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Marco Bava è un economista, consulente finanziario e spesso attivo
nel panorama italiano come esperto di economia e finanza. È noto per le
sue opinioni critiche su temi come la gestione della finanza pubblica
italiana, le banche e la situazione economica generale del Paese.
Inoltre, in passato è stato coinvolto in varie iniziative politiche e
civiche, dove ha cercato di sensibilizzare l'opinione pubblica su
questioni legate alla trasparenza economica e alla gestione del debito
pubblico.
Dal Vangelo secondo Luca Lc
21,5-19 “In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato
di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei
quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non
sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e
quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose:
«Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome
dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro
regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze;
vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni,
trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete
allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non
preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché
tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e
dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa
del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza
salverete la vostra vita».”
La gangster
che si fece
suora
pierangelo sapegno
Le due vite di Angela Corradi sono finite adesso. Quella della donna
gangster con la svastica tatuata sulla schiena e della suora laica che
ha dedicato la sua vita ai disperati e agli sconfitti. La notizia l'ha
data su Facebook Tino Stefanini, uno degli ultimi superstiti della
famigerata mala della Comasina: «Resterai per sempre nei nostri cuori».
Ma di Angela Corradi, morta a 73 anni, resta qualcosa di più anche per
tutti noi, il mistero della vita e dei suoi peccati, la sottile linea di
demarcazione che può dividere il bene dal male sulle strade del dolore.
Tutto quello che non possiamo vedere e facciamo fatica a capire. Una
volta le chiesero come aveva fatto a scoprire Dio. «Perché ho sentito la
sua voce», aveva risposto. «Mi disse "Io ci sono". Mi disse solo
questo». Era una sera che Angela Corradi aveva un mitra in mano e una
pistola infilata nei calzoni e stava uscendo dalla sua casa di via
Osculati ad Affori per andare a uccidere qualcuno. Ma qualche anno dopo,
aveva il velo e degli occhiali a goccia che nascondevano uno sguardo che
levigava il tempo e anche le sue ferite, perché non si vive la sua vita
senza perdere pezzi e portarne le cicatrici. Allora le chiesero come
faceva a essere così sicura che fosse la voce di Dio. «Lo so e basta»,
disse con tono di nuovo duro. Il fatto è che pure quando sposò Dio e si
fece terziaria francescana non perse mai la forza del suo carattere. Era
scritta nei suoi occhi, quella forza. Era la pupa del gangster, la «pupa
della banda Vallanzasca», come titolavano i giornali, la compagna
inseparabile di Vito Pesce, il braccio destro del bel René, che la
chiamava «la sorellina» e di lei diceva che non era solo bella e
coraggiosa: «Angelina è stata la donna che in quanto a palle dava dei
punti e tanti maschietti cazzuti. Una forza della natura.
Fondamentalmente, era una femmina da sballo. Bella, intelligente,
simpatica, capace di essere dolcissima. Ma quando c'era da dimostrare il
suo carattere, persino il suo uomo faceva bene a non contraddirla». Era un giorno di luglio del 1978 quando venne folgorata da Cristo,
mentre doveva andare a vendicare «uno sgarro fatto ai miei compagni in
carcere». Lo raccontò cinque anni dopo esatti, al meeting di Cl a
Rimini: «Io posso solo tentare di farvi vedere una scena. Sono in casa,
sono armata fino ai denti e quando varcherò quella porta so che l'unica
cosa che devo fare è uccidere qualcuno. E sono molto determinata a
farlo. È in quel momento che mi si è presentato il Signore. Non Lui, io
mento se dico Lui. Ma la sua voce. E l'ho sentita benissimo. Ha solo
detto "ci sono". Non ha detto altro. E io mi sono terrorizzata. Non
avevo mai avuto paura di niente. Ma quella volta sì». Prima di cambiare
la sua vita, Angela era stata tutto quello che poteva essere una nata
come lei nella nebbia dell'anonimato ai margini della metropoli. Era
stata commessa, e poi modella prima di approdare nella banda di
Vallanzasca per un «atto di ribellione». Si era tatuata sulla schiena
una svastica e su un dito la «N» di nazista con una croce sovrapposta.
Diventò una protagonista di quegli anni di violenza e finì anche in
carcere, cinque anni a San Vittore. Era una donna bellissima, hanno
sempre ripetuto quelli che l'avevano conosciuta. I suoi lavoravano nel
circo. Il padre faceva il giro della morte in motocicletta. Poi un
gravissimo incidente l'aveva paralizzato e da allora anche la madre,
Bruna, acrobata, lasciò il tendone. I suoi cercarono di avviarla agli
studi, ma non ci fu verso. Angela voleva scappare, andare via da quella
prigione di case grigie e uguali, dalle pene della sua famiglia. A
sedici anni fuggì di casa e dopo poco tempo si legò ai ragazzi della
mala che in quegli anni stavano scalando le gerarchie di Milano a mitra
spianati, lasciando una scia di morte dietro di loro. Diventò la
compagna di Vito pesce, uno degli uomini più spietati della banda
Vallanzasca. I giornali, raccontando i corpi senza vita sparsi sulle
strade, tutte quelle esplosioni di violenza e le sparatorie, li
chiamavano «i killer drogati. La più feroce gang del Dopoguerra». In
quegli anni morì suo padre, mentre lei veniva arrestata. Di San Vittore
ricordò la vita vuota e arida dietro a quelle sbarre.
La conversione avvenne all'improvviso, quando era già una suora laica,
la sua auto, una A112, venne crivellata di colpi in piena notte e lei
rimase quasi in fin vita con ferite sul volto. «Gesù, Gesù aiutami...»,
ripeteva ai medici del Niguarda. Sua madre Bruna raccontò che «era
uscita per andare a portare aiuto ai bisognosi». In realtà,
quell'episodio rimase un mistero senza risposta.
Un po' come il suo viso, conservato negli archivi della cronaca nera e
nelle foto che la immortalarono col velo. Non aveva più i capelli tinti
di biondo e lo sguardo sprezzante. Ma gli occhi sono lo specchio
dell'anima. E non sono cambiati. Erano troppo duri, quand'era ragazzina,
ma anche adesso erano gli occhi di una che aveva sempre dovuto
combattere nella sua vita, farsi largo tra le infinite e irrisolte
violenze delle periferie, fra quegli edifici nudi che nascondevano tutti
le stesse miserie e le stesse rabbie, in quelle ripetizioni di facciate
sempre uguali e in quel piatto e uniforme plurale di una sconfitta
comune, dove ogni finestra apparteneva solo alle nebbie della
disperazione, un disegno senza altri colori che non fossero quelli dei
sogni di chi vuole scappare. Alla fine però Angela Corradi è tornata qui
e ci è rimasta fino alla sua morte, a 73 anni, per dedicarsi alle anime
perse dei drogati, dei detenuti, dei più deboli, di tutti quelli rimasti
senza speranze nella battaglia della vita. È ritornata da dov'era
partita, nella terra di mezzo, nei luoghi di tutti quelli che continuano
a perdere.
TO.12.04.24
Illustre Presidente del
Consiglio Giorgia Meloni perche' con l'art.11 del DISEGNO DI LEGGE
CAPITALI avete approvato un restringimento di fatto della libertà ?
perché avete voluto dimostrarci di volervi ispirare all'epoca
fascista sfociato nel delitto Matteotti ? Non credo sia
nell'interesse suo e del suo governo e mi spiace, ma devo prenderne
atto.
Ill.mo Signor Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera
Ill.mo Capo dello Stato Sergio Mattarella
Ill.mo Presidente del Senato
Ill.mo Presidente della Camera
Ill.ma Presidente del Consiglio
In questi giorni e’ in approvazione l’atto della Camera: n.1515 ,
Senato n.674. - "Interventi a sostegno della competitività dei capitali
e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in
materia di mercati dei capitali recate dal testo unico di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e delle disposizioni in materia di
società di capitali contenute nel codice civile applicabili anche agli
emittenti" (approvato dal Senato) (1515) .
L’articolo 11 (Svolgimento delle assemblee delle società per azioni
quotate) modificato al Senato, consente, ove sia contemplato nello
statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano
esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società. In
tale ipotesi, non è consentita la presentazione di proposte di
deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato
unicamente prima dell’assemblea. Per effetto delle modifiche apportate
al Senato, la predetta facoltà statutaria si applica anche alle società
ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione;
inoltre, sempre per effetto delle predette modifiche, sono prorogate al
31 dicembre 2024 le misure previste per lo svolgimento delle assemblee
societarie disposte con riferimento all’emergenza Covid-19 dal
decreto-legge n. 18 del 2020, in particolare per quanto attiene l’uso di
mezzi telematici. L’articolo 11 introduce un nuovo articolo
135-undecies.1 nel TUF – Testo Unico Finanziario (D. Lgs. n. 58 del
1998) il quale consente, ove sia contemplato nello statuto, che le
assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il
rappresentante pagato e designato dalla società. Le disposizioni in
commento rendono permanente, nelle sue linee essenziali, e a
condizione che lo statuto preveda tale possibilità, quanto previsto
dall’articolo 106, commi 4 e 5 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,
che ha introdotto specifiche disposizioni sullo svolgimento delle
assemblee societarie ordinarie e straordinarie, allo scopo di
contemperare il diritto degli azionisti alla partecipazione e al voto in
assemblea con le misure di sicurezza imposte in relazione all’epidemia
da COVID-19. Il Governo, nella Relazione illustrativa, fa presente che
la possibilità di continuare a svolgere l’assemblea esclusivamente
tramite il rappresentante designato tiene conto dell’evoluzione, da
tempo in corso, del modello decisionale dei soci, che si articola,
sostanzialmente, in tre momenti: la presentazione da parte del consiglio
di amministrazione delle proposte di delibera dell’assemblea; la messa a
disposizione del pubblico delle relazioni e della documentazione
pertinente; l’espressione del voto del socio sulle proposte del
consiglio di amministrazione. In questo contesto, viene fatta una
affermazione falsa e priva di ogni fondamento giuridico: che
l’assemblea ha perso la sua funzione informativa, di dibattito e di
confronto essenziale al fine della definizione della decisione di voto
da esprimere. Per cui non e’ vero che la partecipazione
all’assemblea si riduca, in particolar modo, per gli investitori
istituzionali e i gestori di attività, nell’esercizio del diritto di
voto in una direzione definita ben prima dell’evento assembleare,
all’esito delle procedure adottate in attuazione della funzione di
stewardship e tenendo conto delle occasioni di incontro diretto,
chiuse ai risparmiatori, con il management della società in
applicazione delle politiche di engagement.
Per cui in questo contesto, si verrebbe ad applicare una norma di
esclusione dal diritto di partecipazione alle assemblee degli azionisti
da parte di chi viene tutelato, anche attraverso il diritto alla
partecipazione alle assemblee dall’art.47 della Costituzione oltre che
dall’art.3 della stessa per una oggettiva differenza di diritti fra
cittadini azionisti privati investitori che non possso piu’ partecipare
alle assemblee e ed azionisti istituzionali che invece godono di
incontri diretti privati e riservati
con il management della società in applicazione delle politiche di
engagement.
Il che crea una palese ed illegittima asimmetria informativa legalizzata
in Italia rispetto al contesto internazionale in cui questo divieto di
partecipazione non sussiste. Anzi gli orientamenti europei vanno da anni
nella direzione opposta che la 6 commissione presieduta dal
sen.Gravaglia volutamente dimostra di voler ignorare.
Viene da chiedersi perche’ la maggioranza ed il Pd abbiano approvato
questo restringimento dei diritti costituzionali ?
Tutto cio’ mentre Elon Musk ha subito una delle più grandi perdite
legali nella storia degli Stati Uniti questa settimana, quando
l'amministratore delegato di Tesla è stato privato del suo pacchetto
retributivo di 56 miliardi di dollari in una causa intentata da Richard
Tornetta che ha fatto causa a Musk nel 2018, quando il residente della
Pennsylvania possedeva solo nove azioni di Tesla. Il caso è arrivato al
processo alla fine del 2022 e martedì un giudice si è schierato con
Tornetta, annullando l'enorme accordo retributivo perché ingiusto nei
suoi confronti e nei confronti di tutti i suoi colleghi azionisti di
Tesla.
La giurisprudenza societaria del Delaware è piena di casi che portano i
nomi di singoli investitori con partecipazioni minuscole che hanno
finito per plasmare il diritto societario americano.
Molti studi legali che rappresentano gli azionisti hanno una scuderia di
investitori con cui possono lavorare per intentare cause, afferma Eric
Talley, che insegna diritto societario alla Columbia Law School.
Potrebbe trattarsi di fondi pensione con un'ampia gamma di
partecipazioni azionarie, ma spesso si tratta anche di individui come
Tornetta.
Il querelante firma i documenti per intentare la causa e poi
generalmente si toglie di mezzo, dice Talley. Gli investitori non pagano
lo studio legale, che accetta il caso su base contingente, come hanno
fatto gli avvocati nel caso Musk.
Tornetta beneficia della vittoria della causa nello stesso modo in cui
ne beneficiano gli altri azionisti di Tesla: risparmiando all'azienda i
miliardi di dollari che un consiglio di amministrazione asservito pagava
a Musk.
Gli esperti hanno detto che persone come Tornetta sono fondamentali per
controllare i consigli di amministrazione. I legislatori e i giudici
desiderano da tempo che siano le grandi società di investimento a
condurre queste controversie aziendali, poiché sono meglio attrezzate
per tenere d'occhio le tattiche dei loro avvocati. Ma gli esperti
hanno detto che i gestori di fondi non vogliono mettere a repentaglio i
rapporti con Wall Street.
Quindi è toccato a Tornetta affrontare Musk.
"Il suo nome è ora impresso negli annali del diritto societario", ha
detto Talley. "I miei studenti leggeranno Tornetta contro Musk per i
prossimi 10 anni". Questa e’ democrazia e trasparenza vera non quella
votata da maggioranza e Pd.
Infatti da 1 anno avevo chiesto di essere udito dal Senato che mi
ignorato nella totale indifferenza della 6 commissione . Mentre lo
sono stati sia il recordman professionale dei rappresentanti pagati
degli azionisti , l’avv.Trevisan , sia altri ispiratori e
sostenitori della modifica normativa proposta. Per cui mi e’ stata
preclusa ogni osservazione non in linea con la proposta della 6
commissione del Senato che ha esaminato ed emendato il provvedimento e
questo viola i principi di indipendenza e trasparenza delle camera e
senato: dov’e’ interesse pubblico a vietare le assemblee agli azionisti
per ragioni pandemiche nel 2024 ?
La prova più consistente che tale articolo non ha alcuna ragione palese
per essere presentato e’ che sono state di fatto rese permanenti le
misure introdotte in via temporanea per l’emergenza Covid-19 In sintesi,
il menzionato articolo 106, commi 4 e 5 - la cui efficacia è stata
prorogata nel tempo e, da ultimo, fino al 31 luglio 2023 dall’articolo
3, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228 - prevede che le
società quotate possano designare per le assemblee ordinarie o
straordinarie il rappresentante designato, previsto dall'articolo
135-undecies TUF, anche ove lo statuto preveda diversamente; inoltre, la
medesima disposizione consente alle società di prevedere nell’avviso di
convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente
tramite il rappresentante designato, al quale potevano essere conferite
deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF.
L'articolo 135-undecies del TUF dispone che, salvo diversa previsione
statutaria, le società con azioni quotate in mercati regolamentati
designano per ciascuna assemblea un soggetto al quale i soci possono
conferire, entro la fine del secondo giorno di mercato aperto precedente
la data fissata per l'assemblea, anche in convocazione successiva alla
prima, una delega con istruzioni di voto su tutte o alcune delle
proposte all'ordine del giorno. La delega ha effetto per le sole
proposte in relazione alle quali siano conferite istruzioni di voto, è
sempre revocabile (così come le istruzioni di voto) ed è conferita,
senza spese per il socio, mediante la sottoscrizione di un modulo il cui
contenuto è disciplinato dalla Consob con regolamento. Il conferimento
della delega non comporta spese per il socio. Le azioni per le quali è
stata conferita la delega, anche parziale, sono computate ai fini della
regolare costituzione dell'assemblea mentre con specifico riferimento
alle proposte per le quali non siano state conferite istruzioni di voto,
le azioni non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e
della quota di capitale richiesta per l'approvazione delle delibere. Il
soggetto designato e pagato come rappresentante è tenuto a
comunicare eventuali interessi che, per conto proprio o di terzi, abbia
rispetto alle proposte di delibera all’ordine del giorno. Mantiene
altresì la riservatezza sul contenuto delle istruzioni di voto ricevute
fino all'inizio dello scrutinio, salva la possibilità di comunicare tali
informazioni ai propri dipendenti e ausiliari, i quali sono soggetti al
medesimo dovere di riservatezza. In forza della delega contenuta nei
commi 2 e 5 dell'articolo 135-undecies del TUF la Consob ha disciplinato
con regolamento alcuni elementi attuativi della disciplina appena
descritta. In particolare, l'articolo 134 del regolamento Consob n.
11971/1999 ("regolamento emittenti") stabilisce le informazioni minime
da indicare nel modulo e consente al rappresentante che non si trovi in
alcuna delle condizioni di conflitto di interessi previste nell'articolo
135-decies del TUF, ove espressamente autorizzato dal delegante, di
esprimere un voto difforme da quello indicato nelle istruzioni nel caso
si verifichino circostanze di rilievo, ignote all'atto del rilascio
della delega e che non possono essere comunicate al delegante, tali da
ARTICOLO 11 42 far ragionevolmente ritenere che questi, se le avesse
conosciute, avrebbe dato la sua approvazione, ovvero in caso di
modifiche o integrazioni delle proposte di deliberazione sottoposte
all'assemblea. Più in dettaglio, per effetto del comma 4 dell'articolo
106, le società con azioni quotate in mercati regolamentati possono
designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante
al quale i soci possono conferire deleghe con istruzioni di voto su
tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno, anche ove lo
statuto disponga diversamente. Le medesime società possono altresì
prevedere, nell’avviso di convocazione, che l’intervento in assemblea si
svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale
possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi
dell’articolo 135-novies del TUF, che detta le regole generali (e meno
stringenti) applicabili alla rappresentanza in assemblea, in deroga
all’articolo 135-undecies, comma 4, del TUF che, invece, in ragione
della specifica condizione del rappresentante designato dalla società,
esclude la possibilità di potergli conferire deleghe se non nel rispetto
della più rigorosa disciplina prevista dall'articolo 135-undecies
stesso. Per effetto del comma 5, le disposizioni di cui al comma 4 sono
applicabili anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema
multilaterale di negoziazione e alle società con azioni diffuse fra il
pubblico in misura rilevante. Le disposizioni in materia di assemblea
introdotte dalle norme in esame non sono state approvate dal M5S il cui
presidente , avv.Conte, aveva introdotto tali norme esclusivamente per
il periodo Covid. Per cui l’articolo 11 in esame, come anticipato,
introduce un nuovo articolo 135- undecies.1 nel Testo Unico Finanziario,
ai sensi del quale (comma 1) lo statuto di una società quotata può
prevedere che l’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di
voto avvengano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla
società, ai sensi del già illustrato supra articolo 135-undecies. A tale
rappresentante possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai
sensi dell'articolo 135-novies, in deroga all'articolo 135-undecies,
comma 4. La relativa vigilanza è esercitata, secondo le competenze,
dalla Consob (articolo 62, comma 3 TUF e regolamenti attuativi) o
dall’Autorità europea dei mercati finanziari – ESMA.
L’ESMA non e’ stata mai sentita dal sen.Gravaglia su questo articolo
mentre la Consob ha espresso parere contrario che sempre lo stesso ha
ignorato.
Ma i soprusi non finiscono qui : il comma 3 del nuovo articolo
135-undecies.1 chiarisce che, nel caso previsto dalle norme in esame. il
diritto di porre domande (di cui all’articolo 127-ter del TUF) è
esercitato unicamente prima dell’assemblea. La società fornisce almeno
tre giorni prima dell’assemblea le risposte alle domande pervenute. In
sintesi, ai sensi dell’articolo 127-ter, coloro ai quali spetta il
diritto di voto possono porre domande sulle materie all'ordine del
giorno anche prima dell'assemblea. Alle domande pervenute prima
dell'assemblea è data risposta al più tardi durante la stessa. La
società può fornire una risposta unitaria alle domande aventi lo stesso
contenuto. L’avviso di convocazione indica il termine entro il quale le
domande poste prima dell'assemblea devono pervenire alla società. Non è
dovuta una risposta, neppure in assemblea, alle domande poste prima
della stessa, quando le informazioni richieste s
iano già disponibili in formato "domanda e risposta" nella sezione del
sito Internet della società ovvero quando la risposta sia stata
pubblicatma 7, del TUF relativo allo svolgimento delle assemblee di
società ed enti. Per effetto delle norme introdotte, al di là delle
disposizioni contenute nell’articolo in esame che vengono rese
permanenti (v. supra), sono prorogate al 31 dicembre 2024 tutte le altre
misure in materia di svolgimento delle assemblee societarie – dunque non
solo quelle relative alle società quotate – previste nel corso
dell’emergenza Covid-19. Questo che e’ un capolavoro di capziosità di
un emendamento della sen.Cristina Tajani PD , ricercatrice e docente
universitaria, di indifferenziazione parlamentare negli obiettivi
: dal momento che le misure previste dall’art.11 in oggetto prevedono
per essere applicabili il loro recepimento statutario, lo stesso viene
ottenuto nel 2024 per ragioni di Covid, con il rappresentante pagato ,
che ovviamente non porrà alcuna opposizione neppure verbale.
Illustri Presidenti se questa non e’ una negazione degli art.47 e 3
della Costituzione, contro la democrazia e trasparenza societaria
, cos’e ?
Al termine di questa mia riflessione vorrei capire se in questo nostro
paese esiste ancora uno spazio di rispettosa discussione democratica o
di tutela giuridica nei confronti di una decisione arbitraria di una
classe dirigente qui’ palesemente opaca.
Confido in una vs risposta costruttiva di rispetto della libertà
progressista di un paese evoluto ma stabile e garante nei diritti delle
minoranze . Anche perché quello che ho anticipato con Edoardo Agnelli
sul futuro della Fiat dal 1998 in poi si e’ tristemente avverato, e solo
oggi, forse, e’ diventato di coscienza comune , anche se a me e’
costato pesanti ritorsioni personali da parte degli organi di polizia e
giustizia torinese e della Facolta’ di Economia Commercio di Torino . Ed
ad Edoardo Agnelli la morte. Non e’ impedendomi di partecipare alle
assemblee che Fiat & C ritorneranno in Italia, perché nel frattempo non
esistono più a causa anche di chi a Torino e Roma gli ha concesso di
fare tutto quello che di insensato hanno fatto dal 1998 in poi anche
contro se stessi oltre che i suoi lavoratori ed azionisti, calpestando
brutalmente chi osava denunciarlo pubblicamente nel tentativo,
silenziato, di fermare la distruzione di un orgoglio e una risorsa
nazionale. Giugiaro racconta che quando la Volkswagen gli chiese di fare
la Golf gli presento’ la Fiat 128 come esempio inarrivabile. Oggi
Tavares si presenta in Italia come il nuovo Napoleone , legittimato da
Yaky e scortato dalla DIGOS per difenderlo da Marco BAVA che vorrebbe
solo documentargli che l’industria automobilistica italiana ha una
storia che gli errori di 3 persone non debbono poter cancellare. Anche
se la storia finora ha premiato chi ha consentito il restringimento dei
diritti in questo paese la frana del futuro travolgerà tutti.
Basta chiederlo a Montezemolo che tutto questo lo sa e lo ha vissuto
direttamente.
UNA
ATTUALIZZAZIONE DEL:
DISCORSO DEL 30.05.1924
Giacomo Matteotti
Matteotti: «Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre
elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al
banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo
avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel
1919».
Voci: «Non è vero! Non è vero! » .
Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno: «Michele Bianchi! Proprio
lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi! » .
Matteotti: «Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è
semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva
un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero,
sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essi
rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori,
interruzioni)».
Finzi: «Non è così! » .
Matteotti: «Porterò i giornali vostri che lo attestano».
Finzi: «Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei!
L'onorevole Merlin cristianamente deporrà».
Matteotti: «L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e
nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non
dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi
essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle
elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui
nell'assemblea? (Rumori a destra)».
Teruzzi: «È ora di finirla con queste falsità».
Matteotti: «L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a
Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole
Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i
fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore
di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)».
Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".
Matteotti: «Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8
giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato.
(Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San
Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli
doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni
deputati che siedono all'estrema sinistra)».
Presidente: «Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano
posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia
breve, e concluda».
Matteotti: «L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per
improvvisazione, e che mi limito...».
Voci: «Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti! » .
Gonzales: «I fatti non sono improvvisati! » .
Matteotti: «Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni
fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento
dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e
senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai
candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro
pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo
al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole
Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo
dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu
impedita... (Oh, oh! – Rumori)».
Voci da destra: «Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete
d'accordo tutti! » .
Matteotti: «Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta
elasticità! » .
Greco: «Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti».
Matteotti: «L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua
conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di
corpi armati, i quali intervennero in città.. .».
Presutti: «Dica bande armate, non corpi armati! » .
Matteotti: «Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera
conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste
condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare
liberamente nella loro circoscrizione!» .
Voci di destra: «Per paura! Per paura! (Rumori – Commenti)».
Farinacci: «Vi abbiamo invitati telegraficamente! » .
Matteotti: «Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio
come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche
dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate!
(Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un
contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero
presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è
vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in
seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere
l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)».
Voci da destra: «L'avete studiato bene! » .
Pedrazzi: «Come siete pratici di queste cose, voi! » .
Presidente: «Onorevole Pedrazzi! » .
Matteotti: «Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di
circolare nelle loro circoscrizioni! » .
Voci a destra: «Avevano paura! » .
Turati Filippo: «Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i
briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a
sinistra)».
Una voce: «Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato
rispettato».
Turati Filippo: «Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi
a sinistra, rumori a destra)».
Presidente: «Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti! » .
Matteotti: «Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano
di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! »
(Approvazioni a sinistra – Rumori prolungati)
Presidente: «Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole
Rossi...».
Matteotti: «Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di
parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho
diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)».
Casertano, presidente della Giunta delle elezioni: «Chiedo di parlare».
Presidente: «Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta
delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta».
Matteotti: «Onorevole Presidente! . ..».
Presidente: «Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di
continuare, ma prudentemente».
Matteotti: «Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente,
ma parlamentarmente! » .
Presidente: «Parli, parli».
Matteotti: «I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori.
Interruzioni)».
Presidente: «Facciano silenzio! Lascino parlare! » .
Matteotti: «Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non
potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro
stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le
conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che
accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o
dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)».
Una voce "Erano disoccupati! ".
Matteotti: «No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li
boicottate».
Voci da destra: «E quando li boicottate voi? » .
Farinacci: «Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco! » .
Matteotti: «Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a
nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)».
Voci: «E Berta? Berta!».
Matteotti: «Conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio
partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la
candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe – stato per essere il
destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati – voi avete ragione di
urlarmi, onorevoli colleghi – i candidati devono sopportare la sorte
della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che
oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché
anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le
elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie
più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella
della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in
ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per
disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi – anche
in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal
Governo e dal partito dominante – risultarono composti quasi totalmente
di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile,
l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza
del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare.
Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per
cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della
lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno
in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze
che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il
seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e
constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo
reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i
verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi
dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun
rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo,
l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono
svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo
riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche
provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma
questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo – e
l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere – fu
data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati
dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa
popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione
controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma,
strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo
dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza
di suffragi, da superare la maggioranza – con questa conseguenza però,
che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo
le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel
Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni
diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si
ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle
persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni».
Una voce a destra: «Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti! » .
Matteotti: «Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito,
secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai
nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo,
danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che
ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata
protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione
avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi.
Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate
all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà
che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati
prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli
elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola
del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un
prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori
un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi
(Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le
combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno,
potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto.
In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di
Rovigo, questo metodo risultò eccellente».
Finzi: «Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato! » .
Matteotti: «Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella
venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato».
Finzi: «Lo provi».
Matteotti: «In queste regioni tutti gli elettori».
Ciarlantini: «Lei ha un trattato, perché non lo pubblica? » .
Matteotti: «Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie
del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a
destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri
opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate
o diffidate di pubblicare le nostre cose. Nella massima parte dei casi
però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini
sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più
forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia,
la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato
fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)».
Suardo: «L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il
popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori –
Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini,
sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia
dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)».
Teruzzi: «L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on.
Matteotti». (Rumori all'estrema sinistra).
Presidente: «Facciano silenzio! Onorevole Matteotti, concluda! » .
Matteotti: «lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece
furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era
stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia
prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere
esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per
la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che
non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati
furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano
alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che
certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si
presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva
compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio
pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto,
riuscirono ad impedirlo».
Torre Edoardo: «Basta, la finisca! (Rumori, commenti). Che cosa stiamo a
fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori – Alcuni deputati
scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il
Parlamento! (Commenti – Rumori)».
Voci: «Vada in Russia! »
Presidente: «Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda! »
.
Matteotti: «Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le
cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente
della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare
i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e
verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare
che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla
stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o
addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i
molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della
volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini
ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi
esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere
socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono
più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali,
non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno
esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che
manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del
nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi
all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte
queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose
sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché
ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori)... per queste
ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di
maggioranza. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità
dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti
voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione
morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione
divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la
licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere
errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha
dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a
destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il
nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato
con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi,
anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi
difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il
più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il
rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle
elezioni».
Terminato così il suo intervento, Matteotti dice ai suoi compagni di
partito: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso
funebre per me». —
Ho visto il suo ottimo servizio ben documentato e non di parte .
La storia della targa della Ferrari Testarossa grigia
cabrio di GA che stava nel garage di Frescot entrando sulla
destra e' che io come azionista Ifi l'avevo trovata nelle
immobilizzazioni, chiesi a GA che ci stava a fare e lui la fece
reimatricolare a suo nome con quella targa. Non la usava perche'
mi disse che la trovava scomoda e preferiva le Fiat. L'uso'
Giovanni Alberto Agnelli che ebbe un'incidente sulla
Torino-Milano. Così mi disse Edoardo a cui il padre non la fece
mai guidare. Edoardo aveva le Ferrari in uso direttamente
da Enzo Ferrari.
Chi sta chiudendo la Marelli e' KKR che vorrebbe comprare
la rete Tim pagandola 6 volte il suo valore come Enimont quando
fu venduta da Gardini ad Eni.
A Carlo De Benedetti avevo proposto di acquisire la Fiat prima
che arrivasse Marchionne, mi ha riso al TELEFONO.
Bianca Carretto forse dimentica che prima della Peugeot la Fiat
fu offerta da Jaky a Renault a cui l'ho fatta saltare grazie a
Nissan. Infatti poi i rapporti fra Nissan e Renault sono
cambiati.
Poi Peugeot ha pagato la Fiat 2,9 miliardi rispetto ai 5
richiesti perché non c'era nessuno che volesse comprare FIAT.
Non e' vero che Marchionne ha saputo gestire la Fiat. Non capiva
nulla di auto. Infatti non ha investito su LANCIA , come invece
sta facendo Tavares. Maserati in 5 anni non poteva fare
concorrenza a Porsche che investe da 50 anni !
Marchionne non ha mai saputo scegliere un 'auto nelle
presentazioni, chiedeva di farlo a chi lo avrebbe dovuto
assistere !
La chimera del progetto fabbrica italiana ve la siete
dimenticata tutti ?
Come le condanne per atteggiamento antisindacale a cui è stato
condannato piu' volte Marchionne ?
Come De Benedetti non ne capisce nulla di computer visto che
aveva il padre del Surface con Quaderno e ne' lui ne' Passera lo
hanno capito.
Infatti il progetto della 500 elettrica e' sbagliato e voluto da
Marchionne e realizzato da Jaky investendo tanti soldi .
Proposte d'investimento agli Agnelli e De Benedetti vengono
fatte da sempre da chi guadagna le commissioni, per cui quello
che fa Jaky lo facevano anche Gabetti ed altri a NY con IFINT.
Inoltre i rapporti diretti internazionali sono tantissimo. Io in
un we a Garavicchio a casa di Carlo Caracciolo mi sono trovato
in piscina ed a tavola con il marito di Margherita, Giovanni
Alberto, Edoardo e Carlo Caracciolo che mi ha chiesto come
poteva difendersi da Carlo De Bebedetti. Io gli suggerii di
entrare in Cofide e lui lo fece. 3 mesi dopo GA, dandomi il 5,
mi soprannominò in pubblico Mark Spitz, per comunicarmi che
sapeva tutto .
Il patrimonio di Gianni Agnelli io lo stimo in 100 miliardi ,
con dei parametri approvati da Grande Stevens, per cui a
MARGHERITA hanno dato l'1%.
Il patrimonio di G.A lo gestivano Gabetti e Bormida.
Margherita e' come sua madre , prende tempo per allargarsi .
Edoardo no infatti e' stato ucciso perche' non voleva rinunciare
ai suoi diritto ereditari sulla Dicembre, a cui il Pm di Mondovi, Bausone
non credeva , quando glielo dissi 2 giorni dopo l'omicidio di
Edoardo.
L'ex Bertone finirà come Termoli.
IL RESTO glielo allego come anticipazione di un libro che forse
uscira'.
La proposta del Marocco e' stata fatta ai fornitori gia' a
Torino all'Hotel Ambasciatori nelle stesse ore in cui a 200
metri all'Hotel Concorde c'era il ministro Pichetto, a cui l'ho
detto senza ricevere alcuna risposta, come per la mia proposta
del progetto dell'H2 per autotrazione che rilancerebbe l'intera
economia nazionale, produzione auto compresa che allego.
Tenete conto che dietro ogni persona c'e' un uomo nero, quello
di Jaky per me e' a voi noto :Griva.
Resto a Sua disposizione per ogni chiarimento e documentazione,
Buon lavoro.
Marco BAVA
"L'Avvocato voleva
adottare John Il controllo della Dicembre non cambia"
Jennifer Clark
"
Il libro
Così su La Stampa
Un rapporto difficile, quello dei tre fratelli Elkann con la
madre Margherita, un problema «nato ben prima che lo scontro
arrivasse nelle aule dei tribunali». Jennifer Clark,
giornalista, già caporedattrice per l'Italia di Dow Jones dopo
le esperienze a Bloomberg e Reuters, ha seguito per anni le
vicende degli Agnelli. Recentemente ha pubblicato per Solferino
"L'ultima dinastia" sulla loro saga famigliare.
Clark, in una intervista ad Avvenire John Elkann parla per la
prima volta di "un clima di violenza fisica e psicologica"
subìto da lui e dagli altri due fratelli Elkann da parte della
madre. Da dove nasce, secondo lei, quella tensione?
«Per scrivere il libro ho parlato a lungo con gli esponenti
della famiglia, a partire da John. Il problema dei figli Elkann
con la madre viene da lontano perché, in un certo senso, è la
conseguenza dei problemi di Margherita ed Edoardo con i
genitori, in particolare con il padre, l'Avvocato».
Lei scrive che Gianni Agnelli era un padre poco affettuoso. Che
rapporto c'è tra questo e lo scontro di Margherita con i tre
figli Elkann?
«Lo squilibrio diviene palese quando Margherita divorzia da
Alain Elkann e si risposa con Serge de Phalen. Due mondi quasi
opposti: dallo scrittore parigino bohemien al nobile russo che
sogna il ritorno della grande Russia dei Romanov. Margherita si
converte alla religione ortodossa. Inizia a dipingere icone. E
vorrebbe che diventassero ortodossi anche John, Lapo e Ginevra.
Li costringe a dire le preghiere e a partecipare ai campi estivi
dei nostalgici zaristi in Francia che ogni mattina li fanno
assistere all'alza bandiera con lo stendardo imperiale
dell'aquila a due teste. I figli del secondo matrimonio sono
russi a tutti gli effetti e vivono a loro agio in quel mondo. I
figli Elkann no. A questo punto intervengono i nonni».
In che modo?
«Chiamando sempre più spesso i tre nipoti a trascorrere lunghi
periodi con loro. Per sottrarli a quel mondo estraneo. Per
questo John dice oggi che è stata decisiva per lui e i fratelli
la protezione dei nonni. Ma questo ha finito per rendere i
rapporti tra Margherita e i suoi genitori ancora più difficili».
Il nonno aveva dato ai nipoti l'affetto che era mancato alla
figlia come se l'affettività avesse saltato una generazione?
«Esattamente. Il rapporto tra i nipoti e il nonno è diventato
sempre più stretto al punto che un giorno l'Avvocato accarezzò
l'idea di adottare John. Come si sa poi non se ne fece nulla».
Se i rapporti erano tanto tesi perché allora, alla morte
dell'Avvocato, Margherita accettò di rinunciare alle quote della
Dicembre in cambio di denaro?
«Lei ha sempre sostenuto di averlo fatto nel tentativo di
riportare la pace in famiglia. È anche vero che conosceva l'atto
notarile con cui l'Avvocato, fin dal 1999, consegnava a John la
gestione della Dicembre e quindi deve avere pensato che, persa
la partita per il potere, tanto valeva giocarsi quella del
denaro. Del resto, quell'atto del '99 era stato firmato da tutti
i familiari, anche da lei».
NON E' VERO :
EDOARDO NON LO HA MAI FIRMATO. PER QUESTO LO HANNO UCCISO. Mb
Lei ha poi tentato, e lo sta facendo ancora oggi, di rimettere
in discussione quella scelta…
«Certo e questo è uno dei nodi delle cause legali. Ma la scelta
di non partecipare alla Dicembre ha finito per isolare ancora di
più Margherita. Si diceva che avesse confidato a Lupo Rattazzi
le sue perplessità su futuro della Fiat: "Rischia di fare la
fine della Parmalat". Erano gli anni in cui il fallimento della
Parmalat aveva fatto molto rumore. Come se lei avesse scelto di
scendere dalla nave nel momento di massima difficoltà
dell'azienda. Già nel 2004, al matrimonio di John e Lavinia, la
presenza di Margherita era stata incerta fino all'ultimo».
Da allora in poi la frattura si è andata allargando. Le
battaglie in tribunale contro la madre Marella e ora contro i
figli Elkann hanno aggravato la situazione. Quali conseguenze
potranno avere secondo lei?
«Dal punto di vista della governance della Dicembre, la società
che controlla la Giovanni Agnelli e, per il tramite di questa,
Exor non credo che ci potranno essere conseguenze. L'atto
notarile del 1999 non lascia scampo. Diverso è il discorso se
passiamo dalla governance alle quote. È in teoria possibile che,
se venisse accolta la tesi dei legali di Margherita, si
riconosca il diritto della figlia di Gianni Agnelli ad avere la
sua quota di legittima e dunque un pacchetto di azioni della
Dicembre. Ma non credo proprio che questo impedirebbe a John di
governare come fa oggi».
Si perché
perderebbe il controllo in quanto il 75% passerebbe a Margherita
ed il 25% Jaky 20% . Mb
TAVARES E JAKY NEL 23
Un compenso da 36,5 milioni è adeguato per il
ceo di una società capace di generare 18,6 miliardi di profitti e di
versare ai soci quasi 8 miliardi? Per i proxy advisor […] no. In vista
dell’assemblea del 16 aprile, […] Glass Lewis e Iss hanno raccomandato
agli azionisti di Stellantis di votare contro gli stipendi percepiti […]
dai manager del gruppo.
A loro giudizio, la paga del ceo Carlos Tavares è «eccessiva»: vale 518
volte il salario medio dei dipendenti di Stellantis che, intanto, sta
attuando massicci piani di esuberi […].
[…] Iss ha criticato anche il benefit da 430 mila euro accordato al
presidente John Elkann che ha potuto utilizzare l’aereo aziendale per
scopi personali. I suggerimenti dei proxy sono di norma accolti dai
fondi internazionali. Se al loro si aggiungesse il «no» del governo
francese, socio di Stellantis al 9,9%, la relazione sui compensi
potrebbe incorrere in una sfiducia. Dal valore consultivo, è vero; ma
fortemente simbolico.
IL 10.12.23 PROGRAMMA TELEVISIVO SU
L'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI SU PIAZZA LIBERTA', il
programma di informazione condotto da Armando Manocchia, su
BYOBLU CANALE 262 DT CANALE
IL GRANDE AMICO DI EDOARDO CON CUI FECE
VIAGGI ERA LUCA GAETANI
EA NON FECE MAI NESSUNA CESSIONE DEI
SUOI DIRITTI EREDITARI
NE' EBBE ALCUN DISSIDIO CON GIOVANNI
ALBERTO AGNELLI, DA CUI SOGGIORNAVA ANDANDO E TORNANDO DA
GARAVICCHIO.
INFATTI QUANDO CI FU L'EPISODIO DEL
KENIA FU GIOVANNI ALBERTO AGNELLI AD ANDARLO A TROVARE.
I LEGAMI CON LA SORELLA MARGHERITA NON
EERANO STRETTI COME QUELLI CON I CUGINI LUPO RATTAZZI ED EDUARDO
TEODORANI FABBRI. INFATTI NON ESISTONO LETTERE FRA EDOARDO E
MARGHERITA .
DEL CAMBIO DELLA SUCCESSIONE DA GIOVANNI
ALBERTO A JAKY EA LO HA SAPUTO DALLA MADRE CHE NE HA CONVITO GIANNI
PER NON PERDERE I PRIVILEGI DELLA PRESIDENZA FIAT,
L'INTERVISTA AL MANIFESTO FU PROPOSTA DA
UN GIORNALISTA DI REPUBBLICA PERCHE' LUI L'AVREBBE VOLUTA FARE MA
NON GLIELO PERMETTEVANO.
NON CI SONO PROVE CHE EA FOSSE DEPRESSO,
LA PATENTE DI EA LA TENEVA LA SCORTA E
NON ERA SUL CRUSCOTTO MA NEL CASSETTO DELLA CROMA EX DELL'AVVOCATO
CON MOTORE VOLVO E CAMBIO AUTOMATICO, NON BLINDATA.
LE INDAGINI SULL'OMICIDIO DI EA SONO
TUTT'ORA APERTE PRESSO LA PROCURA DI CUNEO.
GRIVA QUANDO ENTRA IN SCENA ?
L’IMPERO DI FAMIGLIA: ECCO PERCHÉ ADESSO
RISCHIA DI CROLLARE TUTTO
Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per “il Fatto quotidiano”
È l’attacco al cuore di un mito: quello degli Agnelli. E a pagarne le
conseguenze più dure potrebbe essere lui, l’erede che non porta più quel
cognome, John Elkann.
A rischio di veder messo in ballo il ruolo che suo nonno gli aveva
assegnato: la guida dei tesori di famiglia. Tutto passa per la Svizzera,
dove Marella Caracciolo, vedova dell’avvocato, ha sempre dichiarato di
avere la residenza sin dagli anni 70.
E con la cui legge successoria ha poi regolato i conti con la figlia:
per escludere Margherita dalla propria eredità e, soprattutto,
permettere al nipote di diventare il nuovo capo della dinastia.
[…] quella residenza […] ora piomba nell’inchiesta per frode fiscale
della Procura di Torino. E i pm hanno poteri di accertamento rapidi e
quasi immediati […]. Vediamo, punto per punto, che cosa c’è e che cosa
indica quel documento e come potrebbe segnare i clamorosi sviluppi delle
indagini.
1) La residenza svizzera. È decisiva: per stabilire se sono validi sia
l’accordo e il patto firmati da Marella con la figlia a Ginevra nel
2004, sulla successione dell’avvocato e sulla sua, sia il testamento e
le due aggiunte con i quali ha indicato come eredi i nipoti John, Lapo e
Ginevra.
E infine per accertare la possibile evasione fiscale sul suo patrimonio.
Trevisan spiega che la vedova dell’avvocato, dal 2003 sino alla morte
nel 2019, non ha mai vissuto in Svizzera i 180 giorni all’anno necessari
per poter mantenere quel diritto. “Ha trascorso ogni anno, in media,
oltre 189 giorni in Italia, 94 in Marocco e solo circa 68 in Svizzera”.
Se tutto saltasse, Margherita tornerebbe in campo nel controllo
dell’impero Agnelli.
2) Gli “espedienti” sulla residenza. Il legale indica anche le presunte
mosse per mascherare la permanenza di Marella in Italia. […] “Occorreva
non far risultare intestate a Marella Caracciolo le utenze degli
immobili in Italia e i relativi rapporti di lavoro... Un appunto del
commercialista Gianluca Ferrero suggeriva che non fossero a lei
riconducibili né dipendenti né animali, facendo risultare che i
domestici fossero alle dipendenze di Elkann […]”.
3) Il personale delle ville. La ricostruzione di Trevisan […]
sembrerebbe confermare i “consigli” di Ferrero. I magistrati […] stanno
[…] ascoltando le testimonianze di chi gestiva le residenze di famiglia.
Il legale di Margherita ha contato oltre 30 dipendenti […]. I contratti
erano intestati formalmente a Elkann, ma loro erano sempre al servizio
della nonna.
4) I testamenti, veri o falsi. Nell’esposto, Trevisan affida alla
Procura […] il compito di esaminare l’autenticità del testamento di
Marella Caracciolo e delle due “aggiunte”, redatti dal notaio svizzero
Urs von Grunigen. […] il legale aveva già sostenuto che, secondo due
diverse perizie grafiche, almeno nella seconda “aggiunta” la firma della
signora “appare apocrifa, con elevata probabilità”. Giovedì pomeriggio,
la Guardia di Finanza si è presentata alla Fondazione Agnelli, proprio
per acquisire vecchi documenti firmati da Marella e confrontare le
firme.
5) Le fiduciarie di famiglia. Le Fiamme Gialle hanno anche prelevato
migliaia e migliaia di pagine e documenti legati a quattro diverse
fiduciarie, tutte citate nell’esposto di Trevisan. Due di esse, la Simon
Fiduciaria e la Gabriel Fiduciaria facevano riferimento, un tempo,
all’avvocato Franzo Grande Stevens e oggi sono state assorbite nella
Nomen Fiduciaria della famiglia Giubergia e nella banca privata Pictet
di Ginevra.
Che cosa può nascondersi in quegli “scrigni” votati alla riservatezza?
Due cose, entrambe importanti. La prima […] riguarda il fatto se in esse
sia potuto transitare denaro proveniente da 16 società offshore delle
Isole Vergini britanniche, tutte intestate o a Marella Agnelli o a
“membri della famiglia”, come la “Budeena Consulting Inc.” che, da sola,
aveva in cassa 900 milioni dollari.
La seconda riguarda la possibilità che gli inquirenti possano trovare le
tracce degli scambi azionari, tra la nonna e i nipoti, della “Dicembre”,
la società semplice creata dall’avvocato nel 1984 per custodire il
tesoro di famiglia e che oggi consente a John Elkann di gestire, a
cascata, i 25,5 miliardi di patrimonio della holding Exor.
2. INCHIESTA ELKANN: LA GDF A CACCIA DI SOCIETÀ OFFSHORE
Estratto dell’articolo di Marco Grasso per “il Fatto quotidiano”
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
Margherita Agnelli […] dà la caccia ai capitali offshore di famiglia,
che le sarebbero stati occultati nell’accordo sull’eredità. La Procura
di Torino cerca i redditi, potenzialmente enormi, che sarebbero stati
occultati al Fisco, attraverso fiduciarie collegate a paradisi fiscali.
Questi due interessi potrebbero convergere se cadesse il baluardo che
finora ha protetto la successione della dinastia più potente d’Italia:
la presunta residenza elvetica di Marella Caracciolo, moglie di Gianni e
madre di Margherita. Se saltasse questo cardine, le autorità italiane
potrebbero contestare reati tributari e sanzioni fiscali agli Elkann, e
questa storia, come una valanga, potrebbe travolgere anche i contenziosi
civili sull ’eredità, aperti in Svizzera e in Italia.
Sono tre gli indagati nell’in chiesta condotta dal procuratore aggiunto
Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Giulia Marchetti: Gianluca
Ferrero, commercialista della famiglia Agnelli e presidente della
Juventus; Robert von Groueningen, amministratore dell’eredità di Marella
Agnelli (morta nel 2019); John Elkann, nipote di Marella, presidente di
Stellantis ed editore del gruppo Gedi.
L’ipotesi è di concorso in frode fiscale e in particolare di
dichiarazione infedele al Fisco per gli anni 2018-2019. In base
all’intesa sulla successione di Gianni Agnelli nel 2004 […] Margherita
accetta l’estromissione dalle società di famiglia in cambio di 1,2
miliardi; ottiene l’usufrutto su vari beni immobiliari e si impegna a
versare alla madre Marella un vitalizio mensile da 500 mila euro. Di
questi soldi non c’è traccia nei 730, da cui mancano in altre parole 8
milioni di euro (3,8 milioni di tasse).
Il perché gli investigatori si concentrino su quel biennio è presto
detto: per chi indaga Marella Caracciolo, malata di Parkinson, era
curata in Italia. La Procura ritiene che passasse gran parte del tempo a
Villa Frescot, a Torino, oltre 183 giorni l’anno, la soglia dopo la
quale il Fisco ritiene probabile che una residenza estera sia fasulla.
Per questo ieri il Nucleo di polizia economico finanziaria di Torino […]
ha sentito sei testimoni vicini alla famiglia: personale che di fatto
lavorava al servizio di Marella, ma che era stato assunto dopo la morte
del nonno da John Elkann o da società a lui riconducibili, un artificio
che avrebbe rafforzato la tesi della residenza estera della nonna.
Questo è l’anello che mette nei guai l’erede della casata. Per i pm il
commercialista Ferrero avrebbe disposto le dichiarazioni dei redditi
infedeli, mentre l’esecutore testamentario svizzero le avrebbe
controfirmate.
Ci sono inoltre le indagini commissionate da Margherita Agnelli
all’investigatore privato Andrea Galli, confluite in un esposto in mano
alla Procura. Lo 007 ha ricostruito le spese nella farmacia di Lauenen,
villaggio nel cantone di Berna in cui sulla carta viveva Marella
Caracciolo: dalle fatture fra il 2015 e il 2018 emergerebbe che le spese
mediche coprivano il solo mese di agosto. […]
GLI INQUIRENTI cercano di ricostruire il flusso di redditi, la
riconducibilità dei patrimoni e documenti originali in grado di
verificare la validità delle firme sui testamenti. Se dovesse essere
rimessa in discussione la residenza di Marella, si aprirebbe un nuovo
scenario: il Fisco potrebbe battere cassa e contestare mancati introiti
milionari per Irpef, Iva, successione e Ivafe (tassa sui beni esteri).
Gli Elkann sono pronti a difendersi dalle accuse, e hanno sempre
contestato la ricostruzione di Margherita.
DOPO 25 ANNI MARGHERITA HA PENSATO AI
FRATELLI DI YAKY, LAPO E GINEVRA , COME GLI AVEVA DETTO EDOARDO:
Margherita Agnelli vuole costringere per via
giudiziaria i suoi tre figli Elkann a restituire i beni delle eredità di
Gianni Agnelli (morto nel 2003) e Marella Caracciolo (2019).
Un’ordinanza della Cassazione pubblicata a gennaio mette in fila,
sintetizzando i «Fatti in causa», le pretese della madre di John Elkann
nella sua offensiva legale. Il punto d’arrivo è molto in alto nel
sistema di potere dei figli: l’assetto della Dicembre, la cassaforte
(60% John e 20% ciascuno Lapo e Ginevra Elkann) azionista di riferimento
dell’impero Exor, Stellantis, Ferrari, Juventus, Cnh ecc. (35 miliardi).
[…] La Corte suprema nella sua ordinanza si occupa di una questione
tecnica laterale, annullando parzialmente […] la decisione del tribunale
di Torino di sospendere i lavori in attesa dei giudici svizzeri. […] la
Cassazione […] sintetizza in modo neutrale le richieste di Margherita e
cioè, innanzitutto, «che sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia del
testamento della madre».
E dunque «che sia aperta la successione legittima, sia accertata in capo
all’attrice (Margherita ndr) la sua qualità di unica erede legittima
della madre, sia accertata la quota della quale la madre poteva disporre
e […] sia accertata la lesione della quota di riserva a essa spettante».
A questo punto ci deve essere «la conseguente reintegra della quota
mediante riduzione delle donazioni, anche dirette e dissimulate, e
condanna dei convenuti (gli Elkann, ndr) alle restituzioni».
Il tema delle donazioni è fondamentale perché potrebbero essere i
«mattoni» con cui si è costruita la governance a trazione John nella
Dicembre. Margherita «in ogni caso ha chiesto la dichiarazione della sua
qualità di erede del padre (...) e la condanna dei convenuti a
restituire i beni dell’eredità del padre».
La manovra legale è dunque tesa ad azzerare tutto, proiettando
Margherita nel ruolo di unica erede legittima della madre. E
nell’eventuale riconteggio dell’eredità materna entrerebbero le
donazioni anche «indirette e dissimulate».
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON
LAVINIA BORROMEO
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON
LAVINIA BORROMEO
Nella costruzione dell’attuale assetto della Dicembre con John al
comando sono state decisive alcune transazioni con la nonna Marella dopo
la morte (2003) di Gianni Agnelli. Secondo i figli de Pahlen, […] per il
calcolo della quota legittima, nel perimetro ereditario della nonna
Marella dovrebbe entrare anche il «75% della Dicembre, per il caso in
cui si accertasse la simulazione degli atti di compravendita, il cui
valore è stimato in euro 3 miliardi». Sostengono anzi che la nonna abbia
«effettuato donazioni delle partecipazioni della Dicembre al nipote John
per (...) circa 3 miliardi».
John Elkann e la madre Margherita entrano nella cassaforte come soci nel
1996, con Gianni Agnelli al comando. Nel ’99 l’Avvocato modifica lo
statuto e detta il futuro: «se manco o sono impedito — è il senso —
tutti i poteri vanno a John» che, alla morte del nonno, sale al 58%.
L’anno dopo (2004) Margherita vende per 105 milioni il 33% alla madre ed
esce dalla Dicembre sulla base del patto successorio. Subito dopo la
nonna cede tutto ai nipoti, tenendo l’usufrutto: John si consolida al
60%, una leadership che nel suo entourage giudicano «inattaccabile», a
Lapo e Ginevra il resto. È l’assetto attuale di cui però s’è avuta
notizia ufficiale nel 2021, dopo 17 anni di carte, transazioni e patti
tenuti nascosti. Un bug temporale a dir poco anomalo per una delle più
influenti società in Europa, inspiegabilmente tollerato per anni dalla
Camera di Commercio di Torino. Anche su questo fa leva la strategia di
Margherita per «scalare» il sancta sanctorum degli Elkann.
«La costruzione di una residenza estera
fittizia» in Svizzera di Marella Caracciolo «ha avuto una duplice e
concorrente finalità: da un lato, sotto il profilo fiscale, evitare
l’assoggettamento a tassazione in Italia di ingenti cespiti patrimoniali
e redditi derivanti da tali disponibilità; dall’altro, sotto il profilo
ereditario, sottrarre la successione» della vedova dell’Avvocato
«all’ordinamento italiano»: lo scrivono i magistrati di Torino nel
decreto di sequestro che ha portato al blitz di ieri (7 marzo) della
guardia di finanza, nell’ambito dell’inchiesta sull’eredità Agnelli e
sulle presunte «dichiarazioni fraudolente» dei redditi di Marella
Caracciolo. Per questo, è scattata anche una nuova ipotesi di reato:
«truffa aggravata ai danni dello Stato e di ente pubblico (Agenzia delle
entrate)».
Eredità Agnelli, i 734 milioni di euro lasciati da Marella e l'appunto
sulla residenza svizzera: «Una vita di spostamenti»
CRONACA
Eredità Agnelli, i pm e gli appunti della segretaria di Marella Agnelli:
«Sono la prova che non viveva in Svizzera»
Tra i beni in questione - secondo il Procuratore aggiunto Marco
Gianoglio e i pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Marchetti - ci
sarebbero 734.190.717 euro, «derivanti dall’eredità di Marella
Caracciolo».
Per la truffa aggravata sono indagati i tre fratelli Elkann, John,
Ginevra e Lapo, lo storico commercialista della famiglia Gianluca
Ferrero e Urs Robert von Gruenigen, il notaio svizzero che curò la
successione testamentaria.
Gli investigatori - emerge dal decreto - hanno messo le mani anche su un
documento di quattro pagine «riepilogante in forma schematica i giorni
di effettiva presenza in Italia di Marella Caracciolo»: morale, nel 2015
la moglie di Gianni Agnelli dimorò «in Svizzera meno di due mesi»,
contro i 298 giorni passati in Italia. Nel 2018 il conto è di 227 giorni
in Italia e 138 all’estero. Significativa anche la denominazione
dell’ultima pagina del documento: «Una vita di spostamenti».
Un secondo "round" si è combattuto ieri
davanti al tribunale del riesame di Torino tra la Procura subalpina e lo
staff di avvocati che difendono i fratelli Elkann, indagati per truffa
ai danni dello Stato per non aver pagato la tassa di successione su una
porzione di eredità della nonna, pari a 734 milioni di euro.
I penalisti hanno impugnato il decreto con cui i pm il 6 marzo hanno
disposto un nuovo sequestro dei documenti […] già acquisiti dai
finanzieri durante le perquisizioni del 7 febbraio. E gli inquirenti
hanno risposto depositando ai giudici materiale investigativo finora
inedito, tra cui delle intercettazioni e soprattutto i tredici verbali
del personale al "servizio" di Marella Caracciolo.
La tesi accusatoria - secondo cui John Elkann avrebbe fatto figurare che
domestici e infermiere lavoravano per lui, «al fine di non compromettere
la possibilità che la defunta nonna fosse effettivamente residente in
Svizzera» - «appare largamente confermato dalle dichiarazioni» degli ex
dipendenti sentiti come testimoni in Procura. In sostanza, quasi tutti
hanno confermato che prestavano assistenza alla signora Agnelli quando
lei risiedeva nelle dimore torinesi, ossia per la maggior parte
dell'anno.
Nel locale caldaie dell'abitazione del pupillo di Gianni Agnelli, […] i
militari del nucleo economico finanziario di Torino hanno trovato una
ventina di faldoni con i documenti di «domestici, cuochi, autisti,
governante, guardarobiera, maggiordomi». Per realizzare quella che i pm
ritengono esser una «strategia evasiva», ossia non pagare le tasse
sull'eredità in Italia, John avrebbe assunto formalmente il personale
delle residenze di Villa Frescot, Villa To e Villar Perosa che
«assisteva di fatto Marella Caracciolo».
A sommarie informazioni è stata sentita anche Carla Cantamessa, che si
occupava della gestione amministrativa delle abitazioni riconducibili
alla famiglia Angelli-Elkann. […] «al momento della perquisizione (del 7
febbraio, ndr) contattava immediatamente Gianluca Ferrero (il
commercialista di famiglia indagato, ndr), avvisandolo dell'arrivo della
Finanza e mostrando timore e preoccupazione per documenti che avrebbe
dovuto "nascondere"».
In quel momento, però, i finanzieri stavano bussando anche alla porta
del commercialista, che quindi ha subito riagganciato il telefono. Tra
il materiale che le è stato sequestrato ci sono anche documenti sui
«giardinieri dismessi dal 2020», ossia successivamente alla morte di
Marella. La "prova del nove" è che quasi tutti i dipendenti assunti da
John sono stati licenziati dopo che sua nonna, il 23 febbraio 2019, è
deceduta.
Secondo i legali degli Elkann non esistono gli estremi del reato di
truffa ai danni dello Stato nel caso di mancato pagamento della tassa di
successione. Avvalendosi anche di un parere del professore Andrea
Perini, docente di diritto penale tributario, hanno specificato […] che
al massimo si tratta di un illecito amministrativo. Per i pm, invece,
gli «artifizi e i raggiri» previsti dal reato di truffa si sono
concretizzati proprio nel trucco della residenza in Svizzera di Marella,
con il quale i tre nipoti avrebbero «indotto in errore» l'Agenzia delle
entrate […], e così facendo avrebbero tratto «l'ingiusto profitto» di
risparmiare tra i 42 e i 63 milioni di euro di tasse.
Tra l'altro, la «strategia evasiva» è esplicitata nel cosiddetto
«vademecum della truffa» redatto da Ferrero, in cui si consiglia a
chiare lettere «di non sovraccaricare la posizione italiana di Marella
Caracciolo», facendo assumere i suoi dipendenti al nipote maggiore.
L'altro punto su cui insistono le difese è il «ne bis in idem», il
principio in base al quale non si può essere giudicati due volte per lo
stesso fatto.
Ma la truffa ai danni dello Stato era già stata ipotizzata dalla Procura
torinese prima che venisse eseguito il secondo sequestro, ora impugnato
dagli Elkann e da Ferrero. I giudici, dopo quasi quattro ore di udienza,
si sono riservati di decidere entro sabato prossimo. […]
EREDITÀ AGNELLI, 'I QUADRI SONO CUSTODITI AL LINGOTTO'
Francesca Brunati e Igor Greganti per l’ANSA
Sarebbero tutte rintracciate e rintracciabili, e donate dalla nonna ai
nipoti Elkann, le 13 opere d'arte, parte del tesoro lasciato da Gianni
Agnelli, e che un tempo arredavano Villa Frescot e Villar Perosa a
Torino e una residenza di famiglia a Roma, e ora reclamate dalla figlia
Margherita, unica erede dei beni immobili dopo la morte della madre e
moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale ne
aveva l'usufrutto.
E' quanto risulta in sintesi da una relazione depositata alla Procura di
Milano dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf
nell'inchiesta che ha portato il gip Lidia Castellucci ad archiviare la
posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore accusati
di ricettazione e a disporre, su suggerimento di Margherita nella sua
opposizione alla richiesta di archiviazione, ulteriori accertamenti.
L'informativa delle Fiamme Gialle è stata redatta in base alle
testimonianze, riportate nell'atto, di Paola Montalto e Tiziana Russi,
persone di fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate
degli inventari dei beni ereditati. Le due donne, sentite come una terza
persona al servizio della moglie dell'Avvocato, hanno ricostruito che
quelle tele di artisti del calibro di Monet, Picasso, Balla e De Chirico
erano alle pareti dell'appartamento romano a Palazzo
Albertini-Carandini, di cui Margherita ha la nuda proprietà, e che
furono poi donate ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra dalla nonna.
Dichiarazioni, queste, a cui è stato trovato riscontro: come è emerso
successivamente alle tre deposizioni, quasi tutte le opere d'arte sono
state trovate al Lingotto durante una ispezione della Guardia di
Finanza, delegata dalla Procura torinese nell'indagine principale
sull'eredità. Una invece sarebbe in una casa a St. Moritz e una sua
copia nella pinacoteca di via Nizza.
Dalle consultazioni di una serie di banche dati "competenti", in
particolare quelle del ministero della Cultura e la piattaforma S.u.e.
(Sistema uffici esportazione) è stato appurato che non ci sono state
movimentazioni illecite né esistono particolari vincoli sui quadri e che
il Monet, che si sospettava fosse falso, è stato sottoposto a una
perizia che ne ha acclarato l'autenticità.
Visto gli esiti delle nuove indagini, i pm milanesi coordineranno con i
colleghi di Torino, ai quali, non si esclude potrebbero trasmettere gli
atti per competenza. Sul caso fonti vicine a Margherita chiariscono che
"i quadri oggetto di denuncia nel procedimento di Milano (che prosegue)
non possono essere stati donati, in quanto Marella non ne aveva la
proprietà.
Peraltro, non risulta ad oggi formalizzato alcun documento di donazione.
Comunque, qualora le indiscrezioni fossero confermate, vi sarebbero atti
invalidi e verrebbe richiesta l'immediata restituzione delle opere che
sono e restano di proprietà di Margherita Agnelli". Una questione,
quella della proprietà, che potrà sciogliere solo la magistratura.
FAIDA EREDITÀ AGNELLI: IL GIALLO DEI 13 QUADRI E DEGLI ORIGINALI SPARITI
Estratto dell’articolo di Ettore Boffano e Manuele Bonaccorsi per “il
Fatto quotidiano”
Diventa un giallo milionario […] la verità sulle opere della Collezione
Agnelli finite nell'inchiesta penale sull'eredità della vedova
dell’avvocato, Marella Caracciolo.
Secondo un’annotazione della Guardia di Finanza di Milano, consegnata al
procuratore aggiunto milanese Luca Fusco, 13 di quei quadri non
sarebbero infatti scomparsi dalle dimore italiane della dinastia (come
ha denunciato la figlia di Gianni Agnelli, Margherita), ma sarebbero
state donate dalla nonna Marella ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra
Elkann e ora sarebbero “rintracciati e rintracciabili” in un caveau
della Fiat Security al Lingotto e in Svizzera.
