanitaria e della prevenzione, si pensa di replicare nel Centro di Castel D’Annone, in provincia di Asti, lo screening contro la tubercolosi che dal marzo sarà attivato al Centro Fenoglio di Settimo con il concorso di Regione, Croce Rossa e Centro di Radiologia Mobile delle Molinette.

INTANTO :«Non sono ipotizzabili anticipazioni di risorse» per l’asilo che Spina 3 attende dal 2009. La lunga attesa aveva fatto protestare molti residenti e c’era chi già stava perdendo le speranze. Ma in Circoscrizione 4, in risposta a un’interpellanza del consigliere della Lega Carlo Morando, il Comune ha messo nero su bianco che i fondi dei privati per permettere la costruzione dell’asilo non ci sono. Quella di via Verolengo resta una promessa non rispettata. Con la crisi immobiliare, la società Cinque Cerchi ha rinunciato a costruire una parte dei palazzi e gli oneri di urbanizzazione versati, spiegò mesi fa l’ex assessore Lorusso, erano andati per la costruzione del tunnel di corso Mortara. Ad ottobre c’è stata una nuova riunione. L’esito è stata la fumata nera da parte dei privati. «Sarà necessario che la progettazione e la realizzazione dell’opera vengano curate direttamente dalla Città di Torino», scrive il Comune nella sua risposta. Senza specificare come e dove verranno reperiti i fondi necessari, né quando si partirà.

 

Tunisia. Frattini: "Proporremo immigrazione circolare" - Il portale dell ...

www.stranieriinitalia.it/.../tunisia-frattini-qproporremo-immigrazione-circolareq.html

20 gen 2011 - L'immigrazione "circolare" è quella in cui i migranti, dopo un certo periodo di lavoro all'estero, tornano nei loro Paesi d'origine. Un sistema più ...

Tutto è iniziato quando è stato chiuso il bar. I 60 stranieri che erano a bordo del traghetto Tirrenia diretto a Napoli volevano continuare a bere. L’obiettivo era sbronzarsi e far scoppiare il caos sulla nave. Lo hanno fatto ugualmente, trasformando il viaggio in un incubo anche per gli altri 200 passeggeri. In mezzo al mare, nel cuore della notte, è successo di tutto: litigi, urla, botte, un tentativo di assalto al bancone chiuso, molestie ai danni di alcuni viaggiatori e persino un’incursione tra le cuccette. La situazione è tornata alla calma soltanto all’alba, poco prima dell’ormeggio, quando i protagonisti di questa interminabile notte brava hanno visto che sulle banchine del porto di Napoli erano già schierate le pattuglie della polizia. Nella nave Janas partita da Cagliari lunedì sera dalla Sardegna era stato imbarcato un gruppo di nordafricani che nei giorni scorsi aveva ricevuto il decreto di espulsione. Una trentina di persone, alle quali si sono aggiunti anche altri immigrati nordafricani. E così a bordo è scoppiato il caos. Il personale di bordo ha provato a riportare la calma ma la situazione è subito degenerata. Per ore la nave è stata in balia dei sessanta scatenati. All’arrivo a Napoli, il traghetto è stato bloccato dagli agenti della Questura di Napoli che per tutta la giornata sono rimasti a bordo per identificare gli stranieri che hanno scatenato il caos in mezzo al mare e per ricostruire bene l’episodio. «Il viaggio del gruppo è stato effettuato secondo le procedure previste dalla legge, implementate dalle autorità di sicurezza di Cagliari – si limita a spiegare la Tirrenia - La compagnia, come sempre in questi casi, ha destinato ai passeggeri stranieri un’area della nave, a garanzia della sicurezza dei passeggeri, non essendo il gruppo accompagnato  dalle forze di polizia. Contrariamente a quanto avvenuto in passato, il gruppo ha creato problemi a bordo per tensioni al suo interno che poi si sono ripercosse sui passeggeri». A bordo del traghetto gli agenti della questura di Napoli hanno lavorato per quasi 12 ore e hanno acquisito anche le telecamere della videosorveglianza della nave. Nel frattempo sono scoppiate le polemiche. «I protagonisti di questo caos non sono da scambiare con i profughi richiedenti asilo - commenta il segretario del Sap di Cagliari, Luca Agati - La verità è che con gli sbarchi dal Nord Africa, a cui stiamo assistendo anche in questi giorni, arrivano poco di buono, giovani convinti di poter fare cio’ che vogliono una volta ottenuto il foglio di espulsione, che di fatto è un lasciapassare che garantisce loro la libertà di delinquere in Italia. Cosa deve accadere per far comprendere che va trovata una soluzione definitiva alla questione delle espulsioni?»  In ostaggio per ore Per ore la nave è stata in balia dei sessanta scatenati, che hanno trasformato il viaggio in un incubo per gli altri 200 passeggeri  21.02.17