Molto diverso, invece, ciò che emergerebbe dalle indagini che stanno
svolgendo la Procura e la Gdf di Torino, dopo un esposto di Margherita
contro i tre figli. Un fascicolo, al quale nei prossimi giorni sarà
allegato quello di Milano, che ha portato i pm torinesi a indagare i tre
Elkann per i “raggiri e gli artifizi” messi in opera per costruire una
“inesistente residenza svizzera” della nonna.
Nei sequestri effettuati lo scorso 8 febbraio, i finanzieri avevano
visitato anche un caveau nella palazzina storica Fiat del Lingotto, dove
erano conservati arredi di valore un tempo presenti nelle residenze
dell’avvocato di Villar Perosa, di Villa Frescot a Torino e
nell’appartamento di Palazzo Albertini davanti al Quirinale.
Il Fatto Quotidiano e Report […] hanno ricostruito però che gli
inquirenti torinesi hanno rinvenuto al Lingotto solo due originali, La
Chambre di Balthus e il Pho Xai di Gérome, e invece tre copie di modesto
valore di altri tre capolavori: il Glacons effect blanc di Monet, La
scala degli addii di Balla e il Mistero e malinconia di una strada di De
Chirico.
Ma dove sono gli originali? Secondo gli Elkann, […] sarebbero sempre
stati a Sankt Moritz, nella villa Chesa Alkyon dell’avvocato. Per il
momento, la Procura torinese sta approfondendo soprattutto le vicende
legate alla residenza svizzera di Marella e agli eventuali resti
fiscali. Ma è probabile che in un secondo tempo, […] i pm ordinino una
perizia per accertare l’esatta datazione delle copie.
Se emergesse, infatti, che esse sono state realizzate dopo il 24 gennaio
2003, giorno della morte di Gianni Agnelli, allora le indagini
potrebbero estendersi a verificare quando e come gli originali hanno
lasciato l’italia per la Svizzera e sostituiti con le copie. Se fosse
mai dimostrato che i tre quadri si trovavano in Italia, allora potrebbe
trattarsi di un reato. E anche piuttosto grave: esportazione illecita di
opere d’arte, punito dal Codice dei beni culturali con una pena dai 2 a
8 anni di reclusione.
Tutto potrebbe essere prescritto: ciò che invece non si prescriverà mai
è il diritto da parte dello Stato di rivendicare il rientro delle opere
in Italia, con un sequestro. A sostegno delle tesi degli Elkann, secondo
la Gdf di Milano, ci sarebbero anche le testimonianze di due segretarie
di Marella, Paola Montaldo e Tiziana Russi, e di un altro domestico che
avrebbero confermato come la nonna avesse donato quei quadri ai nipoti.
Qualcosa che contraddice l’elenco delle opere acquisito dal procuratore
aggiunto Fusco nel 2009, in un’altra inchiesta sull’eredità Agnelli, e
di cui Report e il Fatto Quotidiano sono entrati in possesso. Una lista
ritenuta veritiera da due personaggi chiave: colui che l’ha redatta,
Stuart Thorton, storico maggiordomo inglese di Agnelli, ed Emmanuele
Gamna, ex avvocato di Margherita che trattò la suddivisione delle opere
tra madre e figlia nel 2004.
Il documento riporta quotazione (assai al ribasso) e collocazione delle
opere. Il De Chirico si trovava a Roma: valore 7 milioni. Il Balla
anch’esso era nella Capitale: 2 milioni. C’era infine il Monet che
risultava essere a Villa Frescot: 8 milioni. L’originale non si sa dove
si trovi.
I quadri di Roma […] erano lì almeno fino al 2018, quando un
trasportatore, il torinese Giorgio Ghilardini, li prelevò: la bolla del
trasporto è stata sequestrata dai pm torinesi. Infine, il professor
Lorenzo Canova, direttore scientifico della fondazione De Chirico,
ricorda che il suo maestro, l’insigne storico dell’arte Mauro Calvesi,
aveva visto l’originale di Mistero e melanconia di una strada
nell’appartamento romano dell’avvocato.
“Me lo presterebbe per una mostra”, chiese il critico ad Agnelli.
“Preferirei di no, i quadri a volte voglio scambiarli, questo non voglio
sia notificato al ministero”, avrebbe risposto il “signor Fiat”.
[…] Margherita Agnelli ritiene […]che le opere le siano state sottratte
dall’eredità della madre Marella e, comunque, chiederà la nullità della
presunta donazione ai figli. Ma il punto non è questo. Quelle opere, a
chiunque spettino, devono rimanere in Italia. Così almeno dice la legge
[…]
LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA
FORZA E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e
meteriologiche imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.
Che lo Spirito Santo porti
buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !
CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI
UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O
SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE
AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla
perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !
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ATTENZIONE IL MIO EX SITO
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gratuito:
Marco Bava ABELE: pennarello di DIO,
abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista
responsabile.
Sono quello che voi pensate io sia
(20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)
La giustizia non esiste se mi mettessero
sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni
all'auto.
(12.02.16)
TO.05.03.09
IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA
SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI
PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI IL PANE E LA ACQUA
QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI
REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO,
IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED
IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.
TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE
L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .
SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A
TE.
Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile
"d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale
per questa ragione (12.02.16)
Non prendo la vita di
punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)
La vita e' fatta da
cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si
vorrebbero fare.(20.01.16)
Il mondo sta
diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per
irresponsabilità politica (16.02.16)
I cervelli possono
viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e'
soggettivo. (19.02.17)
L'auto del futuro non
sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che
permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la
PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono .
Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno
, e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di
sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto.
INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone
possono essere confrontate con i prototipi del prossimo
salone.(18.06.17)
La siccità e le
alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che
invece che utilizzare risorse per cercare inutilmente nuovi
pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo,
dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui
rischiano di estinguersi . (31.10.!7)
L'Italia e' una
Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente
con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)
La prepotenza della
FIAT non ha limiti . (05.11.17)
I mussulmani ci
comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)
In Italia mancano i
controlli sostanziali . (09.11.17)
Gli alimenti per
animali sono senza controllo, probabilmente dannosi, vengono
utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un
oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza
alcun rispetto ai loro veri bisogni alimentari. (20.11.17)
Ho conosciuto
l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo
abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)
L'elicottero di Jaky
e' targato I-TAIF. (20.11.17)
La Coop ha le
agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando
come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso
d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato.
(20.11.17)
Sono 40 anni che :
1 ) vedo bilanci
diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni
diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire
che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?
2) faccio esposti e
solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al
Parlamento e' andato avanti ?
(21.11.17)
La Fornero ha firmato
una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)
Si puo' cambiare il
modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)
La FIAT-FERRARI-EXOR
si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro
compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la
residenza fiscale in Sw (21.11.17)
La prova che e' il
femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si
sono rotte ossa, (21.11.17)
Carlo DE BENEDETTI un
grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993
aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo
produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori
CARENA-FIGINI. (21.11.17)
Quando si dira' basta
anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)
Per i consiglieri
indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo
(11.12.17)
La maturita' del
mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione
dei bitcoin (18/12/17)
Chi risponde
civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)
Non e' la FIAT
filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di
non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto
più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della
LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI
(13.02.18).
Infatti quando si
comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella
scissione
Tesi si laurea
sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di
agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e'
diventato il padrone :
Prima di educare i
figli occorre educare i genitori (13.03.18)
Che senso ha credere
in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito
Gesu' che e' il figlio di DIO come provato per ragioni storiche da
almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani
declassano Gesu' da figlio di DIO a profeta perché riconoscono
implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio
di DIO. E tutti gli usi mussulmani rappresentano una palese
involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne
(19.03/18)
Il valore aggiunto per
i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)
I medici lavorerebbero
gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi
per pagarle ? (26.03.18 )
lo sfregio delle auto
di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio
alla polizia con i loro autisti (19.03.18)
Se non si tassa il
lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di
scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto
a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)
Quanto poco conti
l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI
GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla
FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).
Credo che la lotta
alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione
internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare
tangenti (27/04/2018)
Non riusciamo neppure
piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i
mirtilli....(27/04/2018)
Abbiamo un capitalismo
sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare
soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e
degli operai (27.04.18)
Le imprese dell'acqua
e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente
(29.05.18)
Nel 2004 Umberto
Agnelli, come presidente della FIAT, chiese a Boschetti come
amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della
nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio
ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente
Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang
che avrebbe dovuto essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare
la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per
svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che
non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat
perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128
che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una
fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del
carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO venne licenziato da
Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi
disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma
nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la
Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai
venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi
RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO !
Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale
dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per
raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la
Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del
prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate
tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI,
molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)
La differenza fra
ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti
lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che
aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.
FATTI NON PAROLE E
FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi
utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA
DIRETTA. Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha
distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI
GABETTI (04.06.18).
Piero ANGELA : un
disinformatore scientifico moderno in buona fede su auto
elettrica. auto killer ed inceneritore (29.07.18)
Puoi anche prendere il
potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto
(01.08.18)
Ho provato la BMW i8
ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete !
(20.08.18)
LA Philip Morris ha
molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso,
aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari.
Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha
un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che
lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche
l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da
sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager
italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era
anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67
milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio
2018 ). E PROSSIMAMENTE un'uomo Philip Morris uccidera' anche la
FERRARI . (20.08.18) (25.08.18)
Prodi e' il peccato
originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla
FIAT) ad oggi (25.08.18)
L'indipendenza della
Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche
politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che
potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)
Ho sempre vissuto solo
con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed
oggettive. (28.08.18)
Buono e cattivo fuori
dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un
uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza
che i bambini non hanno (20.10.18)
Ma la TAV serve ai
cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri
soldi ? PERCHE' ?
Un ruolo presidenziale
divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una
Repubblica Presidenziale (11.11.2018)
La storia occorre
vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e'
finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)
I SITAV dopo la marcia
a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella
francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)
La storia politica di
Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei
diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della
lungimiranza di Fassino , (18.12.18)
Perche' sono
investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto
per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e
quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi
vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione
non vanno bene ? (27.12.18)
Le auto si dividono in
auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di
valore (28.12.18)
Fumare non e' un
diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria
famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza
sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)
Questo mondo e troppo
cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)
Le ONG non hanno altro
da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli
scafisti ? (11.02.19)
La giunta FASSINO era
inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)
Quello che l'Appendino
chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)
La spesa pubblica
finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari
(19.07.19)
AMAZON e FACEBOOK di
fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il
Governo Americano ?
(09.08.19)
LA GRANDE MORIA DI
STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)
Il computer nella
progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed
innovazione. (17.08.19)
L' uomo deve gestire i
computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non
annullarle (18.08.19)
LA FIAT a Torino ha
fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO !
Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo
di saperlo ! (13.09.19)
Non potro' mai essere
un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il
politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)
L'arretratezza
produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da
anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a
dx.sx, che costa molto (09.10.19)
IL CSM tutela i
Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI
e Davide Rossi ? (10.10.19).
Le notizie false
servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole
(12.10.19)
L'illusione startup
brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli
all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie
al alto valore aggiunto (15.10.19)
Gli esseri umani
soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti
piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e
cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)
Non e' logico che
l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad
emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di
lavoro. (22.10.19)
L'intelligenza
artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi
rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la
massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter
pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci
diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori (24.11.19)
Quando ci fanno
domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati
solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)
La prova che la
qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^
si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere
(27.11.19)
Per combattere
l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e
nel pagamento (29.11.19)
La famiglia e' come
una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti
(25.12.19)
Le tasse
sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa
e sa non importa (25.12.19)
Il calcio e l'oppio
dei popoli (25.12.19)
La religione nasce
come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un
tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)
L'auto a guida
autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed
il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini
Il vero potere della
burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il
cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per
crearli. Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve
essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)
Gli immigrati tengono
fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le
etnie piu' queste divideranno l'Italia sovrastando gli italiani
imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio.
(05.01.20)
La sinistra e la lotta
alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere
come ragione di vita (07.01.20)
Credo di avere la
risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no
a mangiare la mela ? Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai
quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti.
(07.01.20)
Le sardine rappresenta
l'evoluzione del buonismo Democristiano e la sintesi fra Prodi e
Renzi, fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta
(08.01.20)
Un cavallo di razza
corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)
PD e M5S 2 stampelle
non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)
non riconoscere i propri errori significa
sbagliare per sempre (12.04.20)
la vera ricchezza dei ricchi sono i figli
dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai
genitori che credono di non avere nulla da perdere ! (03.11.21)
GLI YESMEN SERVONO PER
CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI
INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)
DALL'INTOLLERANZA NASCE LA
GUERRA (30.06.22)
L'ITALIA E' TERRA DI
CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)
La dimostrazione che non
esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin
che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)
Cara Meloni nulla giustifica
una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)
I politici che non
rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)
Di chi sono Ambrosetti e
Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi
li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb
Piero Angela ha valutato che
lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ?
(30.12.22)
Le leggi razziali = al Green
Pass (30.03.23)
Dopo 60 anni il danno del
Vaiont dimostra il pericolo delle scelte scientifiche come il nucleare,
giustificato solo dalle tangenti (10.10.23)
LA
mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,
perche' DIO ESISTE, ANCHE SOLO per assurdo.
IL MONDO HA
BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO'
CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !
PER QUESTO IL
MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !
LA VIOLENZA
DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI
che potrebbe stare dietro a Berlusconi.
IL GOVERNO
DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI, IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO
perche' vetusto obsoleto e compromesso !
E' UN GIOCO AL
MASSACRO dell'arroganza !
SE NON CI
FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !
Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo
vincere .Mb 15.05.13
Torino 08.04.13
Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria
economica del valore che definisce
1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:
Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il
fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del
fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la
produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.
2) liberalizzazione dei taxi
collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a
tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare
per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i
cittadini.
3) tre sono gli obiettivi principali
della politica : istruzione, sanita', cultura.
4) per la sanità occorre un centro
acquisti nazionale ed abolizione giorni pre-ricovero.
LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO
E RISPARMIO.(02.02.10)
Se non hai via di uscita,
fermati..e dormici su.
E' PIU' DIFFICILE
SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
Ciascun uomo vale in funzione
delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
Vorrei ricordare gli uomini
piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto
fare !
LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA
MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE
PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
PIU' I MEZZI SONO POVERI X
RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA
MORTE.
MEGLIO NON ILLUDERE CHE
DELUDERE.
L'ITALIA , PER COLPA DI
BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3
VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU'
POVERI ALMENO 2 VOLTE.
LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI
DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',
QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ' CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE
E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL
10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE
CHIESE)
la vita eterna non puo' che
esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento
di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA
VERAMENTE UNA STRADA.
QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI
CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER
AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
IL PRESENTE E' FIGLIO DEL
PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER
DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER
ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI
TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
IL DISASTRO
DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE
STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
Quante
testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate
per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI
PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI
SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)
L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne'
temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata
per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la
cruna di un ago ..."
sapere x capire (15.10.11)
la patrimoniale e' una 3^
tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)
SE LE FORZE DELL'ORDINE
INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE
MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117 PER UN PROBLEMA BANALE MI HA
RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)
GRAN PARTE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON
ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI (
DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)
Spesso chi compera auto FIAT lo
fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)
Gli immigrati per protesta nei
centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli
affinché li redistruggono? (18.10.20)
Abbiamo più rispetto per le cose che per le
persone .29.08.21
Le ragioni per cui Caino ha ucciso
Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)
Quelli che vogliono l'intelligenza
artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche
telefoniche? (24.11.22)
L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA
PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI
GESU'. 15.06.09
DIO CON I PESI CI DA
ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA
FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)
IL BAVAGLIO della Fiat nei miei
confronti:
IN DATA ODIERNA HO
RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del
gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con
attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso
cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi
amministratori. Fatte salve iniziative
autonome anche
davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal
proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora,
veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie
tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per
tutelare le quali mi riservo iniziative
esclusive
dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09
TEMI SUL
TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:
IL TRIBUNALE DI TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA
TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE
Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie
dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la
Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di
minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto
come e quando vuole, basta leggere la sentenza
PERCHE' TORINO
HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?
Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo
citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI. Gli feci presente che
dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato
incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui
disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo
delle indagini.
A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza
aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del
"suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.
Mb
02.04.17
grazie a
Dio , non certo a Jaky, continua la ricerca della verità sull'omicidio
di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il
servizio de LA 7, e gli articoli di Visto, ora il Corriere e Rai 2 ,
infine OGGI , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio
portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10
ANTONIO
PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-
CRONACA
| giovedì 10 novembre 2011,
18:00
Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".
Il
giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla
famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di
curiosità ed informazioni inedite
Per
dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli,
precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano,
sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare
autopsia.
Anonime
“fonti investigative” tentarono in più occasioni di
screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava
un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia
fu mai fatta.
Ora
Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che
accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante,
pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la
prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche
raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa
settimana presenta.
Perché
la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo
destinato a ereditare il più grande capitale industriale
italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici
però che riguardano la famiglia Agnelli.
Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione
del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei
rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio
Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo
di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi,
Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che,
nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano
assai più di politici e governanti.
Il
volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta
sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose
e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più
importante d’Italia.
Mondo AGNELLI :
Cari amici,
Grazie mille per
vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa
storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana
scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie
Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in
piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in
Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei
torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )
Un libro che riporta palesi falsita'
sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con
Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad
ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta.
Intanto anche grazie a queste falsita' il prezzo del libro passa da 15 a
19 euro! www.marcobava.it
17.12.23
Il Sole 24 Ore:
La Giovanni Agnelli Bv ha deciso
di rivedere anche il sistema di governance. Le nuove disposizioni, […]
identificano tre interlocutori chiave tra gli azionisti: il Gruppo
Giovanni Agnelli, il Gruppo Agnelli e il Gruppo Nasi. Si tratta di tre
blocchi che raggruppano a loro volta gli undici rami famigliari storici.
Il primo quello della Giovanni Agnelli coincide con la Dicembre e dunque
pesa per il 40%. Segue il gruppo Agnelli con il 30% e il gruppo Nasi a
cui fa capo il 20%. I componenti del cda della GA BV sono espressione
proprio di questi tre “macro” gruppi famigliari della dinastia torinese.
Ognuno di loro esprime due rappresentanti nel board della Giovanni
Agnelli Bv e uno nel board di Exor. Oggi il Gruppo Giovanni Agnelli ha
indicato nel board della società olandese Andrea Agnelli e Alexander
Von Fürstenberg. E questo nonostante Andrea Agnelli, che nel
frattempo vive stabilmente ad Amsterdam, di fatto faccia parte di un
altro blocco, quello del Gruppo Agnelli.
Per quest’ultimo i due membri del board sono Benedetto della Chiesa e
Filippo Scognamiglio. Infine, per il gruppo Nasi Luca Ferrero
Ventimiglia e Niccolò Camerana. I consiglieri del Cda della Bv sono
nominati ogni 3 anni e decadono automaticamente al compimento di 75
anni. Ogni gruppo inoltre esprime un proprio rappresentante nel Cda
di Exor che oggi sono Ginevra Elkann (Gruppo Giovanni Agnelli), Tiberto
Ruy Brandolini D’Adda (Gruppo Agnelli) e Alessandro Nasi (Gruppo Nasi).
Accanto al cda dell Bv resta in vita il Consiglio di famiglia, organo
non deliberativo ma consultivo e formato da 32 membri.
Questa la nuova struttura
societaria della Giovanni Agnelli Bv
per quote di possesso.
Dicembre (John Elkann , Lapo e Ginevra): 39,7%
Ramo Maria Sole Agnelli: 11,2%
Ramo Agnelli (Andrea Agnelli e Anna Agnelli): 8,9%
Ramo Giovanni Nasi: 8,7%
Ramo Laura Nasi-Camerana: 6%
Ramo Cristiana Agnelli: 5,05%
Ramo Susanna Agnelli: 4,7%
Ramo Clara Nasi-Ferrero di Ventimiglia: 3,4%
Ramo Emanuele Nasi: 2,5%
Ramo Clara Agnelli: 0,28%
Azioni proprie: 8,2%
Dovranno andare avanti le
indagini della Procura di Milano con al centro il tesoro di Giovanni
Agnelli, 13 opere d'arte che arredavano Villa
Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma,
sparite anni fa e ora reclamate dalla figlia Margherita unica erede dopo
la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di
Castagneto, la quale aveva l'usufrutto dei beni.
Mentre riprenderà a Torino la battaglià giudiziaria sull' eredità
lasciata dall'Avvocato, il gip milanese Lidia Castellucci, accogliendo
in parte
i suggerimenti messi nero su bianco da Margherita nell'opposizione alla
richiesta di archiviazione dell'inchiesta, ha indicato al pm Cristian
Barilli e al procuratore aggiunto Eugenio Fusco di raccogliere le
testimonianze di Paola Montalto e Tiziana Russi, entrambe persone di
fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari
dei beni ereditati, e di consultare tutte le banche dati «competenti»
comprese quelle del Ministero della Cultura e la piattaforma S.U.E.
(Sistema Uffici Esportazione).
Secondo il giudice, che invece ha archiviato la posizione di un
gallerista svizzero e di un suo collaboratore indagati per ricettazione
in base
alla deposizione di un investigatore privato a cui non sono stati
trovati riscontri (secondo lo 007 avrebbero custodito in un caveau a
Chiasso il
patrimonio artistico), gli ulteriori accertamenti potrebbero essere
utili per identificare chi avrebbe fatto sparire la collezione composta
da
quadri di Monet, Picasso, Balla, De Chirico, Balthus, Gérome, Sargent,
Indiana e Mathieu.
Collezione di cui Margherita ha denunciato a più riprese la scomparsa,
gettando ombre anche sui tre figli del primo matrimonio: John, Lapo e
Ginevra Elkann, e in particolare sul primogenito.
I quali «della sorte o delle ubicazioni di tali opere», hanno saputo
«riferire alcunché».
E poiché ora lo scopo è recuperarle dopo che, per via dei vari
traslochi, si sono volatilizzate, «appare utile procedere
all'escussione» delle due
donne che «si sono occupate degli inventari degli immobili» e che,
quindi, «potrebbero essere a conoscenza di informazioni rilevanti» in
merito agli spostamenti dei quadri e alla «eventuale presenza di
inventari cartacei da esse redatti».
E poi per «verificare le movimentazioni di tali opere, appare opportuno»
compiere accertamenti sulle banche dati comprese quelle del
ministero.
Infine, per effetto di un provvedimento della Cassazione, torna ad
essere discusso in Tribunale a Torino il procedimento penale, promosso
da
Margherita nei confronti dei figli John, Lapo e Ginevra Elkann per una
questione legata all'; eredità di suo padre.
Il processo era stato sospeso in attesa dell'esito di due cause in
Svizzera, ma ieri la Suprema Corte ha respinto il ricorso degli Elkann,
come
hanno fatto sapere fonti legali vicine alla loro madre, e ha stabilito
essere «pienamente sussistente la giurisdizione italiana», annullando
l'ordinanza torinese.
«Nella verifica che tali giudici saranno chiamati ad effettuare -
sottolineano gli avvocati - si dovrà tener conto anche della residenza
abituale
di Marella Caracciolo», che a loro dire era in Italia, «e della
opponibilità dell'accordo transattivo del 2004 nella successione
Agnelli, con
possibili rilevanti ripercussioni sugli assetti proprietari della
Dicembre», la società che fa capo agli eredi.
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Briosa e chic en plein air
Piacevole da guidare, la Fiat Nuova 500 Cabrio è una citycar elettrica
dallo stile elegante e ricercato. Comoda solo davanti, ha una discreta
autonomia e molti aiuti alla guida. Ma dietro si vede poco o nulla.
Quando lo dicevo io a Marchionne lui mi sfotteva dicendo che ci avrebbe
fatto un buco. Ecco come ha distrutto l'industria automobilistica
italiana grazie al potentissimo Fassino, grazie ai suoi elettori da 40
anni.
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borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.
Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale
livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.
In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri
dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e
approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: "Manderò loro profeti e apostoli
ed essi li uccideranno e perseguiteranno", perché a questa generazione
sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio
del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso
tra l'altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a
questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della
conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi
l'avete impedito».
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo
in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli
insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa
bocca
PUTIN ENTRA DEFINITIVAMENTE ALL'INFERNO E
Alexei Navalny IN PARADISO
In linea con l'omicidio di Gesu' Israele
continua ad uccidere e dal patto con DIO e' passata a quello con satana.
PROPOSTA AI PARTITI DI COSTITUIRE IL FRONTE ANTIFASCISTA GIACOMO
MATTEOTTI
PER LA TRIOLOGIA DELLA PACE:
Intervento fatto al Collegio Carlo Alberto di Torino sulla censura
assembleare dell’art.11 del Decreto Capitali
E’ sempre positiva una analisi storica democratica.
Qui in p.za Arbarello a TORINO c'era la Facolta' di Economia ed ho
imparato l’ economia industriale dal prof Goss Pietro.
Che dai 25 anni ho potuto applicare concretamente direttamente con
Gianni Agnelli.
L’invidia dei docenti di Economia di TORINO per questa mia
esperienza formativa , mi e’ costata 16 anni di blocco per la
laurea in Economia a Torino , ottenuta poi in 16 mesi a Novara, a
cui e’ seguita una 2^ laurea in giurisprudenza a Torino per
riabilitarmi con il prof.Dezzani di Economia e Commercio a Torino.
Altri 20 anni mi blocca Economia e Commercio di Torino per l'esame
da dottore Commercialista che poi supero a Roma.
A 30 anni proposi a Gianni Agnelli superFIAT, LA FUSIONE IFI
FIAT , che mi chiese di portare a Cuccia, e che Gabetti e Galateri ,
con cui collaboravo, ed a cui chiesi un aiuto, mi bloccarono.
Umberto Agnelli attraverso Boschetti mi propose di rifare la Stilo,
ma Morchio si oppose .
Muoiono Edoardo Agnelli Gianni Agnelli e Umberto Agnelli
, Gabetti ,attraverso donna Marella e Yaky sceglie Marchionne
che privo di conoscenze automobilistiche, ha lasciato a Yaky la
sola scelta di VENDERE la Fiat che sta progressivamente riducendo la
produzione negli stabilimenti italiani.
A cui Cirio Urso e Pichetto rispondono rifiutando l’esame del mio
PROGETTO H2 PER AUTOTRAZIONE. Lo trovate sul mio sito
www.marcobava.it. Mentre DENORA ne REALIZZA uno suo IN LOMBARDIA
programmando il più importante stabilimento europeo di
elettrolizzatori per produrre H2 , affiancata da SNAM dopo che se
ne parlato nell’assemblea aperta di Snam 1 mese fa, in cui viene
convita del futuro della produzione dell’H2 con elettrolizzatori che
fara’ appunto con Denora in Lombardia. Ed io prevedo che seguira’ la
produzione delle auto ad H2 in Lombadia invece che in Piemonte
, che forse saranno finanziate da Unicredito e S.PAOLO. Queste sono
visioni strategiche.
Tutto cio’ mentre a Torino ed in Italia il presidente del S.PAOLO
ispirando l’art.11 fascista
del Decreto capitali, censura, in Italia, unica nel mondo, la
democrazia nelle assemblee, pero’ non applicata da Snam che
forse non e’ un importante cliente di S.PAOLO.
Prof Goss Pietro E’ COSCIENTE dei danni che questa sua censura
democratica sta provocando e provocherà rispetto alla storia del
paese che avete illustrato ?
Perche’ lo sta facendo viste le conseguenze di impoverimento
regionale e nazionale ?
Qual’e’ il fine ? il POTERE FINE A SE STESSO come mi risposte anni
fa Grande Stevens ?
La stessa decadenza si manifesta anche attraverso le assemblee
Juventus in cui, anche se non sono state mai chiuse , sono stato
aggredito 2 volte dallo staff. Tutto cio’ non puo’ che portare alla
vendita della Juve come e’ successo per Fiat portando sempre piu’ il
Piemonte verso la deriva democratica ed economica.
Senza democrazia in economia non ci può essere sviluppo. Siete
d’accordo ?
Per confermare quale fosse il grado di conoscenza che avevo con GA che
mi ha insegnato dare il 5 posso aggiungere che :
soffriva di insonnia per cui leggeva ed alle 12 aveva sonnolenza
amava la boxe
quando aveva una influenza si curava con la penicellina
Sul prof.GP posso invece ricordare:
che ho concordato l'appoggio alla sua prima nomina a presidente di
Intesa S.PAOLO con il prof.Bazoli in cambio di una sua presidenza
onoraria con partecipazione alle decisioni strategiche;
che gli ho proposto una fusione di Unicredito in Intesa S.Paolo
IL GIUDIZIO SPREZZANTE DEL PROF.GROSS PIETRO:
Mb
08.01.25
COSÌ LA GRANDE SPECULAZIONE DEI FONDI SPECIALIZZATI SULL’ENERGIA HA
RADDOPPIATO I PREZZI DEL METANO
Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della
Sera”
Ieri il prezzo del gas in Europa, misurato alla cosiddetta Title
Transfer Facility (Ttf) di Amsterdam, è sceso rapidamente: meno
4,89% in un giorno a 47,2 euro a megawattora, la quotazione più
bassa dell’ultima decina di giorni. Ma quel valore fissato all’Intercontinental
Exchange (l’Ice) in Olanda resta il doppio rispetto a undici mesi fa
e quasi un quarto sopra ai livelli di metà dicembre.
L’interruzione del flusso di metano dalla Russia attraverso
l’Ucraina è la ragione apparente; i movimenti degli hedge fund e
altri fondi d’investimento sul quel mercato invece è quella reale.
Un’analisi del Ttf mostra che, almeno negli ultimi dodici mesi, il
prezzo del gas ha seguito le mosse di una specifica categoria di
partecipanti all’Ice: un gruppo di 380 fra hedge fund e altri fondi
d’investimento. Sembrano essere stati loro a determinare le
quotazioni con le loro scelte, non di rado puramente speculative. Il
prezzo del gas alla Ttf è infatti salito nell’ultimo anno con il
crescere dei volumi delle posizioni rialziste assunte dai fondi
attraverso i futures, cioè attraverso contratti derivati a scadenza
fra un mese o su altri periodi per lo più brevi.
I dati dell’Ice dicono che in gennaio e febbraio scorsi le posizioni
nette sulla Ttf dei fondi erano ribassiste in misura crescente. E il
prezzo del gas infatti è sceso, da 29 a circa 23 euro a megawattora.
Da marzo alla fine di giugno però i volumi su posizioni rialziste
nette — cioè sul saldo fra «long» e «short» — sono saliti sempre di
più, fino a scommesse al rialzo dei prezzi per volumi di forniture
da 149 milioni di megawattora. Con quelle, il prezzo del gas alla
Tff è salito in parallelo a 34 euro a megawattora.
Di solito un investitore speculativo compra un contratto a scadenza
con consegna del prodotto - per esempio - fra un mese o fra tre mesi
a un prezzo superiore a quello del momento, se pensa che quel prezzo
salirà. Che troverà dunque qualcuno disposto a comprare a quel
prezzo. Ma il fatto stesso di rastrellare futures con prezzi più
alti ne alimenta la domanda, altera la percezione del prezzo
«giusto» e finisce per trascinare al rialzo le quotazioni.
È ciò che accaduto da giugno in poi. Da quel momento, i fondi all’Ice
di Amsterdam hanno continuato ad ammassare posizioni rialziste. A
fine novembre erano raddoppiate, come volumi, rispetto ai livelli di
cinque mesi prima. E il prezzo del gas Ttf aveva seguito fedelmente
le loro mosse, salendo fino quasi a 50 euro a megawattora. […]
Certo ad alimentare quelle posizioni rialziste dei fondi sono stati
due fattori: prima l’attesa dell’interruzione a fine anno dei flussi
dalla Russia, pari al 5% delle forniture via gasdotto all’Europa;
poi le previsioni meteo di un inverno freddo. Così i prezzi sono
saliti anche se in realtà l’offerta di gas è sempre rimasta
abbondante.
Il paradosso è che gran parte dei prezzi su volumi immensi di gas
fisico in Europa sono trainati dalle quotazioni della Ttf, cioè
dalle scelte di pochi hedge fund su piccoli volumi virtuali espressi
in contratti futures. Così il mercato reale funziona malamente. Ma
quello finanziario all’Ice funziona così bene, per gli hedge fund,
che il loro numero quali investitori sulla Ttf è raddoppiato negli
ultimi due anni da 186 a 380.
2 - ALLARME GAS, NEGLI USA SALE DEL 10%
Estratto dell’articolo di Fausta Chiesa per il “Corriere della Sera”
[…] nel frattempo si apre un altro fronte: negli Stati Uniti,
diventati il primo fornitore di gas naturale liquefatto dell’Europa
assieme al Qatar, il prezzo del gas ieri è balzato fino a un massimo
del + 10,7% in un solo giorno. Sul mercato Henry hub ha toccato i
3,71 dollari per million British thermal units, tre mesi fa
scambiava sotto 2,5 dollari.
Un rialzo stabile delle quotazioni americane causerebbe rincari
anche nella Ue, che già paga il Gnl più del metano via gasdotto.
Ieri il presidente Joe Biden, il cui mandato scade tra due
settimane, ha vietato nuove trivellazioni offshore di petrolio e gas
nella maggior parte delle acque costiere, uno sforzo dell’ultima ora
per bloccare un’eventuale azione dell’amministrazione Trump volta a
espandere le esplorazioni.
Ma è stato soprattutto il freddo intenso a far schizzare il prezzo
negli Usa. Freddo a cui si guarda anche in Europa per la tenuta del
livello degli stoccaggi. Per far scendere le quotazioni, il ministro
dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha proposto di mettere un
tetto al prezzo.
«La stampa internazionale finora non ha dato seguito alla proposta
italiana — commenta Simona Benedettini, economista dell’energia — e
per vedere quali sono le opinioni dei partner Ue il primo Consiglio
europeo dell’energia sarà il 17 marzo. Ma introdurre un tetto
sarebbe rischioso in un momento in cui dobbiamo sostituire il gas
russo e c’è una ripresa della domanda asiatica, soprattutto da parte
della Cina. Il tetto renderebbe il mercato europeo meno attrattivo».
Sul consenso nella Ue, poi, ci sarebbe da mettere in conto una
prevedibile opposizione dei Paesi Bassi, grandi produttori ed
esportatori di metano, e probabilmente anche della Francia, che
esporta energia elettrica da fonte nucleare facendola pagare più
delle tariffe che applica internamente. L’Italia l’anno scorso ha
importato 52 Terawattora di energia su poco più di 300 Thw di
consumi annuali nazionali (dati Terna).
Ma anche se il gas non dovesse salire più e si stabilizzasse attorno
a 48-50 euro al megawattora si tratterebbe comunque di livelli più
alti di un anno fa e con aumenti del 20% nelle ultime tre settimane.
Rincaro che — riporta un’analisi del centro studi di Unimpresa —
rischia di costare caro alle piccole e medie imprese italiane. Il
consumo delle Pmi è di circa 10 miliardi di metri cubi annui su 61
miliardi complessivi in Italia. L’aumento di 15 euro comporterebbe
un aggravio di 1,575 miliardi. […
Nel palazzo milanese dove è registrata la filiale del gruppo Usa:
"Mai sentita nominare"
Clienti in Italia e fatture in Irlanda "La sede? Qui nessuno ne sa
niente" francesco moscatelli
gianluca paolucci
milano
Nessuna insegna. Nessun logo. Nessuna cassetta postale. «Starlink
Italy Srl? Mai sentita. Sicuri che abbia sede qui?». Il portiere di
"Abruzzi 94" - grattacielo formato mignon affacciato all'angolo fra
la circonvallazione e piazzale Loreto nel quale hanno sede gruppi
multinazionali, brand come Shiseido e Wella - di Elon Musk e della
sua azienda di comunicazioni satellitari non ha mai sentito parlare.
«Se ci fossero dei dipendenti lo saprei, qui conosco tutti»,
aggiunge consultando un librone zeppo di sigle e nomi di società.
Starlink non compare né nell'elenco delle aziende di cui accettare
la posta, né in quello delle aziende la cui corrispondenza è invece
da respingere. Probabilmente ex inquilini. «Niente, nessuno ne sa
niente» conferma il custode dopo aver fatto un paio di telefonate.
«Forse si tratta di una società che qui ha solo il domicilio. Però
non è nemmeno delle più grosse, perché quelle anche solo per sentito
dire me le ricordo».
Eppure, la filiale italiana del colosso Musk, quella che starebbe
trattando un contratto da 1,5 miliardi per cinque anni con il
governo, ha sede proprio in questo palazzo milanese.
Starlink Italia ha anche un account X. Attivato nel 2020, è stato
abbandonato pochi mesi dopo. Salvo riattivarsi nell'estate del 2021
per un singolo post che recita così: «P am. P@Laogauzill.pv m p.
L'ho p in mn.M l po. m. Nel». Poi più nulla.
Per trovare l'unica esile traccia italiana di Starlink, bisogna
contattare gli uffici della Bdo Italia Spa, un network di società di
consulenza e revisione contabile dove lavorano fiscalisti e legali.
Un colosso che opera in 167 Paesi con oltre 1.650 uffici e che in
Italia ha oltre 1.200 dipendenti e 80 partner. A Milano ha sede
proprio al decimo piano di "Abruzzi 94". «Eccola qui, Starlink Italy
Srl» confermano dalla segreteria di Bdo dopo aver a loro volta
controllato un lungo elenco. Parlare con il commercialista associato
che se ne occupa, però, risulta alquanto complicato. «Il partner ci
ha detto di riferirvi che senza il permesso di Starlink non può
rilasciare alcuna dichiarazione in merito alla loro attività» si
congedano con gentilezza dalla segreteria. Eppure, la società è viva
e vegeta. Guidata da due manager di SpaceX (Richard J. Lee e Lauren
Ashley), lo scorso 2 gennaio ha depositato in Camera di commercio,
con singolare tempismo, l'ultimo bilancio. È quello del 2023, è
stato approvato in ritardo e non è ancora disponibile. Ma cercare
qui i numeri veri del servizio Starlink con i circa 40 mila clienti
italiani è inutile. I servizi vengono infatti fatturati in Irlanda,
dalla Starlink Internet Services ltd. Con uno schema classico dei
colossi hi-tech che scelgono di registrare ricavi in Irlanda per
abbattere il proprio carico fiscale, nel 2023 questa società ha
avuto ricavi per 358 milioni di euro, letteralmente esplosi dai 122
milioni dell'anno prima. L'utile netto - dopo le tasse - è stato di
6,2 milioni. Quanta parte dei ricavi venga realizzata nei vari paesi
europei dove Starlink opera e con che tipologie di clienti è però
complicato da stabilire. «Un'analisi dei ricavi per categorie di
attività e mercati geografici non è fornita in quanto, secondo gli
amministratori, potrebbe essere seriamente pregiudizievole per gli
interessi della società», è scritto nel bilancio.—
Stop ai consulenti, saranno gli utenti a segnalare post falsi.
Zuckerberg : "Ritorno alle origini"
Facebook cancella il fact-checking: basta censura Facebook eliminerà il programma fact-checking per il
controllo delle informazioni condivise sulla piattaforma. Lo ha
annunciato Mark Zuckerberg in un video pubblicato sui social della
galassia Meta. Una svolta che pone fine all'era dei social network
controllati da figure esterne, i cacciatori di bufale. Il controllo
delle informazioni sarà affidato agli utenti stessi che potranno
aggiungere note ai post quando riterranno che le informazioni
contenute siano false o fuorvianti.
Di fatto il social si affida alla competenza dei suoi stessi
iscritti, esattamente come avviene su X.com, il social di Elon Musk.
«Per noi è un ritorno alle origini, ai nostri valori sulla libertà
di espressione», ha detto Zuckerberg in video, accusando l'attuale
sistema di fact-checking di essere scivolato troppo spesso nella
censura. Avviato nel 2016, affidato a una serie di società chiamate
a controllare e verificare le informazioni condivise (90
organizzazioni in 60 lingue), il programma fact-checking nasceva per
cercare di arginare il fenomeno della disinformazione online. Il
controllo si è poi allargato ai contenuti in grado di offendere
minoranze, orientamenti sessuali e religiosi.
Per Zuckerberg le maglie di questo controllo sono diventate troppo
strette. Impedendo la libera circolazione di idee. Forse la causa
sono stati i controllori stessi e i loro pregiudizi, che avrebbero
penalizzato i contenuti politici degli utenti di estrazione
repubblicana, o in generale di destra, a volte più inclini alla
condivisione di post più aggressivi. Ma quella è una fetta
importante di utenti delle piattaforme. E Meta non vuole più
penalizzarla. «Voglio solo assicurarmi che le persone possano
condividere i loro pensieri e le loro convinzioni sulle nostre
piattaforme, senza censura», ha ragionato Zuckerberg. Consapevole
che la scelta è comunque dettata da una situazione politica
radicalmente cambiata. Donald Trump, l'uso disinvolto dei social di
Musk (che ha elogiato la svolta), sono effetto di un clima diverso.
Sono testimoni non solo della fine di un approccio politicamente
corretto alla comunicazione online. Ma forse anche alla fine di
aziende chiamate a sposare cause sociali per vendere prodotti. E
anche alla fine dell'illusione che la grande piazza globale possa
essere indirizzata da un pool di esperti e dalle loro idee su cosa
sia vero e cosa no. a. roc.
l bando che sembra su misura per la compagnia usa
La Lombardia apre al web spaziale Sperimentazione di satelliti per portare internet nelle aree
periferiche a bassa connettività. La Regione Lombardia pubblicherà
il bando di gara entro uno o due giorni sulla piattaforma telematica
Sintel. E non il 7 gennaio come previsto in precedenza, vista la
decisione del rinvio per verificare l'adeguamento al Dlgs correttivo
al codice degli appalti.
Governo e giunta regionale hanno dato mandato ad Aria, azienda della
Regione per l'innovazione e gli acquisti, diselezionare i fornitori
interessati a cui affidare la tecnologia complementare alla fibra.
C'è attesa di una partecipazione da parte di Starlink di Elon Musk.
Ma nella schiera di operatori noti ci sono anche le società Viasat,
le australiane NBN Sky Muster e Telstra, la canadese TeleSat, la
lussemburghese SES SA, OneWeb dell'inglese Eutelsat, Project Kuiper
di Amazon, l'inglese EchoStar Mobile e l'araba Thuraya. Se dal
progetto pilota arrivasse un feedback positivo, peraltro, potrebbero
seguire altre regioni, probabilmente una del Centro Italia e una del
Sud, sebbene la connessione satellitare non sostituisca né riesca a
competere con quella in fibra.
Nel dettaglio della sperimentazione delle «reti space-based per la
fornitura di capacità di backhauling satellitare in sinergia con
quelle terrestri nelle aree a difficile connettività» in Lombardia,
è previsto un finanziamento di 5 milioni di euro, per la quota del
Dipartimento per l'innovazione, e di 1,5 milioni dalla Regione
Lombardia. Per il capogruppo del Pd regionale, Pierfrancesco
Majorino, questo bando «sembra disegnato per Elon Musk. Vogliamo
vederci chiaro. La connessione nelle zone non coperte è
fondamentale, ma dovrebbe essere garantita dal pubblico». g.tur. —
L'inarrestabile ascesa di Starlink Obiettivo, il monopolio dei
satelliti
Arcangelo Rociola
Roma
Alle 20:43 di lunedì 6 gennaio, mentre in Italia si ragionava
sull'opportunità o meno di considerare Starlink un'azienda
affidabile per la comunicazione di dati governativi, un razzo di
SpaceX partiva da Cape Canaveral per portare in orbita 24 nuovi
satelliti della sua controllata. Si è trattato del lancio numero 221
per la società di Elon Musk. Lancio che ha portato il numero di
satelliti Starlink mandati in orbita a 7.656. Di questi 6.906
funzionanti, il resto si è perso o è andato distrutto. Numeri che
confermano il primato dell'azienda nel mercato dei satelliti a bassa
orbita (Costellazioni Leo, acronimo inglese per Low Earth Orbit).
Starlink è la costellazione satellitare per la trasmissione dati più
estesa e capillare al mondo. Ed è il dato da cui partire prima di
porsi domande e ragionare.
l1Perché internet via satellite è diventata così importante?
Internet via satellite è fondamentale in situazioni critiche:
catastrofi ambientali, emergenze, guerre. In caso di guerra
cinetica, uno stato potrebbe attaccare le infrastrutture di
comunicazione (come in Ucraina). Ma un satellite è più difficile da
distruggere o hackerare.
l2Quali sono i numeri di Starlink e SpaceX?
Starlink è un'azienda controllata da SpaceX (fondata nel 2002 in
Texas, ha 13 mila dipendenti). Ha circa 3 milioni di abbonati. 40
mila in Italia. Non ci sono dati ufficiali sui conti della società,
che non è quotata, ma secondo Bloomberg contribuisce per circa 3
miliardi ai 10 miliardi di ricavi di SpaceX.
l3Quali servizi offre a governi e eserciti?
SpaceX una divisione destinata alle applicazioni governative e
militari. Si chiama Starshield. Un centinaio di satelliti in grado
di raccogliere dati terrestri, offrire soluzioni di comunicazione
crittografata per scopi militari e governativi. Attualmente è
ampiamente in uso dal Dipartimento della Difesa americana. L'Italia,
nel caso in cui decidesse di affidarsi a SpaceX, sarebbe la prima
nazione europea a farlo.
l4Quali i servizi per cittadini e imprese? Conviene?
Internet via satellite porta la rete veloce in aree difficilmente
raggiungibili dalle normali connessioni via cavo. Aree di montagna,
zone remote, alto mare. In Italia si è ipotizzato che Starlink possa
aiutare a raggiungere gli obiettivi di copertura delle aree grigie,
quelle senza banda larga, per centrare gli obiettivi del Pnrr. Ma
privati e imprese che possono avere una normale rete veloce via cavo
non hanno un motivo reale di scegliere quella che viene da una
costellazione Leo.
l5Cosa intendiamo per costellazioni Leo?
Sono costellazioni a orbita bassa, gruppi di satelliti che orbitano
sulla Terra, generalmente tra i 160 e i 2.000 chilometri.
l6Quanti ce ne sono al momento intorno alla Terra?
Il numero di satelliti a orbita bassa lanciati da progetti pubblici
e privati è circa 10.000.
l7Quali sono le alternative a Starlink?
Esistono diversi progetti alternativi. Ma minori. Amazon sta
sviluppando una costellazione di satelliti simile a Starlink. Il
piano prevede 3.236 satelliti. In Europa il progetto più grande è il
progetto franco-inglese OneWeb, che al momento ha una rete di 620
satelliti. Altri progetti sono Telesat Lightspeed, canadese, che ha
una rete di 198 satelliti. AST SpaceMobile, texana, ne ha al momento
243.
l8Cosa sta facendo l'Unione europea?
Per creare un'alternativa europea a Starlink, l'Ue ha finanziato a
dicembre un piano da 10 miliardi il lancio di 300 satelliti.
Dovrebbero essere pronti entro il 2030. Il progetto si chiama Iris2.
Nello stesso arco di tempo, i satelliti Starlink dovrebbero
diventare 30.000.
l9Scegliere Starlink è incompatibile con i piani dell'Ue?
No. Un eventuale accordo tra Starlink e altri paesi, come l'Italia,
è compatibile con Iris2, progetto al quale l'Italia partecipa. Un
portavoce dell'Ue ieri ha spiegato che l'Italia, come paese sovrano,
ha pieno potere decisionale.
l10Perché è diventata una questione di interesse geopolitico?
Starlink ha contribuiti a dare agli Stati Uniti un vantaggio
competitivo senza pari nelle Costellazioni Leo. E il potere
tecnologico che ne deriva è una sfida strategica di primaria
importanza. Tutti i grandi paesi si stanno muovendo in questo senso,
perché possedere l'infrastruttura satellitare è diventato sinonimo
di autonomia e sovranità tecnologica. Soprattutto in caso di
necessità. O di cambiamenti improvvisi degli assetti geopolitici. Ma
al momento tutti, anche l'Europa, devono rincorrere. E una
partnership (temporanea) con SpaceX o concorrenti può essere un modo
per tutelare gli interessi nazionali nel breve periodo.
l11Cosa si rischia ad affidarsi a un'azienda privata invece di
creare una propria infrastruttura?
Il timore più diffuso è che Musk, o chi per lui, possa decidere di
‘spegnere' internet, come è avvenuto in Ucraina quando ha impedito
l'uso dei suoi satelliti per consentire a Kiev di colpire obiettivi
in territorio russo. Una gestione privata, seppur motivata dal
timore di violare trattati internazionali o contratti, potrebbe
esporre a rischi. Nel caso di Musk, a questi timori sono più gravi.
Nelle ultime settimane è intervenuto in modo aggressivo in questioni
di politica interna di nazioni alleate come la Gran Bretagna o la
Germania. Sollevando timori sulla sua capacità di gestire i suoi
impulsi del momento. —
Strage alla stazione di Bologna "Fu Bellini a portare la bomba" filippo fiorini
bologna
Era un «aviere» neofascista e non un «corriere» palestinese. Era lui
l'uomo coi baffi ritratto in un Super8 amatoriale quel giorno alla
stazione. Era lì per mettere la bomba. Forse, l'aveva addirittura
portata. Intera o una parte, da assemblare in loco insieme agli
altri complici già condannati. Per questo, l'ergastolo ricevuto in
primo grado da Paolo Bellini come autore della strage di Bologna è
giusto.
Lo aveva deciso l'8 luglio scorso la Corte d'Appello della città che
ha subito il più grave attentato del Dopoguerra, il 2 agosto
dell'80. Ieri sono arrivate le motivazione dei giudici. Hanno
rigettato tutte le istanze della difesa, così come anche per gli
altri due imputati di questo ramo processuale. Hanno confermato, per
l'ennesima volta, la matrice neofascista, il finanziamento della P2
di Licio Gelli, le coperture date prima e durante l'azione, divenute
depistaggi in seguito, da parte di spie che, tradito il giuramento
alla Repubblica, tramavano col resto della banda per l'avvento di
uno Stato autoritario.
La vicenda è lunga, tortuosa, in parte irrisolta. Sappiamo che 85
persone sono morte in un attimo e altre 200 sono rimaste ferite per
mano di Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini,
Gilberto Cavallini e Bellini stesso. Reggiano, terrorista,
pluriomicida, pregiudicato, Bellini e i suoi avvocati le hanno
provate tutte per scansare le accuse. Hanno evocato la Costituzione
e scovato cavilli.
In una guerra di perizie, hanno tentato di resuscitare la falsa
pista palestinese, per cui un ordigno trasportato da terroristi
mediorientali era esploso per errore. In un'intercettazione tra un
fascista veneto e il figlio, dicevano di ascoltare la frase «è stato
lo sbaglio di un corriere», invece che «i nostri ambienti erano in
contatto con il padre di sto' aviere e dicono che portava una
bomba». Bellini ha il brevetto di volo e in tribunale è stato
dimostrato che i due parlavano di lui.
Poi, l'alibi «appositamente preordinato» per cui il 2 agosto era
altrove in compagnia della nipote bambina. È durato 40 anni, finché
sua moglie non ha smesso di coprirlo e lo ha identificato nel video
che un turista tedesco girò per caso, attimi prima dello scoppio.
Ciò che è certo «senza ombra di dubbio», scrivono ora i magistrati
bolognesi, è che Bellini in stazione c'era, e che era lì per
partecipare «in piena consapevolezza» a una strage ordinata e pagata
dai piduisti. Il problema è che anche in questo recente documento
processuale compare un'espressione che, nella ricostruzione delle
responsabilità, finora non è mai mancata: «Restano altre persone da
identificare». Sono sempre meno, ma chi sono?
07.01.25
Lascia la coordinatrice dei servizi segreti. A pesare i rapporti col
fedelissimo di Meloni Tra i motivi delle liti la volontà di
introdurre la figura del Consigliere per la Sicurezza
La gestione del caso Sala e gli attriti con Mantovano dietro l'addio
di Belloni
Elisabetta Belloni
ilario lombardo
roma
Le dimissioni della coordinatrice dei servizi segreti nei giorni di
una delicata trattativa internazionale, condotta dall'intelligence e
da tutto il governo, per arrivare alla liberazione della giornalista
Cecilia Sala, detenuta senza ragioni dall'Iran, è un cratere
istituzionale che in pochi minuti si riempie di indiscrezioni,
sospetti, ombre sulla verità ufficiale. Perché Elisabetta Belloni
lascia quattro mesi in anticipo il Dis, il Dipartimento che sotto la
presidenza del Consiglio ha la responsabilità sulle due principali
agenzie dei servizi, Aisi (interni) e Aise (Esteri)? La risposta
formale, dopo le rivelazioni de La Repubblica, la dà l'ambasciatrice
passata, durante il governo di Mario Draghi e confermata da Giorgia
Meloni, dalla carriera diplomatica alla testa dell'intelligence: «Ho
maturato questa decisione da tempo ma non ho altri incarichi.
Lascerò il posto di direttore del Dis il 15 gennaio».
I fatti sono questi. Il 23 dicembre Belloni comunica alla premier e
al sottosegretario della presidenza del Consiglio che è anche
autorità delegata, l'intenzione di lasciare l'incarico cinque mesi
prima la scadenza naturale del mandato. Ancora la notizia
dell'arresto di Cecilia Sala, avvenuto a Teheran il 19 dicembre,
viene tenuta segreta dal governo italiano: verrà resa pubblica solo
il 26 dicembre. Una settimana prima dell'incontro tra Belloni,
Meloni e Mantovano, c'è il fermo di Mohammad Abedini, su cui pende
un mandato di cattura americano e una richiesta di estradizione.
Meloni chiede a Belloni di aspettare fino a metà gennaio. Ieri esce
la notizia dell'addio, Belloni conferma e da Palazzo Chigi tutto
tace. Neanche un ringraziamento formale. Il gelo. Fin qui i fatti.
Tutto quello che segue è la ricostruzione di cosa avrebbe portato
alla decisione di lasciare in anticipo il Dis, basata su diverse
fonti, alcune vicine all'ambasciatrice, altre apparentemente ostili.
Di certo, Belloni si era fatta diversi nemici un po' ovunque: a
Palazzo Chigi, alla Farnesina, nelle agenzie dell'intelligence. E
non è difficile, ora che non è più sotto l'ombrello protettivo della
presidente del Consiglio, sentir parlare con disappunto o con veleno
di lei.
Si racconta di un rapporto sempre più complicato con Mantovano. Che
si è compromesso definitivamente sulla gestione delle trattative per
la liberazione di Sala, già nelle prime ore, quando resta il
sospetto che la Farnesina o i servizi abbiano agito in ritardo per
mettere al riparo la giornalista dopo l'arresto di Abedini in
Italia. Belloni non fa mistero con alcuni collaboratori che si
sarebbe mossa diversamente. Contraria all'idea di indispettire gli
alleati americani, avrebbe cercato contropartite con l'Iran –
nell'area geografica di influenza e sul fronte economico - invece di
insistere subito con lo scambio di Abedini. Ma a quel punto, dentro
di sé, ha già maturato il desiderio di andarsene. Si sente
costantemente scavalcata da Mantovano, che contatta il direttore
dell'Aise Giovanni Caravelli senza passare da lei. Anche Meloni la
marginalizza nella scelta di nominare vice dell'Aise il generale
Francesco Paolo Figliuolo, poco esperto di servizi, al posto di
Nicola Boeri, uomo di fiducia di Belloni. Il giorno della nomina di
Figliuolo è lo stesso dell'arresto di Sala: 19 dicembre. Sono scelte
che arrivano al termine di mesi tesi, con Palazzo Chigi che ha
nutrito sospetti di scarsa riservatezza da parte dei servizi e di
alcuni agenti di polizia.
Dopo una carriera sempre in ascesa da segretario generale della
Farnesina, Belloni è stata candidata un po' a tutto, diverse volte
al ministero degli Esteri ed è stata a un passo dal diventare la
prima donna presidente della Repubblica nel 2022. Per un profilo del
genere non è facile restare nelle seconde file della trincea
politica e istituzionale. Mantovano è l'autorità che ha la diretta
responsabilità sugli 007, lei ha invece un incarico più
amministrativo che operativo, ruolo che invece spetta ai capi
dell'agenzia di sicurezza interna Bruno Valensise ed esterna
Caravelli. Belloni ha in testa un modello americano che vorrebbe
importare in Italia: il Consigliere per la sicurezza nazionale della
Casa Bianca. Quello che ha fatto in questi anni Jake Sullivan per
Joe Biden: gestire il coordinamento tra il presidente,
l'intelligence, la Difesa e il Dipartimento di Stato (cioè gli
Esteri). È un'idea che non piace a Mantavano, né al capo della
Farnesina, Antonio Tajani. E così, progressivamente, Belloni viene
tagliata fuori dal sottosegretario. I malumori dell'ambasciatrice
cominciano a emergere con forza tra fine novembre e inizi dicembre.
In quei giorni si è concluso da poco il G20 di Rio de Janeiro, che
l'ha vista al centro della missione in qualità di sherpa della
presidenza italiana del G7. Il ruolo era in scadenza il 31 dicembre
e Meloni glielo aveva affidato dopo aver licenziato l'ambasciatore
Luca Ferrari, spedito a Tel Aviv.
La destinazione che Belloni avrebbe voluto per sé diventa oggetto di
insinuazioni e retroscena che non trovano dirette conferme
dall'interessata. Nella cerchia vicina a Meloni raccontano che
avrebbe puntato insistentemente a prendere il posto di Raffaele
Fitto - promosso vicepresidente della Commissione europea - al
superministero degli Affari europei e del Pnrr, e che anche in
questo caso Mantovano e Tajani avrebbero sollevato forti
perplessità. Altra delusione, questa, che l'avrebbe allontanata
dalla premier. E ancora: la presidenza dell'Eni. Una poltrona
sfumata dopo l'altra, Belloni sembra essere finita lontana dal cuore
del potere meloniano. In queste ore si è parlato di un nuovo
incarico in Europa, alla Commissione, accanto a Ursula von der Leyen.
Qualcuno però sussurra di guardare ai vertici di realtà private,
grandi società o banche
È la garanzia informale che la premier avrebbe ottenuto da Trump
nella visita a Mar-a-Lago Sulla trattativa con Teheran il
sottosegretario Mantovano al Copasir si è detto "fiducioso"
Se l'iraniano verrà liberato nessuna ritorsione dagli Usa FRANCESCO MALFETANO
ROMA
L'eventuale rilascio di Mohammad Abedini Najafabadi non causerà un
incidente diplomatico tra Roma e Washington. È la garanzia,
assolutamente informale, che il presidente eletto Donald Trump
avrebbe offerto a Giorgia Meloni sabato notte, nel corso della
visita lampo della premier a Mar-a-Lago rivelata dalla Stampa. Un
via libera sostanziale che, con modalità e tempi ancora tutti da
definire, aprirebbe la strada allo sblocco delle trattative con
Teheran per la liberazione di Cecilia Sala, detenuta nel carcere di
Evin. Un potenziale punto di svolta che però nasconde ancora
numerosi interrogativi. Non solo perché è oggi ignoto cosa il tycoon
repubblicano possa aspettarsi in cambio da Meloni o dall'Italia
(ieri intanto è arrivata secca la smentita di palazzo Chigi sulla
chiusura di un appalto da 1,5 miliardi di euro con SpaceX, il
colosso di Elon Musk). E neanche perché ora sarà necessario
intavolare nuove e delicatissime interlocuzioni tra gli emissari
nostrani e il regime degli Ayatollah. In questa fase il benestare
trumpiano sul destino dell'ingegnere 38enne detenuto nel carcere di
Opera, su cui pende un mandato di cattura internazionale spiccato
proprio dagli Stati Uniti, deve restare per forza di cose coperto.
«Formalmente, e soprattutto legalmente, Trump non è autorizzato a
parlare con i suoi omologhi dei dossier» che lo attenderanno nello
Studio Ovale solo dopo il giuramento del prossimo 20 gennaio. Come
spiega una fonte di rilievo ai vertici dell'esecutivo, questo è un
protocollo su cui gli americani sono molto rigidi e che, se rotto,
innescherebbe una lunga serie di malintesi e rimostranze con gli
apparati statunitensi. Il sottotesto è quindi che «l'igiene
istituzionale» impone che la questione venga affrontata da Meloni
nel fine settimana, quando a villa Doria Pamphilj incontrerà per
l'ultima volta il presidente uscente Joe Biden, in arrivo in Italia
per incontrare Papa Francesco. Nello stesso filone della trattativa
e delle sue eventuali contropartite regionali può essere inquadrato
anche il vertice internazionale promosso da Antonio Tajani per
giovedì. A Roma, il ministro degli Esteri incontrerà gli omologhi di
Usa, Francia, Germania e Regno Unito (oltre all'Alta rappresentante
della politica estera Ue Kaja Kallas) per discutere di Siria, Iran
e, in generale, della situazione regionale in Medioriente.
Tornando a Trump e Meloni, non sarebbe un caso che ieri il
sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano si sia limitato a
definire «conviviale» il viaggio della premier in Florida. Al
Copasir, dov'era stato convocato a gran voce dalle opposizioni per
riferire sulla gestione del caso della giornalista 29enne da parte
del governo, il braccio destro della premier ha appunto spiegato
come sul tavolo del golf club di proprietà di Trump non possa aver
trovato spazio la vicenda della giovane italiana. Formalità
istituzionale ed equilibrio diplomatico vanno di pari passo. A
dimostrarlo anche i «no comment» dietro cui si trincera Mantovano
parlando con i giornalisti in piazza San Macuto, a cui destina solo
dei ripetuti auguri di buon anno. Silenzi replicati dal
sottosegretario anche quando gli si chiede delle dimissioni della
presidente del Dis Elisabetta Belloni, che in molti riconducono alle
incomprensioni maturate proprio nei suoi confronti.
In ogni caso le quasi due ore e trenta di riunione hanno consentito
a Mantovano di leggere una relazione in cui ha ripercorso tutte le
tappe della vicenda Sala, dall'arresto della giornalista di Foglio
eChora Media il 19 dicembre fino alle più recenti informazioni
disponibili sul suo stato di salute. Senza entrare sull'ipotetico
ruolo recitato da Trump e registrando il "segnale" iraniano che ieri
ha per la prima volta provato a tenere separati i due casi, il
sottosegretario ha anche analizzato l'intreccio dell'arresto di Sala
e quello di Abedini. Un po' come fatto da Meloni nel giorno del
faccia a faccia con la madre della giornalista, Mantovano ha
garantito al Comitato che non si sta lasciando nulla di intentato,
riportando tutte le strade percorse per liberare al più presto la
29enne e – in attesa del suo rientro – alleggerire le condizioni
della sua detenzione. —
L'agonia di Naima torturata in Libia e quelle vite negate dopo i
respingimenti
Don Mattia Ferrari
«Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate
tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questa è
una donna, senza capelli e senza nome». Queste parole di Primo Levi
tornano alla mente guardando il video dell'ennesima donna torturata
nei lager libici, diffuso il 6 gennaio. In questo caso la donna però
un nome ce l'ha, grazie a Refugees in Libya, il movimento sociale
dei migranti che conduce la resistenza della solidarietà e della
fraternità.
La donna si chiama Naima Jamal, ha 20 anni ed è originaria di Oromia,
una regione dell'Etiopia in cui la popolazione è colpita dal duplice
flagello della guerra e della siccità dovuta alla crisi ecologica.
Naima ha dovuto lasciare l'Oromia e, non potendo accedere a canali
di migrazione legali e sicuri, ha dovuto percorrere, come tanti
altri, la strada del deserto. Poco dopo il suo arrivo in Libia nel
maggio 2024 è stata rapita dai trafficanti. Da allora la sua
famiglia è stata sottoposta a varie richieste di riscatto, che non
aveva la possibilità di pagare. Fino a quando, ieri, i trafficanti
hanno mandato ai suoi familiari un video in cui Naima viene
brutalmente torturata e chiedono 6.000 dollari di riscatto. Hanno
inviato anche una foto, in cui si possono vedere più di 50 altre
vittime, con i corpi incatenati e gli sguardi abbassati.
Queste notizie non sono le uniche arrivate in questi giorni. Mentre
si dice che gli arrivi in Europa sono diminuiti, non bisogna
dimenticare due elementi. Il primo è l'alto numero dei naufragi,
almeno tre intorno al Capodanno, con circa 50 vittime, tra cui
bambini, perché non ci sono operazioni strutturali di soccorso e si
ostacolano le navi delle ong. L'altro elemento sono le violenze
terribili che avvengono ai danni delle persone migranti bloccate in
Libia e in Tunisia.
Il 3 gennaio un gruppo di 8 ragazzi provenienti dal Gambia ci ha
contattato dal deserto. Cinque giorni prima avevano cercato di
raggiungere l'Europa via mare, ma erano stati catturati dalla Garde
Nationale sulla base degli accordi fatti con l'Unione Europea e
l'Italia. In seguito alla cattura in mare, sono stati riportati
indietro, sbarcati sulle coste tunisine e contestualmente deportati
nel deserto. Risultano dispersi.
Il 4 gennaio le milizie libiche hanno deportato nei deserti di
Dirkou, al confine con il Niger, oltre 600 persone migranti
provenienti da Paesi dell'Africa subsahariana.
Tutto questo è il risultato delle nostre politiche di respingimento,
che consistono nel finanziare le autorità libiche e tunisine perché
blocchino le persone migranti, le catturino in mare e le riportino
indietro, costi quel che costi. Si parla di lotta ai trafficanti, ma
ci vuole chiarezza su questo. Gli accordi Italia-Libia del 2017 sono
stati fatti, come ha dimostrato Nello Scavo, coinvolgendo ai tavoli
uno dei più efferati boss della mafia libica, Bija. Quegli accordi
sono stati puntualmente rinnovati e grazie ad essi il potere della
mafia libica è cresciuto: molti dei suoi boss occupano ora posizioni
apicali negli apparati libici. Il caso più eclatante è quello di
Emad Trabelsi, attuale ministro dell'Interno del governo di Tripoli.
In più di un rapporto internazionale dell'Onu, del Dipartimento di
Stato Usa e di Amnesty International proprio Trabelsi viene indicato
come «uno dei peggiori violatori di diritti umani e del diritto
umanitario internazionale». Nonostante sia considerato da tutti i
massimi esperti come uno dei capi dei trafficanti, in questi anni
Trabelsi è stato ricevuto più volte dalle autorità italiane come
interlocutore nel contenimento dei migranti.
In tutto questo, si leva il grido delle persone migranti, attraverso
Refugees in Libya. Nei giorni scorsi il loro portavoce, David Yambio,
ha fatto una lunga dichiarazione, in cui ha affermato: «L'Europa
finanzia le milizie, fa costruire i centri di detenzione e chiama
questi accordi "controllo delle frontiere". Condanna nei discorsi la
violenza ma distribuisce denaro a coloro che la eseguono. La Libia è
la creazione dell'Europa, il suo oscuro segreto, l'inferno che ha
costruito per tenersi le mani pulite». David e le altre persone che
sono con lui hanno subito quelli che l'Onu definisce «orrori
indicibili». Eppure nelle loro parole c'è anche la speranza. Una
speranza che nasce dalla solidarietà, dall'amore. «La giustizia deve
essere un'azione che spezza le catene e costruisce ponti. Deve
essere riparativa, affrontando le ferite della storia, e
trasformativa, rimodellando i sistemi che perpetuano queste
ingiustizie. Per noi la giustizia non è un ideale astratto, è l'atto
quotidiano di alzarsi in piedi, di parlare apertamente, di
rifiutarsi di scomparire. È la solidarietà che troviamo l'uno
nell'altro, la luce che condividiamo anche nei luoghi più bui. È la
consapevolezza che, nonostante abbiano cercato di cancellarci, siamo
ancora qui e non rimarremo in silenzio. Fino ad allora, ci
sosterremo a vicenda, come abbiamo sempre fatto. Perché anche negli
angoli più oscuri di questo mondo, troviamo la luce nella forza
l'uno dell'altro».
Questa luce è proprio quello di cui noi abbiamo bisogno, in una
società individualista e affascinata dall'autoritarismo a tal punto
che la solidarietà sembra diventata sovversiva. La strada per
sconfiggere i trafficanti è molto chiara: fermare gli accordi per i
respingimenti, prendersi per mano con le persone migranti stesse e
con la società civile tunisina e libica che resiste alle mafie.
Nella notte della storia, la luce di questa resistenza della
solidarietà e della fraternità è l'unica che può salvarci.
I torinesi Regina e Galliano traditi a
Bressanone dalla paletta sul cruscotto Sono pensionati: lui aveva
prestato servizio nella Stradale, lei alla Polfer
Porsche, Rolex e soldi Arrestati in Alto Adige due ex agenti di
polizia
gianni giacomino
Avevano deciso di trascorrere le festività natalizie in Alto Adige,
ma le vacanze non sono andate come previsto. Anzi. Dal paradiso
delle Dolomiti e dei mercatini di Natale due ex poliziotti torinesi
sono finiti in carcere alle Vallette.
Angelo Regina, 63 anni, fino a qualche anno fa in servizio alla
polstrada è accusato di riciclaggio e detenzione abusiva di arma da
sparo. Stefania Galliano, 60enne in forza alla Polfer fino a un anno
fa, dovrà rispondere di ricettazione e detenzione illegale di
munizionamento da guerra.
Di essere finiti in guai seri i due ex agenti in pensione lo hanno
capito quando hanno visto dei poliziotti veri che li aspettavano
intorno alla loro Porsche Cayenne parcheggiata in divieto di sosta
nel centro di Bressanone, il giorno di Capodanno. Sul cruscotto era
appoggiata una paletta originale della Stradale, ma senza
l'indicazione bilingue, prevista per tutte le dotazioni dei mezzi
della polizia in Alto Adige. «Scusate ma siamo in servizio» –
avrebbero tentato di giustificarsi i due con gli ex colleghi. Che,
però, non gli hanno creduto. Poco più tardi gli investigatori della
Mobile di Bolzano hanno perquisito Galliano e Regina che, in
passato, aveva già avuto delle noie con la giustizia. Li hanno
trovati in possesso di due distintivi veri, in uso ai due all'epoca
in cui erano in servizio (in relazione a quello in della donna in
passato era anche stata presentata una denuncia di smarrimento). Poi
due tesserini di servizio falsi che ne attestavano ancora
l'appartenenza alla polizia. E, nascosto nella Posche, un giubbotto
ad alta visibilità originale, di quelli utilizzati durante i posti
di blocco. Nella perquisizione della camera dell'albergo di San
Genesio, affittato dai due per trascorrere il periodo delle
festività, gli investigatori hanno sequestrato dei gioielli e 3mila
euro in contanti. Tutto sequestrato, pure la Porsche Cayenne. La
coppia è stata così denunciata per ricettazione e possesso di segni
e distintivi contraffatti, e la donna anche per il peculato della
placca di cui aveva denunciato lo smarrimento. Oltre al divieto di
non presentarsi nel comune di Bressanone per i prossimi tre anni.
Ma un'altra sorpresa è arrivata quando gli agenti di Bressanone,
insieme ai colleghi della Polfer, hanno perquisito le abitazioni dei
due, a Torino. Nell'appartamento di Regina sono stati ritrovati una
pistola semiautomatica Beretta calibro 7,65 mai denunciata, con
caricatore inserito e cinque colpi pronti per essere utilizzati. La
riproduzione di una Beretta ma senza tappo rosso, un'uniforme
originale della polizia e un falso esserino di riconoscimento. Poi
34mila euro in contanti, diversi orologi Rolex e di altri marchi di
lusso, tre telefoni cellulari e un I-pad. In casa della Galliano
sono invece stati rinvenuti tre proiettili calibro 9x19, diverse
divise originali complete della polizia e ben dieci telefonini con
diverse sim. E, infatti le indagini sono tutt'altro che concluse.
Perché gli inquirenti, come ha spiegato il questore di Bolzano Paolo
Sartori (che per i due ha già dispostola misura dell' avviso orale
di pubblica sicurezza, in vista della successiva richiesta di
applicazione della Sorveglianza Speciale), sospettano che i due ex
poliziotti - che dovranno anche giustificare la provenienza di tutti
i beni sequestrati - possano avere dei collegamenti con la
criminalità organizzata. Come e in che modo resta ancora tutto da
chiarire. Intanto, oggi o, al più tardi domani, si terrà l'udienza
di convalida.
06.01.25
L'ora
X
dell'Italia Il governo italiano accelera e si prepara a chiudere un maxi
accordo da 1,5 miliardi di euro con SpaceX, la società spaziale
fondata da Elon Musk. Nello specifico, come rivelato da Bloomberg
News, Roma sta spingendo per sottoscrivere un contratto di cinque
anni per utilizzare a scopi governativi e militari le tecnologie di
Starlink, la costellazione di satelliti per telecomunicazioni che
sta rivoluzionando l'industria di riferimento. Dopo uno stallo di
due anni arrivano i primi risultati della visita a sorpresa della
presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella residenza del
prossimo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump.
Il progetto con SpaceX, secondo l'agenzia Bloomberg sarebbe già
stato approvato dai servizi di intelligence italiani così come dal
Ministero della Difesa e potrebbe essere il maggior in Europa. E, se
sarà concluso, potrebbe rappresentare il preludio di altre intese
fra i due lati dell'Atlantico dopo l'insediamento di Trump, previsto
per il prossimo 20 gennaio, quando prenderà il posto dell'attuale
presidente Joe Biden.
La firma definitiva non c'è ancora, come evidenziano fonti vicine al
dossier interpellate dall'agenzia di stampa statunitense, ma diversi
capitoli sarebbero stati sbloccati nelle ultime ore. Dai telefoni
dei funzionari governativi, passando per l'utilizzo di internet per
gli uffici, arrivando ad altre soluzioni accessibili attraverso
Starlink, come la crittografia di ultimo livello, l'intesa con
l'azienda di Musk potrebbe cambiare il panorama delle telco della
Repubblica. Il piano in discussione includerebbe anche servizi di
comunicazione per l'esercito italiano nell'area del Mediterraneo,
nonché l'implementazione dei cosiddetti servizi satellitari
direct-to-cell in Italia per l'uso in emergenze come attacchi
terroristici o calamità naturali, hanno affermato le fonti
interpellate da Bloomberg. Non è la prima volta che si discute
dell'interazione fra Roma e Starlink, dal momento che il possibile
accordo è in fase di revisione dalla metà del 2023. Una intesa che,
tuttavia, è stata osteggiata da alcuni funzionari italiani
preoccupati di come i servizi potrebbero sminuire i vettori locali.
In questo contesto, l'Italia è tra i Paesi già serviti da Starlink e
già lo scorso anno vi erano state alcune schermaglie con gli
operatori domestici. Come ricordato da Bloomberg, la società di Musk
aveva affermato che Telecom Italia stava ostacolando il lancio dei
suoi servizi internet ad alta potenza.
Nello specifico, l'accordo di cui si sta discutendo è con SpaceX,
che controlla in forma diretta Starlink. La prima è la società di
Elon Musk capace di lanciare razzi, anche riutilizzabili come lo
Starship, nello spazio. La seconda crea satelliti per le tlc.
Starlink ha circa 6.700 satelliti in bassa orbita, la costellazione
di satelliti più grande capace di portare internet veloce dallo
spazio. Nel 2024 SpaceX ha aggiunto più di 20 nazioni, dal Ghana
all'Argentina, al suo servizio Internet satellitare Starlink. Ora
serve più di 4 milioni di persone in oltre 100 Paesi e territori. Di
fatto ricopre il globo di servizi a banda larga. Una sfida agli
operatori tradizionali e ad altre aziende e nazioni, come la Cina,
che sembrano più indietro rispetto allo sviluppo di questa
tecnologia. Ma soprattutto uno degli assi nella manica utilizzati
dall'Ucraina per contrastare la brutale invasione da parte della
Federazione Russa di quasi tre anni fa.
Nei mesi scorsi ci sono stati diversi incontri tra Musk e Meloni.
Alcuni di questi si sono tenuti a Palazzo Chigi, a suggello di un
rapporto che si sta consolidando giorno dopo giorno. Ora il passo in
avanti. Ma sono ancora valide le possibili alternative, che hanno
degli oneri maggiori. A oggi il governo italiano stava esaminando
l'opzione della Satellite Constellation Company IRIS² dell'Unione
europea e la costruzione della propria costellazione satellitare. In
ambo i casi, il costo complessivo dei progetti avrebbe superato
quota 10 miliardi di dollari. Vale a dire molto di più rispetto a
quanto si pagherebbe per la tecnologia statunitense. Che, oltre a
essere già stata testata sul campo per anni, si sta rivelando come
una delle possibilità più credibili per la diffusione di internet ad
altissima velocità e con uno standard di sicurezza più elevato
rispetto alla concorrenza. Del resto, nel suo campo, Starlink (e
SpaceX) ha raggiunto un significativo livello di penetrazione del
mercato.
In attesa di un commento dalle parti in gioco, i buoni rapporti
transatlantici e l'affidabilità di Starlink, insieme con il
risparmio in previsione, potrebbero essere stati determinanti per la
svolta definitiva che si sta prospettando. —
entro la primavera sarà attivo il servizio wi-fi sui voli Intesa con United, per internet sugli aerei
United Airlines accelera l'adozione del servizio Wi-Fi satellitare
di Starlink sui propri aerei in volo. I test per la tecnologia di
SpaceX di Elon Musk erano prevista per la primavera, ma ieri la
compagnia ha annunciato che avverranno già dal mese di febbraio. Il
primo volo commerciale operato da un velicolo regionale Embraer
E-175 con questo equipaggiamento è in programma dalla primavera.
United Airlines ha chiarito che l'accesso sarà gratuito solo per i
membri MileagePlus, mentre in precedenza aveva assicurato Wi-Fi
gratis a tutti i passeggeri.
L'obiettivo di United Airlines è ambizioso: entro la fine dell'anno,
l'azienda prevede tutta la sua flotta di aerei regionali con due
classi di servizio dotata del servizio. Inoltre, c'è l'intenzinoe di
far volare il primo aereo di linea principale, equipaggiato con
questa innovazione, già entro la fine del 2025. Più a lungo termine,
l'intera flotta, composta da oltre un migliaio di aeromobili, sarà
equipaggiata con il Wi-Fi satellitare.
SpaceX, d'altra parte, ha già intese con varie compagnie aeree per
fornire servizi Internet in volo. Il fornitore di servizi Internet
via satellite ha già firmato accordi con Hawaiian Airlines e il
vettore regionale Jsx. —
Le tasse contro le diseguaglianze
sociali La modernità di Matteotti sul fisco
Ernesto Maria Ruffini
È da poco terminato l'anno in cui articoli e libri hanno commemorato
il centenario dell'assassinio di Giacomo Matteotti, rapito e ucciso
nel giugno 1924 da una squadraccia fascista. Gran parte di questi
lavori ne ricostruiscono l'esistenza, l'impegno politico, la
lungimiranza e, in particolare, la morte. E da pochi giorni è stata
ricordata la data – il 3 gennaio – in cui Mussolini rivendicò il suo
assassinio.
La tragica fine, tuttavia, ha oscurato molto della sua attività
precedente alla marcia su Roma. Conosciamo per lo più il Matteotti
oppositore del fascismo, che paga con la vita la contrarietà alla
nascente dittatura. Conosciamo meno, invece, dei suoi studi e dei
suoi interessi.
Pochi sanno, ad esempio, che una parte centrale della sua attività
fu rivolta alla questione fiscale, intesa come uno strumento per
costruire una società più giusta, ridurre gli squilibri, alleviare
la miseria delle classi più povere e ridistribuire la ricchezza.
A rivelare questo volto inedito di Giacomo Matteotti è Francesco
Tundo, che nel suo La Riforma Tributaria. Il metodo Matteotti
esplora uno dei lati meno noti dell'esponente socialista. Si scopre
così che l'Italia uscita dalla Grande guerra rivelava sorprendenti
analogie con quella odierna, a cominciare dalla pressione fiscale,
già all'epoca fra le più alte d'Europa. In questo contesto, le
principali critiche riguardavano gli «accertamenti rilassati sulla
base di medie, contrattazioni e concordati» con cui il fisco
procedeva verso i contribuenti (come denunciava Luigi Einaudi), lo
sbilanciamento del prelievo sui lavoratori dipendenti, le rendite
catastali non aggiornate da decenni, l'insuccesso nella tassazione
degli (extra)profitti conseguiti dall'industria bellica durante il
primo conflitto mondiale, lo svuotamento del ruolo del Parlamento
operato dalla decretazione d'urgenza.
Con le sue proposte Matteotti è assolutamente moderno rispetto ai
suoi tempi. In primo luogo, è uno dei pochi – forse l'unico – ad
avere piena consapevolezza che il debito pubblico è una minaccia che
incombe sul futuro: «Stiamo percorrendo una strada molto pericolosa
in Italia – afferma nel 1920 con straordinaria lungimiranza –.
Viviamo tutti sui debiti e ci creiamo un baratro per domani». Al
tempo stesso, è profondamente critico verso quei provvedimenti, come
le imposte sui consumi, utilizzate per ripianare il deficit causato
dalla guerra, ma che colpivano le fasce più povere della
popolazione.
Tuttavia Matteotti è anche colui che propone la progressività delle
imposte (oggi scontata, all'epoca un'eresia); è favorevole
all'introduzione di un'imposta personale progressiva (l'odierna
Irpef) e di calcolarla su base familiare anziché individuale, come
qualcuno sostiene ancora oggi, ritenendo possa fotografare meglio
l'effettiva capacità contributiva; addirittura suggerisce di far
partecipare i Comuni nel contrasto all'evasione, incentivandoli
attraverso la destinazione di parte delle risorse recuperate, come
sarebbe poi stato previsto più mezzo secolo dopo.
Per Matteotti il fisco non è un aspetto a sé, ma è ciò su cui si
fonda il patto alla base della comunità ed è dunque inserito in una
più ampia visione politica fondata sull'uguaglianza dei
contribuenti, un tema che all'epoca non era affatto scontato. Di
conseguenza il sistema tributario è concepito come perno attorno al
quale costruire una comunità, una specie di tessuto connettivo della
società che necessita di una sistemazione razionale per poter
realizzare la giustizia sociale. L'idea del fisco come leva per
ridurre le differenze sociali è lungimirante per l'inizio del
Novecento, tanto che avrebbe trovato degna collocazione – terminata
la dittatura – nella nostra Carta, dove la progressività delle
imposte è divenuto addirittura un principio costituzionale. Un
principio che deve la sua presenza anche ai semi gettati da
Matteotti, convinto che far pagare a tutti i cittadini una stessa
cifra o richiedere proporzionalmente lo stesso sacrificio economico
avrebbe contribuito a perpetuare le disuguaglianze di partenza. Come
avrebbe detto don Lorenzo Milani qualche decennio dopo, «Non c'è
ingiustizia più grande che fare parti uguali fra disuguali».
Matteotti, però, è avanti anche rispetto alla sua stessa parte
politica, che predica la rivoluzione con un'oratoria incendiaria, ma
trascura le questioni concrete. E così, consapevole che per un
politico sia fondamentale capire come funziona un bilancio, nel 1920
collabora al Manuale per gli amministratori degli enti locali,
pensato per fornire gli strumenti di base alle giunte socialiste che
si trovano a governare un numero crescente di città e paesi.
Quando viene eletto deputato, questa visione pragmatica e
scientifica confluisce nell'attività parlamentare, fatta di studi,
ricerche e statistiche, che gli servono come base per i suoi
interventi in Aula. Perché Matteotti non affrontava i temi politici
prima di un attento e scrupoloso studio di ogni aspetto, senza
lasciarsi trasportare da una facile e inutile retorica assai in auge
all'epoca. Anche questa è una novità pressoché assoluta, che per la
sua lungimiranza fa tornare alla mente le parole pronunciate pochi
anni dopo da Alcide De Gasperi, quando era un semplice impiegato
della Biblioteca Vaticana, strettamente sorvegliato dall'Ovra:
«Dobbiamo prepararci a quello che verrà dopo il fascismo».
È facile capire, insomma, come – al di là della stima di cui godeva
– ben prima del fascismo Matteotti fosse una spina nel fianco per
ogni esecutivo. Al tempo stesso, Matteotti rifugge il populismo
fiscale che ancora oggi riscuote tanta fortuna: «È dannoso
l'additare all'odio del popolo le tasse, le imposte – scrive nel
1907, ad appena 22 anni –; noi dobbiamo limitarci a dimostrare che
le imposte sono mal distribuite, ma diffondere nel tempo stesso la
persuasione che sono assolutamente necessarie».
Insomma, sembra argomentare Matteotti, le tasse non sono belle né
brutte, ma soltanto indispensabili, perché senza risorse non può
esistere nessun progetto politico, non può essere scritto nessun
programma di governo e non può essere raggiunto nessun obiettivo. E
la scelta di come le risorse possano essere trovate e impiegate è
una scelta puramente politica. Nel nostro Paese, invece, a distanza
di un secolo, sembra ancora che le tasse vengano imposte da
un'entità avvertita come estranea.
Viene in mente una frase pronunciata in quegli anni da un altro
brillante intelletto: «Il contribuente italiano paga bestemmiando lo
Stato. Non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria
funzione sovrana». La frase è di Piero Gobetti e risale proprio al
1924. Nel giro di un paio di anni, ironia del destino, anche a lui
sarebbe toccata la stessa sorte di Matteotti: morire a causa di
un'aggressione di camicie nere. —
Francesco La Licata Bombe, depistaggi, ricatti e
politica il lungo filo nero di Cosa Nostra
Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese, detto "Lucchiseddu", sono
dunque indicati - con tanto di imprimatur giudiziario - come due
degli esecutori materiali dell'omicidio di Piersanti Mattarella,
fratello dell'attuale Capo dello Stato, assassinato a Palermo il
giorno dell'Epifania del 1980. Sono trascorsi 45 anni ma, alla fine,
quello che era sulla bocca di tutti sembra aver ricevuto un qualche
riscontro investigativo.
Non sembri, questo, un traguardo trascurabile (i due stanno
scontando più di un ergastolo per altri delitti) nell'attività che
magistrati e inquirenti svolgono da anni nel tentativo di offrire
una chiara matrice per un delitto oggettivamente identificabile come
"politico" e quindi attribuibile alla mafia, ma anche ad "interessi
alti" di gruppi di potere occulti. Sembra perciò, in questo senso,
abbastanza stucchevole e fuorviante il dibattito che focalizza tutta
l'attenzione sul fatto che Lucchese e Madonia sono mafiosi e quindi
il "delitto è solo di matrice mafiosa".
Non è così e la storia di Cosa nostra e di questi due personaggi ne
rappresenta la prova più evidente. Cosa nostra e "fasci" hanno
attraversato, soprattutto in Sicilia, lunghi periodi di sinergia e
di scambio di favori, coinvolti nella loro principale missione che
era quella di fermare l'avanzata della sinistra e impedire al Pci
l'ingresso nei governi. Attività intrapresa già all'indomani della
fine della guerra (subito dopo lo sbarco degli Alleati) con il
terrorismo banditesco di Salvatore Giuliano (Portella della
Ginestra, 1947), eterodiretto dai servizi di sicurezza, dalla mafia
e dagli agrari che difendevano i loro privilegi.
Certo, Nino Madonia non era ancora nato e neppure "Lucchiseddu", ma
Cosa nostra c'era già e c'era per esempio Bernardo Brusca (padre di
Giovanni il bombarolo di Capaci) che "mediava" tra la banda Giuliano
e l'Alto commissariato per la lotta al banditismo. Ma i legami e gli
abbracci inconfessabili durano nel tempo e si tramandano grazie alla
grande forza ricattatrice che possono esercitare.
Per questo chi ha vissuto in Sicilia gli anni del compromesso e del
"quieto vivere" non può stupirsi nell'apprendere degli indizi (nuovi
e vecchi) emersi nelle indagini sull'assassinio politico di
Piersanti Mattarella. Chi ha superato una certa età ricorda come
spesso coincidessero le attività criminali di mafiosi e militanti
"neri". Gli Anni Settanta "siciliani" meritano di essere, in questo
senso, ripensati.
Nino Madonia è il figlio maschio grande di Francesco, detto "Cicciobomba"
per la sua "passione" verso gli esplosivi e nei confronti della
"polizia senza divisa", i Servizi. Era il 1970 e Cosa nostra aveva
da poco aderito al progetto di golpe del comandante Junio Valerio
Borghese salvo, poi, ripensarci quando l'ufficiale golpista chiese
un elenco dei mafiosi partecipanti. Lì saltò l'accordo che era stato
sottoscritto in una riunione in Svizzera cui avevano partecipato i
capi di Cosa nostra, tra cui Luciano Liggio, mentore e protettore
dei Madonia. Una promessa infranta, però, non può rinnegare una
solida amicizia.
Così negli Anni Settanta le strade di mafia e neri spesso si
incrociano. Palermo, Trapani e Catania vantano i gruppi criminali
egemoni e pure le punte di diamante del terrorismo nero. Due nomi su
tutti: Pierluigi Concutelli e Francesco "Ciccio" Mangiameli, che
navigano a vista nella galassia neofascista con l'occhio alla lotta
armata. E, dunque, può accadere che, mentre forma Ordine Nuovo,
Concutelli venga candidato alle elezioni dal Movimento Sociale di
Almirante. E Mangiameli rompa col partito d'origine per dirigersi
verso quella Terza Posizione che lo porterà a morire, ucciso in una
faida tutta interna ai "fasci" di Fioravanti e Cavallini. Verrà
ripescato in fondo al lago di Tor de' Cenci, a Roma, dopo essere
stato a Palermo e forse messo al corrente del progetto per eliminare
Piersanti Mattarella, politico inviso alla mafia, certo, per le sue
prese di posizione che mettevano in crisi il sistema di corruzione
tenuto in piedi dai grandi appalti regionali e nazionali, ma odiato
anche per la sua politica di apertura verso la sinistra. Ecco perché
spesso la sua figura viene accostata a quella di Aldo Moro.
Era, quello, il periodo in cui i fascisti compivano a Palermo
attentati molto mirati - famosi quelli ai tralicci dell'Enel e ai
negozi di Luisa Spagnoli - e li rivendicavano a nome di formazioni
della sinistra. Tenevano campi militari e organizzavano convegni a
copertura di esercitazioni belliche (a Menfi, tra Agrigento e
Trapani). A Campofelice di Fitalia (Palermo) fu tenuto un seminario
sulla "cultura di destra" (lo scrittore francese Pierre Drieu La
Rochelle), "arricchito" da una sana attività militaresca. Ma
soprattutto era un periodo in cui "ballava" una quantità
impressionante di esplosivi. Ma non la gestivano i "neri", i
candelotti erano una specialità di "Cicciobomba". Ne fu prova ciò
che accadde la notte dell'ultimo dell'anno 1970, quando cinque
cariche esplosive colpirono in contemporanea altrettanti siti
istituzionali (assessorati regionali e la sede del Comune di
Palermo).
Le bombe di Capodanno provocarono panico e clamore, fu chiaro che si
"trattava di soldi", nel senso che la mafia chiedeva qualcosa che
l'amministrazione pubblica negava. Ovvio che fosse una questione di
appalti che aspettavano di essere sbloccati, come auspicava, per
esempio, Vito Ciancimino. Poche ore dopo i "botti", l'allora
capitano dei carabinieri Giuseppe Russo (che di azzardi si
intendeva) si precipitò in via Castelforte a perquisire casa e
magazzino di "Cicciobomba" trovando 400 candelotti di dinamite. Come
faceva a sapere, Russo? Forse l'ufficiale e "Cicciobomba" si
conoscevano da prima?
Questo era il clima: Mangiameli gestiva un club di picchiatori (Il
Trocadero), menava gli studenti di sinistra e non veniva mai
arrestato mentre Concutelli, tra una riunione e l'altra dentro
Ordine Nuovo, si assentava per frequentare la Camea, Loggia
massonica imbottita di politici e mafiosi o per esercitarsi nella
pineta di Bellolampo con mitragliette clandestine. C'è da
meravigliarsi se il terrorista sia riuscito a ottenere, da
ergastolano semilibero, il posto di guardiano al cimitero del Verano,
prima di morire per una grave malattia?
E meno male che simile considerazione non ha ricevuto Madonia quando
ha chiesto un permesso premio, forse approfittando del "buonismo" di
cui hanno goduto fior di boss in queste ultime settimane. —
05.01.25
la storia
La guerra di Piero contro la Sla e l'Inps "Mi negano il sussidio per
un cavillo"
Dopo una vita da ufficiale dell'Aeronautica in giro per il mondo, il
signor Piero Scurpa si trova immobilizzato in un letto di una Rsa
della Lombardia. L'unica parte del corpo che riesce a muovere sono
le palpebre, oltre a un dito. La respirazione è indotta con un
ventilatore meccanico. Ha 46 anni, due figli. Faceva il manutentore
dei Tornado. Nel 2018 ha accusato i primi sintomi: «Una pesantezza
anomala degli arti inferiori». La situazione è degenerata in pochi
mesi. «Dopo una serie di esami, sono stato ricoverato all'ospedale
Besta di Milano. Lì mi hanno diagnosticato la malattia del
motoneurone, più nota come Sla, quella che ha decretato il mio
passaggio al regno dei malati incurabili».
La malattia avanza. Ferma i muscoli uno dopo l'altro, ma lascia il
cervello intatto. Il signor Scurpa è perfettamente lucido,
immobilizzato e lucido. Avrebbe diritto a un'indennità di
accompagnamento da 500 euro al mese per poter rallentare questa
corsa verso il nulla e alleviare le sue sofferenze. Ma l'Inps, che
nel 2021 gliel'aveva concessa quando le sue condizioni erano meno
gravi, adesso gliel'ha revocata con questa spiegazione: «Per
concedere l'accompagnamento serve una data di fine ricovero». «Solo
che nessuno conosce quella data», dice l'avvocato Gian Maria Mosca
di Torino. «Questa è una storia vera da non poterci credere».
Tutte le parole virgolettate che leggete in questo articolo sono il
pensiero preciso dell'ufficiale in congedo Piero Scurpa. Le ha
scritte di notte, con il puntatore oculare. Una lettera dopo
l'altra, frase per frase. Il suo sembra l'incubo di un servitore
dello Stato che vuole vivere, ma che adesso si trova lo Stato
contro. «Non sono io contro lo Stato, non lo sarò mai. Casomai io
sono contro una burocrazia troppo rigida nei formalismi, che
ostacola accessi a misure che mi spettano sicuramente per la
condizione in cui mi trovo. Mi hanno rincuorato le parole
pronunciate dal nostro presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, nel discorso di fine anno. Mi spingono a combattere per
avere le cure».
Di fronte alla domanda scritta direttamente dal signor Scurpa,
sempre con il suo puntatore oculare, dall'Inps è arrivata la più
paradossale delle risposte: «Attualmente l'istituto non dà la
possibilità di ricevere l'accompagnamento, se non dopo la fine del
ricovero. Si consiglia di iniziare una azione giudiziaria per capire
se un giudice possa riconoscere questo diritto». E cioè: l'Inps gli
ha consigliato di fare causa all'Inps. Ma da quando l'avvocato Mosca
è stato incaricato di sostenere questa battaglia legale, non dorme
più neanche lui. «Stiamo promuovendo la causa, certamente. C'è una
sentenza della Cassazione molto chiara nello stabilire il diritto
all'accompagnamento anche in caso di ricovero. Ma conosciamo i tempi
della giustizia italiana e sappiamo che non corrispondono affatto a
quelli della malattia».
La malattia è veloce, la giustizia è lenta. Il signor Scurpa non può
avere quel minimo sostegno – due ore al giorno – che sarebbe
fondamentale. Anche la struttura in cui si trova ricoverato ha
fornito un certificato per suffragare la sua domanda: «Si certifica
che il signor Scurpa è affetto da sclerosi laterale amiotrofica, in
ventilazione meccanica... Durante questo periodo di degenza abbiamo
rilevato la necessità che venga supportato emotivamente durante la
giornata e con anche una opportuna stimolazione individuale.
L'attività individuale permetterebbe a Piero di essere più sereno e
protetto dalle ansie di malattia in un ricovero per lui necessario».
Niente. Risposta negativa. Lo Stato contro. Anche se a Piero Scurpa
non piace pensarla così. «Io sono un ufficiale dell'Aeronautica
Militare italiana in congedo, ho svolto numerose missioni anche
all'estero. Mi occupavo della manutenzione del Tornado, il velivolo
che ci era stato assegnato. Il mio compito, con la squadra, era di
consegnarlo in condizioni perfette al pilota. Intanto ho cercato di
essere un buon marito e un buon padre».
Già, un padre. Ha due figli di 7 e 13 anni. «I motivi che mi
spingono a lottare ancora contro questa malattia sono semplici: il
primo è la mia indole combattiva, per cui troverei troppo facile
mollare e lasciarmi andare. Il secondo motivo sono i miei figli. Mi
hanno letto quello che ha scritto il più piccolo, nella consueta
lettera di Babbo Natale: non voleva nessun regalo, perché ha detto
di avere già tutto, ma ha chiesto se poteva guarire suo padre.
Queste parole mi danno una forza enorme».
E così, sono loro: il signor Piero Scurpa, la sua famiglia, i due
figli, il cugino Massimiliano Subiaco - «Dobbiamo essere rapidi,
perché questa malattia è rapidissima» – con l'avvocato Gian Maria
Mosca, tutti davanti al grande Moloch della burocrazia italiana.
Eppure, ecco come viene definito l'assegno di accompagnamento dalla
stessa Inps: «È una prestazione economica, erogata a domanda, a
favore dei soggetti mutilati o invalidi totali per i quali è stata
accertata l'impossibilità di deambulare senza l'aiuto di un
accompagnatore oppure l'incapacità di compiere gli atti quotidiani
della vita». Chi più del signor Scurpa, purtroppo per lui, ne
avrebbe diritto?
PERCHE' NO A TORINO ?: firmato dalla regista giorgia furlan "Il delitto perfetto", arriva
anche il docufilm Il 9 gennaio l'anteprima a Roma e Bologna
Il docufilm di Giorgia Furlan Magma. Mattarella, il delitto perfetto
è un'indagine su quello che viene descritto come il delitto più
grave dopo quello di Aldo Moro. Piersanti Mattarella era un suo
pupillo e un suo erede: in Sicilia, di cui era presidente, ne aveva
ripreso la linea di un rinnovamento della vita politica e di
convinte aperture verso il Pci. Il docufilm – prodotto da Mauro
Parissone per 42° Parallelo, Antonio Campo dell'Orto e Ferruccio De
Bortoli – verrà presentato a Roma con un'anteprima nazionale il 9
gennaio 2025 al cinema Moderno, e a Bologna con una proiezione
speciale al cinema Modernissimo. Attorno al caso Mattarella vengono
ricostruite le vicende che avevano visto la nascita di un governo
regionale che aveva alzato il velo sul sistema siciliano delle
connivenze e della convergenza di interessi tra mafia, poteri
occulti e politica. —
il caso
"Ecco chi erano i killer di Mattarella" La nuova pista grazie alle
foto d'archivio
Riccardo Arena
Palermo
Del patto inconfessabile tra neri e mafiosi era convinto lo stesso
Giovanni Falcone e la pista che indicava come esecutori materiali
due terroristi neofascisti è stata a lungo seguita, anche in tempi
recenti, pure quando - pure contro ogni ostacolo processuale -
Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini erano stati ancora ritenuti
al centro della complessa trama dell'omicidio di Piersanti
Mattarella, fratello di Sergio. La stessa pistola che avrebbe ucciso
il presidente di una Sicilia che voleva avere «le carte in regola»
avrebbe poi assassinato il giudice Mario Amato, pochi mesi dopo, a
giugno del 1980: mancavano però i riscontri, l'identità tra le ogive
esplose nei due delitti non era certa. E lasciamo stare che i due
"neri" sono stati assolti con una sentenza che è definitiva da un
quarto di secolo, ostacolo processuale tecnicamente insormontabile.
Ora però vengono fuori gli indagati e i due possibili esecutori
materiali sarebbero nomi di peso nell'universo mafioso: uno è Nino
Madonia, superkiller e appartenente a una famiglia di rango, figlio
di Francesco, un componente della commissione condannato (con Riina
e Provenzano) come mandante del delitto. Madonia da anni ormai è
sospettato di avere sparato a Piersanti Mattarella anche per via
della sua somiglianza - all'epoca - con Fioravanti. L'altro è
Giuseppe Lucchese, "Lucchiseddu", superkiller di mafia. Scontano
entrambi ergastoli, potrebbe non fare alcuna differenza, per loro,
uno in più o in meno. E però quel delitto di 45 anni fa si porta
dietro ancora mille misteri, sebbene si parli del fratello
dell'attuale presidente della Repubblica, tra i primissimi a
intervenire – inutilmente – in soccorso del prossimo congiunto. Il
grumo di interessi mafiosi e di altro genere, politici e
imprenditoriali innanzitutto, contro quell'anomalo democristiano
allievo di Aldo Moro e insensibile ai richiami all'ordine e
all'equilibrio costituito di pacifica convivenza e connivenza del
tempo, non è mai emerso con nettezza. Se dovessero essere
individuati i killer, ci sarebbe comunque un tassello di verità in
più.
Il processo che fu celebrato all'epoca, su input del procuratore
aggiunto Giovanni Falcone e dei sostituti Giuseppe Pignatone e Guido
Lo Forte, prendeva in considerazione - non a caso - i "delitti
politici" (Mattarella, Reina, La Torre, Dalla Chiesa) nel loro
complesso. Un'auto sospetta, fotografata per caso sul luogo del
delitto, in via Libertà: ci sarebbe questo, alla base della nuova
ipotesi investigativa che ha portato a una decisa accelerazione
dell'inchiesta, già riaperta anni fa. Un riscontro possibile per
circoscrivere il novero dei sospetti e anche per escludere
definitivamente che quel giorno avesse agito Fioravanti e non
Madonia. La somiglianza tra i due potrebbe avere tratto in inganno
la vedova del presidente, Irma Chiazzese, che in aula si era detta
sicura che a sparare fosse stato Fioravanti. Nei mesi scorsi una
lettera anonima era stata recapitata ai familiari: lì si indicava il
killer, con tanto di identikit e foto del possibile colpevole. Poi
gli investigatori della Dia erano andati nelle redazioni di
quotidiani, televisioni e agenzie di stampa, alla ricerca di foto e
articoli. Avevano riprodotto tantissimo materiale, anche fogli di
vecchi giornali dell'epoca e si sarebbero imbattuti nella foto di
un'auto non rubata, riconducibile a soggetti legati a Cosa nostra.
Il 6 gennaio 1980 un killer dagli occhi di ghiaccio, con estrema
freddezza, sparò una prima volta quattro colpi con una calibro 38
Special e, dopo che la pistola si era inceppata, andò a cambiarla,
facendosi passare una Smith&Wesson dal complice che lo aspettava su
una 127 rubata. Camminando con andatura ballonzolante si riavvicinò
alla Fiat 132 su cui c'erano il presidente siciliano, che la
domenica rinunciava alla scorta per andare a messa, la moglie, che
cercò di fargli scudo col corpo, rimanendo ferita, la madre di lei e
i figli della coppia: Maria, recentemente scomparsa, e Bernardo, ex
deputato regionale del Pd. Sergio Mattarella, che abitava di fronte
(e ha ancora casa lì) venne immortalato mentre cercava di tirare
fuori dalla 132 il fratello morente, in una storica foto di Letizia
Battaglia, che passava di là per caso e scattò senza sapere chi
fosse la vittima. Si moriva tanto, a Palermo, allora, si faceva
fatica persino a capire che avevano sparato al presidente della
Regione. —
recensioni
Il bazar
delle
lorenzo cresci
«Comprare recensioni su TripAdvisor». Basta un clic. Il motore di
ricerca si avvia e restituisce il paradiso, anzi, la «reputation».
Perché di quella si vive, in fondo, soprattutto se fai ristorazione.
Ci sono siti – che si presentano come agenzie – che mettono in
vendita pacchetti di voti tra gli 11,90 e i 15,90 euro. La selezione
è ampia: il commerciante può scegliere tra due Opzioni («I tuoi
commenti» oppure «Commento su misura») e anche quante recensioni al
giorno: una, due o tre. D'altro canto, garantisce l'agenzia «con
sedi a Roma e New York», ormai «più dell'80% degli utenti Internet
consulta le recensioni dei clienti e le loro stelle su un sito prima
di andarci. I buoni commenti aiutano a indirizzare questi utenti
alla tua piattaforma». Secondo un sondaggio di Fipe-Confcommercio il
valore percentuale è del 65%, ma comunque resta molto alto.
Questa è l'offerta low cost, perché le agenzie considerate di alto
livello – GetAFollower, Media Mister o Buy Real Media – chiedono
anche 57 euro a recensione su TripAdvisor. L'aspetto curioso è che
non necessariamente si possono acquistare soltanto recensioni a 5
stelle. Sono in commercio anche quelle a 1 o 2 stelle, per cercare
evidentemente di mitigare l'entusiasmo. Una delle ricerche più
recenti della stessa TripAdvisor – il Review transparency report
datato 2022 – sostiene che «oltre 1,3 milioni di recensioni al mondo
sono risultate false», ovvero il 4,3% di quelle complessive, un dato
in crescita rispetto agli anni precedenti, anche se condizionato dal
periodo del Covid, quando soprattutto associazioni come
Confesercenti denunciarono le false recensioni scritte dai No Green
Pass. Ma c'è un elemento importante: i pareri manipolati perché a
pagamento in realtà sono stati appena 24.500, e l'Italia è tra i
primi Paesi al mondo, quinta, tra Turchia e Vietnam.
È un grande bazar, insomma, quello delle recensioni, se non fosse
che di mezzo c'è autenticamente la credibilità: del ristoratore e
del cliente. Il ristoratore mettendoci la faccia, il cliente spesso
l'anonimato. Un po' come nel caso avvenuto a Roma negli scorsi
giorni: «Esperienza del tutto inaspettata, completamente deludente
per il nostro gruppo», scrive il cliente. «Peccato che un ragazzo
abbia avuto la brillantissima idea di lanciarsi dalla finestra, e
gli altri abbiano giocato a tennis con i taglieri dei salumi»,
risponde il proprietario del ristorante.
Chi non si è piegato a una pioggia di improvvise recensioni negative
– dopo centinaia di giudizi positivi – è il ristoratore
dell'Hostaria Ducale di Genova, Enrico Vinelli. Che ha fatto causa
(vincendola) a Google. «Improvvisamente mi sono arrivati decine di
giudizi negativi, ma non credibili – racconta Vinelli – Un sedicente
cliente addirittura diceva di "aver mangiato qui la peggiore pizza
di Roma". Erano tutte in inglese, fioccavano una dopo l'altra». A
quel punto l'imprenditore si rivolge a Google chiedendo di
verificare le recensioni, ma il colosso dice che non è così, in
fondo quelle recensioni non hanno contenuti offensivi. Si arriva in
procura e, dimostrata la falsità dei contenuti, Google viene
costretta a rimuovere le recensioni lasciate da un cosiddetto "bot",
e, si legge nell'ordinanza, «usando l'ordinaria diligenza, ne
avrebbe potuto facilmente riconoscere la falsità, provvedendo quindi
autonomamente alla loro eliminazione».
Si è scagliato direttamente contro un cliente, invece, Simone
Angeli, proprietario del ristorante "Chi Burdlaz" di Marina centro a
Rimini (2.542 recensioni su Google, media di 4,3 stelle su 5), che
ha querelato per diffamazione aggravata un cliente tedesco che aveva
pubblicato online una recensione negativa, aggiungendo che non gli
era stato rilasciato uno scontrino fiscale (accusa giudicata falsa,
perché il pagamento elettronico del conto dimostrerebbe il
contrario). I fatti sono del 2022, «la querela è rimasta» conferma
il proprietario al telefono, anche se la pratica è ferma e non c'è
stato uno sviluppo giudiziario. Altri casi? «Ogni tanto capita,
rispondo solo se mi fanno realmente arrabbiare, altrimenti lascio
perdere», conferma. Altri casi arrivano in ordine sparso da ogni
parte d'Italia: il ristorante Rigoletto di Mantova è stato
tempestato di giudizi negativi dopo aver partecipato alla
trasmissione tv di Alessandro Borghese per l'atteggiamento della sua
proprietaria, così come un ristoratore di Arezzo che nella stessa
trasmissione aveva affermato di essere gay. E c'era un autista di
autobus romagnolo (condannato) dietro decine di recensioni negative
al ristorante Artrov di Rimini, reo di non somministrare spritz,
mentre era un vicino di casa indispettito dalla musica che proveniva
dal locale a scrivere «Very bad... pessimo» dell'agriturismo di Jesi
"bocciato" nelle recensioni.
C'è di tutto, insomma ma in generale il problema secondo i
ristoratori è uno: «Chiunque può lasciare una recensione in forma
anonima, mentre piattaforme come The Fork sono sulla carta più
affidabili perché offrono un servizio di prenotazione. Il cliente,
arrivato al ristorante, viene "segnato" presente e solo a quel punto
potrà scrivere una recensione». Sulla carta sicuro, ma siccome non
sempre è solo il cliente ad avere torto, c'è chi ha scoperto un
inganno: può essere lo stesso ristoratore a prenotare – magari
usando il nome di un conoscente o di un parente – quindi segnalare
l'arrivo del presunto cliente con l'apposita app, pagare 2,50 euro
di commissione e infine liberare il tavolo. E rilasciare un giudizio
(positivo). In fondo, business is business: e 2,50 euro è meglio dei
57 euro proposti dalle agenzie di vendita recensioni. —
Le carte degli Usa
di
La rete Abedini
Roma
Della storia di Mohammad Abedini, l'ingegnere iraniano arrestato a
Malpensa su mandato degli Stati Uniti, restano alcuni aspetti da
chiarire. Si è scritto ieri, su questo giornale, della sua carriera
folgorante nell'industria militare, alla guida dell'azienda "Sdra",
e del rapporto con i suoi principali clienti, i Pasdaran. Washington
l'accusa di aver esportato illegalmente tecnologie americane in
Iran, fornendo un supporto all'associazione terroristica delle
Guardie della rivoluzione. Ma Abedini, per quanto intraprendente e
potente sia diventato, non può aver fatto tutto da solo. Quella che
segue è quindi la ricostruzione degli eventi fornita da un resoconto
delle indagini condotte dall'unità di controspionaggio dell'Fbi di
Boston, di cui La Stampa è in possesso. Da questo fascicolo emergono
il metodo e la rete di relazioni che avrebbero permesso ad Abedini
di penetrare nel mondo delle aziende statunitensi, esportare le loro
tecnologie e alimentare l'industria dei droni iraniana.
Nella storia di Abedini svolge un ruolo da protagonista un altro
ingegnere iraniano, Mahdi Sadeghi. È laureato all'Università di
Teheran e ha un dottorato alla Michigan University dove da
ricercatore guida un progetto per lo sviluppo di Mav, droni poi
rimpiazzati dai moderni Uav. Vive in Massachusetts e qui nel 2015
fonda insieme a due soci la "Tacit Motion", un'azienda che si
dovrebbe occupare di sensori di movimento per il fitness.
Nell'agosto dello stesso anno chiede e ottiene un prestito da 790
mila dollari dalla "Fondazione nazionale per le élite iraniane", un
ente governativo di Teheran sospettato di svolgere un ruolo di
scouting per i Pasdaran. L'accordo dietro questo prestito prevede -
secondo l'Fbi - che Sadeghi crei una società gemella di "Tacit
Motion" in Iran e che condivida la proprietà intellettuale dei
prodotti che svilupperà negli Usa. I due soci di Sadeghi sanno di
essere entrati nel territorio dell'illegalità. Il 3 dicembre 2015
avviene questo scambio di mail: «Avrei bisogno dei weekend liberi» -
«Puoi avere tutti i weekend liberi che vuoi, se prometti di portarmi
un po' di chai in prigione». E ancora, il 1 agosto 2016, Sadeghi
interroga uno dei soci sulla società gemella iraniana. «Immagino - è
la risposta - che dovrei sapere almeno che nome abbia quando verrò
condannato in tribunale».
Subito dopo aver ricreato l'azienda di sensori per il fitness a
Teheran, nel 2016 viene messo in contatto con Abedini e la sua "Sdra",
che già da anni progetta componenti di missili balistici per i
Pasdaran. Abedini - per l'intelligence - capisce che la presenza di
Sadeghi negli Usa può rivelarsi utile: ha bisogno di tecnologia
americana per far crescere la Sdra. Prima, però, devono fidarsi
l'uno dell'altro. Così, Sadeghi firma un contratto da 250 mila
dollari per acquisire da Sdra firmware e prototipi di hardware. Poi,
nel dicembre 2016, ordina del materiale elettronico da un'azienda
statunitense e nella bolla di spedizione del pacco, che arriva in
Massachusetts, si specifica che alcuni di quei prodotti verranno
esportati e viene segnato come "riferimento cliente" la Sdra per due
di quei prodotti. Il 2 gennaio 2017 vola quindi a Teheran, per
tornare negli Usa il 10 gennaio, portando con sé – sospettano gli
Usa – i due materiali per Abedini, violando i divieti di
esportazione. Abedini ora sa che può contare su Sadeghi e tra il 2 e
il 10 gennaio lo invita spesso nella sede della Sdra. In almeno tre
occasioni, infatti, l'Fbi registra che Sadeghi consulta le sue mail
dall'indirizzo IP della Sdra. E anche dopo la partenza di Sadeghi, i
due restano in contatto.
Nell'agosto 2017 Sadeghi parla a Abedini della sua idea: una
collaborazione tra la sua Tacit Motion e l'azienda americana A.D..
Sa che è la preferita di Abedini, quella con cui l'amministratore
della Sdra ha intrattenuto rapporti fin dall'inizio delle sue
operazioni. Sadeghi dice di avere un contatto in quell'azienda: un
suo ex compagno della Michigan University. È un'occasione perfetta.
L'inasprimento delle sanzioni americane voluto da Donald Trump nel
maggio 2018 porta a un'accelerazione. Abedini, pochi mesi più tardi,
fonda una nuova società in Svizzera, la Illumove: una vetrina
europea per poter ricevere materiale elettronico dagli Usa e - si
sospetta - esportarlo in Iran. Ma l'obiettivo - secondo l'Fbi - è
più ambizioso: infiltrarsi in una delle più importanti aziende
tecnologiche americane. Sadeghi continua quindi a lavorare sul suo
contatto in A.D. e nel marzo 2019 (un mese dopo essere stato di
nuovo a Teheran nella sede della Sdra) ottiene il primo successo:
riesce a farsi assumere in A.D. come ingegnere. Si è aperta una
breccia. E i due la sfruttano. Sadeghi presenta Abedini come Ceo
della Illumove, ne tesse le lodi, fino a ottenere nell'agosto 2021un
contratto di collaborazione tra A.D. e Illumove. Abedini dovrà
sviluppare uno strumento per valutare prodotti di A.D., che si
chiamerà "Evaluation Board Project". A.D. inizia quindi a inviare
materiale in Svizzera e i viaggi di Abedini da Losanna a Teheran
aumentano. Tra i prodotti inviati ci sono sensori e semiconduttori
che verranno utilizzati, poi, sul sistema di navigazione Sepehr
prodotto dalla Sdra e venduto ai Pasdaran per i loro droni militari.
Compreso quello che ucciderà nel gennaio 2024 tre militari americani
in una base in Giordania. Quando l'Fbi recupera e analizza il chip
di quel drone, estrapola dei dati dal microcontroller e scopre che è
stato prodotto dalla Sdra. Anche il chip è, a vista, sostanzialmente
identico a quello fornito dalla Sdra, come testimonia la foto di un
chip prodotto dall'azienda di Abedini che l'Fbi trova nel suo
archivio mail.
Abedini intanto è lanciato e a nome di Illumove propone alla A.D. di
sviluppare prodotti che ha già creato, come «NavStudio», un sistema
di navigazione sviluppato dalla Sdra iraniana e che può essere
applicato al sistema Sepehr per droni militari. Mette quindi al
lavoro sul progetto i dipendenti della Sdra a Teheran, pagandoli in
dollari americani. E i dipendenti si lamentano: «I pagamenti in
dollari a chi lavora in Iran sono una cosa ingiusta!», si legge in
una mail. «Dovrebbero considerarlo un lavoro della Sdra», replica il
collega. Condivide con i dipendenti della Sdra, da marzo 2022 ad
aprile 2024, innumerevoli schede tecniche e informazioni su prodotti
della A.D., anche se "riservati" o etichettati dal governo Usa come
«materiale antiterrorismo». Nell'indagine Fbi ci sono nomi, numeri,
date, mail, documenti. E su queste prove dovrà decidere la Corte
d'Appello di Milano se estradare Abedini negli Usa o se, come prova
a dire Teheran, sono solo «false accuse». —
STATO DI SALUTE
liste d'attesa
I fantasmi
delle
Così su La Stampa Paolo Russo
roma
Dietro le liste di attesa che si allungano ci sono anche gli
assistiti habitué della "buca". Quelli che si rivolgono al Cup per
prenotare e che poi, il giorno fatidico, al momento di dover
effettuare una visita specialistica o un esame diagnostico non si
presentano, senza nemmeno degnarsi di disdire prima l'appuntamento.
Senza curarsi del fatto che così facendo ambulatori, centri
diagnostici e laboratori di analisi non hanno più il tempo di
chiamare chi era in lunga attesa per ottenere la stessa prestazione.
Un gesto di "maleducazione sanitaria" che secondo i calcoli del
ministero della Salute fa saltare ogni anno circa il 20% di visite e
accertamenti vari programmati. Detta così sembra non poi così grave.
Salvo scoprire che di prestazioni diagnostiche e specialistiche il
nostro Ssn ne eroga qualcosa come 760 milioni l'anno e che quindi
sono oltre 150 milioni le analisi, le tac, risonanze e gli
appuntamenti dal medico saltati, che vanno ad allungare l'attesa di
chi invece aspetta mesi se non anni, quando si parla di prestazioni
diagnostiche come tac, risonanze o ecografie.
Per non parlare anche del danno economico, perché dietro a quegli
accertamenti per cui si è "dato buca" ci sono comunque costi per il
personale e di ammortamento dei macchinari. Calcolando che per la
specialistica e la diagnostica il costo stimato si aggira intorno ai
20 miliardi euro l'anno, si parla di uno spreco di circa 4 miliardi,
che si sarebbero potuti utilizzare per risollevare un po' le sorti
della nostra sanità pubblica in perenne debito di ossigeno.
Considerando sempre due assistiti su dieci che non si presentano,
ecco che, nel dettaglio, ad andare in fumo sono 114 milioni di
prestazioni di laboratorio su 572 milioni erogati ogni anno. A
questi si aggiungono circa 12 milioni di diagnostica, 6 di sedute
per la riabilitazione, 7 milioni di attività terapeutiche varie e
quasi 11 milioni di visite specialistiche.
Usando ancora di più la lente di ingrandimento, parliamo di quasi un
milione di Tac non fatte, 2,8 milioni di radiografie, due milioni di
ecografie e 900 mila risonanze magnetiche che si potevano casomai
effettuare a chi ne aveva realmente bisogno. Anche se non è detto
che dietro il fenomeno di chi salta l'appuntamento ci sia sempre una
sorta di consumismo sanitario. Quello che fa prescrivere visite e
accertamenti senza una vera ragione, ai quali poi si rinuncia vari
motivi, anche futili. In molti casi infatti c'è la cattiva abitudine
di prenotare anche dopo aver già ottenuto un appuntamento, cogliendo
caso mai l'offerta del Cup di uno a distanza di tempo più
ravvicinata. Questo però senza degnarsi di disdire la visita o
l'accertamento già fissato precedentemente.
Della cattiva abitudine si è accorto il ministro della Salute,
Orazio Schillaci, che nel decreto taglia liste di attesa del giugno
scorso all'articolo 3, comma 5, prima prevede che il Cup due giorni
prima contatti l'assistito chiedendogli conferma dell'appuntamento.
Poi al successivo comma 7 stabilisce che a quel punto «l'assistito,
anche se esente, che non si presenta nel giorno previsto senza
giustificata disdetta, salvi i casi di forza maggiore e
impossibilità sopravvenuta, è tenuto al pagamento all'erogatore
pubblico o privato accreditato della quota ordinaria di
partecipazione al costo, stabilita dalle norme vigenti alla data
dell'appuntamento, per la prestazione prenotata e non usufruita».
Tradotto: se non ti presenti all'appuntamento e non hai disdetto
prima paghi il ticket. Che per quel 20% di assenti ingiustificati a
visite e accertamenti vari fa 1,8 miliardi in un anno. Altri soldi
che lo Stato potrebbe incassare ma che non incamera. Perché lo
stesso decreto legge per applicare la tassa prevede, sempre
all'articolo 3, comma 5, l'emanazione di specifiche linee di
indirizzo che a distanza di sei mesi dall'approvazione del Dl non
risultano ancora essere state predisposte e nemmeno sembrano in
procinto di esserlo.
Così come tra i provvedimenti attuativi del medesimo decreto manca
quello che doveva dar vita al tassello forse più importante: la
norma taglia coda, che consentirebbe agli assistiti di rivolgersi
direttamente al privato pagando solo l'eventuale ticket, qualora nel
pubblico i tempi di attesa superino quelli massimi previsti per
legge. Che sono di 72 ore nei casi urgenti, 30 giorni per quelli
differibili (che diventano 60 per gli accertamenti diagnostici), 120
giorni per le prestazioni programmabili. Il "decreto Schillaci"
prometteva un passo avanti rispetto a oggi, perché al momento prima
si anticipano i soldi e poi si chiede il rimborso con tanto di Pec e
prova documentale di non aver ottenuto la prestazione nei tempi
massimi stabiliti per legge. Un percorso a ostacoli che rende di
fatto inesigibile questo diritto. Che tale resterà fino a quando non
verrà alla luce un qualche provvedimento o circolare che spieghi
come saltare la fila senza sborsare denaro in anticipo, sperando poi
nella remota possibilità di vederselo restituire dalla propria Asl.
04.01.25
L'atto di accusa dell'Fbi ad Abedini "Così lavorava per i pasdaran" Federico Capurso
Roma
Sono intrecciati, ormai, i destini di Cecilia Sala e di Mohammad
Abedini, il cittadino iraniano arrestato il 16 dicembre scorso
all'aeroporto di Malpensa su mandato degli Stati Uniti. Teheran
pretende che non venga consegnato agli Usa. Washington invece ha già
chiesto l'estradizione ed entro 21 giorni invierà alla Farnesina il
fascicolo dell'inchiesta sulla base del quale la Corte d'appello di
Milano deciderà del destino di Abedini. La Stampa è in possesso di
un resoconto delle indagini portate avanti dal controspionaggio
americano su cui si fonda l'accusa contro Abedini e contro Madhi
Sadeghi. Entrambi sono imputati di aver cospirato per esportare
tecnologia statunitense in Iran, aggirando le sanzioni, e di aver
supportato le Guardie rivoluzionarie che gli Usa considerano
un'associazione terroristica.
Quella che segue è la ricostruzione della rapida ascesa di Abedini
nel mondo dei pasdaran, ottenuta attraverso il lavoro
dell'intelligence americana e le informazioni ricavate da fonti open
source. Ne emerge un personaggio che supera la semplice definizione
di «ingegnere dei droni». Come risulta chiaro, ad esempio, dal ruolo
di consulente, dal 2019 al 2021, al servizio dell'Ente di ricerca
per l'autosufficienza del jihad, un'organizzazione collegata alle
Forze aerospaziali delle Guardie rivoluzionarie. In questo ramo
delle milizie pasdaran vengono sviluppati sistemi missilistici,
veicoli militari, equipaggiamento per cyber attacchi, radar, e ha
tra i suoi "clienti" organizzazioni terroristiche come Hamas e
Hezbollah.
La carriera di Abedini inizia prestissimo. Ed è folgorante. Nel
2010, mentre sta svolgendo un dottorato in ingegneria meccanica
all'università Sharif di Teheran, viene avvicinato dal dipartimento
per le Relazioni industriali dell'ateneo, grazie al quale nel 2011,
appena 24enne, fonda insieme a due soci l'azienda San'at Danesh
Rahpooyan Aflak, nota come "Sdra". E ottiene il ruolo di
amministratore delegato, oltre al 32% delle quote della società. Non
sembra una start-up qualunque, almeno a giudicare dall'identità di
uno dei due soci, Amid Fazeli, già amministratore dell'Agenzia
spaziale iraniana. Dal 2011 al 2013 l'azienda di Abedini raccoglie
soprattutto informazioni, struttura l'azienda, abbozza i primi
progetti. È un periodo che coincide con gli anni centrali del
dottorato di Abedini alla Sharif University. Per l'intelligence
americana, già dal 2014 il giovane Ceo della Sdra è a conoscenza del
divieto di esportare in Iran tecnologia statunitense. Manda infatti
una mail a un'azienda in Massachussets - che chiameremo A.D. -,
vuole farsi spedire dei sensori per la sua tesi di dottorato in
robotica e meccatronica. Un dipendente di A.D. gli risponde, però,
che non può fornirglieli a causa del divieto di esportazione dovuto
alle sanzioni.
Nonostante questo, secondo il business plan della Sdra ottenuto
dall'intelligence, nel 2014 l'azienda di Abedini inizia comunque a
stipulare contratti con i pasdaran tramite il Centro industriale di
ricerca per la Marina e le Forze aerospaziali Shahed. Dalle carte
dell'inchiesta risulta, poi, che i tecnici della Sdra abbiano
lavorato con e per le Forze aerospaziali delle Guardie
rivoluzionarie su progetti per la produzione di missili balistici.
Abedini, però, compie il primo salto di qualità quando, grazie anche
al doppio passaporto iraniano e svizzero, nel 2015 ottiene un posto
da ricercatore all'École polytechnique fédérale di Losanna, in
Svizzera. Dunque, è in Europa. E dal gennaio 2016 - si legge nel
rapporto - è in grado di procurarsi materiale tecnologico americano.
Si rivolge ancora all'azienda A.D., ma questa volta chiede di
spedire tutto al nuovo indirizzo di Losanna. «Destinatario: Mohammad
Abedini, Sdra», si legge sui pacchi che contengono componenti per
sistemi di navigazione, utilizzabili su droni militari. L'obiettivo
successivo è riuscire a portarli in Iran. Sempre nel gennaio 2016
Abedini invia quindi una mail alle autorità dell'aeroporto di
Ginevra chiedendo se può trasportare «campioni» di prodotti di A.D.
sul volo per Teheran. Per i servizi Usa «mente alle autorità
svizzere» quando sostiene che siano «prodotti generici, non coperti
da restrizioni», utilizzati per progetti universitari. Gran parte di
quei materiali - si legge nel report - erano invece soggetti a
restrizioni. Sarebbe un reato, ma il viaggio è un successo. Nei
successivi due anni, Abedini inizia a ordinare materiale elettronico
da molte aziende Usa, sempre con lo stesso metodo. Attraverso queste
spedizioni ottiene - secondo l'intelligence - anche i
microtelecomandi che utilizzerà per il futuro prodotto di punta
della Sdra: il sistema di navigazione Sepehr per i droni "Uav" dei
pasdaran.
Nel 2018 Abedini deve però superare un nuovo ostacolo. L'8 maggio
l'allora presidente Donald Trump annuncia l'uscita degli Usa dal
Jpcoa, l'accordo sul nucleare iraniano che, in cambio di restrizioni
sullo sviluppo della tecnologia nucleare, allentava le sanzioni alla
Repubblica islamica. Poco dopo, gli Usa tornano a imporre un
massiccio sistema di sanzioni sull'export verso l'Iran. Per Abedini
è un problema serio. Non può continuare a farsi spedire materiale
per scopi universitari dalle aziende americane. Il 9 agosto un
professore universitario, suo amico, gli dice quindi che, «alla luce
delle proposte di partnership e del ritorno delle sanzioni
americane, deve spostare i suoi affari lontano dall'Iran. La
Svizzera - lo consiglia - sembra una buona opzione». E Abedini si è
già dimostrato intraprendente. Appena un mese dopo, il 10 settembre
2018, insieme a un nuovo socio svizzero, invia un business plan in
cui risulta cofondatore di una nuova società, la "SadraLab", che -
si legge nel business plan - si occuperà di fornire sistemi di
navigazione alle aziende. Viene omesso, invece, qualunque
riferimento alla Sdra e ai collegamenti con i pasdaran. A metà 2019
il nome SadraLab viene però bocciato dal "board" (l'intelligence
pensa che si tratti del consiglio d'amministrazione della Sdra),
perché se l'azienda deve essere una "vetrina pulita" attraverso cui
far arrivare materiale tecnologico dagli Usa, non può avere un
riferimento così smaccato alla Sdra iraniana. Nasce, così, "Illumove".
In un documento interno dell'azienda (secondo i servizi è una bozza
di accordo tra Abedini e il socio svizzero) si stabilisce che: «Illumove
è stata fondata con la funzione di ramo d'azienda per le vendite e
il branding della Sdra»; che Abedini è «l'azionista di maggioranza»,
perché le sanzioni all'Iran non permettono a Sdra di avere un ruolo
diretto in un'azienda svizzera; che i guadagni di Illumove sarebbero
stati «trasferiti alla Sdra tramite Abedini».
Il documento indica poi - scrive l'intelligence - che lo scopo
principale di Illumove è quello di aggirare le sanzioni all'Iran e
spiega, in parte, il modo in cui pensa di farlo. Così, nasce quello
che per gli Usa diventerà il cavallo di Troia attraverso cui Abedini
e la Sdra si avvicineranno alle aziende tech americane, penetreranno
al loro interno e riporteranno informazioni e tecnologie in Iran.