Istituto comprensivo Regio Parco La crisi spegne la musica in classe Le famiglie non pagano la retta da 10 euro al mese: a rischio il progetto lanciato da Abbado, mentre la Regione Piemonte finanzia un progetto per insegnare ai bambini italiani la lingua degli immigrati non viceversa.

 Qui Foggia Gli sfollati di una palazzina crollata nel 1999 vivono in container di appena 24 mq Qui Messina Nei rioni Fondo Fucile e Camaro San Paolo le baracche aumentano di anno in anno Donne e bambini Nei rioni nati dopo il sisma le case sono coperte da tetti precari, spesso di Eternit Qui Lamezia Terme Oltre 400 calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica a cielo aperto  Qui Brescia Nelle casette di San Polino le decine di famiglie abitano prefabbricati fatiscenti Da Brescia a Foggia, da Lamezia a Messina. Oltre 50 mila italiani vivono in abitazioni di fortuna. Tra amianto, topi e rassegnazione Caterina ha 64 anni e tenacia da vendere. Con gli occhi liquidi guarda il tetto di amianto sopra la sua testa: «Sono stata operata due volte di tumore, è colpa di questo maledetto Eternit». Indossa una vestaglia a righe bianche e blu. «Vivo qui da vent’anni. D’estate si soffoca, d’inverno si gela, piove in casa e l’umidità bagna i vestiti nei cassetti. Il dottore mi ha detto di andare via. Ma dove?». In fondo alla strada abita Concetta, che tra topi e lamiere trova la forza di sorridere: «A ogni campagna elettorale i politici ci promettono case popolari, ma una volta eletti si dimenticano di noi. Sono certa che morirò senza aver realizzato il mio sogno: un balcone dove stendere la biancheria». Antonio invece no, lui non ride. Digrigna i denti rimasti: «Gli altri li ho persi per colpa della rabbia. In due anni qui sono diventato brutto, mi vergogno». Slum, favela, bidonville: Paese che vai, emarginazione che trovi. Un essere umano su sei, nel mondo, vive in una baraccopoli. In Italia sono almeno 53 mila le persone che, secondo l’Istat, abitano nei cosiddetti «alloggi di altro tipo», diversi dalle case. Cantine, roulotte, automobili e soprattutto baracche. Le storie di questi cittadini invisibili (e italianissimi) sono raccontate nel documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani, prodotto da Parallelozero, in onda domenica sera alle 21,15 su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Le baraccopoli sono non luoghi popolati da un’umanità sconfitta e spesso rassegnata. Donne, uomini, bambini, anziani. Vittime della crisi economica o di circostanze avverse. Vivono in stamberghe all’interno di moderni ghetti al confine con quella parte di città degna di questo nome. Di là dal muro la civiltà. Da questo lato fango, calcinacci, muffa, immondizia, fogne a cielo aperto. A Messina le abitazioni di fortuna risalgono ad oltre un secolo fa, quando il terremoto del 1908 rase al suolo la città. Qui l’emergenza è diventata quotidianità. Fondo Fucile, Giostra, Camaro San Paolo. Eccoli i rioni del girone infernale dei diseredati. Legambiente ha censito più di 3 mila baracche e altrettante famiglie. I topi, invece, sono ben di più. A Lamezia Terme oltre 400 calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica. Tra loro c’è Cosimo, che vorrebbe andare via: «Non per me, ma per mio figlio, ha subìto un trapianto di fegato». A Foggia gli sfollati di una palazzina crollata nel 1999 vivono nei container di 24 mq. Andrea abita invece nelle casette di San Polino a Brescia, dove un prefabbricato fatiscente è diventato la sua dimora forzata: «Facevo l’autotrasportatore. Dopo due ictus ho perso patente e lavoro. I miei figli non sanno che abito qui. Non mi è rimasto nulla, nemmeno la dignità». Sognando un balcone «Il mio sogno? È un balcone dove stendere la biancheria», dice la signora Caterina nIl documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani, prodotto da Parallelozero, andrà in onda domani sera alle 21.15 su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Su Sky Atlantic Il documentario 3 domande a Sergio Ramazzotti registra e fotografo “Così ho immortalato la vita dentro quelle catapecchie” Chi sono gli abitanti delle baraccopoli? «Sono cittadini italiani, spesso finiti lì per caso. Magari dopo aver perso il lavoro o aver divorziato». Quali sono i tratti comuni? «Chi finisce in una baracca attraversa fasi simili a quelle dei malati di cancro. Prima lo stupore, poi la rabbia, il tentativo di scendere a patti con la realtà, la depressione, infine la rassegnazione». Cosa ci insegnano queste persone? «È destabilizzante raccontare donne e uomini caduti in disgrazia con tanta rapidità. Sono individui come noi. La verità è che può succedere a chiunque». Baraccopolid’Italia

01.03.17

GLI ITALIANI AIUTANO più FACILMENTE GLI EXTRACOMUNITARI RISPETTO AGLI ITALIANI.

 

 

 

SE VUOI SCRIVERTI UN BREVETTO CONSULTA dm.13.01.10 n33

13/01/2010 - Decreto ministeriale del 13 gennaio 2010, n. 33 - Uibm

 

 

 

CORRISPONDENZA sulla Xylella fastidiosa con la UE luglio 2018

XYLELLA\18-07-31-ARES 4037967.pdf

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Mutui, la prova della truffa Via a rimborsi per 16 miliardi

Dopo tre anni ecco la sentenza Ue sull'Euribor truccato da banche estere. Ma si può far causa pure alle italiane

Giuseppe Marino - Sab, 19/11/2016 - 15:52

La Commissione europea, tre anni dopo aver condannato quattro tra le più grandi banche europee per aver truccato il tasso di interesse che incide sui mutui di milioni di cittadini europei, ha finalmente tolto il segreto al testo della sentenza. E quel documento di trenta pagine potrebbe valere, solo per gli italiani che hanno un mutuo sulle spalle, ben 16 miliardi di euro di rimborsi da chiedere alle banche.

La storia parte con la scoperta di un'intesa restrittiva della concorrenza, ovvero un cartello, tra le principali banche europee. Lo scopo, secondo l'Antitrust europeo, era di manipolare a proprio vantaggio il corso dell'Euribor, il tasso di interesse che funge da riferimento per un mercato di prodotti finanziari che vale 400mila miliardi di euro. Tra questi ci sono i mutui di 2,5 milioni di italiani, per un controvalore complessivo stimabile in oltre 200 miliardi. L'Euribor viene calcolato giorno per giorno con un sondaggio telefonico tra 44 grandi banche europee, che comunicano che tasso di interesse applicano in quel momento per i prestiti tra banche. Il risultato del sondaggio viene comunicato all'agenzia Thomson Reuters che poi comunica il valore dell'Euribor agli operatori e al pubblico. L'Antitrust ha scoperto che alcune grandi banche, tra il 2005 e il 2008, si erano messe d'accordo per falsare i valori comunicati e manipolare il valore del tasso secondo la propria convenienza. «Alcune volte, -recita la sentenza che il Giornale ha potuto visionare- certi trader (omissis...) comunicavano e/o ricevevano preferenze per un settaggio a valore costante, basso o alto di certi valori Euribor. Queste preferenze andavano a dipendere dalle proprie posizioni commerciali ed esposizioni»

Il risultato ovviamente si è riflettuto sui mutui degli ignari cittadini di tutta Europa, che però finora avevano le unghie spuntate. Un avvocato di Sassari, Andrea Sorgentone, legato all'associazione Sos Utenti, ha subissato la Commissione di ricorsi per farsi consegnare il testo della sentenza dell'Antitrust che condanna Deutsche Bank, Société Genéralé, Rbs e Barclay's a pagare in totale una multa di oltre un miliardo di euro.