Due anni dopo nasce il sistema di navigazione Sepehr e i pasdaran lo
adorano. Nel 2021 l'87% di vendite del sistema di navigazione per
droni della Sdra è rappresentato da contratti con le Guardie della
rivoluzione. Nel 2022, con la guerra in Ucraina e la vendita di
droni a Mosca - si legge nel resoconto - le vendite del Sepehr
aumentano del 556% e i contratti con i pasdaran rappresentano,
ormai, il 99,5% dei profitti della Sdra. Il trucco funziona. —
03.01.25
Per la pg le garanzie sull'iraniano sono insufficienti. America in
allarme: "Altissimo pericolo di fuga"
Parere negativo sulla scarcerazione di Abedini Dall'America stoccata
all'Italia: 7 ricercati già evasi monica serra
milano
Per la procura generale di Milano, le garanzie offerte dalla difesa
di Mohammad Abedini Najafabadi sono «insufficienti». I domiciliari
in un appartamento privo di controlli, messo a disposizione dal
consolato iraniano ma a tre chilometri dalla sua sede milanese, e la
revoca in caso di evasione del sostegno economico che Teheran gli
assicura sono ritenute «circostanze non adeguate» a escludere il
pericolo di fuga dell'uomo dei droni.
Con queste motivazioni, la procuratrice generale Francesca Nanni ha
dato parere negativo all'istanza di scarcerazione o, in alternativa,
di domiciliari avanzata dal legale dell'ingegnere iraniano, su cui
deciderà la Corte d'Appello in un'udienza che per legge non può
essere fissata prima del 13 gennaio.
Solo qualche ora prima, il ministero della Giustizia aveva trasmesso
a Milano una nota datata 2 gennaio con cui il Department of Justice
bacchetta l'Italia. E in cui, avendo «appreso dell'istanza di
domiciliari», gli Usa ricordano l'«altissimo rischio di fuga» di
Abedini, che può «compromettere il procedimento di estradizione» e
«vanificare risorse giudiziarie e processuali dell'Italia e degli
Stati Uniti». Come del resto – si sottolinea – è già capitato in
almeno sette casi negli ultimi quattro anni. Il primo e più noto
latitante dell'elenco è il figlio dell'oligarca russo Artem Uss,
fuggito dai domiciliari nel marzo del 2023 prima della decisione
sull'estradizione. Ma prima di lui – si ricorda nella nota – ci
erano riusciti la spagnola Laura Virginia Fernandez Ibarra, scappata
da Firenze, il nigeriano Efeturi Simeon, sospettato di truffe
informatiche, l'americano Christopher Charles Gardner, fuggito da
Genova, il greco Christos Panagiotakoupoulous scomparso in Veneto,
la svizzera Daisy Teresa Rafoi Bleuler, accusata di riciclaggio e
sparita da Milano, il tedesco Uwe Bangert, che nel 2019 ha ottenuto
i domiciliari a Trento. Tutti casi che «rafforzano» il fatto che i
domiciliari non «garantiscono efficacemente» la consegna del
latitante.
Nel file si fanno presenti le «ingenti risorse finanziarie» e i
«legami con il regime iraniano» di Abedini su cui pesano accuse
gravi. È sospettato di cospirazione per l'esportazione di componenti
elettronici sofisticati e di fornire sostegno materiale alle Guardie
della Rivoluzione islamica, inserite da Washington nella lista delle
organizzazioni terroristiche e che hanno portato alla morte di tre
militari statunitensi nel corso di un attacco con un drone a una
base militare in Giordania. Come ha spiegato anche al legale
dell'ingegnere, Alfredo De Francesco, che ieri ha ricevuto nel suo
ufficio, nel parere negativo la pg Nanni non è entrata nel merito
delle accuse «riservandosi un'approfondita e completa valutazione
all'esito degli atti» che si attendono dagli Usa e riguardano il
procedimento di estradizione per cui i tempi saranno più lunghi. Si
è limitata a valutare che le garanzie offerte «per il momento» nella
richiesta di domiciliari non bastano, anche se accompagnate da una
affidavit del consolato. Anche perché l'appartamento messo a
disposizione non è neppure frequentato da personale consolare.
E a poco servirebbe imporre ad Abedini il divieto di espatrio e
l'obbligo di firma come chiede la difesa. Nessun cenno compare,
ovviamente, negli atti all'arresto di Cecilia Sala. I giudici non
possono entrare nel caso diplomatico ma il governo potrebbe
intervenire sul fronte giudiziario: la legge prevede, infatti, che
in qualsiasi momento il ministro Nordio autonomamente possa decidere
di scarcerare Abedini. —
02.01.25
LA PROF.SSA MARIA GRAZIA SESTERO
MI HA LASCIATO DIRE QUELLO CHE PENSAVO CONDIVIDENDO 30 ANNI FA LE
MIE PROPOSTE DELLE PISTE CICLABILI : L'ex deputata e
presidente dell'Anpi aveva 82 anni. Da titolare della Viabilità
trasformò il centro e le periferie che continuava a sognare
"pedonali"
Addio Sestero, l'assessora che ridisegnò Torino Tolse le auto da via
Lagrange e piazza San Carlo ANDREA JOLY
Ha trasformato via Lagrange, nonostante le polemiche. Ha ridisegnato
piazza San Carlo, rendendola il "salotto di Torino" senza auto. Ma
anche piazza Vittorio, con il parcheggio interrato lungo tutta la
spina dorsale del centro, e via Carlo Alberto, «resa pedonale con i
risparmi degli altri cantieri – racconta l'ex sindaco Sergio
Chiamparino, che le ha affidato le deleghe alla Viabilità in Comune
dal 2001 al 2011 – uno dei suoi tanti colpi da grande assessora». E
ancora: la Metro 1, la Spina centrale, le prime ciclabili in centro
come via Principe Amedeo e via dell'Arcivescovado: Maria Grazia
Sestero ha ridisegnato tutta Torino nel suo viaggio al servizio
della città, dall'esordio in Consiglio comunale nel 1978 a ieri,
quando si è spenta all'età di 82 anni alle prime ore del nuovo anno.
Torino, all'alba del nuovo anno, ha dovuto dire addio alla «madre
delle pedonalizzazioni». Ma non solo: Maria Grazia Sestero, volto
storico della politica torinese prima con il Pci e poi con
Rifondazione Comunista, Movimento dei Comunisti Unitari e
Democratici di Sinistra, è stata docente e preside del liceo
Einstein. E anche presidente dell'Anpi provinciale, missione per la
Memoria che ha portato avanti fino alle ultime ore della sua vita,
come ricorda l'attuale presidente della sezione torinese Nino Boeti:
«Nel nostro ultimo incontro a casa sua, durante la malattia, abbiamo
parlato di politica, dell'attuale governo così lontano da noi e dai
nostri ideali, dell'Anpi, del 25 Aprile prossimo e dell'Ottantesimo,
con tutte le iniziative che stiamo portando avanti».
L'impegno politico ha toccato tutti i fronti, dalla Città al
Parlamento come deputata della Repubblica dal 1992 al 1994. Ma è nel
suo ruolo da assessora alla Viabilità e ai Trasporti, tra il 2001 e
il 2011, che ha cambiato volto a Torino. «Gli angoli della città che
portano la sua firma sono troppi per citarli tutti - aggiunge
Chiamparino - ma tra i tanti mi piace citarne uno in periferia,
forse il fronte più nascosto di tutto il suo enorme lavoro per la
città». Quale? «Il sottopasso in piazza Rivoli. Senza quell'incrocio
sarebbe anche peggio di piazza Baldissera». Ridisegnare le periferie
è stato il suo ultimo sogno per la città. Tanto che, nell'ultima
intervista a La Stampa di luglio, suggeriva: «Le auto spariscano
anche lontano dal centro». «In giunta era una protagonista anche
quando le discussioni non trattavano le sue deleghe - conclude
Chiamparino - e sapeva arricchire sempre il dibattito».
Il primo a ricordarla, ieri mattina, è stato l'attuale sindaco
Stefano Lo Russo: «Ci lascia una parte importante della nostra
storia, sempre a disposizione della comunità. Ci mancheranno molto
la sua intelligenza e la sua ironia». «Ne ricordo la competenza, la
passione civile, l'attenzione e la cura per le persone, l'amore per
l'insegnamento e per una scuola aperta all'innovazione» è il
cordoglio dell'ex sindaco Piero Fassino. Nino Boeti, sull'impegno da
assessora, aggiunge: «Ha reso Torino una città europea», mentre l'ex
sindaca e parlamentare Chiara Appendino ha scritto: «Chiunque abbia
lavorato per Torino ha avuto a che fare con lei e col suo impegno
per la nostra città». In Parlamento l'hanno ricordata anche i dem
Andrea Giorgis - «Un esempio di impegno e di passione politica e
civile» - e Anna Rossomando: «Un riferimento autorevole e
battagliero, laddove la dialettica più aspra comprendeva sempre
l'ascolto dell'altro». E Marco Grimaldi, di Avs, studente
dell'Einstein ai tempi di Sestero preside: «Occupavamo ed eri sempre
pronta all'ascolto. Eri una grande donna, erede della storia
partigiana».
Da oggi Torino può salutarla presso la Casa Funeraria Memoria della
cooperativa Astra in lungo Dora Colletta 113/12 (14,30-17,30). —
01.01.25
LA LEGGE CALTAGIRONE-GROSS PIETRO :
DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI
INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO INVESTIMENTI
MILIARDARI IN ITALIA - I VARI BLACKSTONE, KKR, MACQUARIE, BLACKROCK,
CHE ALL’INIZIO AVEVANO INVESTITO IN AZIENDE DI STATO, BANCHE,
ASSICURAZIONI, RITENENDO IL GOVERNO DUCIONI STABILE E AFFIDABILE,
DOPO APPENA DUE ANNI SI SONO ACCORTI DI AVER BUSCATO UNA SOLENNE
FREGATURA - DAL DECRETO CAPITALI AD AUTOSTRADE, DALLA RETE UNICA
ALLE BANCHE, E’ IN ATTO UN BRACCIO DI FERRO CON NOTEVOLI TENSIONI
TRA I “POTERI FORTI” DELLA FINANZA MONDIALE E QUEL GRUPPO DI
SCAPPATI DI CASA CHE FA IL BELLO E IL CATTIVO TEMPO A PALAZZO CHIGI,
IGNORANDO I TAPINI DEL MANGANELLO, COSA ASPETTA LORO NELL’ANNO DI
GRAZIA 2025...La bozza è pronta e non manca molto per completare il
regolamento attuativo della legge capitali. In vigore da domani, è
ormai quasi certo che la Consob riesca a concludere il lavoro per
rendere operativa la norma già entro la fine di gennaio - o al
massimo per la metà di febbraio - in modo che possa essere
pienamente utilizzata per i rinnovi dei cda che si aprono nella
primavera del 2025.
Il secondo giro di consultazioni tra esperti, infatti, termina tra
due settimane e poi non resta che finalizzare il regolamento. Ma
intanto i principali dubbi espressi da giuristi e gestori di fondi
d'investimento nell'applicazione della norma sono stati sciolti.
Questo non vuol dire che il giudizio sulla riforma del mercato dei
capitali, approvata l'anno scorso alle Camere, sia cambiato: resta
una scelta del governo indigesta a molti, soprattutto agli
investitori internazionali che la considerano «bizantina e poco
comprensibile».
Il governo, però, ha deciso di tirare dritto (per i critici la norma
è stata scritta appositamente per favorire la prossima primavera la
modifica degli equilibri all'interno del cda delle Generali). E ora
il parere degli esperti è che, con i chiarimenti predisposti dalla
Consob, almeno i nodi operativi sono risolti.
Il principale riguarda la presentazione della lista del cda, una
prassi che si era diffusa in passato ma che non era mai stata
regolamentata. È giudizio diffuso che possa diventare più complessa
la presentazione.
A partire dall'obbligo che contenga un numero di candidati superiore
di un terzo rispetto ai posti disponibili liste: quindi ci saranno
elenchi meno "studiati a tavolino" e con qualche margine di effetto
sorpresa.
Per quanto riguarda le liste di minoranza, spetterà nel cda un
numero di seggi proporzionale ai voti ottenuti e la Consob precisa
che sarà stabilito «in misura proporzionale ai voti realizzati da
ciascuna lista che abbia conseguito una percentuale di voti non
inferiore al tre per cento, ma tenendo fermo il principio di default
secondo il quale, a tutela della governabilità della società, la
maggioranza degli amministratori da eleggere debba essere tratta
dalla lista risultata prima».
Un ultimo punto è quello della seconda votazione: dopo la prima
tornata che indica la lista vincitrice, ci sarà un secondo voto per
scegliere i componenti. In questo caso la Consob ha chiarito che
potrà votare solo chi aveva espresso la propria preferenza per la
lista di maggioranza, evitando quindi i timori di molti
sull'ingovernabilità.
[…] Con queste premesse, la prima socità che andrà al rinnovo dei
vertici con la nuova legge sarà proprio Generali. E secondo fonti
finanziarie appare sempre più scontato che il cda non presenterà una
propria lista, come invece fece la scorsa tornata: lo scontro si
profila tra la lista di maggioranza che dovrebbe essere presentata
da Mediobanca e quella di minoranza guidata da Caltagirone e dalla
Delfin di Del Vecchio.
Per la legge capitali resta però un'ultima incognita che arriva da
Bruxelles. La Commissione Ue starebbe valutando se l'articolo 11,
quello relativo alle assemblee a porte chiuse scritto nel 2020 per
il Covid e inserito anche nella nuova norma, violi la Shareholders
Right, che invece prevede l'ampliamento della partecipazione.
31.12.24
L'anno nero
del
clima In un contesto di ignoranza selvaggia, malafede politica, e
qualche volta istituzionale, menefreghismo irresponsabile e
affidamento allo stellone o agli dei, i dati relativi agli eventi
climatici estremi dell'anno appena passato non incutono il timore
che dovrebbero e non inducono nessuno ad alcuna decisione di
rilievo. Si va tutti sulla stessa barca dentro un vortice che ci
inghiottirà tutti, senza prestare alcuna attenzione alla voce dei
dati e degli scienziati, senza preoccuparci, se non di noi, almeno
del benessere dei nostri figli e nipoti: avanti tutta, per carità
senza cambiare niente, senza mettere in discussione un modello di
sviluppo che sarà pure l'unico, ma che certamente è il primo
responsabile di questo stato di cose. Sapiens perennemente sull'orlo
di un futuro incerto. Ma partiamo dai fatti.
Secondo il bilancio 2024 di Legambiente su città e clima, in Italia,
siamo arrivati a 351 eventi meteorologici estremi. Una leggera
crescita di appena il 485% rispetto al 2015: che volete che sia, non
vorrete mica entrare in ecoansia ed agitarvi? La siccità, in
particolare, che dobbiamo a tutti gli effetti considerare maltempo,
si è prolungata con danni per oltre il 50% in più rispetto al 2023,
le esondazioni sono aumentate del 24% e le inondazioni del 12;
Emilia-Romagna la regione più colpita, Roma la città più presa di
mira. Per non dire dei danni da vento, grandine e mareggiate. Con
montagne in cui gli effetti del riscaldamento globale sono sempre
più tangibili, con impatti sui ghiacciai, sempre più sottili e in
arretramento, ecosistemi e biodiversità. Nel 2024, in Piemonte, lo
zero termico in quota è arrivato a 5.206 metri, sfiorando il record
di 9 anni fa, quando era salito fino a 5.296 metri.
Tutto questo causato, in termini di numero di eventi, potenza e
frequenza degli stessi, dalla crisi climatica globale che stiamo
subendo impassibili da anni. Una crisi che riguarda il mondo intero
e che, dunque, non ci fa ritenere al sicuro solo perché, magari, noi
europei e italiani "inquiniamo" meno degli altri: se considerassimo,
come dovremmo, la curva cumulata di anidride carbonica dal XVIII
secolo scopriremmo che, dopo gli Stati Uniti, è l'Europa il
continente più inquinante, prima dell'Asia. E che, per persona, un
indiano emette 3 tonnellate di CO2 all'anno, contro le 7 nostre e
dei cinesi e le 14 degli statunitensi: indovinate chi dovrebbe
cambiare il proprio stile di vita. Secondo tutti i dati (Copernicus
in particolare), il 2024 sarà l'anno più caldo da quando si
effettuano registrazioni strumentali. Non solo: per la prima volta,
viene superata la soglia di 1,5 °C sopra i livelli pre-industriali.
Ricordate? Quella soglia di incremento che gli scienziati del clima
raccomandavano di non superare assolutamente? Quella che negli
accordi di Parigi del 2015 era posta come limite invalicabile? Ecco,
quella è diventata un ricordo, in attesa di porci altri obiettivi
che, non facendo assolutamente nulla, saranno poi comunque
disattesi. Il mese di novembre 2024 è stato il secondo più caldo a
livello globale, dopo il novembre 2023, con una temperatura media
dell'aria superficiale di 14,1°C, +0,7°C, al di sopra della media di
quel mese, del periodo compreso tra il 1991 e il 2020. Il novembre
2024 è stato di 1,6°C al di sopra del livello pre-industriale ed è
stato il 16° mese, in un periodo di 17 mesi, in cui la temperatura
superficiale media globale dell'aria ha superato di 1,5°C i livelli
pre-industriali. Anche la temperatura superficiale media marina per
il mese di novembre 2024 ha registrato livelli record, con 20,6°C,
il secondo valore più alto registrato per il mese, e solo 0,13°C al
di sotto del novembre 2023.
Ma invece di trarre elementi di riflessione critica su quanto non è
stato fatto per contrastare le cause della crisi climatica, generata
dalle attività produttive dei sapiens, come asserisce il 98% degli
specialisti, noi ci arrabattiamo su una presunta possibilità di
adattamento, non avendo compreso che ci stiamo inoltrando in
territori inesplorati, in cui opere e piantumazione di alberi
serviranno a molto poco. Non solo: sapendo che dovremmo lasciare
sottoterra oltre il 60% degli idrocarburi per non vedere crescere
ancora la temperatura atmosferica, continuiamo allegramente a
trivellare e a sovvenzionare, direttamente o indirettamente, le Oil
Companies, vero male assoluto, responsabili coscienti della crisi e
indisponibili a ogni forma di riconversione. Infine, prestiamo
ascolto a chi dice che il clima è sempre cambiato e perché questa
volta dovrebbe essere diverso? Ma la risposta la conosciamo bene:
non è mai esistita sulla Terra una specie così pervicace, invasiva e
prepotente come la nostra, una specie che si illude di superare i
limiti fisici del pianeta solo perché è in grado di studiarlo e
raccontarlo. Scimmie nude lanciate a tutta velocità sulla corsia di
sorpasso che non si domandano più nemmeno se quell'ombra lontana
laggiù è un muro. —
PAGA I DEBITI DI CALENDA : Un imprenditore offre un impiego a
Baudissone Esodato dell'Embraco, da un anno vive in strada
"Commosso dalla storia di Andrea: lo assumo io" andrea bucci
pier francesco caracciolo
«Un impiego? Te lo offro io». Lo avevamo lasciato in Galleria San
Federico, seduto su un sacco a pelo, intento a chiedere una moneta
ai passanti. Ieri Andrea Baudissone, 61 anni, esodato dell'Embraco
che da un anno vive in strada, ha ricevuto una visita inattesa:
quella di Riccardo Gorrieri, 36 anni, imprenditore, che gli ha
proposto di andare a lavorare nella sua azienda: «Ne sarei
felicissimo», la risposta di Andrea.
Baudissone era stato costretto a lasciare lo stabilimento di Riva di
Chieri nel 2018, a un anno dalla pensione. Da allora cercava un
lavoro, ma senza successo. «Sono troppo vecchio, non mi vuole più
nessuno» spiegava l'altro giorno alla Stampa. Negli ultimi tempi
aveva ripulito qualche cantina e dato il bianco a casa di un amico.
Niente di più. «Abbiamo bisogno di qualcuno che si occupi del
servizio di portierato» gli ha spiegato Gorrieri, seduto con Andrea
al tavolino di un bar.
L'azienda di cui è socio, la "Sicurezza 360", che si occupa si
sicurezza non armata, con sede a Orbassano, nel 2025 si ingrandirà:
«Un impiego perfetto per me» ha risposto entusiasta Baudissone. I
due si rivedranno dopo Capodanno per definire i dettagli
dell'accordo. L'obiettivo è consentire ad Andrea di iniziare a
lavorare tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio.
«Ho letto la storia di Andrea sulla Stampa: mi sorprende che sia
stato abbandonato dalle istituzioni» dice Gorrieri. Ieri, arrivato
sotto i portici del centro, ha donato ad Baudissone e agli altri
senzatetto una busta con una bottiglia d'acqua, un succo di frutta,
un trancio di pizza e due focacce. «Aiuteremo Andrea ad arrivare a
una pensione dignitosa», promette Gorrieri. Un traguardo, aggiunge,
che dovrebbe rappresentare «un elemento cardine per la democrazia».
«Non mi sembra vero» dice Baudissone, uno dei 537 lavoratori dell'Embraco
rimasti senza impiego dopo il fallimento dell'azienda. Lui, che per
quasi vent'anni aveva caricato e scaricato compressori per
elettrodomestici, a suo tempo era stato spesso in prima fila nelle
manifestazioni di protesta post-chiusura. Poi, dopo aver ripianto
qualche debito, si era ritrovato da solo e senza un euro in tasca.
Da un anno la sua casa è Galleria San Federico, nel cuore della
città, dove trascorre la notte insieme a una ventina di senzatetto.
«Sono felice - ha aggiunto ieri - Ma lo sarei ancora di più se
aiutassi anche lui». Nel dirlo all'imprenditore, Baudissone ha
indicato Giacomo Boetto, 55 anni, ex consulente finanziario, uno
degli "invisibili" di Galleria San Federico, che vive in strada con
la mamma di 84 anni e il loro cane malato, Sky: «Sono loro, ora, la
mia famiglia» spiega Andrea.
«Troverò un posto anche a te» ha assicurato Gorrieri, rivolgendosi a
Boetto. Finito il caffè, ha salutato tutti ed è entrato in farmacia,
dove ha acquistato una medicina per Sky. Oggi, assicura, la porterà
in Galleria. —
30.12.24
Le deportazioni in Libia e Tunisia producono solo morte e sofferenza Don Mattia Ferrari
«Cittadini e cittadine italiani ed europei, vi preghiamo,
ascoltateci! Aiutateci a salvarci da queste deportazioni: ve lo
chiediamo in nome della giustizia e della fraternità!». È questo il
grido che giunge dalla Tunisia e che i movimenti sociali Refugees in
Tunisia e Refugees in Libya, composti dai migranti stessi, stanno
cercando di far giungere alle nostre orecchie. Molti migranti si
sono accampati vicino a Sfax e stanno diffondendo il video del loro
grido.
La situazione in Tunisia peggiora costantemente. Dopo gli accordi
con l'Unione Europea, fatti su spinta dell'Italia, le milizie
tunisine hanno intensificato le violenze ai danni dei migranti
presenti nel Paese. La Garde Nationale cattura i migranti in mare e
li riporta indietro, dove spesso vengono poi caricati sui pullman e
deportati. Quella delle deportazioni è una pratica che continua da
più di un anno. Il caso più noto delle vittime di queste
deportazioni è quello di Fati e Marie, la moglie e la figlia di Pato,
uccise dalla sete nel deserto. È un caso spesso citato da Papa
Francesco. Ma è solo uno dei tanti casi che si ripetono
continuamente. Il 12 novembre scorso due gruppi di migranti
catturati in mare e deportati nel deserto sono riusciti a diffondere
la posizione gps del punto nel deserto in cui si trovavano e hanno
supplicato di essere soccorsi. Tra loro c'erano varie donne incinte
e vari bambini. Il loro grido è stato diffuso dai media vaticani, da
Scomodo, la rivista giovanile indipendente più grande d'Italia, e da
altre testate. Tuttavia nessuno è andato a soccorrerli e queste
persone sono così state risucchiate dal buco nero del deserto.
Nei giorni scorsi è peggiorata la situazione nei campi profughi
vicino a Sfax. Le violenze delle milizie sono continue e non c'è
assistenza sanitaria. L'ennesima vittima è una donna, Bintu,
originaria della Guinea. La sua tenda è stata distrutta la settimana
scorsa e non ha potuto prepararla di nuovo correttamente perché
faceva troppo freddo. Non aveva abbastanza coperte, quindi ha
provato ad accendere la carbonella, ma è rimasta soffocata. Molti
altri sono in pericolo di vita a causa delle infezioni che si
diffondono e non osano lasciare il campo profughi perché se escono
li attendono le violenze delle bande armate.
Tutto questo è il risultato degli accordi per respingere i migranti.
In Tunisia si è scelto di replicare in sostanza quel modello Libia
applicato nel 2017: finanziare un Paese che si trova sull'altra
sponda del mare perché blocchi i migranti per conto nostro, anche a
costo di sacrificare i diritti umani sull'altare del cinismo. In
Libia quegli accordi hanno portato a un grande rafforzamento del
potere della mafia libica, come hanno dimostrato le inchieste di
giornalisti coraggiosi. E hanno portato a quelli che l'Onu definisce
«orrori indicibili» ai danni dei migranti. Nonostante questo quegli
accordi sono ancora in vigore, perché sono stati rinnovati.
Il dramma dell'Italia e dell'Europa è che il cinismo delle politiche
si salda con l'indifferenza di larga parte della popolazione e il
risultato é il dilagare di questa violenza indicibile ai danni di
persone che cercano solo vita degna e fraternità, in fuga dalle
guerre, dal disastro ecologico, dalla miseria causata dal
neocolonialismo. A denunciare tutto questo sembrano rimasti solo il
Papa, alcuni vescovi, i movimenti sociali, le associazioni e le Ong.
Per il resto domina un silenzio complice, frutto dell'individualismo
che ha preso possesso dei nostri cuori. Un individualismo esasperato
che non ci rende più felici e che anzi ci ha fatto entrare in quella
che autorevoli psichiatri definiscono "l'epoca delle passioni
tristi". Sì, perché una società che si chiude nella ricerca del
benessere individuale e sottomette tutti al principio di prestazione
genera solo sofferenza mentale, come sta denunciando da anni ad
esempio la Rete degli Studenti Medi. Questo avviene perché abbiamo
dimenticato la fraternità.
Ora queste persone migranti gridano verso di noi e ci chiedono
proprio di riscoprire la fraternità. Martin Luther King proclamava:
«Ho il sogno che un giorno gli uomini si leveranno in piedi e si
renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come
fratelli». Quel sogno è lontano dal realizzarsi. E quel grido
risuona oggi nelle voci e nei volti di Refugees in Tunisia e
Refugees in Libya. Sta a noi dare risposta. Ecco perché attraverso
le pagine del quotidiano La Stampa, che ringrazio, voglio far
risuonare l'appello di tutte le persone di buona volontà che si sono
fatte prossime ai migranti che gridano a noi e voglio esclamare:
cari e care concittadini italiani ed europei, liberiamoci dalle
catene dell'individualismo che tiene prigionieri i nostri cuori e le
nostre menti e ascoltiamo il grido di fraternità che giunge a noi
dalla Tunisia e dalla Libia! Poniamo fine a questi respingimenti e
queste deportazioni, e accettiamo la sfida di costruire insieme un
altro mondo possibile, la civiltà dell'amore. È giunto il momento di
levarsi in piedi, di riappropriarci della nostra identità più
profonda, quella di fratelli e sorelle tutti, e di darle carne. —
Disastro Embraco-CALENDA
leonardo di paco
antonella torra Quella di Andrea Baudissone, ex operaio Embraco diventato
homeless, costretto a dormire sul marmo freddo di Galleria San
Federico, è la storia di un grande fallimento collettivo. La
fotografia di un disastro industriale e politico. Quasi 500 persone
rimaste senza lavoro dopo anni di promesse, passerelle di politici,
manifestazioni, decine di trasferte a Roma da parte degli operai per
piantonare le riunioni dei tavoli di crisi al ministero dello
Sviluppo Economico. E la speranza di rilancio tramite
reindustrializzazione poi rivelatosi una truffa.
Lo stabilimento di Riva di Chieri fu costruito negli Anni Settanta
dalla Aspera, divisione di Fiat specializzata nella produzione di
frigoriferi che nel 1985 venne venduta a Whirlpool, colosso Usa
degli elettrodomestici che investì nello stabilimento arrivando,
alla fine Anni Novanta, a occupare circa 2.500 dipendenti. Lavorare
per quella multinazionale era garanzia di sicurezza. E la Embraco
era una grande fabbrica-famiglia dove c'era posto per tutti. Mogli e
figli dei dipendenti. Negli anni d'oro i lavoratori avevano la mensa
interna, i bus che li andavano a prendere e portare a casa. E lavoro
a volontà.
Quando l'azienda consegnò ai lavoratori le lettere di licenziamento
dopo aver deciso di spostare la produzione in Slovacchia, era
l'inizio del 2018, l'allora numero uno del Mise, Carlo Calenda, si
lanciò in una grande campagna personale per trovare una soluzione e
ricollocare i lavoratori. Venne individuata una società, la Ventures
srl, che rilevò la Embraco, lavoratori inclusi, con la promessa di
reindustrializzare il sito producendo bici elettriche, robot
pulitori di pannelli fotovoltaici e distributori automatici. Ma
trenta giorni dopo aver rilevato al prezzo simbolico di 10 euro il
ramo d'azienda, compreso lo stabilimento di Riva di Chieri, alcuni
dei vertici Ventures, acquistarono cinque auto: due Bmw serie 5,
un'Audi A4, due Audi A5. Valore totale 250 mila euro: soldi, secondo
la procura, distratti dalle somme vincolate all'investimento
promesso. Che infatti non si concretizzò.
Nel pieno della crisi l'ex candidato sindaco di Torino,
l'imprenditore Paolo Damilano, si offrì per dare un'occupazione a
una decina di operai sfruttando una norma che consentiva ai datori
di lavoro che assumono con un contratto a tempo indeterminato
lavoratori di aziende per le quali sono aperti tavoli di crisi al
Mise, di ottenere l'esonero totale dei versamenti dei contributi
previdenziali. «Facemmo diversi colloqui ma poi il progetto non si
concretizzò complice anche la lontananza dal Chierese dei posti di
lavoro che avevo offerto nelle mie aziende». Ma anche con i progetti
di ricollocamento proposti dalla Regione, negli anni sono stati in
pochissimi a ritrovare un'occupazione stabile, nonostante corsi di
aggiornamento e decine di colloqui.
Federico Bellono è l'ex segretario della Fiom di Torino. C'era lui
alla guida del sindacato delle tute blu della Cgil quando scoppiò il
caos Embraco. «Negli ultimi anni, il territorio torinese ha visto
molte aziende attraversare crisi profonde. In situazioni di
disimpegno da parte dell'impresa, sia per fallimento che per altre
ragioni, spesso emergono figure di pseudo-imprenditori o venditori
di fumo, i cosiddetti "cavalieri bianchi" , che si rivelano
semplicemente faccendieri. La storia di Embraco, come molte altre a
Torino, riflette il dramma delle aziende in crisi, dove spesso le
uniche soluzioni sono gli ammortizzatori sociali. È un racconto che
parla di multinazionali che, dopo decenni di radicamento in un
territorio, possono decidere di andarsene, guidate da strategie
globali che ignorano le realtà locali. In questo contesto, i
lavoratori di Embraco hanno dimostrato determinazione e generosità,
ma sono stati anche oggetto di strumentalizzazioni inopportune».
i fratelli tesauro: " traditi da tutti"
"Scaricati anche dalle famiglie siamo tornati con la mamma" Franco e Vito, i due fratelli Tesauro, 59 e 54 anni, sono ex
operai Embraco: «Tornati a vivere con nostra madre, altrimenti ora
saremmo in strada». Anche perché, sempre grazie alla mamma, riescono
a mangiare: «Viviamo con la sua pensione, noi un lavoro non lo
troviamo e sussidi non ce ne sono più. Non avremmo mai pensato di
finire così». Con la perdita del lavoro, sono andate distrutte anche
le loro vite: «Le mogli o fidanzate se ne sono andate, poi abbiamo
perso anche la casa. Non abbiamo più niente». Le loro giornate sono
sempre uguali: «Ci alziamo al mattino – raccontano i fratelli – e
andiamo a cercare un lavoro. Guardiamo gli annunci, passiamo nelle
agenzie. Ma tutti ci dicono che siamo vecchi. Riusciamo a tirare su
10 o 20 euro perché diamo una mano ad un amico a pulire il bar,
oppure scarichiamo della merce. Nulla che ci permetta di vivere». La
vicenda dell'Embraco brucia ancora: «Siamo stati traditi, presi in
giro, truffati. Dai politici, dai sindacati, da tutti. La Regione
continua a proporci dei corsi, ma di lavoro poi nemmeno l'ombra. E
noi con i corsi non mangiamo». a. tor. —
"Campo con 350 euro al mese Il caffè al
bar è il mio lusso"
Michele Trasente ha 53 anni, è di Torino. Ha passato trent'anni all'Embraco:
«E ora non ho più niente. Vivo nella casa di mia madre, sarebbe
anche di mia sorella ma lei abita con il compagno e non mi ha mai
fatto pesare che non le ho mai dato la sua parte. Anzi mi aiuta
pagando metà Imu». Michele vive con 350 euro al mese: «E meno male
che sono solo, altrimenti non so come farei». Una moglie l'aveva ma
se n'è andata poco dopo la fine del lavoro all'Embraco: «Quella
storia mi ha portato via tutto. Ora vivo con i residui della
liquidazione di Embraco prima e Ventures poi, 350 euro al mese
appunto, non posso spendere di più. Lavoro per me non c'è». Per la
spesa Michele usa 30 euro a settimana: «Vado nei discount e compro
solo prodotti in offerta. Se non ho bollette da pagare mi concedo
anche qualche sigaretta e il caffè al bar. Sono i miei unici vizi».
a. tor
29.12.24
VITTIMA DI CALENDA :strada
Dall'
Embraco
Andrea Baudissone
alla
Andrea Bucci
Pier Francesco Caracciolo
«Mi occupavo di caricare e scaricare i compressori. L'ho fatto per
quasi vent'anni. E guardi ora come sono ridotto».
Ore 23,45: in Galleria San Federico, elegante scrigno nel cuore di
Torino, per terra dormono in venti. Sfidano il freddo pungente - il
termometro segna 2 gradi - accucciati nei loro sacchi a pelo.
Qualcuno ogni tanto butta giù un sorso di vino da una bottiglia
nascosta accanto alle coperte, stese addosso o ammonticchiate in
buste e zaini. La città dell'accoglienza, dei Santi sociali, delle
mense per i poveri non è in grado di accogliere tutti.
Poi, tra gli invisibili noti lui. Il nome è Andrea Baudissone. Ha 61
anni. Indossa un giubbotto rosso, un paio di pantaloni stazzonati di
colore blu stinto, un paio di scarpe da ginnastica. Andrea
Baudissone è uno dei 537 esodati della Embraco, la fabbrica che
produceva compressori per elettrodomestici a Riva presso Chieri, a
due passi dal capoluogo piemontese. Ex «stabilimento d'avanguardia»
definitivamente chiuso dopo mesi di lotte sindacali e manifestazioni
in strada. Era il 2018. E Baudissone - come tutti gli altri suoi
colleghi - si trovò da un giorno all'altro senza lavoro. Gli mancava
un solo anno per raggiungere la pensione.
Baudissone aveva iniziato ad occuparsi di compressori nel 1989.
All'epoca lo faceva in via Passo Buole, a Torino, in un'altra
azienda, la Aspera. Due anni dopo l'impresa era stata assorbita
dalla Embraco e lui si era trasferito nello stabilimento a Riva di
Chieri. Ricorda: «Guadagnavo due milioni di lire al mese. Lavoravo
anche di notte». Poi tornava a casa, in via Stradella, periferia
Nord di Torino, dove all'epoca lo aspettava la compagna. Una vita
stabile, la sua. O almeno così sembrava: «Era un periodo felice».
Nato a Torino nel 1963, Baudissone ha iniziato a lavorare a 16 anni.
Per sei anni ha fatto il macellaio in un quartiere popolare. Poi si
è occupato dello scarico merci per conto di una cooperativa. Infine,
l'ingresso in fabbrica.
«Quando sono entrato all'Embraco era il 1991 e c'erano 5 mila operai
- ricorda Baudissone - Le linee di produzione erano sette». Sembrava
un mondo felice. Ma le cose erano cambiate quasi subito. «Dopo un
anno si era già ridotta la produzione. I nostri stipendi erano
calati. Abbiamo protestato, ma non è servito». Una lenta discesa,
fino alla chiusura.
Oggi le sue giornate sono un lento lasciar scorrere il tempo,
scandito dalla ricerca di un pasto caldo. «Pranzo in una mensa per i
poveri - racconta -. Ma spesso ci sono code lunghissime e rischi di
restare a pancia vuota. Nei fine settimana mangio se riesco: le
mense sono chiuse».
Le monete dei passanti gli permettono di racimolare quel che basta
per un panino: «Ma su mille persone che ti passano davanti - dice -
ti aiutano in due». E la notte? Inutile pensare di andare a
riposarsi in un dormitorio. «Si dorme con un occhio aperto: spesso
ti rubano scarpe e vestiti». A dare una mano a lui, e agli altri che
dormono sotto i portici di Torino, sono i volontari delle
associazioni: «Ci portano spesso un bicchiere di latte caldo e dei
vestiti».
Andrea racconta senza commozione. Ma poi il discorso torna lì, all'Embraco,
a quelli che lui chiama «i miei anni più felici». Ricorda: «Quando
la crisi dell'azienda si è fatta acuta, ero uno dei più attivi nella
protesta». E ancora: «In quel periodo il mio stipendio era sceso a
mille euro al mese. Delle sette linee di produzione ne era rimasta
soltanto una». Il Natale davanti alla fabbrica. I picchetti. Gli
incontri con la politica: «Ricordo quello con l'allora sindaca
Chiara Appendino. Venne da noi anche Alessandro Di Battista. Tutti
ci hanno fatto grandi promesse. E tutte sono cadute nel vuoto».
Quindi l'Embraco è stata dichiarata fallita: «Mi hanno riconosciuto
un Tfr di 30 mila euro. Ma nel frattempo avevo accumulato molti
debiti. Per ripianarli sono rimasto quasi senza soldi. Ho perso
anche la casa».
Con i pochi soldi rimasti è andato a vivere in bed and breakfast,
dove dava una mano nelle piccole manutenzioni. Quindi ha trascorso
qualche mese a casa del fratello. Un anno fa è rimasto solo. E senza
denaro. E ha iniziato a vivere in strada. «Nei primi mesi mi sono
accampato alla stazione di Porta Nuova. Un posto dove qualcuno che
ti dà una moneta lo trovi sempre».
Poi si è spostato in galleria San Federico. Un posto più riparato.
E, nelle notti più fredde, un po' più caldo. È qui che ha conosciuto
Giacomo, 55 anni, la mamma Fernanda, 84, e il loro cane malato.
«Sono loro la mia nuova famiglia».
Nell'ultimo anno non ha smesso di cercare lavoro. «Ho svuotato
qualche cantina e dato il bianco a casa di un amico». Nulla che gli
permetta di avere quei dodici mesi di contributi in più, che gli
garantirebbero i soldi della pensione. «Alla mia età chi volete che
mi offra un impiego?» —
I due iraniani legati al regime nel mirino della giustizia
statunitense
I due maghi dei droni dei Pasdaran che Washington vuole a tutti i
costi
new york «Non colpevole». Questa è stata la dichiarazione di Mahdi
Sadeghi dinanzi al giudice del tribunale Federale di Boston, nel
corso dell'udienza preliminare che si è tenuta venerdì in merito
alla sua incriminazione. L'ingegnere di origini iraniane è accusato
di aver venduto illegalmente tecnologia utilizzata nella costruzione
di droni impiegati dalle Guardie rivoluzionarie e dalle loro procure
in Medio Oriente. Non ultima la formazione irachena che alla fine di
gennaio ha condotto il raid in Giordania costato la vita a tre
militari americani.
Dagli Usa all'Italia
L'arresto di Sadeghi avvenuto in Massachusetts, ha una doppia
valenza per l'Italia, prima di tutto perché scattato in parallelo
con quello del suo "socio in affari", Mohammad Abedini-Najafabadi
arrestato dagli investigatori della Digos milanese all'aeroporto di
Malpensa, dov'era in transito proveniente da Istanbul, ora in attesa
che la Corte d'Appello decida sulla sua estradizione negli Usa.
Secondo la procura americana è fondatore di una società della
Repubblica islamica che produce moduli di navigazione utilizzati nel
programma di droni militari dei Pasdaran. «Il dipartimento di
Giustizia riterrà responsabile coloro che consentiranno al regime
iraniano di continuare a colpire e uccidere gli americani e minare
la sicurezza nazionale degli Stati Uniti», ha commentato il ministro
Merrick B. Garland. Il secondo elemento di interesse per l'Italia è
che la cattura dei due potrebbe essere stata il motivo dell'arresto
di Cecilia Sala.
I militari Usa uccisi
Per comprendere l'importanza del doppio blitz condotto per mano e su
indicazione di Washington occorre riavvolgere il nastro della storia
indietro al 28 gennaio 2024, quando la polveriera mediorientale
mieteva le prime vittime americane dal 7 ottobre 2023, inizio della
guerra tra Hamas e Israele. Si tratta di tre militari Usa caduti
sotto il fuoco di un drone scagliato da formazioni irachene
riconducibili all'Iran. Erano impiegati alla Tower 22, l'avamposto
giordano distaccato dalla base di Al-Tanf situata in una (ex) zona
franca del governatorato di Homs, in Siria a 24 km a Ovest del
valico di Al-Walid a ridosso del confine tra Iraq e Siria. A
confermare qualche giorno dopo a La Stampa la matrice di quel raid è
stato Haider Al-Ami, leader dell'ufficio politico di Harakat
Hezbollah al-Nujaba (Movimento del Partito dei Nobili di Dio),
ufficialmente la 12ª Brigata, formazione sciita irachena vicina
all'Iran e appartenente alla rete della Resistenza islamica in Iraq
(Iri), una delle principali procure militari di Teheran in Iraq.
Quel drone, secondo la ricostruzione compiuta in quasi un anno di
indagini dall'Fbi, incorporava tecnologie "made in Usa" che Sadeghi
e Abedini avevano venduto al regime iraniano aggirando le sanzioni
imposte dagli Usa e dall'Occidente.
"Il navigatore"
Nel dossier di 36 pagine consegnato dall'agente speciale dell'Fbi,
Ronald Neal alla Corte distrettuale del Massachusetts, viene
tratteggiato un profilo chiaro dei due soggetti finiti nel mirino
della Giustizia Usa. Secondo i documenti del tribunale, Abedini è il
fondatore e amministratore delegato di una società iraniana, San'at
Danesh Rahpooyan Aflak (Sdra), che produce moduli di navigazione
utilizzati nel programma militare dei Pasdaran. L'attività
principale è, in particolare, la vendita di un sistema di
navigazione utilizzato in velivoli senza pilota, missili da crociera
e balistici. Abedini ha fondato una compagnia svizzera collegata a
Sdra, Illumove, attraverso cui, con la complicità di Sadeghi, ha
stipulato un contratto con una società con sede nel Massachusetts
per sviluppare componenti elettronici, tra cui sofisticati
semiconduttori. Sadeghi e Abedini hanno quindi provveduto al
trasferimento di beni, servizi e tecnologia dagli Usa all'Iran,
attraverso la Svizzera, a beneficio di Sdra, eludendo i divieti
imposti dalle sanzioni sul trasferimento di componentistica a uso
militare alla Repubblica islamica. Tecnologia impiegata appunto
nella produzione di droni, tra cui quello che ha causato la morte
dei tre militari a stelle strisce. Da qui nasce l'incriminazione per
«cospirazione per esportare componenti elettronici sofisticati dagli
Stati Uniti all'Iran in violazione delle leggi statunitensi sul
controllo delle esportazioni e sulle sanzioni» e la richiesta della
autorità federali a quelle italiane di arresto e successiva
estradizione dello stesso Abedini.
Scenari
La vicenda dei due iraniani è, almeno sulla sponda americana, ancora
nei canali di Intelligence, Fbi, dipartimento di Giustizia e, come
da prassi in questi casi, il presidente non agisce direttamente, pur
rimanendo informato dei fatti. In questa fase quindi, che alla Casa
Bianca ci sia Joe Biden o Donald Trump cambia poco. Nel caso la
vicenda dovesse assumere una rilevanza politica, il presidente Usa,
su sollecitazione del governo di Roma, potrebbe muoversi valutando
eventuali ipotesi. Rimane da dire che, essendo gli Stati Uniti assai
attenti alle attività di infiltrazione iraniane, è chiaro che la
priorità del governo è prima ottenere il massimo delle informazioni
possibili dai due detenuti e poi individuare un "ritorno" a un
eventuale scambio come quelli già avvenuti in passato. A quel punto,
- ci si muove sempre nel campo delle ipotesi -, le valutazioni
potrebbero assumere diversi contorni sulla base delle esigenze
fissate dal presidente in carica in quel momento. —
Le intercettazioni dell'inchiesta che ha sgominato la presunta
associazione a delinquere : 35 indagati dalla Guardia di finanza
Esami della patente truccati e revisioni false "Io e te siamo due
che mangiano bene insieme" elisa sola
«Io e te mangiamo bene insieme». Primo agosto 2023. Albino Fornaca,
funzionario della Motorizzazione e William Antoniello, gestore di
una società d'auto e di una scuola guida di Venaria, non sanno di
essere intercettati. Si complimentano a vicenda per come «mangiano
bene». E rimpiangono i tempi del passato. Quelli in cui ogni
documento esisteva solo di carta. «Minchia oramai con i computer…».
«Eh non scappi più porco Giuda». «Una volta era più facile». «Una
volta spariva la pratica e dov'è? E che ne so io!».
È questa, secondo il pm Giovanni Caspani, e anche secondo il
tribunale del Riesame, l'intercettazione chiave dell'inchiesta che
ha sgominato la presunta associazione a delinquere che fabbricava
revisioni false e che, dietro pagamento, faceva sì che candidati
ignoranti passassero il test per conseguire la patente. Sono 35 gli
indagati dalla Guardia di finanza di Torino. Due quelli con la
posizione più grave. Tra cui Antoniello, che nei giorni scorsi si è
rivolto al tribunale delle libertà per chiedere una misura meno
afflittiva rispetto ai domiciliari. Ma il collegio, composto dai
giudici Luca Ferrero, presidente, Cristiano Trevisan, estensore e
Loretta Bianco) ha respinto la richiesta.
«Io e te mangiamo bene insieme» è per i giudici «l'intercettazione
manifesto» dell'operazione. Mangiare vuole dire guadagnare. Fornaca
avrebbe preso mazzette da Antoniello. Dai 500 ai 1.800 euro, quelle
documentate.
E Antoniello, a sua volta, avrebbe fatto affari garantendo ai propri
clienti pratiche false ottenute in tempi record. Revisioni e
certificati di ogni tipo. «Pratiche fantasma» ottenute senza alcun
controllo dei mezzi.
Ma il grande raggiro contestato ai presunti membri dell'associazione
a delinquere finalizzata alla corruzione, al falso e altri reati,
sarebbe stato quello delle patenti facili.
Secondo la procura, lo schema era semplice. Antoniello e la moglie
cercavano clienti disposti a pagare – mille euro – per tentare
l'esame di guida. Prima della prova i candidati venivano "vestiti".
Dotati di un kit di strumenti necessari per collegarsi con
l'esterno. La vestizione avveniva in un camper parcheggiato davanti
al McDonald's di Nichelino, a otto chilometri dalla sede della
Motorizzazione. A bordo c'era chi forniva ai candidati gli
smartphone e gli auricolari. E i "sapientoni" che, collegati in
diretta, suggerivano le risposte, dopo aver visto su un monitor le
foto delle domande.
Il sistema non poteva reggere senza il vigilantes addetto ai
controlli. Per 200 euro a sessione, chiudeva un occhio riguardo ai
candidati che avevano pagato per trassare. Di buon mattino, oltre
alla bustarella, prendeva un mazzetto di pizzini: su ognuno c'era
scritto il nome dell'esaminando da non guardare. Anche i pizzini
sono stati sequestrati dalla Finanza durante le perquisizioni.
Erano molte le cose che il vigilantes faceva finta di non vedere. Il
cellulare nascosto sotto la maglietta del candidato. La telecamerina
nascosta nel buco del tessuto, di modo che potesse inquadrare il pc.
Gli auricolari collegati con il suggeritore esterno. Ma le
telecamere nascoste dagli investigatori hanno ripreso tutto.
È il sei maggio 2023. Il giorno della prima tornata d'esame. Entrano
Chanel, Nikita, Manuel e Claudia. Nessuno ha studiato. Due di loro
si sono iscritte a scuola guida solo sette giorni prima del test.
Alla Fenice di Venaria. Eppure sono di Bergamo. Non proprio una
scelta comoda.
Il 23 giugno si presentano due fratelli, Claudia e Denny. Antoniello
intercettato, dice a Fornaca: «Il padre (sinti potente e facoltoso,
ndr) è una persona seria. C'ha in mano tutta la Lombardia». Ma la
sorte è avversa. La ragazza non supera l'esame. Il giorno dopo si
scopre il motivo: «La strumentazione non prendeva». «Peraltro –
scrivono i giudici del Riesame – neanche il fratello di costei
subisce miglior fortuna. Prima di sostenere l'esame resta coinvolto
in un incidente stradale».
A settembre andrà meglio per tutti e due. Ma anche questa volta
qualcosa va storto. La candidata Marylin non passa il test. «È una
scimunita», commentano i due indagati. «Motorino di avviamento
rotto», il testo del messaggio sulla non ammissione, che suscita la
disapprovazione degli indagati. Mostrano disprezzo anche per il
vigilantes, per il comportamento che avrebbe tenuto durante la
perquisizione. «Hanno trovato i biglietti! Doveva mangiarseli,
invece che farseli sequestrare».
28.12.24
L'ALTER TRUMP :
Mentre tutti si chiedono fino a che punto Elon Musk condizionerà le
politiche di Donald Trump e trarrà vantaggio dal ruolo che si è
conquistato per favorire le sue imprese, un altro tycoon della
Silicon Valley, meno noto del capo di Tesla, emerge come figura di
grande potere economico e, forse, politico.
Peter Thiel, un precursore (primo a investire in Facebook mentre
PayPal è una sua creatura) e intelletto più acuto e raffinato della
Silicon Valley (è un leader dell’industria tech e della finanza, ma
a Stanford si è laureato in filosofia e lì dal 2018 tiene corsi sui
limiti della globalizzazione), torna a pesare nel mondo di Trump del
quale era stato grande sostenitore all’inizio del primo mandato.
Poi, deluso dall’assenza di sue riforme radicali […] si è defilato.
Ma ha continuato a finanziare senatori repubblicani «eccellenti» ed
ora torna alla ribalta da capo di Palantir, gigante dell’analisi dei
dati per i servizi segreti e il Pentagono e da promotore di Anduril,
start up dell’intelligenza artificiale (AI) per la difesa: sono le
due società che, secondo il Financial Times e altre fonti,
lanceranno a gennaio un consorzio di 12 aziende, tra le quali la
OpenAI di Sam Altman e la SpaceX di Elon Musk, per conquistare il
grosso dei contratti federali per la difesa sostituendo l’oligopolio
dei giganti storici del «complesso militare-industriale»: Lockheed,
Boeing, Raytheon, Grumman, Northrop.
Già fioccano accuse di conflitto d’interessi di Musk e anche di
Thiel: vecchi monopolisti rimpiazzati da giovani monopolisti? [...]
Ma ci sono altre conseguenze inquietanti: Silicon Valley sempre più
impegnata nelle tecnologie militari (dopo Palantir e AWS di Amazon,
scendono in campo anche Facebook-Meta e Anthropic, azienda che si
considera iper-etica, mentre anche Google che aveva voltato le
spalle al Pentagono, cambia rotta) e nella corsa alle armi autonome.
E, poi, Thiel, un tempo profeta dell’autoritarismo tecnologico, che
riemerge con le sue idee radicali.
27.12.24
Colpiti 3,4 milioni di utenti in regime di "maggior tutela"
Luce, stangata sui clienti vulnerabili A gennaio rincaro in bolletta
del 18% Stangata di inizio anno sulle bollette della luce degli
utenti più vulnerabili, cioè quelli che sono rimasti sotto
l'ombrello del servizio di "maggior tutela" anche dopo il passaggio
ai contratti di mercato per tutti gli altri. Lo annuncia l'Arera
(l'Autorità per l'energia) che prevede un aumento del 18,2% per la
fascia dei cosiddetti clienti di tipo 1 nel primo trimestre del
2025. La super-bolletta elettrica colpirà circa 3,4 milioni di
utenti, che sono persone sopra i 75 anni, oppure percettori di bonus
sociale, disabili, residenti in moduli abitativi di emergenza o
nelle isole minori e utilizzatori di apparecchiature salva-vita.
Nonostante gli aumenti, segnala l'Arera, la spesa annuale di chi
usufruisce del regime di maggior tutela diminuirà del 2,1% nel
periodo compreso tra il primo aprile 2024 e il 31 marzo 2025 (523
euro anziché 534) rispetto al periodo primo aprile 2023 e 31 marzo
del 2024. Alla base del rincaro annunciato ieri c'è il rally del gas
di fine anno, che coincide con l'imminente scadenza dell'accordo tra
Russia e Ucraina per il transito del metano verso l'Europa Centrale.
È un contratto che il prossimo 31 dicembre sarà lettera morta in
assenza di un rinnovo.
Sulla piazza finanziaria Ttf di Amsterdam, che fa da riferimento in
Europa per il metano, i contratti "future" sul mese di gennaio ieri
hanno concluso le contrattazioni con un rialzo del 4,3% a 47,7 euro
al Mwh.
Lo scorso 19 dicembre, il presidente ucraino Zelensky aveva escluso
il rinnovo dell'intesa con Mosca. Risultano basse le scorte di gas
nell'Unione europea, scese sotto la soglia del 75% della capacità,
ben al di sotto della media dell'82% degli ultimi 5 anni. Restano
sopra l'80% l'Italia (80,5%) e la Germania (82,1%). Il presidente
russo Putin nelle sue ultime dichiarazioni ha dsostemuto che non è
la Russia a creare problemi ma l'Ucraina, rifiutando il transito del
gas russo. Gli analisti non escludono un accordo in extremis.
Nonostante il grande sforzo fatto dall'Europa per trovare
alternative al gas russo. Le importazioni di Mosca costituiscono
ancora il 19% del fabbisogno dell'Ue. l. g.
L'intervista
"L'oro di Mosca finiva sui conti del Pci toccò a me chiudere i
rubinetti"
Gianni Cervetti
La militanza
L'Urss
" Filippo Maria Battaglia
Milano
Si è iscritto al Pci dopo aver incontrato Togliatti ed è stato uno
dei più stretti collaboratori di Berlinguer. A ventidue anni il suo
partito l'ha spedito a Mosca per studiare economia e, ventidue anni
dopo, è stato lui, sempre per conto di quel partito, a chiudere i
rubinetti dell'oro sovietico che lo finanziavano.
Gianni Cervetti è tra i pochi superstiti comunisti nati prima della
seconda guerra mondiale. Del Pci è stato militante, dirigente,
deputato ed europarlamentare. Basterebbe metà della sua vita per
trarne, con profitto, un intenso biopic. Ma Cervetti - 91 anni
compiuti a settembre - è stato un comunista di stampo ambrosiano:
«Uno che pensa quattro volte prima di parlare», dice di sé nel
soggiorno di casa sulla circonvallazione interna di Milano.
Pragmatismo e disciplina di partito lo hanno indotto a scegliere
sempre vie discrete e laterali. Le stesse percorse, peraltro, nel
pamphlet I ragazzi di via Rovello, pubblicato da poco da De Piante,
in cui racconta alcune sue passioni: i libri, Dante, la musica,
Machiavelli. E, ovviamente, la politica.
Si ricorda la sua prima manifestazione pubblica?
«Nel luglio del '43. Avevo poco meno di dieci anni, eravamo sfollati
nel Monferrato. Centinaia di civili si radunarono davanti alla sede
del dopolavoro fascista per festeggiare la caduta di Mussolini.
Provarono ad abbattere la porta: non ci riuscirono. Due di loro mi
spinsero così attraverso un piccolo varco. Una volta dentro, lanciai
dalle finestre i quadri del duce e del re. Quando la folla si
disperse, mi rimase la sensazione di essere stato protagonista di un
atto di sacrosanta ribellione».
Era già comunista?
«No. Mi iscrissi nel '49, a Milano, in una sezione intitolata ad
Antonio Gramsci».
Cinque anni dopo, su richiesta del Pci, sarebbe andato via
dall'Italia.
«Studiavo Medicina quando venni convocato in una stanza della
federazione. Ci trovai anche Aldo Lampredi, il partigiano che aveva
guidato il plotone per l'esecuzione di Mussolini. Mi disse: "Andrai
a studiare all'estero. Te lo chiede il partito"».
E lei?
«Rimasi di stucco, ma al contempo ne fui onorato. Cercai di capire
almeno in quale Paese e in quale facoltà. Mi rispose: "Studi
politici". Avvisai solo la mia famiglia, poi partii, senza dire
nulla».
Nemmeno alla fidanzata?
«Mi comportai da mascalzone, ma non avevo scelta: mi fu raccomandato
di non parlarne con nessun altro».
La destinazione era Mosca, la facoltà Economia politica.
«Eravamo quattro italiani e un vietnamita. Nessuno di noi conosceva
il russo, facemmo sei mesi di lezioni con un'insegnante con cui
comunicavamo a gesti».
Su quei banchi c'era anche Gorbaciov.
«Quando entrai in università, lui la stava terminando. Lo conobbi
bene solo nel 1985, dopo l'elezione a segretario del Pcus. Era
sempre un fiume di parole, io un po' meno».
Nell'anno in cui arrivò a Mosca, il 1956, iniziò la "
destalinizzazione". Che aria tirava?
«Il sabato andavamo a ballare con le ragazze, la domenica sentivamo
i concerti dei grandi musicisti. Sembrerà strano ma in realtà, in
quegli anni, a Mosca, in fatto di relazioni e di morale, c'era più
libertà lì che in Italia».
Dopo la laurea rientrò a Milano. Che città trovò?
«Totalmente diversa da quella di sei anni prima. Il traffico
intenso, il centro che si ampliava a dismisura, un'infinità di
palazzi in costruzione».
E il partito?
«A guidare la federazione c'era Armando Cossutta. Con un discorso
enfatico, mi fece capire che non mi volevano nell'apparato
politico».
Il motivo?
«Lo capii solo dopo: ero stato troppo tempo a Mosca, non era
opportuno che lavorassi lì».
Detto da Cossutta, uno dei più filosovietici del partito…
«Non aveva ancora posizioni così marcate. Ma, anni dopo, il ricordo
di quell'incontro mi rafforzò nella convinzione che alla politica,
come alla vita, si deve guardare sempre senza schematismo».
Nel partito però ci tornò presto. Prima da segretario cittadino e
poi da membro della segreteria nazionale: il più giovane scelto da
Enrico Berlinguer.
«Pochi mesi prima della nomina, nel '73, il leader Pci venne a
Milano con uno dei dirigenti, Salvatore Cacciapuoti. Fu lui, a un
certo punto, a indicare una borsa a Berlinguer, che assentì senza
dire una parola».
Cosa voleva dire?
«Che sarei andato a Roma a occuparmi dell'organizzazione e della
cassa del partito. Non servì aggiungere altro».
Come andò?
«Mi gettai a capofitto per conoscere la situazione finanziaria, a
cominciare dal cosiddetto "oro di Mosca": polizie e cancellerie di
mezza Europa sapevano dei soldi che arrivavano dall'Urss, ma tutti
facevano finta di niente».
Tutti?
«A cominciare dall'allora ministro dell'Interno Cossiga. Anni dopo
mi raccontò che quando il nostro uomo, un certo Schiapparelli,
andava a convertire i dollari che ricevevamo, i Servizi li
acquistavano per verificare che non fossero falsi. E la questione
finiva lì, nessuno ne parlava più».
Quando fu deciso lo stop al finanziamento?
«Nel febbraio del '74. Eravamo a Mosca. Una sera, Berlinguer mi
propose di uscire in giardino. Si gelava. Gli dissi: "Dobbiamo
prendere le distanze da questi qui". Assentì».
Fu una svolta.
«Ci vollero altri quattro anni. Quando comunicai la decisione a
Boris Ponomariov, l'uomo che teneva i contatti con noi, disse: "È
una vostra scelta". Ma aggiunse: "In ogni caso, avete i soldi del
petrolio'". Lo guardai incredulo: "Quali soldi?". E lui: "Ah, se è
così, chissà dove vanno finire"».
A cosa faceva riferimento?
«Non riuscii a capirlo mai».
Nel Pci lei faceva parte dell'ala riformista guidata da Napolitano.
Quando lo conobbe?
«Nel '63, su una spiaggia delle Marche. Clio, sua moglie, era di
quelle parti. Erano da poco diventati genitori: Giorgio, sorridente,
teneva il primogenito Giovanni in braccio».
Eravate i "miglioristi": non suonava come un complimento.
«Non lo era. Ci chiamò così per la prima volta Pietro Ingrao.
Napolitano non gliela perdonò mai».
Quando, nel 2006, venne eletto capo dello Stato, lei seguì lo
spoglio nel suo studio.
«Appena raggiunto il quorum, mi commossi. Giorgio mi guardò e disse:
"Fuori i piangenti!". Ovviamente scherzava».
Che giudizio dà di Putin?
«Molto critico. È stato uno dei frutti della presidenza di Eltsin,
un vero disastro per la Russia».
Nel suo ultimo libro racconta la sua passione per Dante.
«Ereditata da mio fratello. Nel mio studio ho più di duecento
edizioni della Commedia».
Quale dei sette vizi capitali, rievocati nei suoi versi, è più
pericoloso in politica?
«La superbia».
E nella vita?
«L'invidia. Entrambi, in modo diverso, si distaccano dalla realtà e
dalle sue istanze. Un errore imperdonabile». —
26.12.24
Bombe, faccendieri e poteri occulti Gli angoli ancora bui degli anni
Settanta
Raccontare gli anni Settanta, impresa folle e disperatissima. Enrico
Deaglio, dopo gli anni Sessanta, si è buttato nella grande opera. E
ne è venuto fuori un epico ma anche drammatico scanzonato e
affettuoso racconto di storia e di costume. Il decennio in verità
finisce presto perché i Settanta muoiono nel maggio 1978 con i colpi
di pistola che uccidono Aldo Moro. E perciò sul libro campeggia una
foto che è un pugno nello stomaco: l'immagine della camicia
insanguinata dello statista ucciso dalle Br. Scrive Deaglio: «Quegli
spari scellerati, a bruciapelo, all'alba, che abbiamo messo – non
senza sofferenza – in copertina di questo volume, resteranno, come
avrebbe detto Borges, nella "storia universale dell'infamia", il
trauma che ci porteremo sempre appresso».
Se il delitto Moro è il punto finale di un processo venefico che
brucia gli anni Settanta e tanti suoi protagonisti, speranze di
cambiamento comprese, c'è però una storia oscura che gli corre
accanto, s'interseca come un fiume carsico, a volte si sovrappone. È
la storia dei poteri criminali.
Un po' ce lo siamo dimenticato, quel periodo. Ma ci pensa Enrico
Deaglio a rinfrescarci la memoria su come l'eversione di destra
mettesse bombe in treni, stazioni, università e come avesse
preparato numerosi colpi di Stato. Come i gruppi criminali – banda
della Magliana, Cosa nostra, P2, l'allora sconosciuta 'ndrangheta –
si associassero al potere e facessero i "lavori sporchi" in cambio
di impunità.
Ci siamo dimenticati, ad esempio, come al crocevia di finanza,
mafia, traffico di droga, corruzione, ci fosse un tal Michele
Sindona. Breve ripasso: l'uomo nasce dalle parti di Messina nel
1920, in Sicilia stringe utili contatti con gli americani nel
periodo di occupazione, negli anni Cinquanta si trasferisce a Milano
e il suo studio di fiscalista diventa famoso tra i "cummenda".
L'ascesa pare inarrestabile. Rileva un'antica banca e poi un'altra,
domina la Borsa, amministra le proprietà immobiliari del Vaticano.
Si scoprirà solo in seguito che le sue banche erano coinvolte nei
movimenti dell'Anonima sequestri e riciclavano soldi della mafia
siciliana. Per qualche anno gli va tutto benissimo. Ricostruisce
Deaglio: «In America è addirittura proprietario della decima banca
del Paese, la Franklin Bank di Long Island, che gode di una buona
clientela legata al Partito repubblicano e alla comunità
italoamericana. Ma il più grande sogno è crollato in pochi mesi,
anno 1974. La Franklin ha fatto improvvisamente bancarotta, e beati
i depositanti che sono riusciti a recuperare i loro soldi. E in
Italia è crollato "l'impero Sindona", quando – finalmente – gli
ispettori della Banca d'Italia hanno avuto il permesso dal
governatore Guido Carli di andare a guardare i conti delle sue
banche».
Inseguito da due giustizie, Sindona ripara a New York. Dall'Italia,
comunque, lo aiutano in tanti con i cosiddetti "affidavit", cioè
lettere a garanzia di quanto fosse una brava persona. «A garantire
per Michele Sindona troviamo il procuratore generale presso la Corte
d'appello di Roma, Carmelo Spagnuolo, il segretario del Psdi Flavio
Orlandi, la vulcanica imprenditrice milanese Anna Bolchini, due
persone a noi sconosciute, Paul Rao esponente del Partito
repubblicano americano e soprattutto figlio di un giudice della
Corte suprema, Philip Guarino, che si presenta come rappresentante
della comunità italoamericana di New York, John McCaffery, già capo
del controspionaggio inglese ai tempi della guerra, il nobiluomo
torinese Edgardo Sogno, appena uscito dalle accuse di aver tramato
un colpo di Stato, il fresco ministro "tecnico" del Tesoro nel
governo Moro, ed ex presidente della Banca Commerciale, Gaetano
Stammati». E naturalmente c'è Licio Gelli.
A raccontarci poi chi fosse il segreto sponsor politico di Sindona
sarà Aldo Moro, nel suo Memoriale scritto quand'era nelle mani delle
Brigate rosse. E così due storie tanto diverse s'incontrano fino a
diventare un tutt'uno. Racconta infatti Moro che Giulio Andreotti,
in quel momento senza incarichi di governo, era andato appositamente
in America per partecipare a un pranzo in onore di Sindona, libero
su cauzione. Tentarono invano di sconsigliarlo sia l'ambasciatore
Egidio Ortona, sia Moro stesso. «Andreotti si impuntò e sarà
l'ospite d'onore (da solo) al banchetto offerto all'hotel St. Regis
in cui dichiarerà Sindona l'italiano più importante della storia».
Andreotti disponeva a New York di un "ufficio di rappresentanza",
tenuto dalle sorelle Grattan, antica famiglia di politici
repubblicani, di fede anticomunista. Una delle sorelle, interrogata
nel 1994 dai pm di Palermo, confermò che tra il 1978 e il 1979 aveva
incontrato per otto volte Sindona nel suo studio.
Si moriva, all'epoca, a toccare Sindona. Un incorruttibile avvocato
milanese, Giorgio Ambrosoli, che si occupava della liquidazione
delle sue banche fu fatto uccidere da un sicario italo-americano. Il
banchiere Enrico Cuccia fu convocato a New York e minacciato di
morte, lui e i figli, affinché non si mettesse di traverso al
salvataggio delle banche a spese dello Stato italiano. A Palermo,
l'investigatore Boris Giuliano, fu ammazzato in strada perché aveva
scoperto chi era il banchiere dei clan.
Infine Sindona organizzò un auto-sequestro a immagine e somiglianza
del dramma di Aldo Moro: scomparve a New York nell'agosto 1979 e
ricomparve nella Grande Mela due mesi dopo facendo un racconto
farneticante di comunisti che lo avrebbero rapito e torturato. In
realtà era andato clandestinamente in Sicilia ad incontrare massoni
e capi mafiosi che volevano sapere come avrebbero riavuto indietro i
miliardi che gli avevano affidato. Tutto fu organizzato
meticolosamente: mentre era ospitato da un medico della polizia a
Palermo, massone, scriveva lettere di finta disperazione che ogni
volta un picciotto portava in aereo fino a New York per essere
imbucate a Brooklyn. Incontrò il famoso avvocato Vito Guarrasi, il
potentissimo esattore Nino Salvo, il cavaliere del lavoro Gaetano
Graci, il capo della massoneria siciliana Barresi. «Ma più che
assicurare ai clienti che avrebbe restituito loro i soldi perduti –
contava di ricattare i politici italiani che gli avevano affidato i
loro risparmi perché li esportasse all'estero, ma quelli si erano
salvati dal suo crack –, Sindona era venuto a vendere l'idea di un
colpo di Stato separatista, il vecchio sogno del 1943; si diceva
sicuro di avere l'appoggio americano, dell'amministrazione Carter,
della Cia, dell'ambasciata a Roma; vantava rapporti diretti – li
aveva finanziati, perbacco! – con i vertici dei servizi segreti
italiani, parlava addirittura di strategie militari». Finì come
doveva finire. Con un caffè alla stricnina in cella. E chissà quanti
altri segreti sono stati sepolti con i fantastici anni Settanta. —
25.12.24
"Spot e slogan ingannevoli non si conoscono i rischi"
Silvio Garattini Le frasi
flavi aamabile
ROMA
A 96 anni, Silvio Garattini, presidente e fondatore dell'Istituto di
Ricerche Farmacologiche Mario Negri, sta trascorrendo il pomeriggio
di Santo Stefano a calcolare quanti principi attivi in eccesso
esistono nel Prontuario farmaceutico nazionale. Interrompe
volentieri per analizzare i pericoli dei farmaci per perdere peso.
Per il quotidiano The Guardian, nel Regno Unito il mercato dei
farmaci per perdere peso sta diventando sempre più aggressivo, con
pubblicità che aggirano i divieti e propongono prodotti ai
consumatori senza controllo. Qual è la situazione in Italia?
«In Italia abbiamo un problema preliminare: a fornire le
informazioni sui prodotti sono solo le aziende dell'industria
farmaceutica che hanno tutto l'interesse a far crescere il settore
attraverso notizie che sfuggono a ogni controllo. Secondo
un'elaborazione di Unione Italiana Food su dati New Line, nel 2023
il fatturato del comparto dell'integrazione alimentare in Italia ha
raggiunto i 4,5 miliardi di euro in valore delle vendite e le 300
mila tonnellate in quantità. L'Italia si conferma il primo mercato
europeo, con il 26% del fatturato totale e nel 2024 dovrebbe
raggiungere quota 5 miliardi. Tutto questo è senza senso, non c'è
alcuna base scientifica che i prodotti abbiano efficacia ma sono
comunque molto utilizzati. Si preferisce mangiare in eccesso e usare
dei prodotti per perdere peso basandosi sulle promesse di una
pubblicità senza controllo».
Quindi anche in Italia i consumatori non sono protetti dai messaggi
che arrivano dalla pubblicità delle aziende farmaceutiche?
«In televisione, sui giornali, sulle riviste, sui social, assistiamo
a comportamenti molto aggressivi. A volte si usano delle formule
indirette e si aggirano le regole fornendo messaggi fuorvianti.
Sarebbero necessari controlli perché il compito della pubblicità è
di comunicare attraverso affermazioni vere che nel settore della
salute rivestono particolare importanza sia per i singoli sia per le
conseguenze sul Servizio sanitario nazionale, eppure non ho mai
visto ritirare una pubblicità su un farmaco per aver trasmesso
notizie non vere. Si può fare e dire quello che si vuole, al
contrario del principio presente nella Costituzione che lo Stato
deve proteggere la salute di tutti».
Come si fa a capire quali farmaci per perdere peso sono davvero
efficaci?
«Per approvare un nuovo farmaco la legislazione europea si basa su
tre caratteristiche: qualità efficacia e sicurezza. Non ci chiarisce
nulla, però, su un aspetto fondamentale e cioè il rapporto con
farmaci che già esistono per la stessa indicazione. Per le industrie
questa mancanza è molto comoda: si può quindi ottenere
l'approvazione anche se il nuovo farmaco è meno attivo o uguale,
questo consente alle industrie di poter affermare liberamente che il
proprio farmaco è il migliore perché non è possibile fare un
confronto. Inoltre i farmaci vengono studiati sui maschi, le donne
usano farmaci non studiati per loro, il 75% degli studi controllati
non permette di stabilire quale sia l'efficacia di un farmaco in
base al genere ma sappiamo che la stessa malattia non si presenta in
modo uguale nei maschi e nelle femmine».
Che cosa sappiamo degli effetti negativi dei farmaci per perdere
peso?
«Il sistema è tutto orientato a capire l'efficacia dei farmaci,
sulla tossicità si sa poco. Dagli studi clinici controllati sappiamo
che gli effetti negativi che accadono più di frequente sono di
natura gastrointestinale, infatti molti devono abbandonare l'impiego
di questi farmaci per questo motivo. Possiamo dire che conosceremo
le reali conseguenze sulle persone solo in futuro. Non abbiamo
un'organizzazione per raccogliere le informazioni sugli effetti
tossici dei farmaci, non abbiamo un'agenzia o una struttura che se
ne occupi. Ci si basa sui gesti volontari di farmacisti o persone
che scrivono all'Aifa per comunicare le conseguenze negative
riscontrate. In questo modo emerge solo il 10 per cento degli
effetti tossici di un farmaco. Questo deve rendere i medici più
attenti e responsabili nel fare prescrizioni».
Ad aumentare la confusione è anche il fatto che molti di questi
farmaci in realtà dovrebbero essere usati per altre malattie come il
diabete o l'ipertensione.
«È un uso irrazionale da evitare. Fra le informazioni che mancano su
questi farmaci non sappiamo quanto in un soggetto che non è
diabetico assumere questi farmaci che fanno perdere peso ma anche
calare la glicemia potrebbe essere dannoso se non si è
iperglicemici».
C'è anche chi, in vista delle feste, fa scorta di questi farmaci.
«Lo trovo ridicolo, un esempio di ignoranza in materia di salute.
Non si ingrassa per quello che si mangia a Natale o a Capodanno ma
per quello che si mangia il resto dell'anno. Questi farmaci
dovrebbero essere assunti solo in caso di grave obesità o per
evitare interventi chirurgici. In tutti gli altri casi non servono a
nulla: è provato che, se non si è imparato a mangiare, quando si
smette il trattamento si prende di nuovo rapidamente il peso perso»
24.12.24
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1,1-18 ...
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Gli israeliani hanno avuto questi segnali ma non li hanno voluti
vedere.
Da allora si
sono alleati con satana.
Perche' non
prenderne atto :
Matteo 6,24
Nessuno può servire due padroni, perché o odierà
l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per
l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona.
Luca 16,13
Nessun domestico può servire due padroni: perché o
odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo
per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona”.
23.12.24
PACE IN TERRA AGLI UOMINI DI BUONA VOLONTA' "Betlemme senza
natività è un luogo monco C'è bisogno di speranza"
Pierbattista Pizzaballa Nello del Gatto
Gerusalemme
«A Gaza è tutto distrutto, la situazione è molto grave, ma qualche
segno di speranza, di vita, c'è ancora». È la prima immagine che ha
fornito ieri il cardinale di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa,
appena tornato da una visita alla comunità cattolica della Striscia.
Il patriarca gerosolimitano, unico esponente straniero ad aver
effettuato due visite a Gaza (la prima era stata a maggio), glissa
anche sulle polemiche scaturite dalle parole del Papa circa un
rifiuto, poi smentito dalle autorità israeliane, del suo ingresso a
Gaza. «Io alla fine sono entrato, questi sono i fatti. L'ingresso a
Gaza non è mai semplice, ci sono tante questioni, di protocollo, di
sicurezza e così via. È importante restare sui fatti. Sono entrato e
voglio ringraziare quelli che mi hanno aiutato. Ci sono stati dei
problemi, degli ostacoli, ma ci sono state anche persone che poi
hanno aiutato a risolvere e questo è quello che conta».
Le polemiche non sono mancate, anche rispetto alle parole del Papa
che negli ultimi tempi ha usato espressioni forti sulla guerra. Il
cardinale è una figura molto apprezzata da ogni parte in Terra
Santa, dove vive da 35 anni, per la sua opera anche di mediazione.
Da qui i suoi buoni uffici con i governi israeliano, giordano e
palestinese. All'inizio della guerra si offrì per sostituirsi agli
ostaggi. E non si tira indietro rispetto alle polemiche, dice, ci
sono sempre state ma lo lasciano indifferente, non distraendolo e
proseguendo per la sua strada. «Il Papa è sempre stato molto chiaro.
Forse non siamo abituati a un Papa che non usa molte sfumature. Ha
chiesto la fine della guerra, di questa come di tutte le altre,
chiedendo la liberazione degli ostaggi. Lo ha detto parecchie volte.
E ha anche condannato in maniera chiara la reazione considerata
sproporzionata. Questa guerra come tutte le guerre è molto crudele
ed ha avuto e ha un impatto molto forte su tutto e su tutta la
popolazione».
A Gaza, Pizzaballa ha incontrato le poche centinaia di cattolici
rimasti. Che al pastore della chiesa di Gerusalemme, hanno chiesto
cibo, aiuti e scuole per i figli. Segno di vita, di speranza, dice
il cardinale. Per il quale è necessario anche non tanto un
cambiamento di leader, ma la ricerca di una leadership. «Abbiamo
bisogno di creare un contesto di un gruppo o di una squadra dove le
persone con responsabilità hanno il coraggio di incontrarsi e
organizzare qualcosa insieme. E noi, come Chiesa cattolica, siamo
pronti. Dopo questa crisi, dove vediamo anche la debolezza di una
leadership politica e istituzionale, qualcosa di nuovo deve uscire.
Non possiamo costruire un nuovo futuro con le stesse facce».
Domani è Natale. A Betlemme come l'anno scorso ci sarà la messa
della vigilia, ma non le luminarie. L'amministrazione locale e
quella dell'Autorità palestinese in segno di cordoglio per Gaza le
hanno vietate. «Avremmo voluto qualcosa, non una festa normale ma
almeno qualcosa di un po' più vivace, anche perché la gente ha
bisogno di un po' di respiro. Speriamo sia l'ultimo Natale in tono
minore perché, soprattutto Betlemme, senza Natale, è monca». La
città, come tutti i Territori, vive una profonda crisi economica che
ha portato molti ad emigrare. «Questa guerra ha avuto un impatto
enorme sulla popolazione sia israeliana sia palestinese. Si sa che
non si tornerà com'era prima, ma non si capisce come sarà il futuro,
con chi, come e quando, come finirà. Ecco, questa mancanza di
certezze per il futuro, questa insicurezza un po' su tutto, ha
creato un sentimento molto pesante nella vita della popolazione.
Dobbiamo lavorare. È chiaro che noi come Chiesa cerchiamo di aiutare
il più possibile, ma senza un cambiamento nella prospettiva politica
sarà molto difficile avere un'influenza determinante sul sentimento
della popolazione».
22.12.24
Mavi e l'intervista da sogno al Presidente "Gli ho chiesto se è
felice, mi ha detto di sì"
«Lei è felice? O questa grande responsabilità la preoccupa troppo?».
Mariavittoria Belleri è appena entrata nello studio del presidente
della Repubblica salutata dal batter di tacchi dei due corazzieri
alla porta: ora lei e Sergio Mattarella sono seduti l'una davanti
all'altro per l'intervista che questa bambina di dieci anni sognava
da tempo e che adesso, grazie a Telethon e all'idea di ricavarne un
corto firmato da Francesca Archibugi, è diventata realtà. Cinque
minuti trascorsi a tu per tu che "Mavi", come la chiamano i genitori
e i compagni di classe, non dimenticherà facilmente: «Lui ha
risposto di sì, che è felice, ma non posso dire nient'altro –
racconta -: un po' perché deve restare un segreto fra me e il
presidente e io non posso spoilerare nulla, ma anche perché ero
talmente emozionata che non mi ricordo più niente…».
A Mariavittoria, quando aveva un anno d'età, è stata diagnosticata
la Sma, l'atrofia muscolare spinale per cui non ha mai potuto
camminare e che la obbliga a muoversi su una sedia a rotelle
elettrica. «Ha iniziato a parlare prestissimo e da subito ha
inondato di domande me e mio marito - spiega Eleonora Fontana, la
mamma -. Le abbiamo chiarito sempre tutti gli aspetti della sua
malattia, e a un anno e mezzo ha saputo che non avrebbe mai
camminato. Siamo convinti che le bugie non possano funzionare».
Avere un incontro col presidente Mattarella, dice Mavi, che sentiamo
al telefono mentre sta tornando in macchina a Brescia, dove vive con
i genitori, «era il mio obiettivo, ci ho pensato la prima volta un
anno fa, perché mi piace l'idea di intervistare i capi di Stato». E
così, di sogno in sogno, si scopre che la prossima volta le
piacerebbe fare qualche domanda al Pontefice: «Ora mi piacerebbe
intervistare il Papa... In passato avevo pensato a Biden e anche a
Putin, ma in questo caso avevo paura che, se avessi fatto una
domanda non gradita, se poi si fosse arrabbiato avrebbe potuto
schiacciare il pulsante rosso della bomba atomica». Paure di bambina
che riflettono l'incubo risvegliato negli ultimi anni dal mondo
degli adulti.
Molto più tranquillizzante il dialogo con Sergio Mattarella: «Ero
emozionatissima, quasi non so come descriverlo - dice Mavi -; è
stato gentile e accogliente, un pochino dà l'idea di un nonno buono
, ma non vorrei sminuire la sua figura». I corazzieri? «Altissimi».
Il personale del Quirinale che l'ha accolta e scortata dal
presidente con tutti gli onori? «Molto disponibile». Fino al suo
ingresso nello studio di Mattarella, perché da quel momento in poi
non ci sono stati testimoni del colloquio. Il suo passaggio nei
saloni del Quirinale, d'altra parte, ha osservato tempi e scene che
appartengono a qualsiasi fiction, perché tale è Una giornata
pazzesca, realizzato per la 35esima Maratona di Fondazione Telethon.
Mariavittoria, da brava interprete, «si è attenuta alle indicazioni
della regista, ci sono state numerose inquadrature e riprese, ha
dovuto ripetere le battute: un'attrice a tutti gli effetti che
interpreta sé stessa», dice la mamma. Di professione avvocata, non
ha mai voluto abbandonare la professione: «Io e mio marito, che fa
l'ottico, abbiamo voluto mantenere le nostre individualità e le
nostre abitudini per quanto possibile. Avere ognuno il suo spazio
lavorativo dà più valore al tempo che trascorriamo insieme. E a casa
c'è una persona preziosa che ci aiuta».
Il commento di Mavi è pronto e risoluto: «Non vorrei neanche io
avere mia mamma ventiquattr'ore al giorno, vorrei anche un po' di
calma. Bastano la sera e la mattina». La madre parla del rapporto
che ha con sua figlia come qualcosa di «simbiotico» e intensissimo:
«L'aspetto cognitivo di Mavi, che è molto sveglia e curiosa, ci ha
sempre aiutati a superare la sua disabilità motoria. La nostra è una
vita normale anche se con le sue specificità. In ogni caso è un
vivere, non un sopravvivere».
Il che ovviamene non significa che sia semplice: «Anche lei fa le
sue osservazioni e in un certo senso è il peggior giudice. Un
esempio? Mia figlia chiede tanto aiuto, anche per i suoi movimenti,
e noi la riprendiamo quando non chiede "per favore". La sua reazione
è stata: "Ma allora se chiedo per favore per ogni movimento passo la
mia vita così..."». Il ruolo di Telethon, che ha trasmesso alla
presidenza della Repubblica la richiesta d'intervista di Mavi
propiziando l'iniziativa, viene sottolineato così: «È fondamentale
quello che fa per la ricerca. La presenza del presidente Mattarella
inoltre dà un sigillo importante alla campagna contro le malattie
genetiche rare».
"Salvini? Non vede il dolore degli altri Follia un mondo governato
da miliardari"
Richard Gere Il mondo è sull'orlo del baratro, ma la naturalezza
rasserenante con cui Richard Gere espone le sue convinzioni spinge a
pensare che, forse, non tutto è perduto: «Dobbiamo provare a tenere
aperti i nostri cuori, per ascoltare il dolore dei nostri simili,
per interessarci delle tragedie che avvengono ovunque. Penso che
tutti noi siamo qui sulla Terra con un obiettivo comune, che è
proprio quello di aiutarci l'un l'altro».
Nell'agosto del 2019 ha visitato l'"Open Arms", ormeggiata al largo
di Lampedusa e carica di migranti che non potevano raggiungere la
terraferma. L'allora Ministro degli Interni Matteo Salvini, che
aveva impedito lo sbarco, è stato processato e ora appena assolto.
Che cosa ne pensa?
«Quando sali su un'imbarcazione come quella, cosa che ho fatto in
quell'occasione e poi anche in altre, vedi le stesse cose che, in
questi anni, abbiamo visto in tanti luoghi del pianeta, India,
Honduras, Bangladesh, Africa e anche in America. Gente che cerca una
casa, un posto dove vivere, un riparo. In un certo senso siamo tutti
rifugiati e, anche se non conosco i dettagli di questo caso
giudiziario, penso che, se non riusciamo a specchiarci nelle
sofferenze dei nostri fratelli, vuol dire che, come razza umana,
abbiamo fallito».
L'America ha di nuovo scelto Trump, che effetto si aspetta dalla
ri-elezione?
«È difficile rispondere a una domanda del genere in pochi minuti.
Posso dirle però che di recente sono stato a Washington, per un
evento speciale dedicato al Tibet, una campagna internazionale in
cui, alla presenza di Nancy Pelosi, è stato proiettato il
documentario sul Dalai Lama che ho prodotto. Sono stato in giro, ho
incontrato rappresentanti del Congresso, sia repubblicani che
democratici con l'obiettivo di capire quale percezione abbiano del
futuro che ci aspetta. Sa come è andata? Nessuno ha saputo
rispondere».
Che cosa la preoccupa di più?
«Trovo davvero molto inquietante il fatto che, del governo Trump,
facciano parte due tra le persone più ricche dell'intero pianeta e
che esse abbiano, quindi, la facoltà di esercitare il loro potere.
Il fatto che siedano nell'ufficio presidenziale è per me molto
allarmante. Nella Costituzione americana ricorre più volte la
formula "noi, il popolo", non certo "noi, i miliardari". Dimenticare
il popolo americano, quello vero, che non è certo fatto da
super-milionari, è la cosa che più mi spaventa, quella che veramente
fa tremare se pensiamo alle nostre sorti future. In America, ma
anche in tante altre nazioni».
Fra gli scenari più preoccupanti c'è quello riguardante il sistema
sanitario. Il neo-presidente Trump sarebbe pronto ad annunciare il
ritiro degli Usa dall'Oms, nel primo giorno del suo mandato. Che ne
dice?
«Mia moglie è spagnola e, quando è venuta a vivere con me in
America, è rimasta letteralmente scandalizzata nel constatare che,
negli Stati Uniti, il Paese più ricco del mondo, non esiste un
sistema sanitario pubblico. Per motivi che ancora non sono del tutto
chiari il Partito repubblicano si rifiuta di crearlo. È una cosa
incredibile, ci ho riflettuto a lungo, la nostra priorità dovrebbe
essere proprio la salute, il fatto che tutti abbiano la possibilità
di curarsi, di nutrirsi, di avere un tetto, insomma il minimo, le
cose più semplici. Credo che se ci impegnassimo tutti in questo
senso le cose andrebbero subito meglio. E questo dovrebbe valere
ovunque, per tutti i cittadini del mondo. Se ognuno dei nostri Paesi
mettesse a disposizione dei soldi per garantire i diritti basilari,
gran parte dei problemi sarebbero risolti».
La diffusione delle armi è un'altra piaga americana.
«Restiamo sconvolti ogni volta che assistiamo alle stragi nelle
scuole, con ragazzini che vengono ammazzati, ma la vendita delle
armi continua a proliferare e l'esercizio della violenza in Usa è
onnipresente, sempre in crescita. Mi sono attivato in questo senso,
cerco di promuovere movimenti che controllino la diffusione delle
armi».
Nel suo ultimo film Oh Canada I tradimenti (dal 16 gennaio nei
cinema) interpreta, diretto da Paul Schrader, il documentarista Leo
Fife che, prossimo alla fine della vita, rivive la sua giovinezza, a
iniziare dalla fuga in Canada per evitare di andare a combattere in
Vietnam. Lei è nato nel '49, in un'America molto diversa da quella
di oggi. Che ricordi ha di quel periodo?
«Faccio parte esattamente di quella generazione che ha ricevuto la
prima chiamata al fronte, quando è scoppiata la guerra in Vietnam.
Era un periodo molto particolare, c'è stato come un risveglio
universale, una voglia di reagire da parte dei ragazzi di allora, di
dire no a quello che stava succedendo, forse anche perché gli orrori
dell'Olocausto e del Secondo conflitto mondiale erano ancora vicini
e allora quei giovani hanno saputo dire "no, non voglio essere parte
di una nuova guerra"».
Ha rimpianti?
«Ha una giornata libera? Ce ne vorrebbe almeno una per poterglieli
dire tutti. Certo che ne ho, credo che ognuno di noi, nell'arco
della propria esistenza, sappia di essersi comportato male nei
confronti di altre persone, in modi più o meno gravi, e che questo
ci abbia fatto vergognare di noi stessi». —
Battaglia aerea nello Yemen abbattuto un F-18 americano
New York Benjamin Netanyahu annuncia il pugno duro a oltranza contro
gli Houthi per assestare un altro colpo all'Iran, da dove arrivano
nuove smentite sull'impiego da parte di Teheran di procure militari
nella regione in funzione anti-israeliana. Il tutto mentre gli
americani rischiano di perdere due piloti impegnati nei raid contro
le postazioni dei ribelli yemeniti per colpa - sembra - del fuoco
amico. Si è ormai chiaramente spostato in Yemen il baricentro
bellico del conflitto in Medio Oriente, dopo aver toccato Gaza,
Libano (inteso come Hezbollah), Iran e di sponda la Siria. E a
sentire il premier israeliano, la campagna contro gli Houthi,
considerati vicini all'Iran, si preannuncia dura e prolungata.
«Come abbiamo agito contro i terroristi iraniani, agiremo forza e
determinazione contro gli Houthi dello Yemen», afferma Netanyahu
dopo che nella notte tra venerdì e sabato un missile balistico ha
bucato la difesa aerea israeliana colpendo un parco di Tel Aviv e
causando 16 feriti. Si è trattato dell'ultimo raid di una serie che
la formazione yemenita ha intensificato nelle ultime settimane. In
una dichiarazione video rilasciata dopo la riunione del suo
gabinetto di sicurezza a Safed, Netanyahu ha promesso che, anche se
l'operazione contro gli Houthi potrebbe richiedere del tempo, i
risultati saranno gli stessi delle campagne di Israele contro altre
procure iraniane nella regione, tra cui Hamas a Gaza e Hezbollah in
Libano.
Poco prima era stata Teheran a farsi sentire rilanciando la campagna
di resistenza "spontanea" nella regione: «Yemen, Hezbollah, Hamas e
Jihad Islamica non sono procure iraniane, ma combattono per propria
convinzione. Se volessimo entrare in azione, non avremmo bisogno di
alcuna forza per procura», tuona la Guida suprema, Ali Khamenei. Il
quale è intervenuto anche sulla caduta del regime siriano di Bashar
Al-Assad: «Gli Stati Uniti progettano di dominare (la regione),
stimolando caos e scontri in quel Paese». Una strategia che, secondo
Teheran, vorrebbe essere replicata anche in Iran. «Un personaggio di
nazionalità statunitense ha detto che se la gente in Iran si
rivoltasse, gli Usa l'aiuterebbero - ha affermato Khamenei -. Ma si
tratta solo di un idiota. Il popolo iraniano schiaccerà sotto i suoi
piedi chiunque accetti di diventare un mercenario Usa e aiuti i
disordini nel nostro Paese».
Le attività militari Usa nella regione intanto proseguono con
intensità sullo Yemen non senza presentare rischi. Due piloti della
Us Navy sono stati abbattuti sul Mar Rosso domenica mattina in «un
apparente caso di fuoco amico», afferma l'esercito americano.
Entrambi sono vivi e al sicuro ma «le valutazioni iniziali indicano
che uno dei membri dell'equipaggio ha riportato ferite lievi»,
riferisce il Comando centrale (Centcom) degli Usa. «È in corso
un'indagine completa», spiega il Centcom. L'incrociatore
lanciamissili Uss Gettysburg «ha fatto fuoco per errore e ha colpito
l'aereo caccia F/A-18» che era pilotato dai piloti di Marina
provenienti da un'altra nave, la Uss Harry S. Truman.
L'errore, potenzialmente letale, mette in evidenza i rischi e le
insidie della missione in cui gli Stati Uniti sono coinvolti da più
di un anno. I ribelli yemeniti hanno lanciato più di 200 missili e
170 droni contro Israele in 13 mesi, riferisce il Times of Israel.
Secondo l'Idf (Forze di difesa israeliane), la stragrande
maggioranza non ha raggiunto Israele o è stata intercettata
dall'esercito e dagli alleati israeliani nella regione. Nell'ultima
operazione americana in ordine di tempo, avvenuta appunto la notte
scorsa, sono stati colpiti obiettivi "nemici" nella capitale Sanaa.
«Le forze di Centcom hanno condotto attacchi aerei di precisione
contro un impianto di stoccaggio missilistico e una struttura di
comando e controllo gestita dagli Houthi», si legge in una nota del
Comando.
L'operazione condotta dai militari Usa è avvenuta in risposta,
appunto, all'attacco condotto dalla formazione yemenita in cui è
stata "bucata" la copertura israeliana. L'esercito israeliano ha
ammesso di non essere riuscito a intercettare un missile balistico
che ha colpito quello che gli Houthi hanno affermato di essere «un
obiettivo militare» a Tel Aviv. Il raid, che ha causato anche il
ferimento di una bambina di tre anni, sarebbe andato a segno a causa
di un guasto tecnico del sistema di intercettazione dei missili
Arrow. Fra.Sem. —
l ministro degli Esteri turco a Damasco
Segnali di nuovo corso politico in Siria Una donna nell'esecutivo
provvisorio Ahmad Al-Shara rinnova la promessa di proteggere le
minoranze, sottolinea il valore della coesistenza e assicura di
essere già al lavoro sugli obiettivi. In un faccia a faccia a
Damasco tra il ministro degli Esteri della Turchia, Hakan Fidan e il
leader della nuova Siria, Al-Shara ha garantito che tutte le armi
presenti nel Paese passeranno sotto il controllo dello Stato,
comprese quelle detenute dalle forze a guida curda, invise ad
Ankara, che ha sostenuto la sua avanzata sulla capitale siriana. A
una delegazione libanese guidata dal leader druso Walid Jumblatt,
Al-Shara ha assicurato che la nuova Siria - slegata da Teheran, non
eserciterà più un'influenza «negativa» in Libano. Il nuovo corso
politico comprende anche l'entrata in scena di una donna, Aisha
al-Dibs, nominata capo dell'ufficio per gli affari delle donne
nell'amministrazione provvisoria istituita dopo la caduta del
regime. R.E.
Anke Julie Martin L'attivista: "Le autorità lo conoscevano, ma
negavano: è emersa la verità". L'allarme sui social
"Sono stata la prima a segnalare il saudita Diceva follie, ma
nessuno mi ha dato retta" Anke Julie Martin
dall'inviata a magdeburgo
Anke Julie Martin scrive da Israele e in questi giorni su X è
attivissima (supponiamo che sia una femmina, perché non vuole
rivelare la vera identità), dopo l'attentato di Magdeburgo. È stata
lei la prima a denunciare la pericolosità di Taleb al-Abdulmohsen,
l'uomo di origine saudita che ha compiuto la strage. Ci risponde da
lontano con solerzia. Ci racconta i dettagli di una conoscenza solo
virtuale con il presunto assassino del mercatino, con i dettagli di
conversazioni che i due avevano avuto nel 2017. «L'aggressore era
noto alle autorità tedesche da allora – ci spiega –. Io stessa avevo
segnalato due volte alla polizia del Nordreno-Westfalia alcuni suoi
tweet. Aveva accusato il servizio di assistenza ai rifugiati e aveva
fatto nomi di uomini che sfruttavano la gente vulnerabile».
Uno dei deliri diventata la ragione per cui Abdulmohsen avrebbe
architettato l'attentato del mercatino di Natale: a suo dire, il
comportamento delle forze dell'ordine della Germania nei confronti
dei migranti ex musulmani come lui. «La polizia tedesca vuole
islamizzare il Paese», diceva recentemente lo psichiatra paranoico e
complottista. Ma da tempo parla di abusi e di obbligo di assumere
droghe, per destabilizzare i rifugiati. «Quando ho letto i suoi
tweet – racconta Anke Julie Martin – l'ho invitato ad andare a
denunciare alla polizia, se era vero». Poi, però, l'utente di X ha
notato in Taleb altri post strani: «In uno rivelava la presenza in
Germania di un uomo arabo con background islamista. Il tweet di
Taleb conteneva il nome di quest'uomo, la data, la città, l'hotel e
il numero della camera d'albergo in cui si trovava. Questa persona
era ricercata all'estero».
All'epoca, altri utenti di Twitter avevano reagito a al post di
Taleb in arabo, dicendo che doveva smetterla, che quel che stava
facendo era scorretto. «Ho pensato di informare le autorità locali,
in modo che sapessero che quell'uomo pericoloso si trova in città.
Oppure, se non era vero e le informazioni contenute nei tweet di
Taleb erano inventate, la polizia poteva avvertire l'hotel in
anticipo, per proteggere gli ospiti».
A queste segnalazioni, Anke Julie Martin non ha ricevuto risposta.
Lei non è la sola ad aver denunciato i comportamenti strani del
saudita: anche l'attivista americana-saudita Nora Abdulkarim ha
raccontato di aver conosciuto Taleb mentre seguiva il rimpatrio di
una donna a Riad, e lo ha descritto come «aggressivo, egocentrico,
instabile». «Non è vero che non lo conoscevano», continua Anke, «chi
dice questo mente. E, infatti, ora viene fuori la verità». Giudica
le sue azioni come un atto dovuto: «Non ho fatto nulla di che –
spiega –. Ho semplicemente preso sul serio le accuse contenute nei
suoi tweet, ad esempio contro gli aiuti ai rifugiati, e le ho
trasmesse alla polizia». Ha comunicato con lui sempre nel mondo
digitale, «gli ho chiesto ripetutamente di contattare le forze
dell'ordine. Se necessario, anche gli agenti di un'altra città, se
non l'avessero preso sul serio».
Dal 2017 e 2018 ad oggi più nulla, nessun contatto. Fino alla strage
di Natale e il thread che Anke Julie Martin ha scritto sul social,
riannodando i fili sulla rete che tiene in memoria tutto. Anche
quegli stessi post di Taleb che ora sono all'esame degli inquirenti.
l. tor.
Tutti i misteri
Falciani di
ELISA SOLA
Da Milano a Roma. Da Alassio alle Cinque terre. Nel 2024 Hervé
Falciani, l'ingegnere che vive sotto copertura da quando ha rivelato
i nomi di oltre 130mila evasori fiscali, è stato almeno quattro
volte in Italia, prima del 7 dicembre. Negli hotel in cui ha dormito
si è sempre registrato con il proprio nome. Ha mostrato il
passaporto. Eppure, per quattro volte, non è mai scattato il sistema
di allerta che segnala alle forze dell'ordine la presenza di un
ricercato. E Falciani, destinatario di un mandato d'arresto
internazionale per «spionaggio economico» emesso dalla Svizzera, non
è mai stato arrestato. Ha fatto il bagno ad Alassio. Ha cenato a
Roma con amici di vecchia data. Ha visitato i borghi più
spettacolari del Levante. Fino al 7 dicembre, quando alle tre di
notte i poliziotti di Milano hanno bussato alla stanza 508 del The
corner Duomo hotel. Poche ore prima, alla reception, il whisteblower
che ha sottratto dalla Hbsc migliaia di liste sui fondi neri, aveva
mostrato il passaporto. Come aveva fatto nei mesi precedenti a Roma
e ad Alassio. Ma, come Falciani stesso pochi giorni fa ha detto alla
Corte d'appello di Milano, prima di essere liberato grazie (anche)
al provvedimento del ministro della Giustizia: «Nessuno mi aveva mai
fermato prima di oggi».
Il primo mistero della «spy story» dell'esperto di finanza che
collabora con i servizi di 40 Paesi è racchiuso in questa domanda.
Perché nessuno in Italia, se era ricercato da anni, l'ha arrestato
prima del 7 dicembre? Le ipotesi possibili non sono molte. La prima
è legata al suo doppio passaporto. Su quello francese il nome è
scritto completo: Hervé Daniel Marcel Falciani. Su quello italiano
compare solo il primo nome, senza accento. Forse, il sistema di
allerta scatta soltanto se viene inserito il nome completo
accentato. E in effetti l'esperto di finanza, il 7 dicembre, ha
mostrato il documento francese. Una seconda spiegazione potrebbe
essere legata a eventuali, ma ben più improbabili, problemi tecnici
di connessione degli hotel in cui ha soggiornato prima di dicembre,
che avrebbero reso impossibile l'allerta. La terza tesi è che
qualcuno - legato alle intelligence - abbia deciso di fare scattare
l'allarme Falciani in Italia soltanto adesso. Perché il contesto
storico e geopolitico sarebbe favorevole soltanto ora a una sua
eventuale nuova collaborazione con il governo italiano. «Sono a
disposizione e chiedo protezione», ha ribadito Falciani ai giudici,
a fianco del suo avvocato difensore Giorgio Bertolotti. Ma sul
contenuto delle informazioni rilevanti che intenderebbe comunicare,
mantiene un riserbo assoluto.
Così come erano coperte dal segreto totale le celebri liste che
Falciani aveva consegnato alla procura di Torino nel 2010. C'erano i
nomi di settemila evasori fiscali. Il procuratore dell'epoca, Gian
Carlo Caselli, con l'aggiunto Alberto Perduca, aveva fatto stampare
tutto. L'operazione era durata una settimana. Le indagini si erano
arenate perché le autorità svizzere non collaborarono. Anche la loro
fine costituisce un mistero. Perché non è mai trapelato nulla dal
Palazzo di Giustizia. In ogni caso «le liste Falciani», in Europa,
sono state utili per rintracciare molti evasori e per recuperare
tesoretti anche milionari.
Tornando ad oggi. Falciani sostiene di possedere informazioni
importanti per il nostro governo. Potrebbe trattarsi di liste nuove.
Quelle che ha consegnato finora nel mondo, dopo averle sottratte
alla Hsbc dal 2008 in avanti, «sono solo una minima parte di quelle
che aveva», fa sapere una fonte autorevole. «Lui non ha mai
consegnato tutti i file, li ha dosati selezionandoli di volta in
volta».
C'è un filo rosso che collega il valore potenziale delle notizie che
l'ingegnere informatico possiederebbe alla vita sotto copertura che
conduce. Falciani è ricercato da molti evasori che ha fatto stanare
e che cercano vendetta. Nessuno lo ha mai trovato perché è protetto
dai servizi. Non di un unico Paese, ma di molti. Da 15 anni vive in
località segrete, spostandosi da un luogo all'altro. Protetto.
All'anagrafe, la sua residenza figura a Beausoleil, circoscrizione
di Nizza. Poco distante da Montecarlo, il luogo dove è nato.
«Viaggio spesso, amo l'Italia e la sua dolce vita», ha detto
Falciani. Gode della dolce vita con il rigido protocollo di
sicurezza che regola la sua vita. Ma non ne parla. Ai giudici
milanesi ha detto: «Ho lavorato nel campo delle investigazioni
scientifiche e nella lotta al terrorismo». È un uomo misterioso.
Dice di non sapere perché, dopo quattro visite in Italia, le manette
siano scattate solo il 7 dicembre. Quando glielo abbiamo chiesto, ha
risposto: «Sarà la forza del destino», alludendo all'opera di Verdi
che ama. Ha sorriso. Dopo un po', ha aggiunto: «Ci sono cose
importantissime da riformare oggi nel mondo dei servizi». Questa
volta con un'espressione seria. —
POTEVANO EVITARLO NON LO HANNO FATTO PERCHE' NON ERA ROBA LORO:
Ladri di orologi d'epoca e microscopi storici triplice assalto
all'ex Manifattura Tabacchi Piero Bianucci
caterina stamin
Due furti in un solo mese. Il primo a fine novembre: i ladri hanno
forzato le porte e fatto razzia di rame, ferro e acciaio. Cose di
poco conto rispetto al bottino del secondo furto: un intero
laboratorio di orologeria, saccheggiato a metà dicembre. Pezzi
unici, secoli di storia spariti nel nulla.
Sono più di diecimila gli oggetti custoditi dall'Archivio
Scientifico e Tecnologico dell'Università di Torino (Astut), e 1.
500, di particolare valore, risultano già studiati e schedati.
Strumenti scientifici, prototipi di laboratorio, attrezzature
sanitarie, elettrodomestici d'epoca: accolti nei 34 mila metri
quadrati della ex Manifattura Tabacchi, in corso Regio Parco 142,
questi materiali documentano la scienza e le sue applicazioni dalla
fine del Settecento ad oggi. Ma negli ultimi otto mesi il patrimonio
dell'Astut ha subito atti di vandalismo. Già il 5 aprile i
carabinieri avevano registrato una prima denuncia per effrazione e
furto in un magazzino. Poi, a fine novembre, una seconda per
danneggiamento dell'impianto elettrico, sottrazione di cavi di rame,
con conseguente disattivazione dell'allarme, e furto di materiali
museali. Pochi giorni fa, a metà dicembre, un'altra denuncia ancora,
la più pesante: chi è entrato nell'ex Manifattura ha divelto le
sbarre di ferro e rotto i vetri dei portoni, portando via diversi
pezzi delle collezioni storiche di orologeria e oculistica. «È
sparito un intero laboratorio di orologeria, apparecchi e strumenti
come torni, frese, dentatrici – spiega l'ex direttore Marco Galloni–
Avremmo potuto fare delle mostre eccezionali sull'orologeria antica,
adesso non più».
Diretto oggi da Enrico Pasini, professore di Storia della filosofia
e della scienza all'Università di Torino, l'Astut negli anni ha
organizzato varie mostre e allestito un percorso per le scuole e il
pubblico. Poi la scoperta di amianto negli edifici ha bloccato
tutto: la struttura è stata chiusa al pubblico e al personale, ogni
accesso all'ex Manifattura è stato proibito per le precarie
condizioni di sicurezza della struttura. «Sono ventiquattro anni che
queste collezioni sono lì dentro e non abbiamo mai subito furti di
questo genere – prosegue Galloni – Per mesi, visto l'abbandono
totale della struttura, nessuno è più potuto entrare. Eccetto i
ladri che hanno neutralizzato l'allarme, aperto le porte e rubato
tutto». Il valore del bottino? «Migliaia di euro, oltre all'immensa
ricchezza storica e culturale».
L'Ateneo comunica che anche durante le vacanze di Natale si lavorerà
per mettere in sicurezza l'immenso patrimonio museale dell'Astut.
Verranno murate alcune porte e incentivati ulteriori atti di
vandalismo. Poi, per gli oggetti custoditi nell'ex Manifattura – tra
cui il primo rudimentale simulatore di volo, la sala operatoria di
Achille Mario Dogliotti e lo scafandro metallico di Angelo Mosso –
già nei prossimi mesi inizierà il trasferimento. L'intero patrimonio
verrà custodito nei tre piani interrati dell'ex stabilimento de La
Stampa in via Marenco. E lì inizierà la sua nuova vita.
21.12.24
La replica di israele: "atroce è farsi scudo dell'infanzia"
Il Papa: "Bombardati i bambini a Gaza" Papa Francesco torna a condannare gli attacchi aerei
israeliani a Gaza. «Ieri sono stati bombardati dei bambini», ha
denunciato il Pontefice, sempre più esplicito nel condannare la
campagna militare di Israele contro Hamas, in apertura del suo
discorso di Natale ai cardinali in Vaticano. Attacchi, quelli di
venerdì, che secondo le fonti mediche nella Striscia hanno ucciso
almeno 25 palestinesi, tra cui sette bambini, nel campo profughi di
Nuseirat e nella città di Jabalia. «Questa è crudeltà. Questa non è
guerra. Volevo dirlo perché tocca il cuore». Lo Stato ebraico va al
contrattacco sul Vaticano: «Crudeltà è che i terroristi si facciano
scudo dietro i bambini», risponde il ministero degli Esteri di
Gerusalemme con un post su X indirizzato direttamente a Francesco.
«Crudeltà - continua - è tenere in ostaggio 100 persone, tra cui un
neonato e bambini, per 442 giorni e abusare di loro». Israele
ritiene le dichiarazioni del Papa «particolarmente deludenti, in
quanto sono slegate dal contesto reale e fattuale della lotta di
Israele contro il terrorismo jihadista, una guerra su più fronti a
cui è stato costretto a partire dal 7 ottobre». Il Papa ha anche
accusato le autorità israeliane di non avere consentito al Patriarca
di Gerusalemme, il cardinale Pierluigi Pizzaballa, di entrare a
Gaza, nonostante gliel'avessero «promesso»
Il fantasma
armi chimiche Francesca Mannocchi
Zamalka
La notte del 21 agosto 2013 Belal Hussein era in casa con i suoi
figli e sua moglie, a Zamalka, periferia di Damasco, quando razzi
pieni di gas Sarin hanno colpito il quartiere.
Ha preso i suoi figli, li ha avvolti nelle coperte e li ha portati
ai piani più alti insieme a sua moglie. Aveva capito che non fosse
un attacco come gli altri, e sapeva che le sostanze chimiche sono
più pesanti dell'aria, così - prima di prestare aiuto a chi si era
nascosto negli scantinati - ha salvato la sua famiglia, portandola
all'ultimo piano dell'edificio in cui vivevano.
Poi ha messo un asciugamano bagnato sul viso ed è sceso prima in
strada, poi nei seminterrati dove il quartiere cercava riparo dalle
bombe.
Nell'attacco di quella notte, Belal Hussein ha perso sua madre, suo
padre e il fratello minore coi suoi due figli più piccoli. Quando
racconta dei bambini con le convulsioni e la bava alla bocca, le sue
mascelle si irrigidiscono. Oggi parla seduto su una sedia di
plastica all'esterno di casa sua, o meglio di ciò che ne resta. La
prospettiva dell'intero quartiere è lugubre. Non c'è un singolo
edificio che non porti i segni dei bombardamenti. Ciononostante, da
quando i gruppi ribelli guidati da Hayat Tharir Al-Sham (Hts), hanno
lanciato l'offensiva che in 12 giorni ha deposto cinquant'anni di
regime di Assad padre e figlio, molte famiglie stanno tornado a
casa. Ricorda che hanno cercato di portare le persone negli ospedali
sotterranei e ricorda che morivano anche medici e infermieri. Che,
negli scantinati, il giorno dopo non hanno trovato solo chi si era
andato a nascondere ma anche chi, in un tentativo disperato, era
sceso in cerca dei propri cari per metterli in salvo e aveva trovato
la morte.
Il regime di Assad e gli attacchi chimici
La Ghouta, area alle porte di Damasco, era stata un focolaio di
dissenso durante i giorni delle proteste di piazza in Siria nel
2011, tanto che nel 2012 l'area era quasi interamente controllata
dalle forze di opposizione. Poi, all'inizio del 2013, Assad ha
circondato le zone in mano ai ribelli, imponendo un assedio totale e
tagliando fuori cibo, gas e comunicazioni alle circa 400.000 persone
intrappolate all'interno.
Alla fine di agosto del 2013, la regione di Ghouta è stata colpita
con missili contenenti Sarin, un mortale gas nervino. Le
organizzazioni umanitarie e i team medici sul campo hanno stimato un
bilancio di circa 1400 vittime, più della metà donne e bambini. Il
regime siriano ha sempre negato di aver utilizzato armi chimiche, e
la Russia - che per anni è stato il principale alleato di Assad - ha
sostenuto che l'attacco fosse stato messo in atto dalle forze di
opposizione e ha ripetutamente utilizzato il suo veto come membro
permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per
ritardare o bloccare le indagini o istituire un tribunale penale
internazionale speciale per la Siria. Gli specialisti sul luogo,
però, affermarono che i sistemi missilistici coinvolti nell'attacco
fossero nell'arsenale dell'esercito siriano. Tuttavia, benché il
regime di Bashar Al-Assad sia ampiamente ritenuto responsabile
dell'attacco, il crimine resta a oggi ancora impunito. Dopo
l'attacco alla Ghouta gli Stati Uniti minacciarono rappresaglie, per
l'allora presidente Barack Obama l'uso delle armi chimiche avrebbe
dovuto essere la "linea rossa" per passare all'intervento in guerra
di Washington. Però né l'opinione pubblica americana, né il
Congresso, mostrarono sostegno per una nuova guerra e così Obama si
accontentò di un accordo: Assad avrebbe rinunciato e distrutto le
scorte di armi chimiche, e gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti
in guerra. Così nel 2013 il regime ha firmato la Convenzione sulle
armi chimiche che vieta queste armi e sotto la supervisione
dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche,
l'organizzazione internazionale incaricata di implementare questo
trattato, ha distrutto la sua scorta (almeno quella dichiarata) di
armi chimiche, che includeva 1.300 tonnellate di armi chimiche e
ingredienti.
Ma, sebbene la Siria affermi di aver eliminato il suo arsenale
chimico ai sensi di quell'accordo, una ricerca del Global Public
Policy Institute con sede a Berlino ha rilevato 336 attacchi chimici
distintivi durante il conflitto, il 98 percento dei quali può essere
attribuito al regime di Assad e secondo Human Rights Watch, ci sono
stati almeno 85 attacchi con armi chimiche registrati tra il 2013 e
il 2018, anni in cui l'esercito siriano ha iniziato a utilizzare un
nuovo tipo di arma chimica, le barrel bombs di cloro, come parte
della campagna contro l'opposizione.
Nel 2018, la città di Douma, l'ultima enclave ribelle nella Ghouta
orientale, è stata il luogo di un altro mortale attacco chimico: un
elicottero dell'aeronautica militare siriana ha sganciato due
bombole gialle su un paio di edifici residenziali, rilasciando gas
di cloro. Sono morte soffocate almeno 40 persone.L'attacco mise fine
all'assedio, il gruppo ribelle di Jaish Al-Islam, che allora
controllava l'area si arrese il giorno dopo.Centomila persone furono
sfollate forzatamente a Nord, a Idlib.
I residenti che oggi stanno tornando a casa ricordano che quando,
pochi giorni dopo, il regime permise agli investigatori
dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche di
accedere al sito dell'attacco, agli abitanti fu imposto di dire che
i loro vicini e parenti erano morti per aver inalato «fumo e
polvere, non sostanze chimiche». Se avessero detto la verità,
sarebbero stati puniti, o uccisi. A conferma di quanto racconta la
gente a Douma oggi, una delle conclusioni del rapporto Opcw del 2019
su Douma afferma: «Alcuni testimoni hanno affermato che molte
persone sono morte in ospedale il 7 aprile a causa dei pesanti
bombardamenti e/o soffocamento dovuto all'inalazione di fumo e
polvere». Delle armi chimiche, nelle parole della gente, non c'era
traccia.
L'arsenale dopo la caduta del regime
Dopo il crollo del regime di Assad l'urgenza è localizzare e mettere
in sicurezza le scorte di armi chimiche. Il leader ribelle siriano,
Ahmad Al-Sharaa mercoledì scorso ha dichiarato a Reuters che il suo
gruppo Hts avrebbe lavorato con la comunità internazionale per
proteggere potenziali siti di armi chimiche.
Come scrive Gregory D. Koblentz, direttore del Biodefense Graduate
Program presso la George Mason University «la cooperazione di
Damasco con l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche
è stata limitata. Il regime ha negato l'accesso ad alcuni dei suoi
membri del personale, si è rifiutato di rivelare la vera portata
della sua ricerca, produzione e test sulle armi chimiche. Damasco
non ha mai reso conto del destino di 360 tonnellate di iprite
(abbastanza per riempire migliaia di proiettili di artiglieria) che
afferma di aver distrutto all'inizio della guerra civile. E i
sospetti che la Siria avesse trattenuto armi chimiche non dichiarate
sono stati confermati nell'aprile 2017, quando l'aeronautica
militare ha lanciato un attacco con gas Sarin a Khan Shaykhun, una
città controllata dai ribelli nel Nord-Ovest del paese, uccidendo
quasi 100 civili, tra cui 33 bambini».
Secondo l'ultimo rapporto dell'organizzazione, pubblicato a fine
novembre, «grandi quantità di agenti e munizioni per la guerra
chimica» del regime di Assad rimangono disperse.
Nel corso di una riunione di emergenza del consiglio esecutivo dell'Opcw,
pochi giorni fa, il direttore generale, l'ambasciatore Fernando
Arias, ha espresso preoccupazione per il fatto che la Siria potrebbe
ora avere armi chimiche che «includono non solo elementi residui ma
anche potenziali nuovi componenti di un programma di armi chimiche».
«La situazione politica e di sicurezza nel Paese rimane instabile -
ha detto - e le preoccupazioni includono non solo elementi residui
ma anche potenziali nuovi componenti di un programma di armi
chimiche e anche il programma del cloro».
È il tramonto quando alcuni camion si fermano davanti allo spiazzo
di Belal Hussein. Sono i suoi vicini, hanno caricato tutto quello
che avevano nelle tende o nelle abitazioni di fortuna dove hanno
vissuto negli ultimi anni, e sono tornati a casa. Anche se le case
non ci sono più. Sopravvissuti come lui ai bombardamenti e agli
attacchi chimici, e come lui, nei giorni successivi, costretti a
tacere o mentire alle squadre investigative che indagavano
sull'attacco. Il figlio più piccolo di Belal Hussein siede accanto
al padre, mentre racconta di come lui e gli altri uomini di Zamalka
hanno accatastato i corpi, degli animali - morti soffocati anche
loro - e dei bambini nati morti, mesi dopo l'attacco. E di come per
giorni non hanno dormito temendo di aver seppellito qualcuno ancora
vivo, insieme ai cadaveri. Non dice una parola e non mostra
un'emozione. Ha undici anni, è nato dopo l'inizio delle proteste.
Conosce solo guerra e sfollamento. Non ha mai avuto una casa che
avesse tutte le pareti intatte.
Carissimo
Giubileo
Roscioli (Federalberghi) PAOLO BARONI
ROMA
Un caffè a 4 euro, come una bottiglietta d'acqua. «Una speculazione»
inaccettabile hanno denunciato già a metà novembre Cgil e Uil di
Roma scrivendo al sindaco Gualtieri per segnalare il «comportamento
opportunistico di molti operatori» che nelle zone turistiche della
Capitale, in vista del Giubileo, avevano applicato rincari del 300%.
Le associazioni dei pubblici esercizi hanno risposto piccate
smentendo queste cifre, ma intanto il sasso è stato lanciato.
A Roma inflazione record
Il problema è che questi rincari, secondo i due sindacati, non solo
colpiscono molti visitatori ma anche chi vive, lavora o studia a
Roma spingendoli sia a ridurre i propri consumi che a vedere il
proprio potere d'acquisto ridotto. Ed in effetti, secondo l'analisi
dell'Unione consumatori a novembre, Roma dopo Bolzano risultava la
seconda più cara d'Italia con un'inflazione del 2% contro una media
nazionale dell'1,3% ed un aumento delle spesa media annua
nell'ordine di 518 euro a famiglia.
Alberghi e B&b
L'aumento dei prezzi è un incubo che ormai da settimane tormenta la
Capitale. Aumenta, o rischia di aumentare, un po' tutto, dai
pubblici esercizi, ai taxi, dai musei ad alberghi e B&b, sino ai
prezzi delle case.
Secondo le stime di Assoutenti, per effetto dell'aumento della
domanda, i prezzi minimi di una notte in albergo aumenteranno del
51% mentre i B&b rincareranno del 27%. Tanto per fare un esempio:
già a fine novembre il costo di una notte in albergo in camera
doppia in Zona Vaticano-Prati oscillava da 92 a 605 euro, da 85 a
372 euro il prezzo di un B&b, mentre per un appartamento andava
messo in conto una spesa compresa tra 106 e 840 euro. Volendo
prenotare il 28 marzo la stessa tipologia di camera per Assoutenti
il prezzo di una notte in hotel lievita a 139-858 euro, il B&b a
108-1.202 euro mentre l'appartamento può arrivare anche a 1.912
euro.
«Escludo fenomeni di speculazione. Certo, in base al principio della
domanda e dell'offerta, in occasione degli 8-9 appuntamenti più
importanti ci saranno delle concentrazioni di clientela e lì ci
saranno degli aumenti dei prezzi - spiega il presidente di
Federalberghi Roma, Giuseppe Roscioli -. Ma ad esempio in questi
giorni i prezzi delle camere sono leggermente più bassi di quelli
dell'anno passato e in generale sono più bassi di quelli di Milano,
Parigi e di tutte le altre grandi capitali». Per il 2025 Roscioli
prevede lo stesso numero di presenze di quest'anno, attorno ai 50
milioni, ma siccome «ci sarà una "sostituzione" di turisti, mancherà
cioè la clientela altospendente, il settore dovrà certamente mettere
in conto un calo del fatturato».
Bar e pizzerie
Sperando che i 4 euro dell'espresso siano un caso limite secondo
Assoutenti anche i listini di bar, pizzerie, fast food e ristoranti
sono dati in metto aumento. Stando alle previsioni il caffè da 1
euro e 10 potrebbe salire di 10 centesimi segnando un aumento del
9%, +12,8% per il cappuccino che passa da una media 1,33 euro a
1,50, e ancora + 13,8% il panino al bar (4 euro e 20), +10,9% un
pasto al fast food (10,25) e +14,9% un pasto in pizzeria che da una
media di 10,88 euro sala a 12,50.
Ristoranti nel mirino
Per arginare i rincari l'Associazione Consumerismo ha lanciato la
proposta di un «patto della carbonara», ovvero di un «accordo
volontario tra gli esercenti della ristorazione ed i consumatori»
recepito tra l'altro con voto bipartisan dall'assemblea capitolina,
che impegna gli esercenti a praticare la sua offerta secondo il
concetto del «giusto profitto» e, ad esempio, a fissare a 12 euro il
prezzo di una pasta alla carbonara, ovvero uno dei piatti simbolo di
Roma, che oggi viene proposto anche a 14-19 euro.
Musei, bus e taxi
Con la scusa dell'aumento dell'affluenza e dei relativi costi anche
l'amministrazione di Roma, a sua volta, ha approvato una serie di
aumenti che interessano trasporti e servizi turistici. E così il
prezzo della versione da 72 ore del «Romapass», che consente di
accedere a musei e mezzi pubblici, è passato da 52 a 58 euro e 50 e
quello da 48 ore da 32 euro è passato a 36,50. Il costo dei permessi
Ztl per i bus turistici è stato invece triplicato per disincentivare
l'assalto al centro e più cari sono diventati anche i taxi con
l'introduzione di una quota minima di 9 euro e ritocchi ai prezzi a
tariffa fissa verso gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino ed il
porto di Civitavecchia. Sventato invece, grazie ai fondi della
Regione Lazio, il rincaro a 2 euro della corsa singola su bus e
metropolitane dell'Atac, ad aumentare saranno solo il biglietto
quotidiani e quello settimanale.
Mattone…d'oro
Molto pesante l'effetto Giubileo anche sul mercato immobiliare. Gli
esperti del settore parlano di «effetti nefasti» prodotti dalla
calata dei 30-35 milioni di visitatori previsti per l'ocasione. In
particolare nelle zone vicine al Vaticano i prezzi al metro quadro
segnano aumenti a due cifre, disponibilità zero invece per gli
affitti a lungo termine perché i proprietari in questa fase
guadagnano di più con le locazioni brevi. Secondo il sito
Idealista.it i prezzi di vendita delle case in centro a Roma
quest'anno sono cresciuti del 10,2% arrivando anche a toccare i 7
mila ero al metro quadro. In zona Vaticano il quartiere Prati fa
segnare n +8,8% ( e 5.802 euro di media al metro quadro), +6,7%
l'Aurelio a quota 3.712 euro. In parallelo anche lo stock delle case
in vendita è diminuito in maniera significativa: -18,5 in centro,
-13,1 Aurelio e -11,4 Prati, aggravando così l'emergenza casa in
atto già da tempo nella capitale. —
Ha detto
L'opera
"Aiuto gli Stati a stanare i grandi evasori Vorrei incontrare Nordio
per collaborare"
Le radici "
Hervé Falciani
Su La Stampa
La collaborazione
elisa sola
«Lavoro con le pubbliche amministrazioni, i servizi e le
intelligence da tanti anni. Sono esposto. Lotto contro l'opacità del
sistema bancario per stanare gli evasori fiscali. All'Italia chiedo
protezione». Dopo l'arresto avvenuto a Milano su mandato della
Svizzera e la scarcerazione ottenuta su disposizione del ministero
della Giustizia italiano, Hervé Falciani, che ha rivelato i nomi di
130 mila correntisti di Hsbc Private Bank di Ginevra sospettati di
evasione, si racconta. Lo fa in video collegamento da una località
segreta. Compare in dolce vita nera sullo schermo del pc del suo
legale di fiducia, l'avvocato Giorgio Bertolotti, che con il collega
Riccardo Magarelli assiste l'ingegnere informatico italo-francese.
Falciani, come sta?
«Sto come sempre. Centrato sugli obiettivi di vita da oltre
vent'anni. Ormai io, i miei familiari e amici siamo consapevoli che
possono succedere cose come l'arresto di Milano. Fanno parte del
cammino».
Si aspettava di essere arrestato?
«Vivo sapendo che può accadere. Non solo in Italia Perché c'è l'Interpol
e perché siamo in un contesto di lawfare, di uso della legge come
arma di conflitto. Un elemento fondamentale della guerra economica.
Ma io continuo a collaborare».
Che lavoro fa?
«Varie cose. Gestisco il mio patrimonio familiare. Ma l'attività che
mi piace di più è la collaborazione con la pubbliche amministrazioni
per capire meglio il ruolo e come si possa gestire il rientro
dell'off shore».
Ed è un lavoro pagato?
«Anche. Ma non è quello che mi ha fatto ricco. Tutto ciò che ho
fatto con le pubbliche amministrazioni, l'ho fatto quasi del tutto
in maniera gratuita. Per me è una fortuna poterlo fare. Ma certo,
comporta tanti rischi».
Lei si definisce ricco?
«Ho sufficienti mezzi per dedicarmi alla lotta contro l'evasione
anche senza guadagnare».
Dopo l'arresto di Milano, è tornato libero grazie al ministero della
Giustizia. Cosa ne pensa?
«Finora la giustizia mi ha sempre protetto. Quello che c'è di nuovo
oggi è che esiste una consapevolezza politica e identitaria. Nel
provvedimento del ministro si fa riferimento alla mia cittadinanza,
che è anche italiana. Ho subito dalla Svizzera una condanna per
spionaggio economico. Una condanna politica. È importante che la
politica italiana prenda una decisione. Ma non solo su di me».
In che senso?
«In un contesto di guerre ibride economiche, qualsiasi persona che
fa il whistleblower come me dovrebbe essere accolta e protetta, al
di là della cittadinanza».
Lei si sente italiano?
«Certamente. Sono nato a Monte Carlo, dove ci sono più italiani che
francesi. Mi sento italiano per cittadinanza, ma soprattutto per
cultura. E per la dolce vita».
Cosa intende per dolce vita?
«Il valore sociale delle relazioni. Quello che rappresenta di più
l'Italia è la vita sociale. E per me la socialità ha un valore
prioritario».
Ha degli amici in Italia?
«Sì. Vivo la dolce vita con loro. Ma da vent'anni ho una vita
semplice».
Qual è la sua giornata tipo?
«La mattina passo due o tre ore a leggere e studiare. Poi gestisco
gli affari familiari e faccio in video collegamento riunioni di
lavoro con agenzie che lottano contro la frode e la corruzione».
Nessuno svago?
«Faccio sport. Amo l'opera. Nei giorni scorsi ero a Milano per
vedere la prima della Scala. La forza del destino di Verdi. Mi hanno
arrestato la sera prima. L'opera l'hanno trasmessa in carcere, alla
tv».
Come ha passato la sua prima notte in cella?
«Ho fatto amicizia con il mio compagno. Gli hanno portato un piatto
di spaghetti aglio, olio e peperoncino. Me ne ha dato metà».
Lei ha detto ai giudici che è pronto a collaborare con l'Italia.
Cosa vuol dire, in concreto?
«Non c'è niente di più concreto di quello che mi è successo.
Informare in modo corretto è l'azione più forte che esista».
Adesso lei resterà in Italia?
«Sì. Era già previsto. Per motivi familiari, di lavoro e di affari.
Vorrei tornare a Milano, ma non vorrei mai che alla tre della notte,
quando sono in hotel, vengano a cercarmi». (Sorride).
Lei ha detto di essere stato in Italia molte volte nel 2024. Come è
possibile che non l'abbiano mai arrestata prima del 7 dicembre?
«Parlavamo di Verdi. Sarà la forza del destino». (Sorride di nuovo).
Con chi vorrebbe parlare della sua volontà di collaborare?
«Con il ministro Nordio».
E cosa gli direbbe?
«Credo di potere dare una mano all'Italia. Il mio passato e la mia
esperienza lo dimostrano». —
21.12.24
Falciani arrestato, Nordio lo fa liberare Hervé Falciani, l'ex informatico della filiale di Ginevra
della banca Hsbc noto per avere svelato i dati di centinaia di
migliaia di evasori fiscali consegnandoli alle procure di 40 Paesi,
è stato arrestato a Milano il 7 dicembre. Le manette sono scattate
su esecuzione di un mandato d'arresto internazionale emesso dalla
Confederazione elvetica per «servizio di intelligence economico
aggravato». Un reato che in Italia non esiste ma che è punito
severamente in Svizzera. Si tratta, in sostanza, di "spionaggio
economico". Falciani era a Milano in vacanza con la moglie. Dopo
dieci notti passate in una cella nel carcere di San Vittore, il noto
whistleblower – che vive sotto protezione e in località segrete per
motivi di sicurezza – è stato scarcerato, il 17 dicembre, e
sottoposto ai domiciliari, come stabilito dalla Corte d'appello di
Milano.