La Ue ha sempre rifiutato adducendo problemi di riservatezza delle banche, ma alla fine l'avvocato ha ottenuto una copia della sentenza, seppur in parte «censurata». E ora il conto potrebbe salire. E non solo per quelle direttamente coinvolte, perché il tasso alterato veniva applicato ai mutui variabili da tutte le banche, anche le italiane, che ora potrebbero dover pagare il conto dei trucchi di tedesche, francesi e inglesi. Sorgentone si dice convinto di poter ottenere i risarcimenti: «Secondo le stime più attendibili -dice- i mutuatari italiani hanno pagato interessi per 30 miliardi, di cui 16 indebitamente. La sentenza europea è vincolante per i giudici italiani. Ora devono solo quantificare gli interessi che vanno restituiti in ogni rapporto mutuo, leasing, apertura di credito a tasso variabile che ha avuto corso dal 1 settembre 2005 al 31 marzo 2009».

27.01.17

 

 

Come creare un meeting su Zoom? In un periodo in cui è richiesto dalla società il distanziamento sociale, la nota app per le videoconferenze diventa uno strumento importante per molte aziende e privati. Se partecipare a un meeting è un processo estremamente semplice, che non richiede neppure la registrazione al servizio, discorso diverso vale per gli utenti che desiderano creare un meeting su Zoom.

Ecco dunque una semplice guida per semplificare la vita a coloro che hanno intenzione di approcciare alla piattaforma senza confondersi le idee.

Come si crea un meeting su Zoom

Dopo aver scaricato e installato Zoom, e aver effettuato la registrazione, si dovrà dunque effettuare l’accesso premendo Sign In (è possibile loggare direttamente con il proprio account Google o Facebook, comunque). A questo punto, bisogna procedere in questo modo:

  • Fare tap su New Meeting (pulsante arancione)
  • Scegliere se avviare il meeting con la fotocamera accesa o spenta, tramite il toggle Video On
  • Premere Start a Meeting

A questo punto è stata creata la videoconferenza, ma affinché venga avviata è necessario invitare i partecipanti. Per proseguire sarà necessario quindi:

  • Fare tap su Participants (nella parte in basso dello schermo)
  • Premere su Invite
  • Scegliere il mezzo attraverso cui inviare il link di partecipazione ai mittenti (tramite e-mail o messaggio, per esempio)

Una volta invitati gli utenti, chi ha creato il meeting avrà la possibilità di fare tap su ognuno di essi per utilizzare diverse funzioni: per esempio si potranno silenziare, piuttosto che chiedergli di attivare la fotocamera, eccetera.

Zoom, anche su dispositivi mobile

Zoom (immagine: Zoom).

Facendo tap sul pulsante Chats (in basso a sinistra dello schermo), inoltre, si potranno inviare messaggi di testo a tutti i partecipanti o solo a uno di essi. Una volta terminata la videoconferenza, la si potrà chiudere facendo tap sulla scritta rossa End in alto a destra: si potrà in ultimo scegliere se lasciare il meeting (Leave Meeting), permettendo agli altri di continuare a interagire, o se scollegare tutti (End Meeting).

 

 

Windows File Recovery recupera i file cancellati per sbaglio

È la prima app di questo tipo realizzata direttamente da Microsoft.

A tutti - beh, a quanti non hanno un backup efficiente - sarà capitato di cancellare per errore un file, non solo mettendolo nel Cestino, ma facendolo sparire apparentemente per sempre.

Recuperare i file cancellati ha tante più possibilità di riuscire quanto meno la zona occupata da quei file è stata sovrascritta, ed è un lavoro per software specializzati.