I giudici hanno accolto la richiesta dei difensori italiani di
Falciani, gli avvocati Giorgio Bertolotti e Riccardo Magarelli, che
ai giudici hanno spiegato, in sintesi: «Falciani in Italia ha legami
affettivi e un domicilio». La Corte ha accolto la tesi difensiva
considerando, tra l'altro, che nel suo caso il pericolo di fuga non
esisterebbe. Falciani non si è mai nascosto. È arrivato in hotel a
Milano, si è registrato con il suo nome vero. Ha dato alla polizia
il suo cellulare quando lo hanno fermato. Tra l'altro nel 2024 l'ex
informatico, che è un informatore delle intelligence di tutto il
mondo, è stato in Italia quattro o cinque volte, senza celarsi
dietro a un'identità fittizia. E nessuno lo aveva mai fermato prima
di due settimane fa. I motivi sono ignoti.
Il 18 dicembre, 24 ore dopo l'ordinanza di scarcerazione della Corte
d'appello (presidente Francesca Vitale, consigliere estensore Ilaria
De Magistris), Falciani è tornato definitivamente libero. In un
tempo record la misura dei domiciliari è stata revocata dopo che la
direzione generale Affari internazionali del ministero della
Giustizia italiano ha disposto che nessuna misura cautelare sarà
eseguita o mantenuta nei confronti di Falciani. Nemmeno il divieto
di espatrio. L'atto del ministero è stato mandato anche alla Corte
d'appello di Milano. La motivazione è in una pagina e mezza. Il
punto chiave in tre righe: «Considerata la nazionalità francese e
italiana, l'Italia potrebbe, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1,
della Convenzione europea di estradizione, rifiutare l'estradizione
essendo Falciani suo cittadino». Falciani è anche italiano. E
dunque, ora, è un uomo libero. e. sol. —
Gli agenti delle volanti hanno bussato alla stanza di Hervé Falciani
alle 19 e 30 del 6 dicembre. Era nella camera 508 dell'hotel
The corner Duomo di Milano. Al quinto piano. «C'è un mandato
d'arresto europeo a suo carico. È stato emesso il 3 maggio 2017. Ci
segua in questura». Falciani è rimasto sereno, hanno detto di lui.
Poche ore dopo, l'ex informatico che da anni collabora con i servizi
segreti contro gli evasori e i fondi neri entrava in una cella del
San Vittore. Ha dormito lì per dieci notti. «Mi hanno trattato
benissimo», ha confidato ai suoi avvocati Giorgio Bertolotti e
Riccardo Magarelli. E ha aggiunto: «Sono tranquillo. Mi aspettavo
l'arresto. In fondo forse volevo essere arrestato. Sono pronto a
collaborare con il governo italiano».
Falciani era stato arrestato in Spagna nel 2018 e poi liberato.
L'estradizione lì era stata rifiutata. «Vedo l'arresto in Italia
come una opportunità», ha detto Falciani in sala colloqui a
Bertolotti dopo le prime 48 ore di carcere . «È un'opportunità
questo arresto anche per l'Italia. Perché adesso può prendere una
posizione. Su di me, e sul tema dell'evasione fiscale. La Spagna lo
ha già fatto».
Poche ore dopo quel colloquio, davanti alla Corte d'appello Falciani
ha parlato per quattro ore. Ha risposto alle seguenti domande: «Come
si chiama?». «Che lavoro fa?». E Falciani, rispondendo, ha spiegato
cosa si aspetta dal nostro Paese. L'udienza si chiama « di
individuazione». Per Falciani c'è stata due giorni dopo l'arresto.
La procedura prevede che debba svolgersi entro i primi cinque. Alla
domanda «Acconsente all'estradizione?», il whistleblower ha
risposto: «No». E ha spiegato i suoi motivi: «Collaboro con 40 paesi
nel mondo. Non voglio scappare dall'Italia. Voglio collaborare anche
qui. Credo di avere una responsabilità pubblica sul tema della lotta
contro l'evasione fiscale, l'opacità bancaria e a quello della
difesa dei whistleblowers». «Aggiungo che – ha aggiunto - essendo
possibile che la notizia del mio arresto abbia una risonanza
mediatica importante, sono disponibile a incontrare un
rappresentante del ministero della Giustizia prima di rilasciare
tramite i miei difensori dichiarazioni pubbliche. Il tutto in
un'ottica collaborativa».
L'ex informatico ha ricordato di avere messo a disposizione elenchi
di presunti evasori fiscali, consegnando decine di faldoni alla
procura di Torino, 15 anni fa, quando era guidata da Gian Carlo
Caselli e dall'aggiunto Alberto Perduca. C'era il sospetto che
nell'elenco ci fossero i nomi di colletti bianchi collusi con la
criminalità organizzata. Falciani ha raccontato anche questo, ai
giudici, pochi giorni fa. «Sto combattendo da anni perché si possano
contrastare i metodi e l'opacità del sistema bancario svizzero, che
mantiene segreti contrari agli interessi nazionali di altri Stati.
So che c'è un mandato d'arresto internazionale contro di me. Ma io
ero disposto a essere arrestato. Dal 2012 sono entrato in Italia
centinaia di volte. Non mi sono mai nascosto. Ho collaborato coi
servizi di intelligence mondiali sui segreti bancari svizzeri. Non
voglio danneggiare gli interessi italiani. Ma aiutare».
È un'udienza decisiva. Un'ora dopo i difensori chiedono che
l'ingegnere informatico italo francese venga scarcerato.
«È un'opportunità per il governo italiano e l'autorità giudiziaria
italiana dimostrare di volere proteggere i whister blowers»,
l'ultimo appello di Falciani alla Corte. «Vorrei che anche in
Italia, che considero anche il mio Paese, venisse riconosciuta
protezione a me e a chi come me potrà farlo in seguito. Rifiutare la
mia estradizione da parte dell'Italia significherebbe affermare che
anche qui, come in Francia, in Spagna e negli Stati Uniti, si tutela
la prevalenza dell'interesse nazionale e il valore di chi, mettendo
in pericolo se stesso, intende tutelarlo dal sistema svizzero».
Poche ore dopo l'udienza arriva il primo punto a favore di Falciani.
Dal carcere passa ai domiciliari. La Corte d'appello accoglie la
richiesta di scarcerazione accogliendo la richiesta difensiva: «Non
vuole scappare, una parte della sua famiglia vive qui».
Nell'ordinanza di scarcerazione del 12 dicembre, compare, il primo,
esplicito riferimento al ministero della Giustizia che, sei giorni
dopo, stabilirà che l'informatico debba essere libero del tutto,
senza alcun divieto di espatrio. I giudici scrivono che il ministero
della Giustizia «ha chiesto con urgenza informazioni e documenti al
ministro dell'Interno circa le procedure di estradizione avviate in
Spagna e Francia il 12 dicembre». Ribadendo, infine, il punto
cruciale : «Falciani in Italia non si è mai nascosto». Nemmeno il 6
dicembre. Al The Corner hotel Duomo di Milano si è registrato con il
suo nome. Era quasi sera. All'addetto al ricevimento ha detto:
«Buonasera, sono Hervé Falciani. Camera 508 per favore». —
Anas non ci ha dato nessun programma
Egregio Direttore,
Le scrivo questa lettera, che vorrei fosse pubblicata in seguito
all'articolo dal titolo «Ora è ufficiale: il Tenda bis non aprirà a
dicembre 2024» pubblicato il 16 dicembre 2024, riguardante la
riunione della Commissione intergovernativa italo– francese (CIG)
tenutasi lo stesso giorno e che ha trattato anche del tunnel
stradale del Colle di Tenda.
In effetti, in particolare il commento presente nel vostro articolo
secondo il quale «l'Anas era pronta ad aprire la nuova galleria...
ma si è trovata davanti al "no" dei Francesi» non rispecchia affatto
la realtà. La decisione è stata congiunta, tengo a sottolinearlo, e
presa da parte da entrambi le parti, italiana e francese, della
Commissione, di fronte a evidenti rischi per la sicurezza.
Mi permetto di evidenziare tre punti essenziali per capire l'attuale
situazione che permetteranno sicuramente a La Stampa di chiarire
quelle che appaiono come delle inesattezze nell'articolo
sopraccitato:
1. La Francia auspica una rapida riapertura in totale sicurezza dei
collegamenti franco-italiani, in particolare del tunnel di Tenda ed
è pienamente impegnata per il raggiungimento di questo obiettivo.
Per aprirlo in totale sicurezza, che è quello che ci auguriamo tutti
di poter garantire sia al personale che lavora sul cantiere, sia ai
futuri utenti, è necessaria l'installazione delle attrezzature
essenziali e i test per garantirne il corretto funzionamento. Ad ora
il controllo preliminare alla riunione del 16/12 ha evidenziato che:
non sono ancora installati i sistemi di ventilazione, non sono
ancora alimentati gli idranti, non è stata posizionata
l'illuminazione, il rivestimento non è completato e le vie di
evacuazione non sono finalizzate. Su parere del comitato di
sicurezza, le delegazioni francesi e italiane non hanno quindi
previsto, in questa fase, un'apertura al traffico parallela al
proseguimento dei lavori come proposto dall'Anas durante la stessa
riunione della CIG.
2. In effetti, il cantiere, sotto la direzione delegata dell'Anas,
ha purtroppo subito ritardi significativi dal suo avvio nel 2015.
Sebbene la pandemia di Covid-19 e la tempesta Alex nel 2020 possano
spiegare parte dei ritardi, il cantiere ha subito ancora una volta
uno slittamento significativo del calendario. A seguito del ricorso
congiunto dell'Anas e dell'impresa incaricata dei lavori, Edilmaco,
presso il Comitato consultivo tecnico, il termine contrattuale per
il ripristino del collegamento internazionale senza restrizioni
d'uso è stato fissato al 7 gennaio 2025. Ad ora, l'Anas non ha
fornito un cronoprogramma dettagliato fino alla riapertura
definitiva, che ci auguriamo di avere presto.
3. La collaborazione tra Francia e Italia è stretta e continua per
riaprire un tunnel vitale per i nostri due paesi. Le delegazioni
francesi e italiane continuano a lavorare insieme al monitoraggio di
questo progetto complesso: solo con una collaborazione rafforzata
potremo ottenere impegni concreti e risultati. Questa è l'unica via
per garantire la riapertura di questo tunnel vitale per entrambe le
valli, inizialmente con modalità di circolazione limitate che,
ancora qui desidero sottolinearlo, garantiscano la sicurezza degli
utenti, e successivamente in modalità di funzionamento normale e
definitivo. Quando le condizioni di sicurezza saranno verificate dal
Comitato dedicato, allora Italia e Francia potranno convocare la CIG
al fine di consentire al pit presto l'apertura del tunnel. —
20.12.24
Dalla procura di Milano un'altra tegola giudiziaria sulla ministra
del Turismo Dopo l'inchiesta su Visibilia tocca all'azienda
specializzata in bio-prodotti
Bancarotta fraudolenta per il crac di Ki Group L'accusa a Santanchè monica serra
milano
Bancarotta fraudolenta. È questa la nuova accusa che la procura di
Milano ipotizza contro Daniela Santanchè. La ministra al Turismo lo
ha scoperto qualche settimana fa dalla notifica di una richiesta di
proroga dell'inchiesta in corso sul fallimento di Ki Group srl.
Per la senatrice di Fratelli d'Italia la partita giudiziaria non si
chiude, insomma, con le indagini sulla sua «creatura» Visibilia
Editore, per cui è già accusata di falso in bilancio e truffa
aggravata ai danni dello Stato con la cassa integrazione Covid in
due procedimenti arrivati in udienza preliminare. Nel più stretto
riserbo, infatti, già da un anno, la procura aveva iscritto, con
altri, il nome di Santanchè nel registro degli indagati, in un
fascicolo aperto sulla crisi del piccolo gioiello del bio rilevato
dalla ministra – uscita dalla compagine societaria solo nel gennaio
del 2022 – e dal suo ex compagno Canio Mazzaro.
Su istanza dei pm Marina Gravina e Luigi Luzi (del pool diretto
dall'aggiunto Roberto Pellicano), la prima società del gruppo finita
in liquidazione giudiziale – il vecchio fallimento – il 9 gennaio di
quest'anno, è stata proprio Ki Group srl. Successivamente, una dopo
l'altra, sono fallite anche Biofood, Verdebio, e per ultima, il 4
dicembre, la più importante, la quotata Bioera, mentre pende una
doppia istanza di liquidazione giudiziale dei pm e dell'Agenzia
delle entrate su Ki Group Holding spa.
«In relazione all'apertura della liquidazione giudiziale di Ki
Group, e alle conseguenti notizie apparse su talune testate
giornalistiche in riferimento a un asserito caso Santanchè – aveva
scritto in una nota all'epoca la ministra – intendo precisare che in
detta società ho avuto tempo addietro un ruolo del tutto marginale e
oggi non ne ho alcuno. Le notizie secondo cui Ki Group farebbe (o
avrebbe fatto) "capo a me" forniscono una rappresentazione non vera
dei fatti e paiono ispirate dalla volontà di screditare la
reputazione della carica che ho l'onore di ricoprire». Secondo
quanto risulta invece nei registri della camera di commercio, in Ki
Group, Santanchè ha rivestito il ruolo di presidente del Cda e di
legale rappresentante, dal 30 aprile del 2019 al 31 dicembre del
2021, quando è uscita dal gruppo.
Nella sentenza di fallimento, i giudici avevano accertato «lo stato
di definitiva incapacità» di «fare fronte regolarmente alle proprie
obbligazioni» di Ki Group che non aveva «più credito di terzi e
mezzi finanziari propri» e aveva un «passivo esposto in ambito
concordatario di 8.625.912 di euro». Lo «stato di insolvenza» si
desumeva dalla «conseguente impossibilità con l'attivo e il
patrimonio societario di pronto realizzo a far fronte al passivo
esposto in ambito concordatario», il «mancato deposito del bilancio
al 31 dicembre del 2022» e «l'emersione già nel bilancio del 2021 di
una perdita di esercizio di 11,8 milioni di euro e di un patrimonio
netto negativo di 9,6 milioni di euro». Una crisi irreversibile che
ha travolto l'intero gruppo che, per l'accusa, in base agli
accertamenti del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf,
sarebbe legata alla gestione di Mazzaro e Santanchè indagata,
appunto, per bancarotta fraudolenta: un'accusa da cui era riuscita a
salvarsi nelle inchieste su Visibilia, evitando il fallimento della
società. Anche questa rischia di essere una nuova incognita sul
futuro politico della ministra. —
L'innocenza
Giglio Francesco Grignetti
Roma
Tutti prosciolti. Non c'era reato nell'operato della fondazione
renziana Open. La procura di Firenze ha indagato per 5 anni, con
ampio risalto, teorizzando che una fondazione politica fosse
assimilabile a un partito e perciò dovesse sottostare alle stesse
regole. La fondazione Open era in effetti lo strumento di Matteo
Renzi e ha operato tra il 2012 e il 2018 per sostenerne
finanziariamente e praticamente l'attività, prima come sindaco di
Firenze e poi da segretario del Pd. Tra gli imputati figuravano l'ex
premier, l'ex ministra Maria Elena Boschi, l'ex ministro Luca Lotti,
l'ex presidente della fondazione Alberto Bianchi, l'imprenditore
Marco Carrai. Tutti prosciolti con tante scuse dal giudice Sara
Farini dopo un'interminabile udienza preliminare. Ora Renzi può
esultare, ma ha anche molto da recriminare: «Dopo sei anni di
indagini surreali e illegittime, cinque anni di gogna mediatica a
reti unificate, quattro di perquisizioni incostituzionali,
pubblicazioni illegali, ripetute violazioni dei nostri diritti
fondamentali, dopo quasi tre anni di udienza preliminare, sono stato
prosciolto dalla vergognosa e infamante accusa di finanziamento
illecito alla politica».
È il momento per il leader di Italia viva di mettere punti fermi. «È
stato un tentativo di assassinare un progetto politico, ne sono
convinto». Ai suoi occhi alcuni hanno speculato su questa inchiesta
più dell'accettabile. «Perché la presidente del Consiglio non ha
trovato un momento per fare un tweet e scusarsi per quello che il
suo partito ha fatto nei nostri confronti? E dove sono i cori e i
commenti del M5s che ha maciullato la vita delle nostre famiglie e
oggi improvvisamente sembra aver scoperto il dono del silenzio?
Questo è ciò che politicamente resta».
Secondo Renzi, infatti, a parte alcuni suoi ex compagni di partito,
sono i grillini e quelli di FdI ad avere strumentalizzato più di
altri l'inchiesta. «Ci sono due partiti responsabili del massacro
della mia famiglia. Il M5s che ha aggredito da sempre i miei. Il
secondo è FdI: Meloni si dovrebbe vergognare di come ha gestito e
sfruttato le indagini sulla mia famiglia. Tutto ciò che abbiamo
visto ha avuto un imprinting giustizialista». E così i renziani
hanno pagato un prezzo spropositato. «Chi ha scelto di stare con me,
vive da cinque anni con il fardello delle indagini giudiziarie e del
giustizialismo. Chi ci vuole bene ha sofferto per il clima intorno a
noi. E forse anche i sondaggi sarebbero andati diversamente se non
avessero inventato questa indagine incredibile». Infine, una goccia
di veleno sul pm che ha portato avanti l'inchiesta con grande
testardaggine. Scrive Renzi su X: «Al pm che mi ha accusato – Luca
Turco, lo stesso che ha aggredito la mia famiglia – non ho niente da
dire. Mi spiace solo che vada in pensione dopodomani senza pagare
per le sue perquisizioni illegittime e per la sua indagine
incostituzionale. Chi sbaglia paga: vale per tanti italiani, non per
lui».
È più pungente sulla sua e-news: «Il messaggio per tutti quelli che
si esponevano a mio favore: se stai con lui, ti indago. L'indagine è
stata condotta da un pm che è lo stesso che ha fatto arrestare i
miei genitori per un reato per il quale sono stati assolti, che ha
tenuto sotto processo mio cognato per otto anni con l'accusa di
riciclaggio internazionale dalla quale è stato assolto perché il
fatto non sussiste, che ha indagato mia sorella che è stata assolta.
E che ha indagato me per le conferenze all'estero salvo poi essere
costretto dopo ventun mesi di serrate indagini a riconoscere che
avevo ragione io».
È il giorno dell'orgoglio dei renziani, dunque. A cominciare
dall'avvocato Alberto Bianchi, che era il presidente di Open: «È
stata riconosciuta, da una giudice attenta e scrupolosa, la piena
legittimità dell'attività di Open che altri magistrati hanno troppo
a lungo negato». Oppure Luca Lotti: «È stato un caso che mi ha
ferito molto perché era un'accusa brutta». Il capogruppo di Iv al
Senato, Enrico Borghi, sottolinea «uno sforzo di riformare l'Italia
che ha ancora molto da dare, e che non è stato fiaccato da cinque
anni che avrebbero prostrato chiunque».
Si congratulano molti ex renziani rimasti nel Pd come Graziano
Delrio, Piero Fassino, Debora Serracchiani, Lorenzo Guerini. Dal
fronte opposto si fa vivo Matteo Salvini: «Noi siamo sempre
garantisti, a differenza di chi predica bene e poi vota per mandare
a processo i rivali politici. Ora mi aspetto che votino con la Lega
e il resto del centrodestra per cambiare questa giustizia».
19.12.24
Sedici anni fa morì Giulio Testore, operaio del reparto mescole
dello stabilimento di Cavagnolo Ieri la Corte d'appello di Torino ha
confermato la pena di un anno e otto mesi di reclusione
Eternit bis, un'altra condanna per il magnate Schmideiny
elisa sola
Vent'anni dopo l'inizio delle prime indagini sui morti d'amianto
negli stabilimenti Eternit e sedici anni dopo il decesso di Giulio
Testore, il lavoratore parte offesa nel procedimento "Eternit bis"
che ieri si è concluso in appello, è arrivata la condanna – a un
anno e otto mesi – per Stephan Ernest Schmidheiny, imputato di
omicidio colposo.
La quarta sezione della Corte d'appello di Torino ha confermato la
pena nei confronti del magnate dell'amianto, accogliendo l'impianto
accusatorio. I giudici hanno ridotto a 7.500 euro la somma destinata
a ogni parte civile: Aiea, Afeva, Cgil, Cisl, Uil, Regione Piemonte
e Medicina democratica. Al centro del processo, che si è celebrato in appello per la
seconda volta dopo l'annullamento con rinvio da parte della Corte di
Cassazione, c'era la malattia, seguita dalla morte – avvenuta nel
2008 – di Testore, dipendente fino al 1982 nello stabilimento Saca
di Cavagnolo, controllato dal gruppo Eternit e fallito nei primi
anni Ottanta. L'uomo era mancato a causa dell'asbestosi, malattia
professionale che nella maggior parte dei casi insorge a causa del
lavoro a contatto con la fibra killer. Nel 2018, in primo grado,
Schmidheiny era stato condannato a quattro anni di reclusione per
omicidio colposo plurimo. Le parti offese erano quattro all'epoca.
La pena era stata ridotta poi in appello a un anno e otto mesi di
reclusione, perché i giudici avevano stabilito che la condanna fosse
possibile solo nel caso della morte di Testore e non per gli altri
decessi. La Cassazione infine, lo scorso maggio, aveva annullato con
rinvio chiedendo alla Corte d'appello di Torino di motivare rispetto
alla rilevanza causale dell'esposizione all'amianto relativa agli
anni '76-'82. Erano gli ultimi anni (di 30) di lavoro in fabbrica di
Testore, addetto al reparto mescole.
Dopo la sentenza di condanna si è dichiarato soddisfatto Bruno
Pesce, di Afeva (Associazione familiari e vittime amianto): «Sono
contento perché comunque è stato confermato che c'è un rapporto tra
l'esposizione e l'insorgenza delle malattie come l'asbestosi».
Secondo l'avvocata di parte civile della Cgil, Laura D'Amico: «Siamo
soddisfatti per l'esito del processo, perché è stata confermata la
colpevolezza dell'imputato nonostante tutti gli argomenti della
difesa. L'unico dispiacere è che nell'aprile del 2025 il reato si
prescrive».
Quello di Cavagnolo è il penultimo filone ancora aperto dei processi
"Eternit bis". A gennaio riprenderà il procedimento d'assise
d'appello appello per i 392 morti di Casale Monferrato. A
rappresentare l'accusa, la pg Sabrina Noce.
Riguardo alla sentenza di ieri è intervenuto anche Massimiliano
Quirico, di Sicurezza e lavoro: «Nonostante la rapidità della corte,
purtroppo anche questo caso di omicidio rischia di finire in
prescrizione, nella primavera del 2025, qualora, come prevedibile,
venisse nuovamente fatto ricorso in Cassazione: un'ulteriore beffa
per le vittime italiane dell'amianto». Gianna Pentenero, capogruppo
del Pd in consiglio regionale, dice: «Esprimiamo grande
soddisfazione per la condanna. La sentenza segna un importante passo
avanti nella lunga battaglia per la giustizia riguardo alle vittime
dell'amianto, che hanno sofferto e continuano a soffrire a causa
delle scelte irresponsabili di chi ha gestito gli stabilimenti».
«Ora però - ha concluso - occorre far sì che i responsabili paghino.
Da questo punto di vista ci appelliamo al ministro della giustizia
Nordio perché si continui a mantenere alta l'attenzione»
CHI PUO' LO AIUTI IN NOME DI DIO : Maurizio Caneo, ex musicista ha
ricevuto la tredicesima donata da Specchio dei Tempi
" Un incidente ha silenziato ritmi e melodie della mia vita" francesco Munafò
«Vorrei tornare a suonare come un tempo, perché la musica è la mia
vita». E non passa giorno senza che Maurizio Caneo, 67 anni, si
dedichi a lei. Nella sua casa popolare al villaggio Leumann, l'uomo
picchietta coi polpastrelli la pelle del suo tamburello indonesiano.
Per quarant'anni ha ripetuto quello stesso gesto di fronte a
centinaia di persone, che l'hanno sempre ricompensato con un
applauso. La musica è stata il suo lavoro, la sua passione, «anzi, è
stata la mia unica moglie» sorride. E se ci ripensa a quel che è
stato questo viaggio e questa sua vita, Maurizio non trattiene le
lacrime: «Meno male - scherza - che ho portato qualche fazzoletto in
più».
La sua esistenza è cambiata nel 2013, a Torino: «Era la vigilia di
Natale e stavo attraversando la strada - racconta - Un ragazzo alla
guida di un auto, probabilmente col cellulare in mano, mi ha
investito». Tre mesi in ospedale, poi altri nove in sedia a rotelle.
Quando torna in piedi, la sua carriera è distrutta. Persi tutti i
contatti, perso l'uso della gamba con cui suonava la batteria, persa
l'attività che gli scaldava il cuore e che, soprattutto, gli
permetteva di vivere.
Oggi Maurizio tira avanti con un assegno di inclusione da poche
centinaia di euro e quest'anno, assieme ad altri duemila anziani, ha
beneficiato della Tredicesima dell'Amicizia, l'assegno da 500 euro
che la Fondazione Specchio dei tempi eroga ogni anno in vista delle
festività natalizie per sostenere chi si trova in difficoltà.
La musica entra nella vita di Maurizio ancora prima di cominciare le
elementari, tra le mura dell'appartamento del quartiere San Paolo
dove viveva con la famiglia: «Ho cominciato a quattro anni. Suonavo
con le pentole e i coperchi». La passione cresce con lui, che si
scopre particolarmente dotato per le percussioni. Vuole studiare al
Conservatorio, ma la famiglia lo ferma: non si può. In piena
adolescenza, un vicino di casa italo-eritreo gli fa scoprire i
tamburi Entenga, utilizzati nell'Uganda coloniale per annunciare
l'arrivo dei Reali britannici. È un'epifania: Maurizio si innamora
della musica etnica, e decide che le dedicherà la vita. Così, nella
Torino infuocata della contestazione operaia e studentesca fonda -
con un gruppo di amici - l'U.C.O., acronimo di Universal Condition
Orchestra. Nel 1973 il gruppo inizia a esibirsi per i teatri: gli
Infernotti, l'Angolo, lo Stabile. Sono bravi, si fanno conoscere per
la loro originalità. «Eravamo la prima orchestra in Italia a suonare
quei ritmi» ricorda. Quella che poi si sarebbe chiamata "world music",
infatti, verrà portata sui palcoscenici di tutto il mondo solo dieci
anni più tardi da Peter Gabriel. L'esperienza degli U.C.O. dura
quindici anni. Poi Maurizio comincia ad esibirsi in giro per
l'Europa: Parigi, Lugano, Roma. Poi passa al punk e infine
all'elettronica. Fino a quel 2013, che ha messo tutto in pausa.
L'uomo conserva ancora tutti i suoi strumenti, con cui ha suonato
solo due volte negli ultimi undici anni: «Sono le tracce di quella
passione che mi ha guidato fin da bambino» dice. Quando li suona,
Maurizio talvolta chiude gli occhi, e torna indietro: «C'erano dei
momenti in cui mentre ci esibivamo che sentivamo la mano di Dio
sopra le nostre teste - racconta - E intanto creavamo mondi nuovi».
Oggi, nonostante la vita sembri sospesa, tra un prima travolgente e
pieno e un poi fatto di attesa, Maurizio continua a sognare di
esibirsi di nuovo. «Dopo l'incidente ho subito ripreso a creare
melodie: lavoravo anche dodici ore al giorno». Oggi suona persino
utilizzando il cellulare, con cui ha realizzato un intero
spettacolo. Ma gli manca un luogo dove esibirsi e un pubblico
incantato dalle sue note. ma più di tutto gli manca qualcuno che
creda in lui: «Certo, le energie vanno scemando - sorride - ma
nonostante tutto ho ancora tante storie musicali da raccontare».
18.12.24
Il 6 dicembre in un rapporto dell'Aise: "Il regime è destinato a
crollare entro 72 ore"
Gli 007 italiani prevedevano la caduta di Assad Francesco Grignetti
Roma
A proposito di quella telefonata tra il capo dei servizi segreti
siriani, Hassan Luqa, e il direttore della nostra intelligence
esterna, Giovanni Caravelli, risalente al 5 dicembre scorso, c'è un
documento del giorno seguente, il 6 dicembre, che racconta il vero
lavoro che fanno i nostri 007. È il rapporto che faceva il punto
sulla vera situazione siriana a quella data. E tutto ruotava attorno
a una previsione. Scrivevano i nostri agenti segreti che nel giro di
72 ore il regime di Assad sarebbe collassato. Previsione quantomai
azzeccata: l'8 dicembre, due giorni dopo questo rapporto dell'Aise,
Assad era in fuga verso Mosca e Damasco era in mano ai nuovi
potenti.
Ora, hanno scritto in molti che i servizi segreti fanno di mestiere
il lavoro sporco. Compreso tenere i rapporti con regimi dittatoriali
e tagliagole. Quindi non c'è molto da stupirsi che il direttore
Caravelli parlasse al telefono con il suo omologo siriano.
Oltretutto l'Italia ha riaperto da pochi mesi l'ambasciata a
Damasco, il che comporta non solo che ci fosse stata una
"normalizzazione" di rapporti tra i due governi (nonostante Assad
fosse ancora un impresentabile in Europa e nel mondo occidentale) ma
che l'Aise dovesse preoccuparsi della sicurezza del personale
diplomatico lì presente oltre che dei circa 300 italiani residenti
nel Paese. Perciò è più che normale che il capo dei nostri 007
s'informasse con il suo omologo della situazione. La frase riportata
nel documento arabo che ha fatto scalpore, però, e cioè che l'Italia
avrebbe offerto supporto al regime, è del tutto incongrua perché non
si capisce come avremmo fatto ad aiutare un dittatore sotto scacco,
se nemmeno russi e iraniani, presenti sul campo, si stavano
impegnando per lui.
E questa è la parte più succosa del rapporto Aise del 6 dicembre:
elencate le città già cadute o date per perdute, quali le forze in
campo, i nostri 007 segnalavano che le forze governative,
frammentate sul territorio, non avrebbero retto l'urto e che gli
uomini di Assad stavano mollando una posizione dopo l'altra. Di qui
la previsione che il regime con le sue forze non avrebbe retto più
di tre giorni. Evidentemente era ciò che il direttore Caravelli
aveva capito nella telefonata intercorsa con Hassan Luqa. Un senso
di vera disperazione.
Anche perché, se pure Luqa avesse evitato di parlarne (non lo
sappiamo), l'Aise aveva unito i pezzi di molte altre fonti di
intelligence e poteva così annunciare al nostro governo che i due
protettori di Assad erano in forte contrasto sul da farsi: i russi
consideravano il regime ormai defunto e guardavano oltre, gli
iraniani invece non volevano rassegnarsi a perdere il controllo sul
territorio siriano e spingevano per una difficilissima escalation
militare. Punti di vista divergenti tra due alleati, entrambi alle
prese con problemi giganteschi: i russi impantanati in Ucraina, gli
iraniani frenati dagli israeliani e impossibilitati a muovere le
loro pedine (vedi gli Hezbollah libanesi) come erano soliti fare. E
in effetti, alla prova dei fatti, i russi in pratica non si sono
mossi e stanno ora trattando con i nuovi arrivati per conservare le
loro basi militari e gli iraniani non hanno fatto in tempo a fare
nulla.
In conclusione, il 6 dicembre l'Aise non vedeva futuro per Assad.
Altro che offrirgli "supporto". Magari il generale Caravelli avrà
pure usato qualche formula cortese al telefono con Hassan Luqa, che
quegli ha percepito come un insperato soccorso, ma all'italiano era
chiaro di parlare con l'esponente di un regime morente. Ed è ciò che
ha scritto al nostro governo.
il caso
Paolo Berlusconi e i quadri sospetti
"Pagai per aiutare Silvio nei processi"
" Paolo Berlusconi
irene famà
roma
A che cosa servivano quelle opere d'arte vendute da tre intermediari
romani a Paolo Berlusconi? A mettersi in tasca lauti guadagni
frodando il fisco o erano il pagamento di un dossieraggio per
aiutare il Cavaliere a superare i suoi scogli giudiziari?
Tra le pieghe di un processo per evasione fiscale nella Capitale,
emerge un piccolo giallo che conduce a Milano. Uno degli imputati è
Tiziano Cosettini, commerciante d'arte. E insieme con l'amico Luigi
Ferdinandi e con le rispettive compagne vende, a cifre milionarie,
una raffica di quadri, obelischi e comò al fratello di Silvio
Berlusconi. Non dichiarano l'Iva e le imposte, almeno secondo quanto
ricostruito dalla guardia di finanza. Così finiscono davanti ai
giudici.
Ma le questioni fiscali, in questa faccenda, sono solo un aspetto. E
lo ha raccontato nelle scorse udienze Paolo Berlusconi sentito come
testimone. Tra il 2015 e il 2018, acquista quadri, obelischi, mobili
e pure un putto toscano. Opere pagate milioni, con una decina di
bonifici. «Le ho pagate a prezzo più alto – spiega in aula –
Sopravvalutandole». Perché? In realtà «volevo reperire delle prove
su alcune situazioni non chiare che venivano contestate a mio
fratello, in alcuni processi che ha dovuto subire. Volevo favorire
queste indagini. Una ricerca che però si è rivelata infruttuosa».
Insomma. Paolo Berlusconi si convince che quelle persone, che «per
vari motivi» conosce da più di dieci anni, possono fornirgli dei
dossier per «aiutare» il Cavaliere ad affrontare i guai giudiziari.
«Tiziano Cosettini – ha spiegato Berlusconi ai giudici – era stato
impiegato in azioni di polizia come infiltrato e quindi come
collaboratore della polizia di Stato. Pure Ferdinandi mi risultava
un uomo della polizia di Stato». In passato sembra avesse fatto da
scorta all'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e si
dice che il suo nome compaia anche nelle carte dello scandalo delle
intercettazioni Telecom.
Era il periodo del processo Fininvest e Paolo Berlusconi, alla
Corte, l'ha spiegato nel dettaglio: «Cercavo delle prove. Così ho
comprato delle opere d'arte pagandole più del loro valore. Lo
sapevo. I pagamenti? Li ho effettuati in più tranche ed è tutto
tracciato con documenti fiscali». Si affida a Cosettini e Ferdinandi
che, sempre a Roma, sono coinvolti in un'altra indagine sui
fascicoli contraffatti. Avrebbero fabbricato dei dossier contro i
magistrati milanesi Ilda Boccassini e Raimondo Mesiano, che
indagavano sul fondatore di Forza Italia, e avrebbero cercato di
venderli proprio a Paolo Berlusconi. Storia intricata, questa. Dove
il fratello del Cavaliere sembra provarle tutte per aiutare Silvio
Berlusconi. Lo racconta lui stesso. Chiede informazioni, paga per
ottenerle.
Il filone sulle frodi fiscali avrebbe dovuto concludersi ieri. Il
magistrato ha chiesto che Cosettini venga condannato a due anni e
sei mesi. Due anni per le altre due imputate. Poi un breve lapsus.
La pm chiede la condanna anche per Ferdinandi. «Guardi che ha già
patteggiato a dieci mesi», le ricordano. La procura, così ha
stabilito il giudice, dovrà riformulare le richieste delle condanne.
Questioni tecniche. Per gli inquirenti, Cosettini e gli altri
«nell'esercizio abituale e professionale di attività intermediaria
nella circolazione di opere d'arte e mobili d'epoca», avrebbero
costituito di fatto una società. Per cui le contestazioni non
possono essere individuali. Gli imputati scuotono la testa: «Macché
intermediari, quei mobili erano nostri».
Il processo per reati fiscali resta aperto. E l'altro filone, quello
sul dossieraggio, è ancora in corso. Paolo Berlusconi testimone in
entrambi. —
n africa già 143 decessi legati alla malnutrizione
Morto a Treviso, era tornato dal Congo L'Oms: "Malattia non
identificata" Laura Berlinghieri
Treviso
Potrebbe essere la febbre del Congo ad avere ucciso Andrea Poloni,
55enne di Trevignano (Treviso), morto lunedì scorso a seguito di
un'emorragia. A dichiararlo è la stessa direzione Prevenzione della
Regione Veneto, che ha fatto sapere di avere attivato i protocolli
sanitari previsti in questi casi – solo una la persona posta in
isolamento fiduciario e sotto sorveglianza – e di essere in contatto
con l'Istituto Spallanzani di Roma, per identificare la causa della
morte di Poloni. Per gli esiti saranno necessarie almeno ventiquattr'ore.
Se dovesse essere confermato il sospetto, il trevigiano sarebbe il
primo morto in Italia per febbre del Congo. Poloni, agricoltore e
produttore di farine e birra a base di canapa, sposato con una donna
eritrea e con una figlia, era stato di recente in Congo come
volontario di una spedizione umanitaria. Le autorità sanitarie
stanno cercando di ricostruirne i suoi spostamenti esatti nel Paese
africano. È morto ieri sera, in casa, dopo una febbre violenta.
Sembra che, prima, fosse in buone condizioni di salute.
Dal ministero della Sanità del Congo arrivano notizie moderatamente
confortanti sull'identificazione della malattia, che nel Paese
africano avrebbe già provocato la morte di 143 persone: questo il
numero ufficiale. «Si tratta di un caso di malaria grave, sotto
forma di malattia respiratoria, aggravato dalla malnutrizione». —
17.12.24
Migliaia di bambini nel campo-prigione così nasce la nuova
generazione dell'Isis Delle due bimbe di pezza spuntano solo gli occhi. Sono due
piccole bambole nascoste dai drappi di stoffa come richiede la
Sharia, la legge del Corano. Intorno c'è un mondo di sabbia, stracci
e filo spinato, eppure gli occhi delle bambine sorridono, le manine
sbucano dalla tunica e indicano il cielo con il dito. Il tawid, il
gesto che indica l'unicità di Allah, lo stesso segno che hanno visto
fare dalle loro madri e dai loro padri quando attraversavano i
vicoli di Raqqa, nel cuore dello Stato Islamico. Poi tutto è finito.
Sono state solo bombe, e fuga, e polvere e morte. Fino all'arrivo
qui. Al campo inghiottito dal deserto. Il buco nella storia di chi
preferisce dimenticare. Al-Hol. Duecento chilometri dal confine con
l'Iraq. Nord est della Siria.
È una distesa infinita di tende che si distingue con chiarezza anche
nelle immagini dai satelliti. Sono chilometri di sabbia e di
stracci. E dentro, il destino disperato dei sopravvissuti al crollo
dello stato islamico. Ci sono le donne, i bambini. Qualche anziano.
Un accampamento in cui le famiglie dei combattenti siriani e
iracheni occupano la superficie più estesa: il ritmo della preghiera
scandisce l'esistenza insieme al tentativo di procurarsi acqua e
cibo. La scommessa è quella di sopravvivere alle malattie,
all'angoscia e alla violenza di chi, anche qui dentro, riproduce la
ferocia del califfato.
In fondo, nell'angolo più remoto c'è l'Annex. La zona dove sono
rinchiuse le mogli e i figli dei combattenti stranieri. I foreign
fighters. Combattenti venuti dall'Europa, dal Caucaso, dal Maghreb
per combattere nel nome di Allah e di Al Baghdadi.
Le donne. Le vedove. Molte, tra le europee, hanno chiesto di tornare
a casa. Hanno implorato gli Stati, i parenti. Hanno mandato messaggi
disperati nel buio sperando di non essere scoperte dalle altre.
Eppure, nella maggior parte dei casi, quasi nessuno è stato disposto
a riprendersele indietro. Non la Francia, ancora traumatizzata dalle
ondate di terrorismo del 2015, non il Belgio, non la Germania. Hanno
fatto eccezione solo per qualche decina, negli ultimi tempi. Così
ragazze bionde e giovani donne dal linguaggio per noi familiare,
stanno vivendo ormai da più di cinque anni nella galera nel deserto.
Molte, tra loro, hanno capito l'errore, la follia, dell'adesione
all'Isis. Hanno vissuto la ferocia delle leggi dello Stato Islamico.
Sono state mogli dei soldati, loro malgrado. Un marito. Due. Tre. E
ogni volta un figlio. Da allora si disperano. Ma lì, nelle tende
dell'Annex ci sono anche le altre, molte altre, che sono diventate
ancora più dure e spietate in questi anni. Tra loro si chiamano
sorelle, ma hanno scelto di riprodurre tra le tende di Al-Hol la
legge feroce che vigeva nelle strade di Baghuz e di Raqqa.
Sorvegliano la morale. Intervengono nelle risse e nelle dispute.
Frustano a morte le donne che violano la morale, il codice di
comportamento, il precetto. Quando intervengono loro, il sangue
delle ragazze punite si coagula sulla sabbia. Le guardiane
dell'Islam usano tutte le loro forze perché che la memoria dello
Stato Islamico non si attenui, nemmeno per un istante. Chiamano i
guardiani del campo kuffar, infedeli. Li additano con disprezzo e
gestiscono, impietose, l'ordine tra le tende. Intanto si preparano
per il momento del ritorno. Quando la battaglia per il califfato
riprenderà. Il loro messaggio è una nenia che si ripete uguale, ogni
giorno, che accompagna ogni calare delle tenebre. Un messaggio che
scavalca la recinzione del campo sugli schemi dei cellulari,
nascosti agli occhi delle vicine.
Il loro video da qualche giorno ha ripreso girare in rete. La voce
suona decisa e minacciosa. «Noi, le donne dei mujaheddin, vi
diciamo: pensate di averci imprigionato in questo campo marcio. Ma
siamo una bomba a tempo. Aspettate e vedrete».
Sulla torretta di Al-Hol sventola, senza che nessuno abbia il potere
di farla togliere, la bandiera nera dell'Isis con disegnata sopra la
shahada. I guardiani del campo temono la forza di questa massa
rabbiosa e osano avventurarsi all'interno solo con veicoli blindati.
A ogni turno di guardia si coprono il volto. È il segno netto di un
ordine provvisorio. Un secondino che nasconde la propria identità
teme di incontrare, un giorno, il suo prigioniero in una posizione
di forza. Perché nessuno sa quanto reggerà la recinzione che chiude
il campo.
Nei vicoli giocano sciami di ragazzini sporchi e malnutriti. Li
chiamano i cuccioli dell'Isis. Sono migliaia. Appena raggiungono
l'età dell'adolescenza vengono portati via dal campo e dalle madri.
I guardiani cercano di evitare che si uniscano alle bambine. Che
generino altri cuccioli nel campo. I figli di Al-Hol ripetono
meccanicamente l'unico racconto del mondo che conoscono. La
grandezza di Allah. La vendetta. Il ritorno. Non hanno mai visto
altro universo se non quello delimitato dal filo spinato. Erano
troppo piccoli, quando lo stato islamico è crollato, per aver
accumulato altri ricordi. Sono stati portati qui sui camion
organizzati dall'Sdf, dalle forze di difesa siriane curde, insieme
agli americani nei giorni della sconfitta dell'Isis. Hanno visto
morire i loro padri.
Non tutti. I combattenti sopravvissuti ai giorni della distruzione
sono stati buttati nelle galere dei curdi. Il numero esatto non lo
si conosce. Certo sono a migliaia. In questi anni hanno vissuto come
topi, lerci e con poco cibo, ammassati in stanze di cemento in
penombra. Qualcuno, con più fortuna, ha avuto qualche ora d'aria. Ma
oggi sono ancora lì, in attesa. Hanno tessuto la loro rete di
vendetta e riscatto nelle celle. La bomba è pronta a esplodere. Se
le guardie curde dovessero essere messe nelle condizioni di lasciare
il controllo di campi e prigioni (magari perché loro stesse
attaccate dai turchi), sarebbe l'inizio della fine.
In queste ore, i vicoli tra le tende sono attraversati da un
brivido. Una scossa elettrica che sembra far vibrare i veli delle
donne, le preghiere degli anziani. Le minacce eccitate degli
adolescenti.
La voce che il regime è caduto galvanizza campi e prigioni. Oggi a
Damasco c'è Al-Joulani. Il fratello di un tempo che ha abbandonato
le orme del Califfo per costruire il suo gruppo autonomo. Ma la
sapienza dei sussurri nelle prigioni descrive con precisione quel
che succede là fuori. I combattenti di Isis sanno che Al-Joulani non
ha lo stesso controllo del territorio che aveva il regime. Se il
muro di cinta della prigione di Guwayran dovesse crollare di nuovo,
questa volta nessuno potrà fermarli; se il recinto di filo spinato
di Al-Hol si strappasse, inizierebbe una nuova battaglia. L'urlo dei
combattenti nel nome di Allah e del Califfato potrebbe tornare a
risuonare nelle strade distrutte di Siria. Anche adesso, le tende
stracciate del campo che abbiamo voluto dimenticare, sono scosse a
ogni raffica gonfia di aria e sabbia. Lì, si nasconde l'incognita
più grande rispetto alla Siria che sarà, al Medioriente che sarà.
16.12.24
il numero dei collaboratori e i compensi annui
Ministro
quanto mi costi Anna Maria Angelone
Roma
Un esercito di 210 persone fra staff a stretto riporto dei ministri,
collaboratori esterni e consulenti che costano, nel complesso, oltre
3 milioni di euro.
È questo il conteggio effettuato da La Stampa sulle strutture
organizzative degli otto ministri non parlamentari finiti nel mirino
a causa dell'emendamento alla manovra destinato ad aumentarne lo
stipendio. All'origine della misura proposta, la volontà di
equiparare il trattamento economico - per loro ma anche per un'altra
decina fra viceministri e sottosegretari che si trovano nella stessa
condizione - a quello oggi più alto dei colleghi che hanno anche uno
scranno in Parlamento. Aumento che riconoscerebbe indennità oggi non
previste come quelle del rimborso spese per l'esercizio del mandato,
per le spese di viaggi e spostamenti, per la telefonia. Scontate le
polemiche. Eppure, questi ministri beneficiano di ampie risorse per
l'esercizio del loro mandato. Vediamo quanto.
La doverosa premessa è che si tratta di una ricostruzione parziale
perché, nonostante l'obbligo di amministrazione trasparente, non
tutti i siti dei ministeri rendicontano alla stessa maniera. E
dunque, alcuni ministri più solerti potrebbero apparire più
faraonici o "spendaccioni" di altri ma non è detto sia così.
Resta il fatto che in testa alla classifica, almeno per numero di
assistenti, c'è la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali
Marina Elvira Calderone: 83 i contratti in essere nell'anno in corso
per un totale di spesa pari a 304.725 euro. E questo senza contare
tutti i numerosi dipartimenti che afferiscono al suo Ministero.
Segue il ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara:
13 gli incarichi a collaboratori estranei all'amministrazione negli
uffici di diretta collaborazione del ministro (spesa 365 mila euro),
14 contratti per esperti di particolare professionalità e
specializzazione (395 mila euro di costo) a cui si aggiungono
quattro tecnici per i progetti legati al Pnrr, quest'ultimi della
durata di un anno (in tutto altri 140 mila euro). In definitiva,
coadiuvano il ministro a vario titolo 31 professionisti per una
spesa di 900 mila euro.
Venendo al ministro della Cultura Alessandro Giuli, subentrato
all'ex ministro Gennaro Sangiuliano proprio per una consulenza
considerata da taluni discutibile, ha 21 assistenti: nove
istituzionali, dieci consiglieri, due per i sottosegretari e una
posizione ancora aperta. Totale spesa dei contratti: 792.959 euro.
Più articolata, di contro, la composizione dello staff di Guido
Crosetto. Il ministro della Difesa conta sette incarichi
nell'ufficio di gabinetto (428 mila euro di spesa), altri dieci come
collaboratori e consulenti per l'esercito, un consulente per le
segreterie ai sottosegretari di Stato in corso di definizione. Il
costo complessivo dei contratti in essere è di 663.880 euro.
Anche il ministro della Salute Orazio Schillaci ha una macchina
organizzativa ramificata: vanta 17 incarichi, due dei quali a
esperti del calibro di Guido Rasi (ex capo dell'Agenzia del farmaco
europea) e la microbiologa Maria Rita Gismondo. Entrambi hanno avuto
un contratto di consulenza come esperti da 36 mila euro ma oggi
prestano la propria assistenza a titolo gratuito essendo ormai
andati in pensione.
Molto complessa anche la struttura del ministro dell'Interno, Matteo
Piantedosi. Diciotto i contratti in essere a esterni fra staff,
collaboratori, personale per le varie segreterie del Ministero,
esperti giuridici, comunicazione e rapporti con la stampa. Spesa
totale, in questo caso, pari a 813.542 euro. E anche qui, senza
tenere conto di tutti i dipartimenti del dicastero.
Meno il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, e la
ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli. Sedici gli
assistenti a vario titolo del primo, sei i contratti di consulenza
esterna della seconda. Per loro, tuttavia, non è possibile
ricostruire il trattamento economico di tali incarichi. In
definitiva, il totale arriva a 210 contratti a collaboratori e
consulenti in carica per una spesa complessiva di 3.835.089 euro.
i giudici Sull'arresto del sindacalista
"In Filca Cisl Torino contesto opaco e dinamiche relazionali
inquietanti" I giudici del Riesame passano in rassegna nel provvedimento
anche la figura di Do0menico Ceravolo, ex operaio Sitaf distaccato
al ruolo di sindacalista della Filca Cisl arrestato per associazione
mafiosa. Si legge sul punto: «La vicinanza fattivamente espressa da
alcuni suoi superiori anche in vicende che, pacificamente, nulla
avevano a che spartire con l'attività sindacale, disvela un contesto
decisamente opaco, in cui si sono manifestate dinamiche relazionali
inquietanti, verosimile oggetto di separato approfondimento (basti
pensare, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo,
all'interessamento per eliminare un dispositivo di captazione sul
cellulare di Ceravolo procedendo all'acquisto di un telefono nuovo,
in modo da rimuovere alla radice tale eventualità». g.leg
Anatomia di un boss giuseppe legato
Carcere del centro Italia, sezione collaboratori, 24 aprile 2024.
Ore 17.35. Da mesi Vincenzo Pasquino, 36 anni, narco-broker della
‘ndrangheta a completo servizio delle famiglie di Platì, ha saltato
il fosso. Ha chiesto di collaborare con la giustizia e sta pesando
parola per parola di fronte a magistrati e investigatori della Dda
di Torino. «Franco D'Onofrio è superiore a tutti compresi i Crea
(già capi dell'ala militare della ‘ndrangheta a Torino). Non ha
bisogno di spendere il loro nome perché lui cammina col nome suo,
cioè lui è D'Onofrio e tutti lo rispettano infatti può attivare dove
vuole: ha cervello e si siede al tavolo soltanto per cose molto
serie. Lo conosco, l'ho frequentato a lungo e l'ho sempre rispettato
in quanto ha una storia da uomo d'azione alle spalle che fa paura».
Prima di Pasquino altri sette collaboratori hanno firmato verbali in
cui il concetto – con parole e sfumature diverse – è stato ribadito.
Bartolomeo Arena, Andrea Mantella, Raffaele Moscato, Domenico
Agresta, Onofrio Barbieri, Vittorio Raso e, da ultimo, Pasquino.
Se D'Onofrio è davvero il capomafia che molti raccontano lo
stabilirà il processo. Certo è che anche nelle carte del Riesame (a
cui ha rinunciato dopo essere stato arrestato un mese e mezzo fa) i
giudici ne hanno tratteggiato i lineamenti di leadership mafiosa.
Richiamando le parole dell'ultimo grande pentito delle cosche: «Non
è come gli altri, non rappresenta una sola famiglia, ha
semplicemente un suo nome individuale». Ancora: «Quando era entrato
in carcere era lui che comandava e nel corso del procedimento già
citato cosiddetto Minotauro era stato lui a dare l'autorizzazione
agli imputati per abbreviare (scegliere il rito abbreviato) a Torino
mentre per i patteggiamenti l'autorizzazione era arrivata da Plati e
da Milano». Proseguono i giudici: «La figura e il ruolo di D'Onofrio
vengono definiti in modo netto altresì dalle riunioni e dagli
incontri registrati che si tengono a casa dello stesso da giugno
2022 a luglio 2024, periodo in cui si trovava in detenzione
domiciliare per motivi di salute in virtù di un'ordinanza del
Tribunale di Sorveglianza di Brindisi che gli imponeva il «divieto
di ricevere presso la propria abitazione e in ogni caso frequentare
soggetti pregiudicati. Nonostante questo, continuava ad essere
riferimento per 'ndranghetisti e criminali comuni».
Un giorno, evade dai domiciliari a va a pranzo con Mario Audia uno
dei nomi di élite delle cosche Crotonesi a Torino. Antonio Serratore,
pluripregiudicato per armi e mafia, lo va a trovare spesso a casa.
Dirime contrasti sorti in seno ad affari, accoglie sotto le sue ali
un boss come Giacomo Lo Surdo (difeso dal legale Domenico Peila)
appena uscito dal carcere. Si tiene informatissimo sui fatti di
cronaca, legge i giornali, a volte commenta. Ad esempio, a proposito
dell'operazione Echidna che ha coinvolto l'ex ras delle tessere del
Pd Salvatore Gallo: «Tanti anni fa – dice D'Onofrio intercettato dal
suo stesso telefonino diventato un vivavoce per via di un virus
informatico – mi ha fatto entrare a lavorare all'ospedale San
Luigi». Se sia una millanteria o meno non si sa e Gallo non ha
contestazioni per questo, certo è che D'Onofrio molto tempo fa
lavorò come tecnico di radiologia al nosocomio di Orbassano.Chiosano
i giudici: «Che lui fosse una figura chiave sul territorio lo si
capisce dal fatto che non solo per i sodali che con lui si
interfacciavano regolarmente, ma anche per gli appartenenti ad altre
articolazioni territoriali, era riconosciuto come un'autorità nel
settore»
15.12.24
Iran, arrestata dopo concerto senza hijab Le autorità iraniane hanno arrestato una cantante che si è
esibita in un concerto su YouTube. Parastoo Ahmady (nella foto), 27
anni, è stata fermata sabato a Sari, capitale della provincia
settentrionale di Mazandaran. La magistratura aveva presentato
un'istanza relativa al concerto di Ahmady, che si era esibita senza
hijab. Ahmady aveva pubblicato il suo concerto su YouTube dicendo:
«Sono Parastoo, una ragazza che canta per chi ama. Questo è un
diritto che non potevo ignorare: cantare per la terra che amo». Il
concerto è stato visto più di 1,4 milioni di volte.
Venditore d'auto di Cambiano condannato per tentata estorsione
A lezione dai clan "Con la testa di maiale fai paura a chi sgarra"
Una testa di maiale fa sempre il suo effetto. Soprattutto se ci sono
in ballo soldi da riscuotere e vecchi conti da saldare. No, in
questa storia la ‘ndrangheta non c'entra, anche se ha fatto da
ispiratrice. La criminalità organizzata, è noto, sa il fatto suo nel
campo delle minacce. E uno degli indizi che ha inguaiato un
venditore di auto di Cambiano, Domenico Trasente, condannato a due
anni di reclusione dal tribunale di Asti per tentata estorsione nei
confronti di un commerciante di Poirino, gli investigatori l'hanno
trovato in una chat del suo telefonino, dove con un amico aveva
commentato un articolo di giornale dedicato proprio ai metodi delle
criminalità organizzata, dal titolo: «'ndrangheta fa da te: testa di
maiale comprata di macelleria per mettere in riga chi sgarrava».
I fatti risalgono a due anni. Anche la vittima di questa tentata
estorsione è un venditore d'auto. Una sera, tornando in ufficio, il
commerciante trova di fronte alla sua vetrina una testa di maiale
mozzata. Nessuno messaggio aggiuntivo. Così si rivolge ai
carabinieri di Poirino e presenta una denuncia. «Non ho ricevuto
minacce di recente. In passato avevo avuto dei problemi con il mio
vecchio socio in una carrozzeria, per una tentata estorsione. Lui si
era rivolto a un noto pregiudicato Antonio Serra». Sì, lui è un nome
noto, perché sta scontando la condanna per l'omicidio di Umberto
Prinzi, freddato sulla collina di Moncalieri nel 2019 e il suo
cadavere gettato in un boschetto. Prinzi, a sua volta, era finito in
carcere per aver ucciso molti anni prima, Valentina, la trans con
cui conviveva. Dettagli interessanti per i carabinieri, ma del tutto
marginali in questa storia. La svolta arriva da una telecamera che
aveva ripreso una Honda Civic allontarasi da Poirino in direzione di
Cambiano. Dalle immagini i militari risalgono all'utilizzatore
dell'auto. In più ricostruiscono la filiera di macellazione grazie
il numero impresso sulla carne.
I carabinieri, coordinati dal procuratore aggiunto Laura Deodato,
concentrano così le indagini attorno a Domenico Trasente, venditore
d'auto. Collegamenti diretti tra i due non ci sono ma i carabinieri
non si arrendono. Anche perché, come scrive in sentenza il giudice
Federico Belli che ha condanno l'imputato, le dichiarazione della
parte offesa sulla sua rete di affari è stata «farraginosa». A casa
di Trasente i militari trovano un telefonino contenente quella chat
«istruttiva» sulla testa di maiale, usata dai boss per incutere
timore ai debitori riottosi. Poi trovano dei documenti, delle
scritture private, che raccontano di un rapporto d'affari tra il
commerciante di Poirino e la madre del suo ex socio della
carrozzeria, relativo alla gestione di un ristorante a San Salvario.
Da quei documenti emerge l'esistenza di un debito, in parte saldato,
tra l'uomo nei confronti della donna per alcuni affitti non pagati.
Ma i personaggi coinvolti, sul punto, non sono stati molto chiari.
Secondo la ricostruzione del giudice riportata in sentenza, l'unica
spiegazione logica è l'esistenza di un altro debito, tra l'imputato
e la donna, che si è trasformato in movente per la tentata
estorsione. Domenico Trasente, come «piano di rientro», avrebbe
proposto l'estinzione del proprio debito adoperandosi a recuperare i
soldi ancora dovuti dal commerciante di Poirino. Una sorta di
attività di recupero crediti per conto terzi. Ma con l'utilizzo di
un metodo mafioso: la testa di maiale. Un «messaggio» che gli è
costato due anni di reclusione. R.cro. —
14.12.24
Gli Usa liberano il fratello di Meshaal Era accusato di
finanziamenti a Hamas Mentre sono in corso progressi nei colloqui per la
liberazione degli ostaggi israeliani prigionieri a Gaza, giovedì gli
Stati Uniti hanno rilasciato il fratellastro del funzionario di
Hamas, Khaled Meshaal da una prigione federale in Texas, dove era
detenuto per una condanna a 20 anni di carcere per aver finanziato
Hamas. Lo riferiscono i media arabi e quelli israeliani. Mofid Abdul
Qadir Meshaal era stato condannato nel 2009 ed è stato liberato in
anticipo per buona condotta. Ma i media israeliani ipotizzano che il
rilascio sia legato alle mediazioni in corso per le trattative tra
Israele e Hamas, per la liberazione degli ostaggi israeliani e per
il cessate il fuoco a Gaza. Mofid Abdul Qadir Meshaal è stato
rilasciato dal carcere dopo 16 anni trascorsi in una prigione
americana per essere inviato in una struttura di riabilitazione.
Nato negli anni '60 in Cisgiordania, è stato condannato nel 2009 per
aver raccolto fondi per Hamas attraverso il Fondo per gli aiuti e lo
sviluppo per la Terra Santa, uno dei più grandi enti di beneficenza
islamici negli Stati Uniti
Nell'operazione del Ros emergono le figure di tre donne che hanno
portato avanti gli affari di Nicola Assisi in carcere da anni
Rosalia, Siria e Paula, le lady narcos ai vertici del clan senza più
uomini andrea bucci
giuseppe legato
Se fosse una serie Netflix sarebbe "Lady narcos", ma questa è
un'indagine vera con donne in carne e ossa che hanno cercato di
continuare a gestire l'impero degli uomini arrestati. Nicola e
Patrick Assisi sono in carcere in Brasile da anni dopo aver
governato in lungo e in largo le rotte del narcotraffico
internazionale disegnando le parabole di tonnellate di cocaina verso
l'Europa. Rosalia Falletta e Siria Assisi rispettivamente moglie e
figlia di Nicola sono attese in Italia il prossimo 17 dicembre per
rispondere delle accuse di associazione a delinquere finalizzata al
narcotraffico con aggravante transnazionale. La Direzione
distrettuale antimafia (pm Livia Locci e Francesco Pelosi) ha
spiccato nei loro confronti un provvedimento di fermo al momento non
eseguito dal Ros dei carabinieri guidato dal colonnello Andrea
Caputo perché le due donne si trovano in Sud America. E però nelle
carte dell'inchiesta rispondono di aver "atteso alle disposizioni
impartite dal congiunto Nicola, mantenendo e gestendo i rapporti con
altri soggetti connessi al narcotraffico e consociati a vario titolo
in Italia e Brasile, proseguendo nella gestione del traffico in nome
e per conto della famiglia". C'è un'altra donna, Simoes Paula
Assisi, moglie di Patrick che non è destinataria del fermo ma è
indagata per gli stessi motivi.
Le conversazioni intercettate nel carcere dove è detenuto Nicola
Assisi hanno confermato che Rosalia Falletta è la principale
amministratrice dei patrimoni illeciti della famiglia in Italia.
Inoltre, è incaricata di gestire i rapporti con il Brasile per la
gestione dei proventi derivanti dal traffico di droga.
Figura inquietante 8già condannata in via definitiva a 8 anni nel
processo Pinocchio), Rosalia Falletta si occupa anche di risolvere
dispute e problematiche tra i clan, specialmente quelle legate al
narcotraffico e al recupero crediti per conto dei familiari
detenuti.
Come quando interviene a favore del genero, Nicola De Carne
(soprannominato "Didì" e tra i cinque fermati nell'operazione), per
risolvere una disputa legata a un debito di 500.000 euro contratto
con il narcotrafficante Enrico Sapone difeso dal legale torinese
Renato Cravero. La cifra rappresentava un "fondo cassa" gestito
direttamente da Falletta, utilizzato per evitare che il genero
rischiasse la vita per non aver saldato il debito. Dalle
intercettazioni emerge l'angoscia di De Carne, che, il 2 dicembre
2020, implora Paula Simoes Assisi, cognata e figlia di Rosalia,
affinché interceda con il creditore: «Amica, questi mi ammazzano».
Dodici giorni dopo la richiama, disperato: «Ma volete la mia fine?».
Grazie al pagamento, viene scongiurato un intervento violento degli
uomini di Sapone
Anche Rita Siria Assisi, figlia di Nicola e Rosalia, gioca un ruolo
cruciale. Diretto dal carcere di Brasilia, Nicola Assisi le affida
il compito di recuperare un credito in Portogallo, legato alla
vendita di un immobile e ad attività di riciclaggio dei proventi del
narcotraffico: 460 mila euro circa.
Secondo quanto riportano i Ros, Rita Siria appare sorprendentemente
a suo agio nel comprendere e attuare le disposizioni del padre. La
sua autorità si estende anche al controllo degli associati.
Nell'agosto 2024, su ordine del fratello (detenuto nel carcere di
Catanduvas), si occupa di espellere tre affiliati – soprannominati
"il Biondo" e "i due fratelli" – per una grave mancanza di rispetto
nei confronti della famiglia Assisi. Hanno tradito e devono essere
sbattuti fuori. Nicola è in carcere, ci pensano le ladies: "Tutto
ok, ormai sono fuori". —
Nel blitz non si trova Francesco Barbaro sparito come il padre Nel blitz dell'altra notte è sfuggito uno dei principali
indagati dell'inchiesta "Samba". Si tratta di Francesco Barbaro, 35
anni, figlio del più noto Rocco a lungo considerato vertice della
'ndrangheta in Lombardia. Francesco ha così confermato la fama di
latitanti di suo padre e suo zio Giuseppe ribattezzati proprio per
questo "Spariti". Barbaro era emerso - senza contestazioni penali -
anche nell'operazione contro il malaffare e l'infiltrazione di
persone vicine alla 'ndrangheta nelle curve di Inter e Milan vicino
ad alcuni ultras rossoneri. È considerato «finanziatore,
destinatario e distributore in Italia degli stupefacenti»
provenienti dal SudAmerica. «Cura i rapporti con gli Assisi». —
Un SuperToret nel giardino di Parella
È il primo per l'irrigazione pubblica Diego molino
È uno dei simboli più riconoscibili della nostra città presente in
diversi quartieri, la fontanella verde sormontata dalla tipica testa
di toro. Ieri nei giardini Marie Curie di via Servais, quartiere
Parella, è stato inaugurato il SuperToret: un'evoluzione del
tradizionale arredo urbano dotato di cisterna, che servirà a
recuperare l'acqua non utilizzata dalla fontana per reimpiegarla
nell'irrigazione del vicino Viale della Frutta e degli orti sociali
condivisi. Il progetto è stato realizzato da Smat, in collaborazione
con il Comune.