Fino a oggi, l'unica possibilità per i sistemi Windows era scegliere programmi di terze parti. Ora Microsoft ha rilasciato una piccola utility che si occupa proprio del recupero dei file.

Si chiama Windows File Recovery ed è disponibile gratuitamente sul Microsoft Store.

Si tratta di un programma privo di interfaccia grafica: per adoperarlo bisogna quindi superare la diffidenza per la linea di comando che alberga in molti utenti di Windows.

L'utility ha tre modalità base di funzionamento. Default, suggerita per i drive Ntfs, si rivolge alla Master File Table (MFT) per individuare i segmenti dei file. Segment fa a meno della MFT e si basa invece sul rilevamento dei segmenti (che contengono informazioni come il nome, la data, il tipo di file e via di seguito). Signature, infine, si basa sul tipo di file: non avendo a disposizione altre informazioni, cerca tutti i file di quel tipo (Microsoft consiglia questo sistema per le unità esterne come chiavette Usb e schede SD).

Windows File Recovery è in grado di tentare il recupero da diversi filesystem - quali Ntfs, exFat e ReFS - e per apprendere il suo utilizzo Microsoft ha messo a disposizione una pagina d'aiuto (in inglese) sul sito ufficiale.

Qui sotto, alcune schermate di Windows File Recovery.

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Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=28141

 

Bloatbox ripulisce Windows 10 dalle app indesiderate

Bastano pochi clic per eliminare tutto il bloatware preinstallato.

Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=28201

Non si può dire che Windows 10 sia un sistema operativo essenziale: ogni nuova installazione porta con sé, insieme al sistema vero e proprio, tutta una serie di applicazioni che per la maggior parte degli utenti si rivelano inutili, se non fastidiose, senza contare le aggiunte dei singoli produttori di Pc.

Rimuoverle a mano una a una è un compito tedioso, ma esiste una piccola applicazione che facilita l'intera operazione: Bloatbox.

Nata come estensione per Spydish, app utile per gestire le informazioni condivise con Microsoft da Windows 10 e più in generale le impostazioni del sistema che coinvolgono la privacy, è poi diventata un software a sé.

Il motivo è un po' la medesima ragione di vita di Bloatbox: non rendere Spydish troppo "grasso" (bloated), ossia ricco di funzioni che, per quanto utili, vadano a incidere sulla possibilità di avere un'applicazione compatta, efficiente e facile da usare.

Bloatbox si scarica da GitHub sotto forma di archivio .zip da estrarre sul Pc. Una volta compiuta questa operazione non resta altro da fare che cliccare due volte sul file Bloatbox.exe per avviare l'app.

La finestra principale mostra sulla sinistra una colonna in cui è presente la lista di tutte le app installate in Windows, tra cui anche quelle che normalmente non si possono disinstallare - come il Meteo, Microsoft News e via di seguito - e quelle installate dal produttore del computer.

Ciò che occorre fare è selezionare quelle app che si intende rimuovere e, quando si è soddisfatti, premere il pulsante , che le aggiungerà alla colonna di destra, dove si trovano tutte le app condannate alla cancellazione.

A questo punto si può premere il pulsante Uninstall, posto nella parte inferiore della colonna centrale, e il processo di disinstallazione inizierà.

L'ultima versione al momento in cui scriviamo mostra anche, nella colonna di destra di un pratico link per effettuare una "pulizia generale" di una nuova installazione di Windows 10, identificato dalla dicitura Start fresh if your Windows 10 is loaded with bloat....

Cliccandolo, verranno aggiunte all'elenco di eliminazione tutte le app preinstallate e considerate bloatware. Chiaramente l'elenco può essere personalizzato a piacere rimuovendo da esso le app che si intende tenere tramite il pulsante Remove selected.

 

 

 

 

Il sito che installa tutte le app essenziali per Windows 10

Bastano pochi clic per ottenere un Pc perfettamente attrezzato, senza dover scaricare ogni singolo software.

Reinstallare il sistema operativo è solo il primo passo, dopo un incidente al Pc che abbia causato la necessità di ripartire da capo, tra quelli necessari per arrivare a riavere un computer perfettamente configurato e utilizzabile.