L'iniziativa è merito anche del lavoro di squadra del territorio: la
Circoscrizione 4 si è fatta carico dei costi di esecuzione di tutti
i lavori, mentre gli abitanti dell'associazione Alta
Parella-Pellerina hanno acquistato di tasca loro la cisterna
interrata di accumulo, che può contenere fino a un massimo di 10
mila litri d'acqua.
La struttura è composta da un impianto che consente di convogliare
le acque che non vengono utilizzate dalla fontanella per irrigare il
sistema di orti urbani che, nel tempo, i residenti hanno coltivato
per trasformare questa piccola area verde del borgo. L'acqua della
vasca in eccesso, invece, viene dirottata nella fognatura per
consentire il ripristino del ciclo idraulico.
«In questo modo l'acqua erogata raddoppia le sue funzioni e la sua
utilità, in una relazione positiva tra sostenibilità, economia
circolare e coinvolgimento del territorio – spiega il presidente
della Circoscrizione 4, Alberto Re – L'associazione Alta Parella,
titolare di un patto di collaborazione per la gestione collettiva
degli orti urbani, ha avuto una felice intuizione che è stata subito
accolta e sostenuta sia da Smat che dalla Circoscrizione».
Il risultato prodotto è la riduzione di acqua potabile che di solito
veniva usata a scopo agricolo e, insieme, il miglioramento di uno
spazio verde che è molto vissuto dal quartiere. Un progetto che si
inserisce anche nei più ampi obiettivi di sviluppo sostenibile
indicati dall'Agenda 2030 dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
«La sempre maggior consapevolezza riguardo alla necessità di
adottare misure concrete per affrontare le sfide ambientali richiede
un forte coinvolgimento di tutte le componenti della società e
questo progetto lo dimostra" dice il presidente di Smat, Paolo
Romano
LA FINANZA APPOGGIA LA CROCIATA ANTI-WOKE DI TRUMP – A MAR-A-LAGO, A
CASA DEL TYCOON, È STATO PRESENTATO IL PRIMO FONDO DI INVESTIMENTO
QUOTATO A WALL STREET CHE ESCLUDE LE SOCIETÀ CHE HANNO IMPOSTO I
“PRINCIPI WOKE” DELL'INCLUSIONE NELL’ASSUNZIONE DEL PERSONALE (VEDI
STARBUKS) – COLOSSI COME HARLEY DAVIDSON, JACK DANIEL’S E WALMART
HANNO GIÀ INTERROTTO I LORO PROGRAMMI A FAVORE DELLE DIVERSITÀ: SI
SONO ACCORTI CHE IL POLITICAMENTE CORRETTO NON FA FARE SOLDI, ANZI…
-
Estratto dell’articolo di Andrea Indini per “il Giornale”
Negli Stati Uniti in molti hanno creduto di far soldi a palate
lisciando il pelo all’intellighenzia woke. E invece sono finiti
tutti quanti a sbattere il grugno contro il muro. Ad essersi fatti
molto male non ci sono soltanto i democratici che ora devono
ingoiare il boccone amaro della rielezione di Donald Trump alla Casa
Bianca.
A uscirne con le ossa rotte ci sono anche numerosi giganti
dell’economia che si sono visti costretti a far marcia indietro
ammettendo che inseguire l’agenda DEI imposta dall’amministrazione
Biden non ha fatto così bene agli affari.
“Go woke, go broke” è lo slogan che meglio sintetizza il risveglio
dalla sbornia del politicamente corretto. “Segui il woke, finisci
rovinato”. Ne sanno qualcosa colossi come Harley Davidson, Jack
Daniel’s e pure Walmart che nelle ultime settimane hanno deciso di
interrompere bruscamente i programmi sulla diversità e l'inclusione.
Un taglio netto col passato che ha preceduto di pochi giorni
l’annuncio del primo fondo di investimento quotato (Etf) che esclude
le società S&P 500 che in questi anni si sono inchinate ai principi
woke nei processi di assunzione del personale.
A capitanare questa neanche troppo piccola rivoluzione nel mondo
della Finanza è Azoria Partners. «Le quote sulle assunzioni del
capitale umano danneggiano tutti gli azionisti, e noi siamo qui a
rappresentare gli azionisti», ha spiegato al Financial Times il
presidente della società di investimenti, James Fishback. «Gli
americani, che abbiano votato o meno Trump, non vogliono investire
in aziende che gestiscono esperimenti scientifici woke».
Il nuovo prodotto, che andrà sotto il codice azionario SPXM (ovvero
S&P Meritocracy), è stato presentato giovedì scorso al resort del
tycoon di Mar-a-Lago in un incontro a cui sarebbero stati presenti
(notizia non confermata ma nemmeno smentita) la fondatrice di Ark
Investment Management, Cathie Wood, e il presidente del think tank
“Heritage Foundation”, Kevin Roberts.
La stampa americana lo ha già ribattezzato «piano Starbucks» perché
mira appunto a mettere nel mirino quelle società che hanno adottato
il sistema fallimentare delle quote.
Fishback e il socio, Asaf Abramovich, ne avrebbero già individuate
una quarantina tra quelle quotate allo S&P 500 ma, non gestendo
ancora denaro, a differenza degli hedge fund attivisti che
acquistando quote delle società cercano di orientarle dall’interno,
interverranno escludendo queste società dal loro portafogli, dopo
aver spiegato che le loro politiche DEI danneggiano il prezzo delle
azioni.
La sensibilità, però, sta cambiando. Sempre più americani sono
consapevoli degli effetti nefasti della religione woke. Nell’ultimo
anno e mezzo, secondo un sondaggio del Pew Research Center, la
percentuale di dipendenti, che rinfaccia alla propria azienda di
prestare troppa attenzione all’agenda DEI, è cresciuta di cinque
punti.
E la vittoria di Trump la farà crescere ancora di più. Solo nel
Vecchio Continente sembrano non accorgersene. Tanto da spingere un
marchio storico come Jaguar a un rebranding che, secondo gli
esperti, "passerà alla storia come una delle mosse di marketing più
distruttive mai tentate".
13.12.24
"Io, cardiochirurgo per caso ho trapiantato un cuore che batteva"
Gino Gerosa Laura Berlinghieri
Padova
«Perché nessuno lo aveva fatto prima? Potrei citarle Goethe: "Niente
è più difficile da vedere con i propri occhi di quello che si ha
sotto il naso". Noi, comunque, l'abbiamo fatto». Gino Gerosa, 67
anni, è il cardiochirurgo dei record. Dal 2003, da quando dirige il
centro Gallucci dell'Azienda Ospedaliera di Padova - dedicato al
medico che per primo eseguì un trapianto di cuore in Italia, proprio
qui - ne ha inanellati 14 a livello nazionale e 6 a livello
mondiale. L'ultimo due settimane fa: il primo trapianto al mondo a
cuore battente. Il paziente è prossimo alle dimissioni.
Gerosa, oltre la competenza, che visione ci vuole per operazioni
così rivoluzionarie?
«Serve esperienza. Creatività, perché la curiosità del fanciullo
permette di identificare strategie che altri non vedono. Coraggio
chirurgico, che è l'assunzione di responsabilità nel modificare la
rotta. E l'etica».
Cosa significa trapianto a cuore battente?
«Abbiamo prelevato l'organo, inserito in un macchinario per il
trasporto e reimpiantato nel ricevente. E il cuore non ha mai smesso
di battere. Danni da ischemia da perfusione ridotti a zero e
performance migliori. Eseguire le suture su un organo che si muove
sembra complesso, ma il fatto che il cuore batta regala tempo».
La prossima frontiera è il cuore artificiale?
«In Italia ogni anno ci sono 850 pazienti in lista d'attesa e
riusciamo a soddisfarne meno della metà. Servono soluzioni: il cuore
artificiale e quello del maiale».
Non ci sono abbastanza cuori?
«Non più. Grazie alla legge, sacrosanta, che obbliga i motociclisti
a indossare il casco. Ai tempi dei primi trapianti di Gallucci,
l'età media dei donatori era sotto i 18 anni, ora è oltre i 60».
E lei com'è diventato cardiochirurgo?
«Le ho provate tutte per sfuggire a questo destino. Pensi che
arrivavo dalla Scuola militare Nunziatella di Napoli. Poi ho fatto
domanda all'Accademia di Sanità Militare a Firenze per diventare
ufficiale medico».
E non ha passato il concorso…
«Macché. Hanno perso la lettera e non mi hanno mai chiamato. Così mi
sono iscritto a Medicina».
Quindi il medico lo voleva fare…
«Il medico sì, da sempre. Forse perché da bambino ho trascorso tanto
tempo in ospedale, per dei controlli. E poi mi è sempre piaciuto
stare in mezzo alle persone, prendermi cura degli altri».
Quindi si è iscritto a Medicina, senza test.
«Eravamo in 3 mila. Aperture indiscriminate mettono a rischio la
formazione, ma i vecchi test non erano la soluzione. Potrebbero
esserlo degli esami-filtro, ma non sempre un ottimo studente diventa
un buon medico».
Torniamo al destino che l'ha fatta diventare cardiochirurgo…
«Università, ultimo giorno per scegliere la specialità. Ho sbagliato
aula e mi sono trovato di fronte al professor Casarotto, che parlava
di cardiochirurgia. Ultimo incontro dell'ultima giornata. Lì ho
scelto».
E poi?
«Metà specialità a Londra, al seguito di Donald Ross, compagno di
corso di Christiaan Barnard, autore del primo trapianto di cuore
della storia. L'ho anche incontrato, Barnard: gli ho chiesto
l'autografo, con quello di Ross».
La prima operazione?
«Bypass con la vena safena, 3º o 4º anno di specialità. Ci sono
affezionato, anche perché quel paziente l'ho rioperato, da direttore
a Padova».
Si è pentito di aver fatto il cardiochirurgo?
«È un lavoro totalizzante e ho rinunciato a molto, ma il rapporto
coi pazienti compensa tutto. E la mia è una chirurgia ricca di
speranza. Abbiamo sempre risposte valide e incidiamo
sull'aspettativa di vita dei pazienti. La morte esiste, ma
l'innovazione tecnologica è un'alleata».
Negli Usa un ragazzo ha ucciso il Ceo di una delle più grandi
compagnie di assicurazioni sanitarie del Paese. La sanità pubblica e
universale, in Italia, è un valore da preservare?
«Il nostro sistema sanitario universalistico è un patrimonio a cui
non dobbiamo rinunciare. Chiunque ha accesso alle cure più
sofisticate, indipendentemente dalla sua capacità economica. Ma
serve rispetto per medici e infermieri, è inaccettabile che ci sia
chi entra in un pronto soccorso per menare chi vi lavora».
Perché accade?
«Perché le cure sono gratuite e quello che è gratis si percepisce
come un disvalore. Bisogna educare i cittadini, spiegando loro cos'è
il Servizio sanitario nazionale. Anche in tv: meno balletti e più
cultura».
Spesso si rende merito alla sanità per la sua capacità di slanci
straordinari, ma la si ritiene lacunosa nell'ordinario. Che cosa
risponde?
«Che nella vita si può sempre fare meglio, e pure nella sanità. Ma
bisogna coinvolgere tutti gli attori. E, se la politica ascoltasse
medici e infermieri, la nostra sanità sarebbe migliore». —
12.12.24
Bruxelles: "In dieci anni coltivazioni a rischio" Da qui al 2035 è «probabile» che la produzione e
l'esportazione di vino dell'Ue continui a diminuire, mentre il
cambiamento climatico metterà «a dura prova» le colture. È quanto
stima la Commissione europea nel suo ultimo rapporto sulle
prospettive agricole per l'Ue con le proiezioni di mercato fino al
2035. Secondo l'analisi il continente rimarrà autosufficiente per
diversi prodotti di base - grano, orzo, carne, prodotti
lattiero-caseari, olio d'oliva e vino - ma la crescita della
produttività sarà messa sotto stress dalle pressioni esercitate dal
climate change e dall'impatto sulle principali risorse naturali, in
particolare l'acqua e il suolo, che limitano il potenziale di
crescita delle rese e inducono uno spostamento delle zone
agroclimatiche verso nord, influenzando i modelli di coltivazione.
F. Gor. —
Mario Tozzi
Io sto
elefanti
con gli Dintorni del Parco Etosha (Namibia) - Raggiungiamo con
relativa facilità una famiglia di elefanti sotto una grande acacia,
al culmine di un poggio in rilievo rispetto alla pianura
circostante. Siamo ancora nella tarda mattinata, e il caldo è già
opprimente, come ci si aspetta in dicembre in Namibia. Però anche
gli autoctoni ci dicono che le piogge sono in ritardo e che questa
sembra un'estate diversa dalle altre, più calda, più secca. Fermiamo
il fuoristrada a qualche metro dagli elefanti, spegniamo il motore e
attendiamo che si abituino alla nostra presenza. In assoluto
silenzio. Il maschio è un individuo formidabile e cerca il contatto
con la femmina più anziana. La femmina, però, lo respinge irritata,
preferendo occuparsi del cucciolo che cerca le mammelle e
defilandosi al margine del gruppetto. L'obiettivo del maschio era
sbagliato: le elefantesse arrivano ad accoppiarsi forse una sola
volta ogni quattro anni, e lo fanno solo ed esclusivamente se lo
vogliono. Ed è chiaro che lei non ne ha alcuna voglia. Le altre due
giovani femmine, sorelle o cugine fra loro, non sono ancora
ricettive e si allargano, lasciando uscire dal centro del gruppo
altri due cuccioli.
Dopo qualche minuto di studio, la matriarca decide che non ci sono
pericoli e lascia che gli elefantini arrivino nei nostri pressi e
inizino tranquillamente a giocare fra loro. Per una buona mezz'ora
la rappresentazione è la seguente: il maschio al centro in secondo
piano, le femmine e i cuccioli al centro, la matriarca al margine
con il figlio. Le comunicazioni fra gli individui sono continue:
movimento dei padiglioni auricolari e una successione serrata di
barriti e altri versi, oltre a una sequenza di infrasuoni che noi
umani non riusciamo a captare. Gli elefanti parlano, solo che noi
non capiamo assolutamente cosa vogliano dire. Probabilmente una cosa
sola: «Lasciateci in pace». Cosa che i sapiens non riescono
assolutamente a fare. Neanche qui, in Namibia, una nazione che
tutela il 20% del territorio e ha in animo di arrivare addirittura
al 40, e che conserva gruppi di viventi selvatici sull'orlo
dell'estinzione nel resto del continente. Si calcola che non ci
vorranno poi troppi anni prima che gli elefanti africani siano
praticamente estinti.
Secondo il WWF, in un secolo sono andati perduti nove elefanti
africani su 10, passando da circa 12 milioni di individui agli
attuali 415.000: un'ecatombe che ha diversi responsabili, dalla
caccia indiscriminata per i trofei, alla riduzione micidiale degli
habitat, all'avorio. Quest'ultima causa porta all'incredibile cifra
di 20.000 elefanti massacrati ogni anno per le zanne: davvero
difficile trovare una causa più malvagia e idiota di questa. Ma
l'avidità è la cifra dei sapiens e gli elefanti la sperimentano
sulla loro pelle. Eppure sono qui da milioni di anni e sotto il loro
controllo la vita era garantita a tutti i viventi. Animali
prodigiosamente intelligenti, con un cervello molto grande rispetto
al corpo e con una quantità irraggiungibile da altri viventi di
neuroni specchio: come a dire un cervello di prima qualità. Per non
dire della memoria prodigiosa, dell'uso abilissimo della proboscide,
del fatto che mostrano emozioni, sentimenti e empatia piangendo i
morti e festeggiando i nuovi nati. Gli elefanti non uccidono i
sapiens, a meno di casi rarissimi e documentati di provocazioni e
ferimenti, anzi assomigliano a noi al punto di costituire famiglia e
rapporti sociali lunghissimi e saldi. Per questo l'uccisione di una
matriarca, depositaria della conoscenza e della cultura del gruppo,
è una catastrofe anche per gli individui che restano, spaesati e
impauriti, con ridotte possibilità di sopravvivenza.
Nell'agosto scorso il ministero dell'Ambiente della Namibia aveva
annunciato l'uccisione di 723 grandi animali selvatici, tra cui 83
elefanti, come provvedimento contro la carestia nel Paese, causata
da una grave e prolungata siccità che ha conseguenze gravi anche in
un territorio arido come quello namibiano. Prima della stagione
delle piogge l'85% delle risorse alimentari del Paese era esaurito,
recando malnutrizione e addirittura morti fra i bambini. Ma anche
gli elefanti risentono della siccità e attaccano le risorse e le
infrastrutture dei sapiens, aggravando conflitti atavici. Tra la
Namibia, lo Zimbabwe, lo Zambia, il Botswana e l'Angola oggi vivono
più di 200mila elefanti, come a dire che la metà degli elefanti
africani viventi si trova nell'Africa meridionale. Le cose
sembravano mettersi meglio rispetto alle stragi del passato fino a
che la popolazione umana in quelle stesse zone non è raddoppiata,
mandando in crisi la possibilità di coesistenza pacifica e occupando
territori in precedenza liberi. Oggi si è arrivati al punto in cui,
per ottenere risorse economiche, in tutta l'Africa australe si
mettono in vendita permessi di caccia agli animali protetti e
addirittura si tengono aste per gli elefanti. Trattati come merci
qualsiasi.
La caccia è durata mesi, nelle zone in cui sono più frequenti i
conflitti tra la popolazione umana e la fauna selvatica e ancora
aspettiamo di sapere se si è arrivati agli obiettivi prefissati, ma
già nei primi giorni erano stati uccisi 157 animali da cui erano
stati ottenuti più di 56mila chili di carne. Non solo elefanti, ma
anche 300 zebre, 100 gnu, 150 antilopi, 60 bufali e 30 ippopotami
nei parchi nazionali e nelle zone in cui le popolazioni delle
diverse specie erano giudicate eccessive per le risorse d'acqua e
cibo disponibili. E non solo per i soldi, anche per diminuire la
popolazione di fauna selvatica e così mitigare i contrasti con la
popolazione.
Il patto di fiducia fra i sapiens e gli altri viventi era stato
rotto da millenni, ma è difficile pensare a provvedimenti più
assurdi di quelli che prima portano a proteggere dall'estinzione e
poi spingono proprio verso quel fine. Come se i viventi non umani
non fossero individui, con il loro patrimonio personale di emozioni,
sentimenti, capacità e culture. Individui come noi, nostri fratelli
o cugini di cui decidiamo allegramente le sorti a nostro esclusivo
piacimento. Nessuna specie al mondo si è mai comportata in questo
modo.
Finalmente la matriarca decide che è tempo di spostarsi verso una
pozza d'acqua in vista: le piogge sono finalmente arrivate e presto
non ci sarà bisogno di spostarsi troppo per bere. Il gruppo la segue
con fiducia, grande maschio compreso, perché lei sa cosa fare e
quale è il suo posto nel branco e nel mondo. Noi sapiens non ancora.
—
11.12.24
"Non siamo pacchi postali a Berlino abbiamo una vita"
Mohammad Saeed BERLINO
«Per noi siriani la caduta di Assad è come per i tedeschi la caduta
del muro di Berlino, anzi è meglio. Ora finalmente posso rivedere la
Siria e riabbracciare mia nonna che non vedo da dieci anni», ci
racconta sorridente da dietro il bancone della pasticceria Damaskus,
Wissam, ventisei anni, mentre ci allunga un dolcetto di benvenuto a
base di pasta di riso e mozzarella con una spolveratina di
pistacchio. Siamo nella pasticceria siriana nella Sonnenalle 93, a
Berlino Neukölln. Camminare tra Hermannplatz e la Erkstrasse a
Berlino è come essere due volte stranieri. Qui Berlino è più vicina
ad Amman o Beirut che a Francoforte o Stoccarda. Anche gli odori
sono diversi, così come le insegne dei negozi. Rosticcerie, barber
shop, negozi di narghilé, gioiellerie, empori che vendono di tutto,
tra cui bandiere palestinesi e kefiah: tutti hanno le insegne
bilingue in carattere latino e arabo. «Assad è caduto, Al
hamdulillah (grazie a Dio). Ne siamo tutti molto felici», ci dice
Yassin, 45 anni, arrivato in Germania 10 anni fa, anche lui come
tanti per fuggire dal reclutamento forzato nelle truppe di Bashar Al
Assad. Yassin lavora in pasticceria da sei anni. «La Siria senza
Assad è un Paese bellissimo, tornare mi piacerebbe, ma aspettiamo
almeno sei mesi. Vogliamo capire come si mettono le cose», ci
spiega. Un uomo dagli occhi azzurri e i capelli scuri, appena uscito
dalla cucina, interviene da dietro il bancone, dove un'enorme teglia
rotonda di dolcetti ci occhieggia sfacciata: «Noi qui ci siamo
costruiti una vita, abbiamo messo in piedi un'attività che va bene.
Non ci si reinventa una vita da un giorno all'altro», spiega con uno
sguardo più determinato delle parole. La Konditorei Damaskus ha
ormai due filiali a Berlino, una a Neukölln e una a Moabit. Si è
cominciato a costruire partendo dal nulla qui a Berlino, ci spiega,
ed è solo da pochi anni che stanno cominciando a raccogliere i
frutti.
Le sue parole suonano come un riferimento indiretto alla girandola
di sortite di politici tedeschi di stampo conservatore, che a
nemmeno 48 ore dalla caduta di Assad, hanno fatto a gara per
esprimere un concetto molto spendibile in questa campagna elettorale
tedesca: «Rimandiamoli a casa il prima possibile». L'ex ministro
della Salute del governo Merkel, il cristiano-democratico Jens Spahn,
è stato il più esplicito nel manifestare il nuovo corso
anti-migranti della Cdu: «Cosa succederebbe se il governo tedesco
dicesse: organizzeremo dei voli charter a chiunque voglia tornare in
Siria, gli metteremo in mano mille euro per ricominciare?», così due
giorni fa in una trasmissione televisiva.
Lunedì, l'ufficio federale tedesco per la Migrazione e i rifugiati (Bamf)
ha deciso di sospendere in via temporanea la decisione sulle domande
d'asilo per oltre 47.279 siriani «per l'incertezza della
situazione». La Germania è considerata la patria della diaspora
siriana in Europa: prima della guerra civile siriana, nel 2011,
vivevano in questo Paese 31.000 persone originarie della Siria, oggi
sono circa un milione. «Questa pressione anti-migratoria dopo il
crollo di Assad un po' me l'aspettavo, ma non così in fretta
sinceramente», ci racconta Mohammad Saeed, 34 anni. Lo avevamo
conosciuto nel marzo del 2014 in Bulgaria nel centro di accoglienza
di Harmanli, a pochi chilometri dal confine con la Turchia, dove
venivano ospitati i rifugiati siriani in cerca d'asilo in Europa.
All'epoca di anni ne aveva 24, era fuggito da Damasco e sognava di
diventare insegnante in Europa.
In Germania è arrivato a fine 2014 con un gruppo di amici, ma non è
riuscito a realizzare la sua aspirazione professionale. Ora è
responsabile delle vendite per un'azienda di logistica. In questi
dieci anni, ha sposato una tedesca e sono in attesa di un bambino.
«Per questo è difficile pensare di tornare adesso in Siria. La mia
vita è qui, ma certo in futuro ci potrò pensare». I politici
«dovrebbero mostrare un po' di pazienza. La maggior parte dei
siriani stanno lavorando e si stanno costruendo un futuro qui»,
aggiunge Mohammad. Alla domanda provocatoria del politico della Cdu,
Yasser, siriano di Quneitera – di fronte alle alture del Golan –
risponde sullo stesso tono: «Siamo persone, non siamo dei pacchi da
restituire al destinatario». Anche lui una vita se l'è ricostruita
in Germania. Quando lo avevamo conosciuto insieme a Mohammad nel
2014 sognava di arrivare in Germania in bicicletta. Nel Paese
guidato da Angela Merkel ha ricevuto la protezione umanitaria, ha
seguito i corsi tedeschi pagati dallo Stato, trovato un lavoro fisso
nella ristorazione, si è sposato ed ha avuto un figlio. Perché
dovrebbe lasciare tutto questo? —
. Deborah Copaken La scrittrice che ha fustigato le assicurazioni:
"Al pronto soccorso con Uber"
"I pazienti sono in mano a burocrati ottusi Ero in sala operatoria e
mi hanno cacciata" simona siri
new york
«Non sono sorpresa». È il commento della scrittrice Deborah Copaken
alla notizia che l'assassino di Brian Thompson è un ragazzo perbene
di famiglia addirittura ricca. «È la dimostrazione che per la sanità
americana non conta che tu sia in grado di pagare spese altissime
per l'assicurazione, sei comunque alla mercé di burocrati senza
formazione medica il cui unico compito è negare cure già approvate
dai medici». Copaken stessa ne è stata vittima: nel 2021 si è vista
negare un'operazione all'orecchio quando era già in sala operatoria,
senza contare 27.000 dollari di spese vive accumulati per tre
gravidanze nel 1995, 1997 e 2006 «quando avevo quella che era
considerata un'eccellente assicurazione sanitaria» specifica. «Una
volta, sanguinante, sono andata al pronto soccorso in Uber pur di
non chiamare l'ambulanza che mi sarebbe costata una fortuna».
Luigi Mangione sui suoi social ha la foto di una radiografia alla
schiena.
«Pare avesse subito un intervento chirurgico e soffrisse un dolore
terribile. Mia sorella, chirurgo ortopedico, ha dato un'occhiata a
quella foto e ha detto che in effetti sembra che le viti siano
troppo lunghe, che probabilmente ci sono stati degli errori. Lo
scopriremo presto. Quello che è chiaro è che in Usa quando hai
bisogno di assistenza sanitaria ti rendi conto dell'ossimoro
contenuto nella parola "healthcare" che è fatta di "assistenza" e di
"salute", quando invece mancano entrambe».
C'è il rischio che il killer sia trasformato in un eroe, anzi forse
lo è già.
«Sono in gioco sentimenti complicati. Credo che nessuno abbia
davvero gioito per la morte di un uomo, ma quello che si è voluto
sottolineare è che le sue politiche hanno portato a migliaia di
morti per mancanza di cure. Se si pensa a questo è difficile per le
persone provare compassione».
United HealthCare era famosa per negare le procedure.
«L'assistenza sanitaria a scopo di lucro è una truffa. Non c'è
davvero motivo per le assicurazioni sanitarie di esistere. Se
avessimo un unico sistema sanitario contribuente, non avremmo
bisogno di un'assicurazione che si intromette tra noi e i nostri
medici».
Pensa che l'uccisione di Brian Thompson possa portare a ripensare
tutto il sistema?
«Il giorno prima della sua morte un'altra assicurazione aveva
annunciato una nuova linea guida per cui avrebbe coperto l'anestesia
durante le operazioni solo fino ad un certo numero di ore.
All'indomani dell'omicidio ha fatto marcia indietro. Avrebbero fatto
lo stesso senza l'attenzione che c'è ora sul comportamento delle
assicurazioni? Non credo. Sono anni che imploro una resa dei conti
per le compagnie assicurative, ho scritto un intero libro su questo
(Ladyparts, uscito nel 2021, ndr). Se Kamala Harris fosse presidente
lo vedrei più possibile, con Trump no, anche se a votarlo sono state
le vittime del sistema sanitario, che non hanno assicurazione o che
si deve indebitare per pagarsi le cure. Pensi che in America un
terzo di tutti i GoFundMe – la piattaforma che serve a raccogliere
soldi per beneficenza – sono destinati a spese mediche». —
si inizia a studiare a sette anni, gli insegnanti tutti under 50
Vietato bocciare e l'Università a 16 anni Così in Finlandia la
scuola mette il turbo Elisa Forte
Dici Finlandia e pensi alla sauna, all'hockey su ghiaccio e, visto
il periodo, anche a Babbo Natale. Eppure se Helsinki può assurgere a
modello, forse può farlo nel sistema educativo. Lo dice l'Osce. Un
dato, in particolare, dovrebbe far arrossire: un laureato italiano
ha un punteggio nella "literacy" (alfabetizzazione) inferiore a
quello di un diplomato finlandese (287 punti, per non parlare dei
313 dei laureati del Paese). Insomma, se il carrozzone educativo
italiano stenta e sbanda, la Finlandia sembra ancora correre come su
una slitta trainata da turbo renne. Ma come funziona il sistema
educativo finlandese? Come si raggiungono questi risultati? Tanto
per cominciare un ragazzino finlandese entrerà a scuola a sette anni
e proseguirà il percorso di studi fino ai sedici anni. In Finlandia
si va a scuola per 9 anni senza interruzioni, mentre in Italia il
lungo viaggio scolastico inizia a 6 anni, dura 13 anni e si divide
in tre fasi: primaria, medie e superiori. Qui, la scuola media è
considerata "l'anello debole", si parla da anni – invano - della
riforma in un unico ciclo fino ai 13/14: consentirebbe ai docenti di
conoscere meglio gli allievi, le loro capacità e i loro bisogni. Gli
studenti finlandesi scelgono poi tra università o formazione
professionale (entrambi di soli 3 anni) a 16 anni. In Finlandia non
sono previsti voti fino ai 13 anni. E non si boccia, ma, al bisogno,
si sostengono e supportano i ragazzi che rischiano di rimanere
indietro. Anche i compiti a casa sono una rarità. E tra una lezione
e l'altra «di apprendimento gioioso» è prevista una pausa di 15
minuti. «Ai bambini della scuola dell'infanzia non si insegna né la
lettura né la scrittura: anzi, la legge vieta ai maestri di
insegnare ai piccoli a leggere prima dei sette anni», scrive Pinella
Giuffrida nello studio "Luci e ombre del modello finlandese". E poi
c'è l'ecosistema scuola: «Gli studenti trovano nella scuola tutto
ciò che occorre. Palestre, sport, corsi di danza, di musica, di
teatro, di cinematografia, divertimenti di diverso tipo per i
ragazzi finlandesi sono a scuola», spiega Giuffrida. Ma anche qui le
criticità non mancano: carichi di lavoro pesanti per gli insegnanti
con un numero elevato di studenti. E l'età media del corpo docente:
la metà degli insegnanti ha meno di 50 anni e il solo il 7 % ha meno
di 30 anni. —
alle, Pd: "Quella attuale funziona a singhiozzo". La Città della
Salute: "Abbiamo fermato la gara per poter accedere ai fondi
ministeriali"
Molinette, la risonanza magnetica è del 2009 Da 4 anni si attende il
nuovo apparecchio alessandro mondo
Quella attuale ha 15 anni e funziona singhiozzo. Quella nuova
dovrebbe essere in funzione da tre anni ma non si è vista. Prodigi
della Sanità piemontese, e italiana. Non parliamo di un acceleratore
nucleare ma di un tomografo a risonanza magnetica destinata ad
ammodernare la Radiologia 2 delle Molinette: apparecchio sofisticato
e costoso, certo, ma da tempo di uso quotidiano negli ospedali. E
per questo essenziale.
Ieri il caso è approdato in Consiglio regionale. «Non sono bastati 3
anni di carteggi con il Ministero per definire l'acquisto della
nuova apparecchiatura, fondamentale per garantire un servizio di
qualità ai cittadini - spiega Daniele Valle, Pd, consigliere
regionale e vice-presidente della Commissione Sanità -. E dire che i
soldi sono già stati stanziati da anni, più di 4 milioni».
La Regione ha aperto la gara per la fornitura nell'agosto del 2023,
procedura terminata con la graduatoria nel febbraio 2024, ma il
ministero della Salute si è preso 9 mesi per comunicare di aver
terminato una prima istruttoria. L'ultima comunicazione risale al 19
settembre 2024, da allora tutto tace e nessuno ha idea di quando
darà il via libera per procedere. Così riepiloga Valle: «Non è
concepibile che, per una apparecchiatura che salva delle vite, e con
i fondi già stanziati, ci sia una burocrazia così lenta e
macchinosa».
La questione, a ben vedere, è ancora più arzigogolata. La richiesta
di sostituzione data al 2018, la decisione di autorizzare l'acquisto
è arrivata nel 2021. Nel 2023 la gara di cui sopra, bandita, ad
agosto 2023, lo scorso febbraio l'assegnazione. Ad oggi, nove mesi
dopo, silenzio. Possibile? Nel frattempo è emersa la possibilità di
accedere a fondi ministeriali, risparmiando 4 milioni, tanto costa
il macchinario, che altrimenti sarebbero a carico dell'azienda
ospedaliera. Oggi la valutazione è ancora giacente presso il Nucleo
tecnico di valutazione e verifica degli investimenti pubblici in
edilizia sanitaria del ministero. «Abbiamo fermato l'aggiudicazione
perché la Regione ha avviato la procedura per accedere ai fondi
ministeriali della legge 160 - spiega Giovanni La Valle, direttore
generale Città della Salute -. Per noi vorrebbe dire poter investire
quei fondu in altre attrezzature. Siamo in attesa
dell'autorizzazione ministeriale».
Il problema sono i tempi. «Poichè il Nucleo di valutazione agisce su
richiesta della Direzione generale della programmazione sanitaria
del ministero in autonomia e secondo priorità a livello nazionale,
si attende l'acquisizione del parere positivo del suddetto Nucleo
affinchè l'azienda possa procedere all'acquisto», ha risposto
l'assessore alla Sanità Federico Riboldi al question time di Valle.
Per la Città della Salute il via libera dovrebbe arrivare a breve.
«Va da sè che, dal momento in cui il ministero darà l'ok, passeranno
ancora mesi prima di vedere il nuovo macchinario: l'installazione è
complessa e richiede varie opere accessorie», considera Valle. Nel
frattempo, si tira avanti con la risonanza "vintage". —
Previsti interventi in una cinquantina di stazioni invernali Il finanziamento complessivo erogato dalla giunta regionale
sarà di 50 milioni per la riqualificazione del sistema neve
piemontese. Che vuol dire 50 stazioni sciistiche, quasi 300 impianti
e oltre 1300 chilometri di piste. Destinatari gli enti locali, primi
fra tutti gli 80 comuni interessati da comprensori sciistici.
operazione dei ros tra italia e brasile
Sigilli all'impero dei narcos
Sequestrati bar e negozi aperti col denaro riciclato
Sigilli dei Ros all'impero dei narcos. I militari, coordinati dalla
Direzione Distrettuale Antimafia (sotto la guida dei pm Francesco
Pelosi e Livia Locci), insieme alla Polizia Federale Brasiliana,
hanno eseguito all'alba di ieri un'operazione internazionale contro
il narcotraffico. Sono stati effettuati 23 fermi: 5 in Italia, 18 in
Brasile e uno in Spagna, svelando i legami tra tre distinti gruppi
criminali. Sono stati colpiti da un provvedimento di fermo Nicola De
Carne (a San Giusto Canavese) genero di Nicola Assisi (considerato
uno dei principali broker calabresi del narcotraffico), Michele
Agresta Giovanni Pipicella di Moncalieri, Enrico Sapone, residente
nel Cuneese, e Christian Sambati di Torino. Secondo l'accusa, i
cinque fermati sarebbero affiliati alle locali della 'ndrangheta di
Volpiano e San Giusto. L'organizzazione, dedita al narcotraffico,
sarebbe stata gestita da Nicola e Patrick Assisie da Nicola Pasquino
tutti in carcere dopo il loro arresto avvenuto in Brasile.
Per la Dda, parte dei proventi del narcotraffico internazionale
sarebbe stata reinvestita in attività. Tra queste c'è il
ristorante-ludoteca «4 Chiacchiere», nel centro storico di Chivasso
e di proprietà di De Carne, oltre al bar «Caffè della Torre», a San
Giusto Canavese, intestato a Rosalia Falletta, moglie di Nicola
Assisi. Durante la perquisizione della sua casa sono stati trovati e
sequestrati via oltre 15 mila euro in contanti. Altri blitz e
altrettanti sequestri sono stati eseguiti nelle ultime ore anche in
una carrozzeria di Torino e in un bar a Borgo San Martino (Cuneo).
L'inchiesta ha ricostruito le attività dell'organizzazione, che
avrebbe trasportato in container marittimi ingenti quantità di
cocaina. «L'importanza di questa indagine risiede nella cooperazione
internazionale, che per la prima volta ha visto operare una squadra
investigativa comune», ha dichiarato il procuratore Giovanni
Bombardieri, commentando il blitz dei carabinieri.
«Questa indagine è importante perché ha suggellato un'alleanza,
quella tra Italia e Brasile, in maniera definitiva. Sono nate
squadre investigative comuni e stabili per sconfiggere i narcos» ha
aggiunto. Precisando: «È una grande operazione di narcotraffico,
sfociata nella finanza. Tra i reati che la Dda contesta agli
indagati c'è anche il riciclaggio, ovvero il reinvestimento di
notevoli importi di denaro: flussi finanziari controllati
dall'associazione criminale». a. buc. - e. sol. —
10.12.24
Da sconti per utilizzare lo sharing alla nuova linea diretta Porta
Nuova-Susa. Avs all'attacco: "Misura in ritardo che scarica tutto
sui Comuni"
Smog, in Regione via libera al piano da 4 miliardi A Torino multate
861 automobili da settembre giulia ricci
Incentivi all'utilizzo dello sharing, la black box per evitare il
blocco totale degli Euro 5, pannelli solari e impianti fotovoltaici
sugli edifici pubblici e interventi sul servizio ferroviario. Tra
oggi e domani il Consiglio regionale approverà il nuovo Piano della
qualità dell'aria da quattro miliardi, mentre a Torino dal 16
settembre sono state fermate e multate 861 auto che non hanno
rispettato i semafori anti-smog. Ma Alleanza verdi e sinistra
attacca: «Piano in ritardo, senza un modo per valutare l'impatto
effettivo delle misure, e tutto sulle spalle dei Comun. Mancano
interventi sostanziali sul trasporto pubblico».
Sono centinaia le misure su tutta la Regione, divise in tematiche,
con l'obiettivo di abbattere soprattutto l'inquinamento da Pm10 e
ozono nell'aria da qua al 2030: mobilità, energia e biomasse,
attività produttive, agricoltura e zootecnia. Guardando agli
interventi su Torino, si va da misure già finanziate con fondi
ministeriali ed europei, direttive agli enti locali, fino a
sperimentazioni da "quantificare". Come quella sull'utilizzo
dell'intelligenza artificiale, con semafori intelligenti (sviluppati
da Google) che ottimizzano il traffico e riducono del 30% fermate e
ripartenze, e quindi le emissioni; o l'utilizzo di biocarburanti nei
bus, che ridurrebbe il particolato del 50%. Ci sono poi gli oltre 5
milioni di euro per incrementare i servizi ferroviari: l'obiettivo,
sul nodo di Torino, è arrivare a trasportare 635 milioni di persone
al chilometro ogni anno, con il completamento delle stazioni Dora e
Zappata, la realizzazione della linea Orbassano-Stura (con le due
fermate intermedie San Paolo e Quaglia-Le Gru), una nuova linea
veloce di collegamento Porta Nuova- Porta Susa.
Sulla mobilità, la Regione ha poi sottoscritto il protocollo di
intesa Bip for Maas, che con la Città investe 400 mila euro nei
progetti per la nascita di un'app (ora sperimentale) che permette di
acquistare i biglietti per tutti i mezzi utili a un solo percorso
con un solo click. Con oltre 4 milioni (su tutto il Piemonte), la
giunta Cirio intende poi incentivare, con degli sconti, l'utilizzo
di bike-scooter e automobili in sharing, mentre serviranno quasi 8
milioni per aumentare le Ztl ambientali, e nel caso di Torino
acquistare più telecamere per i controlli. Controlli che, in parte,
saranno finanziati dalla Regione anche perché nei Comuni siano
rispettati i blocchi anti-smog. Il piano contiene anche il progetto
Move in e incentivi (dal valore di 4 milioni) per l'acquisto della
black box da 50 euro che permette alle auto inquinanti di avere un
tot di chilometri da poter percorrere all'anno, prima di incorrere
in una multa: lo strumento, caro all'assessore all'Ambiente Matteo
Marnati, ha l'obiettivo di "salvare" i privati dal blocco totale
degli Euro 5 che partirà il prossimo anno. Lo stop, che era scattato
venerdì per il superamento delle soglie di Pm10 nell'aria, da domani
non ci sarà più: torna il livello bianco. Ma dal 16 settembre,
giorno dell'inizio dei semafori anti-smog, a Torino sono state
fermate e sanzionate 861 automobili fuori legge.
Il Piano dovrebbe passare oggi, al massimo domani, ma le opposizioni
hanno già pronti gli emendamenti. «Tanti i punti critici. Il primo,
macroscopico, è il ritardo: abbiamo già visto l'attivazione di
diversi blocchi alle auto, ma il Consiglio regionale non ha ancora
licenziato il provvedimento approvato dalla giunta ben tre mesi fa»,
è il primo attacco della capogruppo di Avs Alice Ravinale. Che poi
sottolinea come non esistano «sistemi per valutare l'effettivo
impatto delle misure, in un piano già superato perché l'Europa ha
messo regole più stringenti». Poi, le misure rivolte ai Comuni: «Si
tratta di uno scaricabarile sui sindaci, rischiando un'applicazione
delle misure a macchia di leopardo e con l'unico sforzo da parte
della Regione di predisporre uno schema di ordinanza tipo, senza
curarsi del fatto che gli stessi sindaci spesso non hanno risorse né
personale a disposizione per effettuare le previsioni e i
controlli». Infine, Avs sottolinea come non ci siano «campagne
informative per la popolazione», «riduzioni della velocità come in
altre città europee», e poco sul trasporto pubblico, che ad oggi è
utilizzato per il 7% in Piemonte e l'11% a Torino. «È un Piano vago,
che non contiene misure organiche e immediatamente applicabili». —
Inaugurato a Cuneo l'impianto di trigenerazione dentro la fabbrica
Investimento da 50 milioni realizzato in collaborazione con Edison
Next
Una centrale green Ecco come Michelin abbatte le emissioni
Matteo Borgetto
Cuneo
Oltre 50 milioni di investimento per un impianto che coprirà il 97%
delle esigenze energetiche del sito di produzione degli pneumatici
più grande nell'Europa occidentale, con una prospettiva di almeno
quindici anni e l'abbattimento di 18.000 tonnellate di emissioni di
CO2 all'anno. Se c'erano ancora dubbi sulla permanenza a Cuneo di
Michelin, sono stati definitivamente fugati dalla nuova centrale di
trigenerazione ad alta efficienza e flessibilità, realizzata da
Edison Next (società del gruppo Edison) a servizio dello
stabilimento in frazione Ronchi.
L'innovativo impianto (potenza 23 Megawatt) è in grado di produrre
contemporaneamente energia elettrica, vapore per la produzione degli
pneumatici, acqua di riscaldamento e raffreddamento, ma è stato
progettato anche per implementare ulteriori soluzioni, che prevedono
l'utilizzo di idrogeno e biometano come combustibili green, in modo
da accelerare il percorso di decarbonizzazione avviato da Michelin
Italiana con l'obiettivo di una completa «neutralità carbonica»
entro il 2050. Ma lo stabilimento cuneese ha anticipato i tempi:
«Siamo già vicini alla riduzione del 50% di emissioni da raggiungere
entro il 2030, attualmente a quota 47% - ha spiegato il direttore
della Michelin Cuneo Simone Rossi -. L'impianto ci permetterà di
raggiungere il traguardo con largo anticipo e di mettere nel mirino
i prossimi obiettivi». E ha aggiunto: «Dopo aver festeggiato i 60
anni di attività nel 2023 e avere inaugurato l'Hub Innovazione del
CIM4.0, questa nuova tappa è un'ulteriore conferma dello spirito
innovativo dello stabilimento di Cuneo, che continua a recitare un
ruolo di primissimo piano all'interno del gruppo e nel panorama
manufatturiero italiano».
La «cittadella fabbrica» dei Ronchi, nata nel 1963, oggi è la più
importante del «Bibendum» in Europa occidentale, con 2.600
dipendenti, una capacità di produzione di 13 milioni di pneumatici
all'anno (80% destinati in Europa). Quello cuneese è uno degli 8
siti della multinazionale che sviluppano nuove tecnologie, da
estendere alle altre 121 realtà del gruppo di Clermont Ferrand nel
mondo. «Abbiamo raggiunto un'altra importante tappa del percorso
avviato con Michelin Italiana tre anni fa - così Giovanni Brianza,
ceo di Edison Next -. La messa in esercizio dell'impianto di Cuneo è
la dimostrazione concreta di come, lavorando in partnership, sia
possibile dare vita a percorsi che rispondano agli obiettivi di
sostenibilità delle singole aziende e trasformino la
decarbonizzazione in uno strumento per aumentare la loro
competitività sui mercati di riferimento».
09.12.24
"La gente festeggia la fine dell'oppressione Ora bisogna evitare
l'estremismo religioso" Domenico Agasso
Città del Vaticano
«In queste ore le persone si godono almeno la fine della dittatura
degli Assad, che per decenni ha oppresso e sfruttato la Siria. Poi,
bisognerà evitare che al posto del regime appena caduto prenda il
potere un'ideologia estremista». Lo afferma padre Firas Lutfi, frate
minore della Custodia di Terra Santa, parroco e guardiano dei
Francescani a Damasco.
Padre Lutfi, com'è la situazione?
«Sospesa tra attesa e paura. Il governo, che ha detenuto il potere
per 53 anni sotto il partito Baath, con un controllo soffocante su
tutto e tutti, sembra essersi dissolto in un attimo, lasciando il
Paese nelle mani di milizie jihadiste. Questo ha generato domande:
perché tale crollo improvviso? Quali sono le alternative?».
Lei che cosa pensa?
«Ci chiediamo se i ribelli siano in grado di guidare la Siria verso
un futuro migliore. Per il momento, le persone si godono almeno la
fine del regime degli Assad, che per decenni ha sfruttato le risorse
del Paese, impoverito la popolazione e oppresso gruppi religiosi e
comunitari. La dittatura ha lasciato la Siria devastata, con
centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi, un'economia al
collasso con un isolamento pesante. Adesso serve tanto coraggio e
intelligenza per costruire un progetto che coinvolga tutti i
siriani, nessuno escluso».
Nei giorni scorsi ad Aleppo i ribelli hanno assicurato rispetto ai
vescovi. C'è stato un altro incontro?
«Ero invitato a partecipare, ma i ribelli non si sono presentati di
persona. Hanno inviato un messaggio in cui spiegano che hanno
bisogno di tempo per organizzarsi. Hanno promesso di incontrare
presto le autorità religiose allo scopo di rassicurare chi è
preoccupato e presentare il loro programma per salvare la Siria dal
baratro in cui è caduta».
Com'è l'atmosfera per le strade di Damasco?
«Tesa. Ieri sera la città era nel caos: si sparava ovunque e non
abbiamo potuto dormire. I centri di polizia e i ministeri sono stati
abbandonati. Ora è in vigore un coprifuoco, che è positivo per
contenere le violenze e i saccheggi contro le proprietà private».
Che cosa dovrebbero fare le potenze internazionali?
«Se questi gruppi sono riusciti a rovesciare Assad, è evidente che
sono stati sostenuti da forze regionali e internazionali. Ora, però,
è fondamentale che la comunità internazionale continui a impegnarsi
con determinazione, supervisionando il nuovo progetto politico per
garantire un futuro inclusivo per tutti. Occorre evitare che
un'ideologia estremista e radicale islamica prenda il posto del
regime esclusivista degli Assad. La Siria ha bisogno di tornare a
essere un paese accogliente dove regna la legge e non l'appartenenza
etnica o religiosa». —
Ruffini dalle Entrate alla politica l'uomo nuovo per il campo largo
roma
Si fa presto ad invocare il "nuovo Prodi". Da 16 anni, da quando il
Professore ha lasciato la politica, la retorica mediatica ha tenuto
in vita una suggestione che sinora nessuno ha saputo interpretare e
dunque c'è da scommettere che nei prossimi giorni proprio quella
etichetta sarà riproposta per un personaggio che, certo la
respingerà, ma che potrebbe presto diventare un nuovo protagonista
del centro-sinistra italiano: Ernesto Maria Ruffini, da cinque anni
direttore dell'Agenzia delle Entrate. Delicato incarico nel quale è
stato confermato da governi distantissimi tra loro: Gentiloni, Conte
2, Draghi, Meloni.
Proprio oggi Ruffini farà il primo passo per un suo probabile
ingresso in politica: parteciperà assieme al padre gesuita Francesco
Occhetta, una delle più forti voci "bergogliane" in Italia e a
Giuseppe Fioroni, ministro della Pubblica istruzione dell'ultimo
governo Prodi, ad un convegno sull'impegno dei cristiani nella
società italiana. A prima vista un incontro come tanti e tuttavia il
sottotesto è un altro: da tempo Ruffini ha confidato ad alcuni amici
– influenti e non – il suo desiderio di trasformare la sua passione
politica in impegno in prima persona. Certo, per ora non c'è nulla
di deciso e fino a quando Ruffini manterrà il suo incarico, non
svolgerà contemporaneamente alcuna attività politica. Ma
l'intenzione e c'è anche il retroterra politico e culturale.
La sua passione civile, negli ultimi dieci anni, si è espressa negli
incarichi in campo fiscale, ma anche in alcuni libri, segnati da un
approccio cattolico-progressista. Dalle prefazioni di alcuni di
questi libri arriva una prima indicazione sul personaggio: Ruffini
può contare sulla stima privata delle due più importanti personalità
politiche della cultura cattolico-democratica dopo la caduta del
Muro di Berlino: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e
Romano Prodi. Il più recente libro di Ruffini, Uguali per
Costituzione. Storia di un'utopia incompiuta dal 1948 ad oggi, edito
da Feltrinelli, è preceduto da una prefazione del Capo dello Stato,
che tra l'altro scrive: «Questo libro racconta la nostra storia, le
nostre radici e ci invita a fidarci del futuro». Nel 2013 Ruffini
aveva scritto L'evasione spiegata a un evasore e in questo caso la
prefazione era firmata da Romano Prodi. Naturalmente Mattarella e
Prodi sono e resteranno niente più che due amici e in particolare il
Capo dello Stato è sempre stato rigorosissimo nella sua equidistanza
da tutti gli attori politici.
Cinquantacinque anni, palermitano di nascita, figlio di Attilio,
partigiano cattolico e più volte ministro democristiano, Ernesto
Ruffini è fratello di Paolo, già direttore della RaiTre di maggior
successo dopo la stagione-Guglielmi e da sei anni prefetto del
Dicastero per la comunicazione della Santa Sede. Se Ruffini romperà
gli indugi, si giocherà una partita dagli obiettivi ancora
indefiniti: capofila di un'area laico-cattolica del campolargo
rimasta senza leader? O possibile candidato premier? Da anni Ruffini
può contare sulla stima discreta di ministri, manager, associazioni
di base, su tante simpatie in Vaticano e su quella di vecchi amici
come Dario Franceschini, Bruno Tabacci, Lucio D'Ubaldo, ma se
scenderà in campo – come in privato fa capire – l'attuale capo
dell'Agenzia delle entrate partirà da un background personale che è
fatto essenzialmente di due risorse. Anzitutto, una cultura di
governo acquisita alla guida di Equitalia e dell'Agenzia delle
entrate: proprio qui, muovendosi tra ministri, evasori fiscali e
grandi burocrati dello Stato, ha contribuito ad accrescere ogni anno
la quota di evasione fiscale recuperata, raggiungendo nell 2023 il
record di oltre 31 miliardi di euro.
Ma se entrerà in politica, Ruffini intende far valere soprattutto
altro: l'effetto-novità (una dei segreti dell'ascesa repentina di
Elly Schlein), ma anche un profilo agli antipodi con l'agonismo che
domina in questa stagione. Alcune settimane fa, intervenendo alla
Scuola Nazionale dell'Amministrazione, Ruffini si è congedato con
una chiusa irrituale: «Ognuno di voi ha le sue competenze e letto
libri diversi dagli altri, ma se guardate i vostri curricula, c'è
una parte importante, uguale per tutti: gli spazi bianchi tra una
riga e l'altra. Spazi che rappresentano i nostri errori e fanno
parte di quel che siamo. Non archiviate i vostri errori,
concentrandovi solo sui successi!». Una visione molto diversa dalla
cultura dei leader di stagione: quella della vittoria a tutti i
costi, costi quel che costi
Oggi al Cdm il decreto col divieto di pubblicare gli atti delle
ordinanze di custodia cautelare
Arriva la stretta sui giornalisti ma il governo allenta il bavaglio alessandro di matteo
roma
La nuova stretta sui giornalisti ci sarà, anche se meno soffocante
di quanto Fi avrebbe voluto. In Consiglio dei ministri arriva oggi
il decreto legislativo che imporrà il divieto di pubblicare gli atti
delle ordinanze di custodia cautelare, la «legge bavaglio» come
l'hanno ribattezzata le opposizioni, anche se pare che alla fine nel
testo non saranno previste sanzioni per chi viola la norma. I
giornalisti potranno dare la notizia facendo una sintesi dell'atto,
ma non potranno citarlo testualmente. Il governo interviene
all'ultimo minuto, perché il termine previsto dalla legge delega
scade il 10 dicembre, concedendo a Fi una misura-bandiera ma
limitando, almeno per ora, la portata del provvedimento. Si
discuterà in un secondo momento delle eventuali sanzioni, perché Fdi
su questo punto pare più prudente. Una sfumatura che non cambia la
posizione delle minoranze, tutte – tranne Iv – schierate contro il
nuovo divieto.
Una fonte di governo spiega: «Il divieto ci sarà, la delega verrà
esercitata. Vedremo se riguarderà solo la custodia cautelare o anche
gli atti di sequestro e le altre misure "reali". Si farà il punto
poco prima del Cdm o proprio durante la riunione del governo». Nelle
commissioni parlamentari, infatti, la maggioranza aveva proposto di
estendere il divieto anche alle altre ordinanze, prevedendo multe a
giornalisti ed editori fino a 500 mila euro. Un pugno di ferro
eccessivo, secondo Fdi, che preferisce appunto limitarsi ad un
intervento solo sulla custodia cautelare. «Ma le sanzioni in realtà
ci sono già – sottolinea anche la fonte governativa – sono previste
dall'articolo 684 del codice penale».
Formalmente è così, ma quell'articolo del codice prevede multe da 51
a 258 euro, una cifra «irrisoria – secondo un parlamentare di Fi –
perché a quel punto una testata sceglie di pubblicare e pagare». Ma
Enrico Costa, pure di Fi e autore della norma poi assorbita nella
legge di delegazione, vede il bicchiere mezzo pieno: «Siamo alla
fase finale di questo percorso, iniziato con la legge di delegazione
europea che la maggioranza aveva sostenuto con convinzione. Nelle
commissioni parlamentari il testo era stato apprezzato». E anche se
è stato ristretto l'ambito di applicazione e sono sparite le
sanzioni, per Costa «le osservazioni delle commissioni possono
essere prese in considerazione subito o in un secondo tempo, non fa
molta differenza. Quello che è importante è che ci sia un passo
significativo nell'affermazione della presunzione di innocenza».
Sul fatto che la sostanza non cambi, in fondo, è d'accordo anche il
Pd. La stretta c'è, eccome, dice Walter Verini: «Si tratta di un
ennesimo attacco all'informazione, che questo governo pratica con
tenacia pericolosa. Esistono già – con le norme varate anni fa dal
ministro Orlando – tutele contro le gogne mediatiche che, come ha
certificato lo stesso Garante della privacy, da tempo non esistono
più. Il resto è fastidio per l'indipendenza dei poteri e i
controlli».
Lupi
attenti all'uomo
Non c'è alcuna ragione di carattere economico o sociale, ma neppure
(a imparare dai biologi più avveduti) di carattere naturalistico o
etologico per salutare come necessario il declassamento del lupo
europeo da "rigorosamente protetto" a semplicemente "protetto": si
tratta di un'operazione politica in qualche modo populista,
che strizza l'occhio agli agricoltori old-style, ai cacciatori e ai
produttori di armi e che risente di un'ignoranza e di una malafede
così profonde da destare un giustificato risentimento. Declassamento
che apre la strada a massacri e stermini dell'animale più
perseguitato del mondo, come già accaduto in altri continenti. Nel
Parco nazionale di Yellowstone i lupi vennero distrutti nel XIX
secolo e rimasero assenti dall'area protetta per oltre settant'anni.
Vennero poi re-introdotti per porre un freno alla crescita senza
limiti di wapiti e altri ungulati che aveva messo in pericolo gli
stessi cervidi e compromesso gli ecosistemi endemici. Così i lupi
prosperarono fino all'inizio del secolo XXI, quando il Governo
Federale ridusse lo status di protezione, aprendo la strada così, di
fatto, alla ripresa di un massacro che dal milione di individui
presenti prima del 1930 portò a una riduzione del 90%. Cosa induce i
sapiens a combattere così ferocemente il lupo fino a riportarlo in
tutto il mondo sull'orlo dell'estinzione?
Negli anni '70 del XX secolo, in Italia, restavano forse un
centinaio di lupi: la grande popolazione primigenia di questo
predatore era stata sterminata da secoli di cacce e riduzione di
habitat. A quel punto, al Parco Nazionale d'Abruzzo, dove si contava
il maggior numero di individui, il WWF lancia l'Operazione San
Francesco, per salvare il lupo da un'estinzione certa cercando di
favorire la coesistenza tra questo grande predatore e gli
allevatori, in una delle poche operazioni di tutela su larga scala
ad aver avuto successo. Tanto che oggi la popolazione del lupo in
Italia conta circa 2 mila individui, distribuiti principalmente in
Appennino, anche se certo il lupo non può ancora considerarsi fuori
pericolo. E senza alcuna re-introduzione: semplicemente si lasciò
che questa specie riprendesse a fare ciò per cui è nata, andare.
Stavolta proteggendola.
Oggi, paradossalmente, lo stato di maggior salute del lupo rischia
di ritorcersi contro di lui. Dopo aver penato anni per reintrodurre
il lupo sul territorio, l'UE, di fatto, apre la via all'uccisione
"legalizzata" di una specie altrimenti protetta. Tutto questo perché
i lupi sarebbero troppi, senza che ci siano prove documentate
sull'efficacia degli abbattimenti. E se l'obiettivo è quello di
arginare le predazioni degli animali allevati, l'effetto potrebbe
essere addirittura opposto, aumentando i lupi vaganti spaesati a
causa della scomposizione dei branchi. E certamente incrementerebbe
il bracconaggio, in qualche modo giustificandolo, come se si
trattasse ancora di una specie nociva (altrimenti perché diminuire
lo status di protezione?). Sebbene la popolazione nazionale del lupo
sia in ripresa, non esistono ancora dati scientificamente robusti
sul raggiungimento di una condizione certamente favorevole sul lungo
periodo. E la possibilità di uccidere una specie protetta con un
così alto valore simbolico è un pessimo segnale, anche da un punto
di vista culturale. «Uccidere un lupo è come uccidere un fratello»,
ha dichiarato nel 2012 il capo della tribù degli Ojibwe, nel
Wisconsin, quando fu declassata la tutela federale e riaperta la
caccia.
Come abbiamo ripetuto alla nausea, le alternative non mancano, a
partire dalla prevenzione: per esempio, la sorveglianza del pascolo,
la presenza di buoni cani da guardiania di razza pastore
abruzzese-maremmano, le recinzioni fisse e mobili elettrificate che
fungono da deterrente senza intaccare la popolazione dei lupi.
Metodi accessibili anche grazie ai fondi europei. Nella stragrande
maggioranza dei casi la combinazione di questi strumenti riduce
notevolmente il rischio. Se vogliamo abbassare la questione al rango
economico.
Ma da un punto di vista culturale è, purtroppo, sempre lo stesso
abisso che inghiotte i sapiens: quando parliamo di lupo non parliamo
di un essere vivente, ma, di fatto, della proiezione delle nostre
paure. «Quando entrano nella nostra mente i lupi diventano una
metafora del selvaggio e del non civilizzato, come una banda
criminale che vive fuori dalle norme e dalle convenzioni», scrive il
biologo Carl Safina. Perciò reagiamo come se fossimo stati assaltati
da una banda di ladri o entrassimo in conflitto con un'altra tribù,
attrezzando una specie di disprezzo perché anche loro si permettono
di andare a caccia. E il lupo è sempre cattivo e bisogna stare
attenti.
L'odio verso i lupi rassomiglia terribilmente a un odio razziale, si
articola in dinamiche simili e si presta alla strumentalizzazione
politica: chi li difende è progressista, chi li vuole morti è di
destra. Ma morti non basta: in realtà li si vuole massacrati, come
dimostrano gli inquietanti episodi di impiccagioni e scuoiamento di
lupi (soprattutto in Toscana). Si arriva ad avvelenare le carcasse
delle loro prede, per decimarli anche quando non cacciano il
bestiame dei sapiens. Esattamente come nel Medioevo, quando erano
perseguitati e bruciati vivi appesi a un palo insieme con le streghe
e gli eretici, portando anche la colpa di indurre in tentazione e
spingere verso il male: una vendetta che raramente è stata applicata
ad altri animali (e che qualcuno sospetta animare la stessa Ursula
Von der Leyen, per via del suo pony Dolly apparentemente ucciso da
un lupo nel 2022).
L'esperienza di ripopolamento del Parco di Yellowstone, mutatis
mutandis, ha dimostrato che la presenza del lupo, attraverso azioni
a cascata, ha effetti positivi anche sulla vegetazione e addirittura
sulla stabilità delle sponde fluviali, limitando perfino il dissesto
idrogeologico. Siccome in una terra senza predatori non c'è pace
prima di tutto per le prede, i wapiti nordamericani e gli altri
ungulati, quando i lupi furono sterminati, brucavano così
intensivamente da rivoluzionare la vita di tutti, fino a minacciare
i castori e altri animali, dunque la presenza di laghetti, dunque la
vita dei pesci, dunque la stabilità idrogeologica dei territori. Il
ritorno dei lupi ha liberato le piante all'appetito pantagruelico
dei wapiti, riducendone il numero naturalmente. Così ripresero a
prosperare pesci, anfibi e uccelli e si arrivò all'attuale
ripristino dell'ecosistema. Che sarebbe indispensabile nel nostro
Paese, sovraffollato di cervi, daini e cinghiali che provocano una
serie di danni a cascata proprio perché privi di predatori. Ridurre
i lupi non è una buona idea, ma per comprenderlo bisognerebbe
affidarsi alla cultura biologica e naturalistica, abdicando al trono
di specie eletta sul quale i sapiens si sono issati senza avere né i
titoli né i meriti. —
e motivazioni dell'assoluzione
"È asservito al boss" Ma la riforma Nordio grazia il vigile urbano
giuseppe legato
Per la Corte d'Appello di Torino, che lo spiega in 72 pagine di
motivazioni contro la ‘ndrangheta imprenditrice nell'operazione
Platinum della Dia, il vigile urbano di Volpiano Paolo Busso «ha
dimostrato di essere completamente asservito a un personaggio come
Giuseppe Vazzana (condannato per mafia nello stesso procedimento) la
cui caratura delinquenziale non poteva essergli sfuggita». Il boss
«non aveva alcuna remora ad abusare della sua pubblica funzione, lo
trattava con sprezzo e palesando superiorità tanto da imporgli anche
i tempi molto solleciti con cui rispondere a una richiesta
illegittima». Busso però è stato assolto (era stato condannato in
primo grado) perché «il fatto non è più previsto come reato dalla
legge». È l'effetto della riforma Nordio che ha abrogato l'abuso
d'ufficio. Queste storia è paradigmatica degli effetti della
riforma. Perché Busso era imputato nell'ordine di essersi prodigato
più volte per evitare che Vazzana pagasse le multe per infrazioni al
codice della strada. La prima è del 30 luglio 2015 quando a bordo di
una Smart Four Four, Giuseppe Vazzana viene fermato e sanzionato:
l'automobile aveva la revisione scaduta. L'amico Busso «ometteva di
attivare la procedura di riscossione dell'importo dovuto da 169 a
680 euro) - si legge agli atti - tanto che la multa non verrà mai
incassata». Stesso copione il 25 gennaio 2017: Vazzana è a bordo di
una Jaguar. E anche in questo caso la revisione è scaduta da tempo.
L'agente Busso ometteva di avviare la procedura di riscossione.
Ancora: Il 15 novembre 2017 Vazzana è a bordo di una Punto e
transitando a Volpiano all'incrocio tra corso Kant e via Venezia
"bruciava" un semaforo rosso. Stavolta Busso «procedeva
all'accertamento della violazione irrogando la sanzione poi
effettivamente riscossa omettendo però di procedere alla
decurtazione di 6 punti dalla patente». Infine, il 5 luglio 2018,
Vazzana a bordo di una Bmw X3 parcheggiava in zona con sosta a
pagamento senza esporre alcun tagliando: l'agente Busso ometteva di
procedere alla notifica della sanzione da 41 euro: archiviata anche
questa.