A quel punto inizia infatti il processo di configurazione e di installazione di tutte quelle grandi e piccole applicazioni che svolgono i vari compiti ai quali il computer è dedicato. Si tratta di un'operazione che può essere lunga e tediosa e che sarebbe bello poter automatizzare.

Una delle alternative migliori da tempo esistente è Ninite, sito che permette di selezionare le app preferite e si occupa di scaricarle e installarle in autonomia.


Da quando però Microsoft ha lanciato un proprio gestore di pacchetti (Winget) sono spuntate delle alternative che a esso si appoggiano e, dato che funziona da linea di comando, dette alternative si occupano di fornire un'interfaccia grafica.

Una delle più interessanti è Winstall, che semplifica l'installazione delle app dai repository messi a disposizione da Microsoft.

Winstall è una Progressive Web Application (Pwa), ossia un sito da visitare con il proprio browser e che permette di scegliere le app da installare sul computer; in questo senso, dal punto di vista dell'uso è molto simile al già citato Ninite.

Diverso è però il funzionamento: se Ninite scarica i singoli installer dei vari programmi, Winstall si appoggia a Winget, che quindi deve essere preventivamente installato sul Pc.

Inoltre offre una propria funzionalità specifica, che il suo sviluppatore ha battezzato Featured Pack.

Si tratta di gruppi di applicazioni unite da un tema o una funzionalità comune (browser, strumenti di sviluppo, software per i giochi) che si possono selezionare tutte insieme; Winstall si occupa quindi di generare il codice da copiare nel Prompt dei Comandi per avviare l'installazione.

In alternativa si può scaricare un file .bat da eseguire, che si occupa di invocare Winget per portare a termine il compito.

I Featured Pack sono infine personalizzabili: gli utenti sono invitati a creare il proprio e a condividerlo.

Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=28369

 

 

Cos’è e a cosa serve la pasta madre

La pasta madre è un lievito naturale che permette di preparare un ottimo pane, ma anche pizze e focacce. Conosciuta anche come pasta acida, la pasta madre è un impasto che può essere realizzato in diversi modi. Ad esempio, la pasta madre si può ottenere prelevando un impasto del pane da conservare grazie ai “rinfreschi”, oppure preparando un semplice impasto di acqua e farina da lasciare a contatto con l’aria, così che si arricchisca dei lieviti responsabili dei processi fermentativi che consentono la lievitazione di pane e altri prodotti da forno.

Gli impasti preparati con la pasta madre hanno generalmente bisogno di lievitare per diverse ore, ma il risultato ripaga dell’attesa: pane, pizze e focacce risulteranno infatti più gonfi, più digeribili, conservabili più a lungo e con un sapore decisamente migliore.

La pasta madre, inoltre, accresce il valore nutrizionale del pane e di altri prodotti da forno. Negli impasti preparati con la pasta madre diverse importanti sostanze rimangono intatte e, grazie alla composizione chimica della pasta madre, il nostro organismo riesce ad assimilare meglio i sali minerali presenti nelle farine.

I lieviti della pasta madre, poi, favoriscono la crescita di batteri buoni nell’intestino, favorendo un buon equilibrio del microbiota e migliorando così la digestione. È importante anche notare che il pane preparato con lievito naturale possiede un indice glicemico inferiore rispetto al pane realizzato con altri lieviti. Questo significa che quando i carboidrati presenti nel pane vengono assimilati sotto forma di glucosio, questo si riversa più lentamente nel flusso sanguigno, evitando picchi glicemici.

Oltre a conferire al pane proprietà organolettiche e nutrizionali migliori, la pasta madre presenta altri vantaggi. Grazie ai rinfreschi, si può infatti avere a disposizione questo straordinario lievito naturale a lungo; in più, la pasta madre può essere preparata con vari tipi di farine, anche senza glutine.

La dieta senza glutine è l’unica terapia per le persone celiache e per chi presenta sensibilità verso le proteine del frumento e in altri cereali come orzo e farro. Inoltre, ridurre il consumo di glutine può migliorare alcuni disturbi intestinali ed è consigliato anche a chi vuole seguire un regime alimentare antinfiammatorio.

 

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