08.12.24
È SALTATO IL BENKO! - LA RESISTIBILE ASCESA E IL CLAMOROSO DECLINO
DEL MILIARDARIO AUSTRIACO RENÉ BENKO, FINITO IN MANETTE PERCHÉ
COINVOLTO IN UN'INDAGINE DELLA PROCURA DI TRENTO CHE RIGUARDA
PRESUNTI REATI LEGATI ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - IL 47ENNE, DAL
PATRIMONIO STIMATO DI 27 MILIARDI, È IL FONDATORE DELLA SOCIETÀ "SIGNA",
FALLITA NEL 2023 SCHIACCIATA DA 14 MILIARDI DI DEBITI (TRA LE BANCHE
PERSERO DENARO ANCHE UNICREDIT, 600 MILIONI) - DOPO LA BANCAROTTA,
BENKO MISE IN VENDITA IL SUO YACHT DA 64 METRI, E IL 50% DEL
CHRYSLER BUILDING, CHE POSSEDEVA PER IL 50%
Estratto dell'articolo di Giorgio Filippo Pirani per il "Corriere
della Sera"
Un'ondata ha scosso il Trentino-Alto Adige in questi giorni, con 8
persone agli arresti domiciliari e oltre 70 indagate. Inoltre, la
procura distrettuale di Trento ha emesso un mandato d’arresto per
l'imprenditore immobiliare austriaco René Benko, 47 anni, fondatore
dell'impero Signa Holding GmbH, fino a un anno fa il più grande
conglomerato immobiliare privato dell'Austria con un patrimonio di
27 miliardi, prima di dichiarare lo stato di insolvenza al Tribunale
commerciale di Vienna.
Il fallimento del gruppo Signa avvenne nel novembre 2023,
schiacciata da 14 miliardi di debiti; la cifra però potrebbe essere
anche più alta, ma l’azienda, organizzata in scatole, holding e
trust, rende ancora oggi difficile stimare la sua esposizione
debitoria. Un fallimento che ebbe un impatto finanziario non
indifferente; oltre 120 banche, infatti, avevano prestato denaro a
Benko, rassicurate dalla garanzia dei suoi immobili di lusso,
valutati nell'insieme circa 23 miliardi.
Tra queste c’era l’italiana UniCredit, esposta per 600 milioni di
euro, ma anche istituti europei che si erano esposti come Julius
Baer, è Raiffeisen. Le altre banche italiane che avevano finanziato
il gruppo Signa provenivano dall'Alto Adige: Raiffeisenkasse
Bolzano, Raiffeisen Landesbank Alto Adige, Cassa di Risparmio Alto
Adige e Volksbank Alto Adige). Per rimborsare i creditori, la Signa
Development Selection AG, la minore delle unità principali del
gruppo immobiliare, offri ai creditori un rimborso del 30% della
loro esposizione, che venne accettato dalla maggioranza di questi.
Seppur esposta per 600 milioni, la banca di Andrea Orcel non lo era
però a livello societario; inoltre, l'esposizione al corporate real
estate di UniCredit, rispetto al totale dei suoi prestiti, sarebbe
in linea o inferiore rispetto al mercato in Italia, Germania e
Austria. Per quanto riguarda Volksbank, l'esposizione verso il
Gruppo Signa era legata al progetto Waltherpark di Bolzano..
Come fare per rientrare dai 14 miliardi di debiti? Subito dopo il
fallimento, Benko si dimise dal consiglio e mise in vendita il suo
yacht da 64 metri, il panfilo Roma, per 40 milioni. Sul mercato finì
anche il prestigioso Chrysler Building, uno dei grattacieli più
iconici di Manhattan, con Signa che possedeva il 50% delle quote
dell’edificio. [...]
l retroscena
Perquisizioni e veleni A Bucarest s'indaga sul ruolo del Cremlino
monica perosino
Quello che sta succedendo in Romania è un caso esemplare in cui si
intersecano azioni di guerra ibrida, manipolazione, propaganda,
corruzione e un fiume di denaro che ha inondato il Paese per
deciderne il futuro. Ma è allo stesso tempo il tentativo - rischioso
e dall'esito incerto - di impedire che uno Stato straniero, in
questo caso la Russia, si intrometta nelle questioni interne romene.
Venerdì con una mossa senza precedenti la Corte costituzionale
romena, confermando i pesanti sospetti di ingerenze russe nel
processo elettorale a favore del candidato di estrema destra C?lin
Georgescu, ha annullato il primo turno delle elezioni presidenziali,
proprio alla vigilia del ballottaggio con la rivale Elena Lasconi
programmato per oggi. Una decisione clamorosa e inaspettata che, di
fatto, ha cancellato tutto quanto accaduto fino ad ora. Inclusi i 33
mila voti degli elettori della diaspora e mesi di campagna
elettorale.
Ma a poche ore dalla decisione della Consulta, arrivata dopo la
declassificazione di informazioni di intelligence secondo cui la
Russia ha condotto una vasta campagna per promuovere il candidato
filo-Putin, anti Ue e anti-Nato C?lin Georgescu, la Romania si
spacca tra chi tira un sospiro di sollievo e chi invece sostiene che
la decisione della Corte sia arbitraria e antidemocratica. Il segno
che, questo round, l'ha comunque vinto Mosca. Almeno per ora.
La rabbia viene espressa con le esatte parole usate dalla propaganda
russa: «È un complotto marxista orchestrato da Soros. L'Ue deve
rispettare il risultato del voto anche quando non piace ai burocrati
di Bruxelles», dice Dumitru Ciobanu, autista di autobus e attivista
politico di "Make Romania great again". Sostenitore di Georgescu,
ammiratore di Putin (come lui), si definisce patriota e contrario ai
«diktat dell'Europa e alla Nato». Poco importa se il suo voto, e le
sue scelte, siano stati manipolati in modo massiccio, illegale, e
attraverso azioni surrettizie di un Paese straniero: «Se il voto è
regolare bisogna rispettare la volontà del popolo».
In Romania, questa elezione è stata vista come una battaglia tra Est
e Ovest. Nel Paese il ricordo della brutale dittatura comunista è
ancora vivido, e la scelta, per molti elettori, è stata vista come
«esistenziale».
Il caso Romania è emblematico, proprio perché pone una domanda: è
regolare un voto distorto da una campagna segreta, estesa e
violentissima da parte di un Paese altro, volta a manipolare
l'opinione pubblica? La risposta delle istituzioni è chiara: non lo
è.
Ieri mattina la polizia ha fatto irruzione in tre case a Brasov,
Romania centrale, nell'ambito delle indagini e «in relazione ai
reati di corruzione degli elettori, riciclaggio di denaro,
falsificazione di dati informatici», come si legge in una nota della
procura. Nel mirino ci sarebbe una persona coinvolta nel
«finanziamento illecito della campagna elettorale» di Georgescu. Si
indaga anche sulla violazione della legge sul divieto di
organizzazioni e simboli di natura fascista, razzista o xenofoba.
L'uomo, la cui identità non è ancora stata rivelata, sarebbe il
misterioso finanziatore occulto del candidato di ultradestra che
tanto piace al Cremlino.
Fino a un mese fa, Georgescu era praticamente sconosciuto nel suo
Paese, non aveva alcun sostegno partitico e aveva un basso profilo
nei media tradizionali. Ma tutto è cambiato nelle ultime due
settimane prima del primo turno delle elezioni presidenziali del 24
novembre. Circa 25 mila account TikTok pro-Georgescu sono entrati
improvvisamente in azione, in un'offensiva di promozione elettorale
che secondo le stime dell'intelligence sarebbe costata almeno un
milione di euro "russi". Avrebbero spinto il candidato di
ultradestra dall'1% al 23% di sostenitori. Attualmente sono tre le
inchieste aperte da Bucarest: una sugli attacchi informatici alle
infrastrutture elettorali, una su corruzione degli elettori e frode
del sistema informatico, l'ultima su riciclaggio di denaro della
campagna elettorale. Il rischio ora è che una parte di elettori
possa perdere fiducia nel sistema politico del Paese, mentre
Georgescu, che ha parlato apertamente di «colpo di Stato», ha
invitato gli elettori a recarsi ugualmente alle urne oggi, data in
cui sarebbe dovuto tenere il ballottaggio.
Anche se non è ancora chiaro come andrà a finire, il caso Romania,
dopo Moldavia e Georgia, getta altra luce sull'escalation che Mosca
ha impresso alla sua guerra ibrida contro l'Europa nell'ultimo anno,
con la precisa intenzione di destabilizzare e influenzare
l'Occidente a suo favore.
Artyom, ucciso a 19 anni dal suo tenente Il pugno di Mosca su chi
rifiuta il fronte
«Azzeramento». Si chiama così, «obnulenie» nel gergo dell'esercito
russo, l'uccisione di un soldato da parte di un superiore. Artyom
Antonov è stato ridotto a zero il 21 ottobre, durante una
esercitazione al poligono Ilyinsky della 60sima brigata di fucilieri
motorizzati, nell'Estremo Oriente, ufficialmente per «violazione
delle regole dell'utilizzo delle armi» da parte di un tenente.
Quando la sua famiglia nel villaggio di Verkhny Uslon, nel
Tatarstan, ha aperto la bara nella quale il corpo del 19enne Artyom
aveva viaggiato per più di ottomila chilometri, ha visto non
soltanto il foro della pallottola in fronte, ma anche segni di
mostruosi lividi sulle braccia e sulle spalle. I suoi compagni di
caserma dicono che era stato picchiato, minacciato con le armi,
lasciato senza cure mediche e costretto a turni di guardia per otto
giorni di fila: tutte pressioni per essersi rifiutato di firmare il
contratto per arruolarsi a combattere in Ucraina. «Siamo tutti
convinti che sia stato giustiziato per il suo rifiuto», ha detto una
parente del ragazzo al sito Vazhnye Istorii.
Artyom aveva ricevuto la chiamata per la leva soltanto quattro mesi
prima, contava di tornare dopo un anno in caserma dalla sua
fidanzata e di provare a trasferirsi a Mosca per dedicarsi alla sua
grande passione, la fotografia. Era un ragazzo tranquillo, di
famiglia povera, costretto fin da adolescente a lavorare per
guadagnarsi da vivere. La zia dice che «non si metteva mai contro
gli adulti», ma i suoi compagni di leva raccontano invece una storia
di resistenza tenace ai superiori che volevano spedirlo in guerra.
Formalmente, i soldati di leva non rischiano l'invio al fronte,
riservato ai «volontari» ben remunerati, ma nella realtà i russi
disposti a farsi uccidere, anche in cambio di denaro, non bastano
più, e le reclute di 18-19 anni vengono persuase o costrette a
firmare il contratto. Chi non accetta e resiste a minacce, percosse
e torture, rischia l'«azzeramento».
Punizione che viene applicata anche a chi in guerra si è già
arruolato. Perfino i canali Telegram dei propagandisti del regime,
per non parlare delle denunce di attivisti anti-guerra, sono pieni
di testimonianze di «azzeramenti». Una delle più clamorose è stata
quella di Vitaly Degtyarenko, fuggito dal 19simo reggimento
corazzato dopo aver assistito a fucilazioni di soldati che si
rifiutavano di andare in prima linea. Il colonnello Evgeny Ladnov,
nome in codice «Pioniere», sparava personalmente alle gambe dei
militari che non volevano marciare sulle linee ucraine, e rispediva
in trincea i feriti, oppure ordinava di mitragliarli. Ladnov è stato
ucciso due settimane fa in Donbas e le autorità hanno dovuto
chiudere i commenti sotto il suo necrologio, con decine di parenti
dei soldati che lo insultavano come «assassino». Stessa sorte è
toccata al comandante di brigata Pavel Klimenko, noto ai suoi
sottoposti della 5° brigata di fucilieri di stanza a Donetsk come
l'uomo che torturava i soldati nella prigione improvvisata in una ex
miniera. Decine sono le denunce inviate a Mosca, con tanto di video,
delle mogli e madri dei militari del reparto 09332, dove i soldati
vengono dichiarati «scomparsi» se non pagano il pizzo - per un
congedo, per una medaglia, per non venire inviati in prima linea -
ai comandanti. I riottosi che non vengono «azzerati» per mano dei
comandanti sono spediti all'attacco in «assalti da macello»,
attacchi praticamente suicidi che il comando russo pratica
quotidianamente nel Donbas, come denunciano anche i commentatori con
la Z del sostegno alla guerra nel simbolo: la blogger Anastasia
Kashevarova scrive che la durata media della vita di un arruolato al
fronte è di 17 giorni.
Denunce che però finora non hanno cambiato nulla. Degtyarenko è
stato ricatturato dalla polizia militare e rispedito al fronte
ucraino, in attesa di un probabile «azzeramento». Klimenko è stato
decorato da Putin come «eroe della Russia». Il tenente 22enne che ha
sparato «casualmente» ad Artyom Antonov è stato sospeso. Lo stesso
Artyom è stato raccontato nei necrologi ufficiali come un giovane
che ha «scelto di dare la sua vita per la patria». I suoi compagni
conoscono la verità sulla sua morte, ma come dice sua zia, «stanno
zitti, sono ancora nell'esercito, hanno paura di parlare, loro che
sono ancora vivi».
07.12.24
Deborah Compagnoni
"Sulla pista di Matilde troppi rischi oggi stiamo andando oltre i
limiti"
"
Rischi inutili
Le piste da sci Giovani
Daniela Cotto
Torino
«Il mondo dello sci deve riflettere. Troppa esasperazione, troppi
incidenti, diamo un'immagine falsata». Deborah Compagnoni riflette a
voce alta dopo la morte sul ghiacciaio della Val Senales di Matilde
Lorenzi, 19 anni, promessa della velocità azzurra. Ospite ieri al
convegno sul sistema dei controlli nelle società di montagna
organizzato a Cervinia, Nostra Signora della neve, tre ori olimpici
in tre edizioni differenti, unica italiana ad avere una bacheca così
prestigiosa, manda un segnale. Da icona, mamma e donna di alte
vette, dove ha vissuto un'infanzia felice e spensierata con i
fratelli, anche dando la caccia alle vipere, come racconta nel libro
"Una ragazza di montagna" (Rizzoli), chiede al circo bianco di
fermarsi e pensare. Lei, così connessa con se stessa e con la
natura, sportiva di altissimo livello, professionalità che le viene
riconosciuta in molti settori che la corteggiano per le consulenze
(dalla moda, ai convegni a quelle delle attrezzature sportive) si
espone pur con i suoi toni sempre equilibrati, per uno sport più
sicuro.
Deborah, gli ex azzurri Paolo De Chiesa e Piero Gros hanno sollevato
il caso della mancanza di sicurezza della pista della Val Senales,
dove è morta la giovane torinese. È d'accordo con loro?
«Sì. Ho letto. L'osservazione giusta è quella sui tracciati. Ci sono
tanti atleti in un rettangolo di neve. Rischiano tutti ma
sicuramente di più quelli che scendono sul bordo. Mi spiego. Se cadi
fuoripista puoi anche trovare delle rocce oppure un ostacolo».
Come è successo a Matilde?
«Purtroppo la povera Matilde ha fatto un errore. Ma non è che per un
errore devi rischiare la vita. Se quel tracciato fosse stato in
mezzo alla pista con meno tracciati, lei sarebbe caduta in un punto
diciamo "normale". Quando sciavo io non eravamo così costretti in un
fazzoletto di neve. C'era spazio e avevamo linee di fuga. Insomma,
era tutto più razionale. Invece oggi c'è troppa esasperazione».
Lancia un allarme?
«Piuttosto una riflessione seria e profonda che riguarda anche le
società degli impianti. Hanno costi troppi alti e, pur di lavorare,
ospitano squadre italiane, straniere, sci club con ragazzini di ogni
età. E questo può creare danni. Penso che ci siano tante cose da
rivedere. Ormai si sta andando oltre il limite».
Il concetto che spiega nel suo libro.
«I bambini devono essere liberi di giocare. L'infanzia è
fondamentale. Perché c'è qualcosa che ti resta dentro per sempre.
L'affetto dei genitori e crescere senza stress è fondamentale. Oggi
purtroppo i piccoli crescono con l'idea di essere ambiziosi, di
dover essere bravi. Ci sono troppe aspettative e poco equilibrio. Lo
sport di conseguenza diventa estremo».
A proposito. In Coppa del mondo sono aumentati gli atleti
infortunati. L'ultima della lista è Mikaela Shiffrin che, nonostante
la caduta, è stata salvata dalle reti. Che ne pensa?
«Ormai la stagione parte con molte defezioni. Questo accede a causa
della preparazione della pista, con neve troppo aggressiva, con il
ghiaccio. Ci dovrebbe essere una via di mezzo».
Come vede il rientro di Lindsey Vonn, al cancelletto di partenza a
40 anni?
«Si è sempre allenata. Ma è stata fuori sei anni, tanti per la Coppa
del mondo. Lei però ha il fisico e materiali su misura per lei.
Attendiamo tutti la sua prima gara».
Un commento sulle italiane?
«Federica Brignone ha vinto la prima gara e nella seconda stava
andando molto bene. Lei c'è sempre, è una delle punte della
Nazionale. Ora arriva il superG, la sua specialità. So che Sofia
Goggia è in forma, ha superato bene l'infortunio e spero che Bassino
si ritrovi. Poi ci sono le giovani: ho visto bene la Collomb in
slalom e in gigante, ha margini di miglioramento. Ci stupirà anche
Beatrice Sola. —
Un mercato da oltre 50 miliardi che consente di frenare i dazi
l1In cosa consiste l'intesa tra l'Ue e i Paesi del Mercosur? L'accordo siglato ieri tra la Commissione e i Paesi dell'area
(Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay) sancisce una partnership
politica, ma soprattutto economico-commerciale che porterà alla
nascita di una delle aree di libero scambio più vaste al mondo - con
un mercato di circa 700 milioni di cittadini - attraverso la
riduzione o l'azzeramento di dazi per una lunga serie di beni e
servizi, oltre che la rimozione di barriere agli investimenti.
l2Quali sono i vantaggi per l'Europa?
Ogni anno, l'Ue esporta in quell'area – che rappresenta un mercato
di 273 milioni di persone – circa 56 miliardi di euro di beni
(l'import di beni vale invece 53,7 miliardi), oltre a 28 miliardi in
servizi (l'import ne vale 12,3). A oggi sono in vigore dazi molto
alti, per esempio per l'export di molti prodotti nei settore dell'automotive,
tessile, cioccolato, alcolici e vino. Sono circa 60 mila le imprese
europee che esportano nell'area del Mercosur, tra cui 30 mila
piccole e medie imprese. Secondo la Commissione, il taglio dei dazi
sui prodotti esportati porterà a un risparmio di 4 miliardi di euro
e le procedure doganali saranno più semplici. L'intesa prevede
inoltre di garantire alle imprese Ue un accesso paritario agli
appalti nei Paesi del Mercosur e garantirà all'Europa una corsia
preferenziale per l'approvvigionamento di materie prime critiche.
l3Che impatto avrà sull'economia italiana?
L'Italia ha un surplus commerciale con il Mercosur di 1,2 miliardi:
l'export vale 7,2 miliardi di euro, l'import 6 miliardi. Sono circa
ottomila le imprese italiane che oggi esportano nell'area per un
totale di circa un milione di posti di lavoro.
l4E allora perché molti settori contestano l'accordo?
Perché ovviamente anche i Paesi del Mercosur potranno vendere più
facilmente e con meno dazi i loro prodotti in Europa. I settori più
in allarme sono quelli dell'agroalimentare che temono un'invasione
di prodotti sudamericani a basso costo e con standard inferiori.
l5Quali misure sono state introdotte per tutelare i produttori
europei nel settore agroalimentare?
Sono state stabilite quote per determinati prodotti, tra cui carne,
zucchero e miele, oltre a misure di salvaguardia da far scattare in
caso di distorsioni del mercato. Qualche esempio. Per quanto
riguarda la carne bovina che entrerà nel mercato Ue, ci sarà un
tetto massimo di 99 mila tonnellate (con dazio al 7,5%). Per il
pollame la quota a dazio zero sarà di 180 mila tonnellate (pari
all'1,4% del consumo Ue, mentre l'Ue esporta 2,2 milioni di
tonnellate). Per il riso, la quota annua a dazio zero sarà di 60
mila tonnellate (oggi l'import medio dal Mercosur è di 100 mila
tonnellate). L'accordo prevede inoltre il riconoscimento di 350
indicazione geografiche protette: non saranno ammesse, per fare un
esempio, le imitazioni di prodotti come il Parmigiano, il Prosecco o
il Prosciutto di Parma.
l6È vero che i prodotti importati dovranno sottostare a standard
meno rigidi?
Secondo la Commissione, tutti gli alimenti importati dovranno
rispettare gli standard sanitari e fitosanitari stabiliti dall'Ue e
ci sarà un "solido sistema di controlli". Bruxelles rivendica
inoltre di aver inserito una clausola che obbligherà i Paesi del
Mercosur a rispettare gli accordi di Parigi sul Clima, pena la
sospensione dell'intesa, e li impegnerà ad adottare misure per
fermare la deforestazione a partire dal 2030. MA. BRE. —
Famiglie senza nidi giulia ricci
Oggi, in Piemonte, poco più di tre bambini su 10 trovano un posto
negli asili nido pubblici. E la retta media di una struttura
privata, per chi lascia il proprio figlio a tempo pieno, è di 620
euro al mese.
Giovedì la Regione ha presentato il piano "Vesta", 34 milioni di
euro divisi in tre anni da destinare alle famiglie con un Isee
inferiore ai 35-40 mila euro attraverso voucher da mille euro
ciascuno. Le spese che saranno "rimborsate" dal prossimo anno
riguardano appunto le rette delle scuole per i bimbi 0-6 anni, i
corsi di danza o psicomotricità, il baby-sitting. Ma, dopo la
polemica del «logo neofascista» (l'Inno di Vesta era quello della
Gioventù italiana del Littorio), il Pd torna sul tema parlando di
politiche di Welfare: «Ai cittadini – attaccano il segretario
piemontese Domenico Rossi e la capogruppo Gianna Pentenero – non
servono le mance da accaparrarsi con il click-day, nella solita
guerra scatenata tra chi è in difficoltà, ma i diritti sanciti nella
Costituzione. Quelli che la destra sta devastando a tutti i livelli.
Invece dell'ennesimo bonus si investa su asili nido, scuola, sanità
e uguaglianza di genere. Solo queste misure daranno una mano alla
natalità: il resto è propaganda. La giunta può azzerare la retta dei
nidi per le famiglie meno abbienti se vuole davvero fare qualcosa di
concreto. Altre regioni lo hanno fatto».
In Lombardia chi ha un Isee inferiore ai 20 mila euro non paga
l'iscrizione dei piccoli nel pubblico, in Toscana lo sconto arriva
fino a 528 euro al mese. Tutto al netto del bonus nazionale, grazie
al quale anche a Torino le famiglie in difficoltà pagano una quota
di 55 euro per il tempo pieno. La giunta Cirio, invece, ha investito
1 milione per prolungare gli orari in 68 comuni.
Ma il problema è il numero di posti risicato, che costringe i
genitori piemontesi a mandare i propri figli nel privato: secondo i
dati di OpenPolis, la nostra Regione rimane al dodicesimo posto su
20, con il 32,7% di posti per la fascia 0-2 anni ogni cento
abitanti. Se nel Consiglio europeo di Barcellona, nel 2002, l'Unione
aveva imposto la soglia del 33%, dopo il Covid l'ha ristabilita al
45%. Ad abbassare la media piemontese sono il Vco, Alessandria, Asti
e Cuneo (sotto il 29%), mentre Torino arriva al 38%: «Per questo non
abbiamo potuto accedere ai fondi Pnrr per aumentare i posti – spiega
l'assessora all'Istruzione Carlotta Salerno –, ma siamo stati
ripescati per la costruzione di due nuovi poli in via Pietro Giuria
e via Verolengo. Stiamo lavorando, anche con Compagnia di San Paolo,
a servizi integrati: le ludoteche che diventeranno poli
pluriarticolati e offriranno un servizio di baby parking di livello
anche ad alta intensità». In città i posti totali sono 15.592, di
cui 7.497 nel nido pubblico e 2.561 nel privato; in Piemonte su
27.124, 11.606 sono statali e 3.351 di privati.
Non va meglio sui pediatri: il vecchio accordo collettivo nazionale
prevedeva che ogni pediatra non potesse avere più di 800 piccoli
pazienti; in Piemonte l'86, 7% dei medici supera questo numero e ha,
in media, 1. 281 piccoli in carico. Nel 2023 i bambini con meno di
due anni erano 78.887, contro i 112.695 del 2012. Così in una sorta
di circolo vizioso, la mancanza di welfare (unito ad altri svariati
fattori, dal costo degli affitti alla disoccupazione) non fa che
diminuire la volontà di fare figli; ma la mancanza di bambini nella
fascia 0-2 anni è anche il motivo per cui la nostra Regione ha
ricevuto una quota inferiore di soldi europei (meno di due mila euro
ad abitante) rispetto ad altri territori del Paese (l'Abruzzo e il
Molise ne hanno ricevuti, rispettivamente, 6 e 10 mila) utili
proprio ad aumentare quei servizi di welfare oggi mancanti. —
sonoi vertici della "Milano Rottami" di Salassa
Cinque a giudizio per traffico illecito di materiali ferrosi Acquistavano e rivendevano grandi quantitativi di materiale
ferroso di dubbia provenienza, violando la normativa sullo
smaltimento di rifiuti pericolosi. Tonnellate di rifiuti venivano
contabilizzate in maniera falsa per mascherarne l'effettiva origine,
con l'obiettivo di aggirare la normativa ambientale e ottenere
enormi guadagni. I rottami metallici, che avrebbero dovuto essere
sottoposti a costosi e regolamentati trattamenti di recupero,
venivano invece immessi sul mercato senza le necessarie
certificazioni.
La pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, Laura
Ruffino, ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro imprenditori
canavesani e un brianzolo. Tra gli indagati figurano i vertici della
Milano Rottami srl di Salassa: il presidente del Cda Giuseppe
Milano, l'amministratore Alessandro Milano e la dipendente
amministrativa Francesca Milano, oltre a Marina Crua, responsabile
della contabilità e della redazione dei formulari per la raccolta e
la verifica del materiale ferroso. Chiesto il rinvio a giudizio
anche per Roberto Roncalli, socio unico della Metal Scrap srl di
Triuggio (Monza Brianza).
Secondo l'accusa avrebbero aggirato le normative fiscali e
ambientali attraverso un vasto traffico illecito di rifiuti e la
falsificazione di documenti contabili. L'inchiesta aveva
inizialmente coinvolto 51 persone, indagate a vario titolo per
associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale, al
traffico illecito di rifiuti e all'occultamento o distruzione di
documentazione contabile.
L'indagine, condotta dalla Guardia di Finanza di Lanzo, ha coinvolto
più aziende dell'Alto Canavese, l'area industriale del Canavese
definita "la Piccola Ruhr" per il ruolo cruciale nell'economia
locale. I militari hanno scoperto che la Milano Rottami srl - in
liquidazione - avrebbe acquistato e venduto oltre 54 mila tonnellate
di materiale ferroso "in nero" per un controvalore complessivo di
circa 10 milioni di euro. Di questa cifra, più della metà delle
transazioni era stata regolata in contanti, in violazione delle
norme sulla circolazione valutaria. L'indagine è in corso per
valutare le posizioni degli altri soggetti. a. buc
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dic 2024 18:30
QUAL E' IL PUNTO IN CUI LA RICCHEZZA DIVENTA IMMORALE? - NEL MONDO
CI SONO 2.682 MILIARDARI CHE HANNO ACCUMULATO UNA RICCHEZZA PARI A
14 MILA MILIARDI DI DOLLARI, PARI A SETTE VOLTE IL PRODOTTO INTERNO
LORDO ITALIANO – IN ITALIA 62 SUPER PAPERONI SI GODONO 200 MILIARDI
DI DOLLARI - SI TRATTA DEI SOLITI NOTI: DA GIOVANNI FERRERO AGLI
EREDI DI LEONARDO DEL VECCHIO - ECCO I MILIARDARI NOSTRANI…
Estratto dell’articolo di F. Ber. per il “Corriere della Sera”
Sette volte il prodotto interno lordo italiano. A tanto ammonta la
ricchezza accumulata dai 2.682 miliardari, secondo Ubs, la banca
svizzera di fiducia per molti Paperoni. Il loro patrimonio si
attesta a 14 mila miliardi di dollari ed è più che raddoppiato negli
ultimi 10 anni, a un tasso del 121% superiore rispetto al rialzo
messo a segno dall’indice azionario globale (+73%). La crescita non
è dovuta tanto all’aumento del numero assoluto dei miliardari quanto
all’incremento delle loro fortune individuali.
La polarizzazione è evidente persino all’interno del ristretto club
dei Paperoni: la quota di ricchezza della top 100 sul totale è
passata 32,4% del 2015 al 35% del 2024. La ragione di questa
concentrazione è da ricercare soprattutto nell’ascesa degli
imprenditori tecnologici che grazie al boom di social, cloud e
intelligenza artificiale hanno rapidamente scalato la classifica dei
magnati.
A livello globale, infatti, il 60% dei miliardari è self-made, deve
cioè le sue fortune al successo delle aziende che ha fondato. Questo
vale soprattutto per economie dinamiche come gli Stati Uniti e il
continente asiatico, dove i miliardari che si sono fatti da sé sono
oltre il 70% del totale. Diverso il discorso in Europa occidentale,
dove il 52% dei Paperoni lo è per dinastia.
La quota di magnati per diritto di successione […] passaggio
generazionale non sarà sempre semplice, anche perché, nel frattempo,
le famiglie dei Paperoni sono diventate più numerose: il numero dei
loro figli è cresciuto da 4.136 del 2015 ai 6.641 del 2024.
L’Italia, da questo punto di vista, ha giù una certa esperienza. Gli
ereditieri sono il 60% dei 62 miliardari residenti nel Paese, che
nell’insieme detengono un patrimonio di quasi 200 miliardi di
dollari (+23%, uno degli incrementi più rilevanti in Europa).
Fra i miliardari italiani, scorrendo la classifica Forbes, ci sono
Giovanni Ferrero, patron dell’omonimo gruppo della Nutella gli eredi
di Leonardo del Vecchio, fondatore di Luxottica, gli stilisti
Giorgio Armani e Miuccia Prada, Piero Ferrari, secondo socio della
casa di Maranello, l’imprenditore della farmaceutica Sergio
Stevanato, Massimiliana Landini Aleotti, proprietaria di Menarini.
Fra i più recenti ingressi ci sono quelli dei fondatori di Tether,
Paolo Ardoino e Giancarlo Devasini, quello di Andrea Pignataro,
numero uno del gruppo di servizi finanziari Ion. Il numero dei
Paperoni è cresciuto di otto unità nell’ultimo anno, secondo Ubs, un
aumento significativo che potrebbe dipendere dalla creazione di
nuove fortune e dal trasferimento in Italia di Paperoni stranieri,
attratti dal generoso regime fiscale.
Uno dei fenomeni segnalati dall’analisi di Ubs è infatti la
crescente tendenza dei miliardari a emigrare. Negli ultimi quattro
anni hanno cambiato Paese 176 Paperoni, portando con sé un
patrimonio di circa 400 miliardi di dollari. Le mete preferite?
Svizzera, Emirati Arabi Uniti, Singapore e gli Stati Uniti. […]
06.12.24
Bucarest avvia un'inchiesta sulle elezioni
Washington: "Ingerenze russe in Romania" Gli Stati Uniti chiedono un'inchiesta sulle influenze della
Russia sulle elezioni presidenziali e legislative in Romania,
importante alleato di Washington nella Nato, dopo che - a pochi
giorni dal secondo turno delle presidenziali di domenica - il
Consiglio supremo della difesa nazionale a Bucarest ha
declassificato documenti in cui si denuncia una «azione ibrida
aggressiva della Russia» sulle elezioni che ha portato al risultato
sorprendente, al primo turno, del candidato estrema destra,
filorusso e populista Calin Georgescu e a più del 30% dei voti per
le forze di estrema destra alle legislative. La Romania è stata
oggetto di azioni coordinate, in modo particolare sui social, in
vista del primo turno delle presidenziali lo scorso 24 novembre. La
vittoria di Georgescu è stata il risultato di una campagna
orchestrata con ogni probabilità da «un attore statale».
La Russia ha sostenuto il sostegno di Georgescu su TikTik con
diversi metodi, inclusi account coordinati, algoritmi per rafforzare
la sua presenza sulla rete e promozioni a pagamento. Sono stati
reclutati influencer per promuovere Georgescu sia in modo diretto,
con messaggi di sostegno, che indiretto, con messaggi neutrali ma
contenenti etichette a lui associate. Decine di account TikTok hanno
usato il logo dei servizi di intelligence e il titolo di Brigata
anti terrorismo, con migliaia di follower e centinaia di migliaia di
like. Una campagna costata, secondo il Consiglio supremo di difesa
della Romania (Csat), oltre il milione di euro, laddove Georgescu ha
invece dichiarato zero spese elettorali.
Ieri Georgescu è finito sotto inchiesta da parte della magistratura
romena. Le indagini mirano a determinare se la promozione su TikTok
abbia utilizzato metodi vietati dalla legge elettorale r e se nel
processo si sia verificato un riciclaggio di denaro. —
Blitz contro la 'ndrangheta a Brescia. Coinvolti un ex assessore
leghista e un medico ex FdI La religiosa accusata di fare da
collegamento con i detenuti. Il boss: "La monaca è dei
nostri"
Dal volontariato ai domiciliari La parabola di suor Anna "Era al
servizio delle cosche"
niccolò zancan
Viscido è ciò che può sembrare ma non è. Viscido è qualcosa di molto
scivoloso. «C'è un radicamento mafioso viscido che rende difficile
il nostro lavoro», ha detto il procuratore capo di Brescia Francesco
Prete. Ieri mattina, spiegava il risultato di un'inchiesta lunga
quattro anni su un'associazione mafiosa ‘ndranghetista che
imperversava nel ricco Nordest italiano.
Venticinque misure cautelari. Dalla provincia di Brescia, le
perquisizioni si sono allargate a quelle di Milano, Como, Lecco,
Varese, Verona, Viterbo, Treviso e Reggio Calabria. I reati
ipotizzati: traffico d'armi, traffico di droga, ricettazione, usura,
reati tributari, scambio di voti e riciclaggio.
Nella carte compaiono sparatorie in autostrada, auto clonate,
cocaina, fucili a pompa, picciotti e camorristi, la santa,
maledizioni e compari. «L'ho picchiato, quel cornuto». «Mamma mia,
mi è venuta una rabbia, veramente lo ammazzo». Un milione e 800 mila
euro sotto sequestro. E in tutto questo crimine, fra i movimenti
della locale bresciana con a capo, secondo l'accusa, Stefano e
Francesco Tripodi, ecco il radicamento viscido. I tre indagati che
non ti aspetti, o che ti aspetti di meno, tutti e tre finiti agli
arresti domiciliari. L'imprenditore Mauro Galeazzi, ex esponente
della Lega nel Comune di Castel Mella e assessore all'Urbanistica,
che avrebbe chiesto un prestito alla cosca per risolvere un suo
problema di liquidità, salvo finire invischiato in un giro di
scambio di voti. Il dottor Giovanni Acri, urologo, già consigliere
comunale di Fratelli d'Italia a Brescia, colui che poteva suturare
le ferite di un rapinatore ferito durante l'assalto a un
portavalori. Parlando del magistrato Nicola Gratteri con un altro
indagato lo definiva così: «Figlio di puttana». E poi, c'è lei, una
novità quasi assoluta nelle inchieste di mafia: «La monaca». Così
era chiamata nelle intercettazioni suor Anna Donelli, 57 anni,
originaria di Cremona, conosciuta fra i carcerati anche con il
soprannome di «Collina», per l'abilità nell'arbitrare le partite di
pallone.
Per gli investigatori, suor Anna Donelli era il tramite della cosca
fra il dentro e il fuori dal carcere. Ecco come viene descritta: «A
disposizione del sodalizio, per garantire il collegamento con i
detenuti, approfittando dell'incarico spirituale che le consentiva
di avere libero accesso alle strutture penitenziarie».
Un'intermediaria, insomma. Che avrebbe aiutato i membri del clan
aggirando «il divieto di colloquio e favorendo lo scambio
informativo tra i carcerati e i loro congiunti per meglio
pianificare strategie criminali di reazione alle attività
investigative delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria».
Intermediaria, ma anche paciere: «Risolveva dissidi e conflitti tra
i detenuti all'interno del carcere». Suor Anna Donelli è accusata di
concorso esterno in associazione mafiosa. Stefano Tripodi, con
l'intenzione di rassicurare uno del clan, della monaca arriva a
dire: «È dei nostri». E ancora, ribadisce: «Se ti serve qualcosa
dentro, lei è dei nostri».
Chi conosce suor Anna non riesce a credere neanche lontanamente a
tutto questo. Sorella della Confraternita della Carità, oltre che
nel carcere di Brescia, era impegnata a San Vittore e con i ragazzi
del Beccaria di Milano. Lì ha conosciuto don Claudio Burgio, così ha
fatto la volontaria anche per la comunità Kayròs che si occupa del
reinserimento degli ex detenuti. «Non può essere vero, suor Anna è
molto brava e gentile, si è sempre mossa nei binari della
correttezza», dice una volontaria.
In uno scritto datato 2023, suor Anna Donelli aveva raccontato la
sua storia: «Non ho passato una bella infanzia e adolescenza, tranne
che a scuola o con gli amici fuori casa. Sono nata rifiutata e non
potevo capire - come tutti i bambini - i problemi degli adulti (i
miei genitori). Incassavo e cercavo di proteggere la mia sorella
gemella e un'altra sorella, ero molto, molto timida e certamente
insicura. Nella pre-adolescenza e nell'adolescenza mi sentivo e
credevo "un nulla". Ci facevamo forza - come non so - io e la mia
sorella gemella. A 21 anni ho iniziato il cammino per diventare
suora, Qualcuno inaspettatamente mi ha scelta: "un nulla" graziato».
Poi racconta dei lutti della sua vita, della morte della sorella
gemella in un terribile incidente stradale con colpa del camionista
investitore. Per arrivare a questa frase, che spiega il significato
del suo incontro con i detenuti: «Dal 2010 frequento il carcere e da
suora sono stata a tempo pieno in periferie di Pavia, Roma e Milano,
e questa palestra di umanità ha trasformato il mio sguardo, che ha
iniziato a vedere prima di tutto e sopra tutto la persona, l'uomo
che mi sta davanti sia nell'autore del reato, sia in chi lo subisce,
anche perché queste due dimensioni sono presenti anche dentro di me:
grano e zizzania».
È lei, la suora del grano e della zizzania, ciò che adesso è
difficile comprendere nell'inchiesta coordinata dalla Direzione
distrettuale antimafia di Brescia. Sono arrivati al suo nome
seguendo i movimenti «della locale legata alla ‘ndrangheta di
Sant'Eufemia d'Aspromonte e da rapporti federativi alla cosca
Alvaro, egemone nella zona aspromontana compresa tra i Comuni di
Sinopoli e Sant'Eufemia d'Aspromonte». Una storia di mafia. Che
finisce in un convento di suore. È questo forse «il viscido», il
lato scivoloso dell'inchiesta.
Il format e il nodo del marchio Un affare da 60 milioni di euro
michela tamburrino
roma
Il Festival di Sanremo senza Sanremo potrebbe anche esistere
semplicemente cambiando sfondo. Il Festival di Sanremo senza la Rai
invece è impensabile. E non è che qualcuno in passato non abbia
accarezzato questa idea ma, considerando tutti gli aspetti tecnici,
organizzativi ed economici, si è presto tirato indietro. Sarà
perché, oltre il brand, il format dei cinque giorni di rassegna per
come è concepito ancora oggi, è della Rai, graziosamente concesso da
Pippo Baudo che lo inventò. Sembra c'entri poco ma persino il Giro
d'Italia, una sorta di festival della bicicletta, che Mediaset
acquisì felice, fu immediatamente respinto al mittente per quel che
comportava.
Dunque, in attesa che la Rai faccia ricorso al Consiglio di Stato,
contro la sentenza del Tar della Liguria che ha giudicato
illegittimo l'affidamento del Festival di Sanremo alla Rai, ricorso
oramai certo, vale la pena ricordare che il Festival della Canzone
Italiana, complessivamente produce 60 milioni di euro di ricavi,
secondo quanto realizzato dal market watch di Banca Ifis che ne ha
misurato il valore economico e sociale. Di questi 60 milioni, 42
sono riconducibili alla raccolta pubblicitaria di Rai mentre 18,4
sono legati all'impatto delle attività del Festival stesso sul
territorio. Accorrono a vedere il Festival, più relativo immenso
indotto, 41.000 persone, con ricadute che interessano gli alloggi
(8,8 milioni di euro), ristorazione (2 milioni di euro) e shopping
che include Casinò e ticketing per l'evento. La Rai eroga al Comune
organizzatore sui 5 milioni di euro, una cifra di cui si rifà
abbondantemente grazie alla raccolta pubblicitaria, in crescita
rispetto al 2022 e al 2023. A spingere verso l'alto la corsa
pubblicitaria sono i dati d'ascolto che hanno garantito una media di
10 milioni di telespettatori per le 5 serate. Questo, nonostante il
periodo della pandemia abbia colpito il Festival e tutto il comparto
dello spettacolo, si è superato del 2% il livello pre-Covid del
2019.
Si sa, la musica occupa un posto importante nella vita degli
italiani, stando almeno alle ore dedicate all'intrattenimento
cantato: 20,5 ore settimanali di ascolto e perciò un sentito grazie
va agli ingorghi stradali e a tutto il tempo che gli italiani
passano imbottigliati in auto. Questo porta il mercato discografico
in buona salute. Dai dati 2022 che quello italiano è il decimo
mercato discografico rispetto al suo valore. —
Accolto il ricorso che sospende di nuovo il provvedimento antimafia
emesso dalla Prefettura: "Si consenta la prosecuzione delle grandi
opere"
Interdittiva a Cogefa nuovo dietrofront Il Consiglio di Stato
riabilita il colosso
Su La Stampa
giuseppe legato
Con un'altalena di decisioni (tre) una contraria all'altra, il
Consiglio di Stato, ieri pomeriggio, ha accolto il ricorso d'urgenza
presentato dai legali del colosso delle costruzioni Co.ge.fa colpito
da un'interdittiva antimafia a seguito di un'inchiesta che ha
coinvolto i suoi ex vertici (in particolare la famiglia Fantini). E
ha concesso la sospensiva riabilitando nei fatti – e fino
all'udienza di merito fissata per il prossimo 9 gennaio – l'azienda
impegnata in diverse grandi opere, alcune collegate al Tav e altre
sul Tenda. Ed è proprio con questa motivazione che i giudici del
massimo organo di giustizia amministrativa hanno adottato il
provvedimento "che va sospeso – si legge nel corpo della pronuncia
firmata dalla Presidente Rosanna De Nictolis - al solo fine di
consentire la prosecuzione dei rapporti contrattuali già in corso
alla data odierna e delle eventuali gare per le quali alla data
odierna sia già stata presentata domanda di partecipazione". Nel
merito, argomentano i giudici, il ricorso dei legali Carlo Merani e
Saverio Sticchi Damiani è tutt'altro che infondato. Anzi: "Presenta
elementi di fumus che devono essere approfonditi nel merito sotto il
profilo della attualità degli elementi riscontrati". L'attualità è
collegata al rischio – ancora insistente oppure ormai lontano - di
infiltrazione delle cosche mafiose all'interno della società. Non
solo, il Consiglio di Stato sottolinea come nel caso di
estromissione tout court di Co.ge.fa dagli appalti milionari a cui
partecipa "sussista un pericolo di pregiudizio gravissimo non
suscettibile di adeguato ristoro economico ex post".
A dire il vero è complicato per molti (se non per tutti) cogliere
una linearità strutturata nella sequenza di pronuncia che si sono
succedute. Dopo l'emissione dell'interdittiva il Tar, pronunciandosi
sulla sospensiva, aveva messo in forte discussione anche i cardini
del documento emesso dalla Prefettura al termine di un'articolata
istruttoria del gruppo interforze. Poche settimane dopo però lo
stesso tar, chiamato a esprimersi in seduta collegiale – aveva
riconfermato l'interdittiva. Ieri ennesimo colpo di scena.
Gli elementi che hanno portato all'emissione dell'interdittiva
derivano dall'inchiesta Echidna della Dda di Torino (pm Valerio
Longi) che ha messo nel mirino le contiguità tra i gruppi
di'ndrangheta dei Pasqua (San Luca) e di Platì (Volpiano) oltre che
di una 'ndrina distaccata dei Crotonesi nella gestione dei
subappalti dell'autostrada A32. In quell'operazione è finito ai
domiciliari Roberto Fantini per anni al vertice di Co.ge.fa e i
rapporti con esponenti della 'ndrangheta sono stati ricostruiti
anche in capo al fondatore Teresio Fantini (deceduto anni fa). Tra
pochi giorni nel merito si scriverà la parola fine, anche se nel
frattempo si fa sempre più strada l'ipotesi di un'amministrazione
giudiziaria che consenta a Co.ge.fa di salvaguardare i livelli
occupazionale (irrimediabilmente a rischio di compromissione da uno
stop dell'Antimafia) e concludere le grandi opere della cui
costruzione è affidataria. —
05.12.24
La struttura con oltre 200 dipendenti è stata accorpata alla task
force per l'attuazione del Recovery, ma finirà sotto il controllo
diretto di Von der Leyen Nessun italiano nei gabinetti che si
occuperanno di Concorrenza e Competitività. Stabilita la gerarchia
dei sei vicepresidenti: l'ex ministro è l'ultimo
il messaggio
Fitto perde la direzione generale per le Riforme Dominio
franco-tedesco tra gli alti funzionari Ue
I nuovi vertici
Meloni: "Per l'Italia un risultato storico facciamo squadra" MARCO BRESOLIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
«Raffaele!» . Quando Ursula von der Leyen ha fatto il giro del
tavolo per salutare uno a uno i suoi nuovi commissari alla prima
riunione ufficiale, si è avvicinata a Fitto per un doppio bacio
sulle guance. Poi il neovicepresidente, abito scuro e la consueta
cravatta azzurrina, si è seduto al suo posto tra l'Alto
Rappresentante Kaja Kallas e l'inossidabile Valdis Dombrovskis, con
il quale dovrà condividere il dossier del Recovery Fund. Con
un'importante novità che è stata certificata alla riunione di ieri
mattina, durante la quale la presidente ha dettagliato la
distribuzione delle responsabilità: l'ex ministro del governo Meloni
conserverà le deleghe alle politiche di Coesione e alle Riforme, ma
– a differenza della portoghese Elsa Ferreira che lo ha preceduto in
quel ruolo –, perderà la guida della direzione generale per le
Riforme, destinata a diventare sempre più cruciale in vista della
possibile riforma del bilancio che punta a legare la distribuzione
dei fondi Ue all'effettiva realizzazione delle riforme da parte dei
singoli Stati. La struttura per la quale lavoravano circa 200
funzionari (e che fino a marzo aveva come direttore generale un
italiano: l'ex presidente della Consob, Mario Nava) verrà infatti
affiancata alla task force Recovery e inglobata nel segretario
generale della Commissione. Dunque, finirà sotto il diretto
controllo di von der Leyen.
Nella contesa con il Parlamento europeo, la presidente della
Commissione aveva difeso a spada tratta la nomina di Fitto a
vicepresidente esecutivo, ma ora che l'esecutivo si è ufficialmente
insediato, iniziano a emergere con chiarezza gli equilibri interni a
Palazzo Berlaymont. Anche quelli tra i sei vicepresidenti. Von der
Leyen ha messo nero su bianco l'ordine gerarchico, che servirà per
esempio a stabilire chi avrà il compito di presiedere le sedute in
caso di assenza della tedesca: la prima in grado è la spagnola
Teresa Ribera, seguita nell'ordine dalla finlandese Henne Virkkunen,
dal francese Stéphane Séjourné, dall'estone Kaja Kallas e dalla
romena Roxana Minzatu, mentre Fitto risulta essere l'ultimo della
lista.
Un altro importante metro per misurare l'influenza di un Paese
all'interno del collegio dei commissari è quello della presenza di
connazionali nei gabinetti e in particolare di quelli che hanno il
grado di capo di gabinetto o di vice. Sono infatti loro a preparare
le riunioni settimanali del collegio e a negoziare sui testi dei
singoli provvedimenti: avere più funzionari del proprio Paese al
tavolo aiuta indubbiamente a esercitare la propria influenza. Così
come è fondamentale avere dei connazionali all'interno di quei
gabinetti che lavorano ai provvedimenti più importanti. Ma i
risultati dicono che per l'Italia non è andata benissimo,
specialmente se si fa il confronto con la Germania e la Francia che
confermano il loro dominio nei posti-chiave.
Durante tutta l'estate, è andata in scena un'intensa trattativa tra
le diplomazie dei 27 e la Commissione per "piazzare" i propri uomini
e le proprie donne migliori. Ogni Paese aveva una lista di
funzionari da sponsorizzare, ma a quanto risulta per l'Italia gli
elenchi erano almeno tre. Diverse fonti al corrente dei negoziati
confermano che, accanto alla lista ufficiale della rappresentanza,
ce n'era anche una di Palazzo Chigi gestita dal sottosegretario
Giovanbattista Fazzolari e pure una con i funzionari "storici" più
vicini al Pd. Il risultato è il minimo sindacale: ci sarà un solo
capo di gabinetto italiano su ventisette. Si tratta di Vincenzo
Matano, apprezzato funzionario di lungo corso al Parlamento europeo,
che guiderà il team di Raffaele Fitto, con il quale aveva già
lavorato proprio all'Eurocamera nel gruppo dei Conservatori.
Dopodiché l'Italia è riuscita a piazzare solo due vicecapi di
gabinetto da due commissari che tra l'altro ricadono già sotto la
supervisione di Fitto: Pierpaolo Settembri lavorerà con il greco
Apostolos Tzitzikostas (Trasporti) e Francesca Arena con il cipriota
Costas Kadis (Pesca e Oceani). In totale sono circa una decina gli
italiani sparsi negli uffici dei commissari, ma a oggi non ce n'è
neanche uno nella squadra della vicepresidente Ribera (che oltre
alla Transizione Ecologica si occuperà dei dossier cruciali della
Concorrenza) e nemmeno in quello del francese Séjourné (responsabile
della Competitività). Evidentemente i rapporti non ottimali con
Madrid e Parigi non hanno aiutato.
Di tutt'altro tenore i risultati ottenuti dai tedeschi e dai
francesi. La Germania ha ben quattro capi di gabinetto (che
guideranno i team di von der Leyen, Dombrovskis, Sefcovic e
Zaharieva) e cinque vice, mentre la Francia – nonostante un governo
traballante – ha un solo capo di gabinetto, ma ben sette vice (tra
cui quelli della presidente von der Leyen e dell'Alto Rappresentante
Kallas).
Massacro a Nuseirat. L'esercito ordina l'evacuazione dei civili da
Beit Lahia, nel Nord della Striscia Recuperato il corpo di Itai
Svirsky, 38 anni, rapito nel Kibbutz Beeri e assassinato durante la
prigionia
Raid sulla fila per il pane uccisi 4 bambini a Gaza Trovato morto un
ostaggio nello del gatto
gerusalemme
A Gaza la guerra continua a mietere vittime, sia tra i locali che
tra gli ostaggi. Almeno cinquanta le vittime, anche minori,
denunciate dai palestinesi per attacchi israeliani mentre in una
operazione di esercito e Servizi dello Stato ebraico, è stato
recuperato il corpo di un ostaggio, portato vivo a Gaza e qui ucciso
da miliziani di Hamas.
Ci sarebbero anche quattro minori fra le vittime questa mattina
dell'attacco di un drone israeliano. Secondo fonti palestinesi, un
velivolo senza pilota avrebbe sganciato un ordigno nel campo di
Nuseirat, al centro della Striscia di Gaza, su un punto di
distribuzione di cibo e una casa. Cinque le vittime in tutto.
L'attacco è avvenuto su una strada del campo profughi dove c'è una
cucina che serve la comunità circostante. Molte le persone in fila
che attendevano che dalla cucina cominciasse la distribuzione del
cibo.
In tutta la Striscia sono stati aperti centri di distribuzione di
cibo preparato in cucine comuni, gestite per lo più da
organizzazioni non governative o da gruppi locali. Nei giorni
scorsi, in un attacco, è morto uno dei cuochi più impegnati in
attività del genere.
I rifugiati camminano per diversi chilometri per riuscire ad
assicurare a loro e alle loro famiglie una razione quotidiana di
cibo o di pane, nelle poche panetterie aperte, a causa non solo
della mancanza di farina, ma soprattutto del carburante per far
andare avanti i forni.
Sarebbero invece una ventina le vittime tra i rifugiati del campo di
Al-Mawasi, nei pressi di Khan Yunis. Pochi giorni fa dai pressi del
campo fu un razzo verso il Sud d'Israele, l'esercito aveva quindi
emesso un ordine di evacuazione. Il 13 luglio, nel bombardamento di
una palazzina adiacente al campo profughi di Al-Mawasi, è stato
ucciso Mohammed Deif, l'ex primula rossa e capo delle Brigate al
Qassam, il braccio armato di Hamas, la cui morte non è mai stata
confermata dal gruppo di Gaza, tant'è vero che è destinatario del
mandato di cattura come Gallant e Netanyahu dalla Corte penale
internazionale.
I palestinesi, denunciano che droni israeliani hanno colpito anche
altre zone della Striscia, soprattutto quella Nord dove l'esercito
ha ordinato l'evacuazione di un'area di Beit Lahia. In centinaia
hanno lasciato l'area e da Gaza denunciano che l'esercito,
attraverso velivoli senza pilota, avrebbe fatto fuoco su loro.
In un comunicato, il premier Benjamin Netanyahu ha informato che è
stato recuperato in una operazione militare nella Striscia, il corpo
di Itai Svirsky, 38 anni, rapito nel Kibbutz Beeri, assassinato
durante la prigionia e il suo corpo tenuto in ostaggio nella
Striscia di Gaza. I militari hanno anche informato che i risultati
di un'investigazione spiegano che i sei ostaggi i cui corpi furono
recuperati ad agosto in un tunnel di Khan Yunis, sono stati uccisi
dai carcerieri a febbraio. In quella occasione, l'aviazione effettuò
raid contro il luogo dove si trovavano perché erano a conoscenza
della presenza di miliziani e di alti esponenti di Hamas, non di
ostaggi. Quando mesi dopo trovarono i corpi dei sei, che erano stati
trasferiti in quel tunnel da diverse settimane, l'esercito recuperò
anche i corpi di miliziani, uccisi dalle conseguenze dei
bombardamenti, non da armi da fuoco come gli ostaggi. È possibile
che questi ultimi sarebbero comunque morti come i miliziani a causa
delle bombe se non fossero stati uccisi prima. Per questo, alcuni
familiari degli ostaggi morti e di altri a Gaza, insistono per un
accordo a ogni costo, perché la pressione militare ha portato,
secondo loro, già troppi a morire. In una nota interna di Hamas
diffusa dall'agenzia Reuters, il gruppo di Gaza ha minacciato di
uccidere gli ostaggi ancora nelle sue mani se Israele avesse tentato
una operazione di salvataggio come a giugno.
La diplomazia però non dispera. Oggi voleranno al Cairo mediatori
israeliani con in testa il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, per
discutere con gli egiziani di una nuova proposta preparata da
questi, per un accordo su tregua e liberazione degli ostaggi da
Gaza. —
Corea del Sud: per l'allontanamento serve una maggioranza
qualificata, con almeno otto voti del partito di governo, che però
si dice contrario
Seul, il presidente verso l'impeachment La piazza: "Un traditore,
vada in carcere" lorenzo lamperti
seul
A Seul si sono riaccese le candele. Il simbolo della rivoluzione del
2017, che culminò con l'impeachment dell'allora presidente Park
Geun-hye, è ricomparso nelle strade e nelle piazze di tante città
della Corea del Sud. Come allora, i manifestanti sperano che servano
a proteggere la democrazia conquistata col sangue poco più di tre
decenni fa. Il loro obiettivo è solo uno: le dimissioni di Yoon
Suk-yeol. Il presidente conservatore ha fatto ripiombare i
sudcoreani negli incubi del passato, con le immagini dei blindati su
piazza Gwanghwamun che hanno improvvisamente ripreso forma e 280
militari che assediavano l'Assemblea nazionale nel tentativo di
evitare il voto sulla revoca della legge marziale appena imposta.
Alle manifestazioni pacifiche di protesta si somma uno sciopero
generale che si sta allargando a macchia d'olio. La più grande
coalizione sindacale della Corea del Sud è in mobilitazione e ha
dichiarato che decine di migliaia di persone non torneranno al
lavoro fino alle dimissioni di Yoon. Compresi centinaia di medici,
sul piede di guerra già da diversi mesi per un braccio di ferro col
governo sulle quote di accesso alla professione.
Yoon resta in silenzio, ma non sembra intenzionato a cedere. Poco
prima della mezzanotte, i sei partiti dell'opposizione hanno
depositato una richiesta di impeachment, che sarà votata entro
sabato. «È un traditore della patria», ha detto Lee Jae-myung,
leader del Partito democratico, arringando la folla di fronte al
parlamento. Dopo aver stravinto le legislative dello scorso aprile,
l'opposizione ha un'ampia maggioranza in aula. Ma per approvare
l'impeachment servono almeno otto voti del Partito del Potere
Popolare. Per larga parte della giornata sembrava un'ipotesi quasi
scontata, visto che la stessa forza di governo ha preso le distanze
dalle mosse di Yoon, interessato anche a difendere la moglie dalle
inchieste per una serie di accuse, tra cui l'aver accettato
indebitamente in regalo una borsa Dior. Ma, in serata, i vertici del
partito hanno dato l'indicazione di votare contro l'impeachment. La
ragione non è tanto un allineamento a Yoon, tanto che gli è stato
chiesto di lasciare il partito, quanto il timore che elezioni
anticipate si trasformino in una vittoria schiacciante
dell'opposizione. In una circostanza simile, nel 2016, molti
deputati conservatori avevano approvato l'impeachment della
presidente Park Geun-hye, pensando che tagliandola fuori il partito
si sarebbe salvato. Non fu così. Senza franchi tiratori, il rischio
di nuove tensioni sarebbe altissimo, anche perché il clima resta
avvelenato. A poca distanza dalle proteste anti Yoon, erano in
piazza anche i suoi sostenitori, muniti di bandierine della Corea
del Sud e degli Stati Uniti. I conservatori, fautori della linea
"occhio per occhio" con Pyongyang, sostengono che un ritorno dei
democratici porterebbe Seul nell'orbita della Cina e favorirebbe Kim
Jong-un. Manifesti in giro per Seul e di fronte all'ambasciata
americana, etichettano invece Yoon come un guerrafondaio asservito a
Nato e Giappone. Ci sono comunque pochi dubbi che, qualora si
andasse a elezioni anticipate, il grande favorito sarebbe il rivale
Lee, soprannominato il «Bernie Sanders sudcoreano» per le sue
posizioni inusualmente radicali in materia di politiche economiche e
sociali.
Si è invece dimesso il ministro della Difesa Kim Yong-hyun, figura
chiave del tentato golpe di palazzo. Nei prossimi giorni, avrebbe
dovuto incontrare l'omologo giapponese Gen Nakatani, per confermare
l'alleanza trilaterale con Tokyo e Washington in vista
dell'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. La visita è
stata cancellata e tutto torna in gioco, per la gioia della Cina e
della Corea del Nord, che intravede la possibilità di nuovi
negoziati. Ergo, di legittimazione. Il capo dello Stato maggiore di
Seul ha sollecitato alla «massima prontezza» per fronteggiare
ipotetiche mosse di Pyongyang durante questa fase di improvvisa
instabilità. Nel frattempo, il segretario generale della Nato Mark
Rutte ha confermato che la Russia sta fornendo a Kim Jong-un
sostegno per i suoi programmi missilistici e nucleari in cambio di
truppe e armi. Si complica invece l'ipotesi di forniture militari
sudcoreane all'Ucraina, a cui Yoon aveva da poco aperto. «Difficile
che Seul invii armi a Kiev nel prossimo futuro», ha ironizzato
Mosca.
Echi per ora lontani, nelle strade di una Corea del Sud dove una
democrazia ancora giovane si è scoperta insieme fragile e
resistente. —
04.12.24
a storia
L'effetto K sulla gente in piazza Pop e moda diventate soft power
giulia zonca
N el corto circuito tra legge marziale e K-pop, la Corea mostra
sempre la stessa faccia: quella che sotto le creme della K-beauty è
pulita, fresca, giovane, elastica e soprattutto molto, ma molto
brillante.
Le mosse semplici e melense dei balletti, le pubblicità che spiegano
come detergere il volto in sei fasi per mandare a stendere il tempo
e quella K che racconta di gonne a pieghe e stivali al ginocchio, di
serie tv furibonde, di tournée infinite non sono affatto un
concentrato di superficialità, sono l'opposto: un sistema culturale.
Identità al Paese prima oppresso e poi torturato dal senso di
inferiorità. Il fattore K è il potere leggero, quel soft power che
dopo la guerra degli Anni Cinquanta è diventato il mezzo per
emanciparsi, per avere un'anima e un nome. Per dare una direzione
economica che ha nutrito la forza creativa della tecnologia con la
musica.
Il K-pop nasce all'inizio degli Anni Novanta ed è da subito un
legame con gli Usa che lo adottano e lo moltiplicano. Un'affinità
elettiva che parte da un terreno solido. Nomi coreani stavano nei
cartelloni degli spettacoli a Las Vegas 70 anni fa, cercate Kim
Sisters, non a caso definite «l'essenza del dinamismo coreano». Il
K-pop non cade dalla luna, ma dal bisogno di esprimersi con tratti
propri, diversi dai manga giapponesi, lontani dalle divise militari
ed è proprio per questo che la gente è scesa in strada inorridita
davanti all'annuncio dalla legge marziale, perché il K-pop ha
trainato il concetto di libertà e di liberismo, ha forgiato anche
una coscienza civile. Il K-pop non è solo musica sdolcinata per
adolescenti, quella è la base, tra l'altro accentuata per dare uno
sfondo comune a una generazione, per inventare gesti immediati da
scambiarsi dentro ai locali dedicati al culto del caffè. Certo, pure
quelli molto zuccherati. Con il caramello e le essenze ai lamponi,
però tutta la dolcezza sparsa in questo sistema si contrappone
decisa a tempi amari, al sacrificio, alla solitudine, al silenzio,
alla vergogna. Oggi ci si mette il glitter sulle guance (dopo le sei
fasi di preparazione, ovvio) ed è una cerimonia del trucco e dello
strucco che richiede impegno e prende tempo. Tempo dedicato a sé.
Dall'altra parte della Corea, in quella della Nord, non esiste la
declinazione singolare. Sono tutti vestiti e pettinati allo stesso
modo, mentre la Corea del Sud scopre un individualismo in cui però
condividere la moda, la danza, lo slang.
Esiste una legge che spiega benissimo la reazione alla sterzata del
presidente Yoon Suk-yeol: la Bts, dal nome della K-band più famosa.
Loro, da soli, nel 2023 hanno mosso l'economia con 3, 5 miliardi e
anche per questo battezzano l'emendamento per cui una riconosciuta e
premiata figura del K-pop può rinviare la leva obbligatoria fino ai
30 anni. Succede perché gli interpreti sono ambasciatori. Creano un
tessuto sociale all'interno, cantano di depressione scolastica, di
bisogno di sentimenti sfacciati lì dove l'educazione prevede (o
prevedeva) un rigoroso contegno. Tutto pronto a sfaldarsi in modo
catastrofico, come ci ha mostrato il film da Oscar «Parasite»,
eppure retaggio che le ultime generazioni hanno spostato a forza di
balletti. Il K-pop viaggia fuori dal Paese e lì si fa diplomazia,
arriva alle più impensabili intese. Le Red Velvet, gruppo femminile,
in concerto a Pyongyang con stretta di mano al dittatore Kim Jong-un.
Gli Exo, icone delle Olimpiadi invernali del 2018 e adorati da Trump
o dalla figlia Ivanka, l'effetto è lo stesso.
Il successo del genere si chiama Hallyu Wave ed è davvero un'onda
che incamera energie e linfa all'estero per tornare in patria più
influente: mescola, apre però con simboli e intenzioni profondamente
coreani. La raccolta fondi per gli orfani di guerra, per le donne
sfruttate dal Giappone è stata affidata agli idoli pop che infatuano
i ragazzini e si prendono cura della memoria. La cultura K è in
totale contrasto con la legge marziale che ha spinto la gente in
piazza. Le stesse facce che stanno davanti allo specchio a provare
le coreografie e a testare il siero glow. Fieramente made in Korea,
uno stato che vogliono difendere. —
Quel leader disperato e la Capitol Hill di Seul
La dichiarazione di legge marziale da parte del Presidente
Yoon Suk-yeol è stato un colpo basso alla Corea del Sud. Se avesse
avuto successo sarebbe diventato un colpo basso alla democrazia e
all'Occidente. La reazione del Parlamento, che ha deciso subito di
rimuoverlo, e l'immediata protesta di piazza dimostrano che gli
anticorpi della democrazia si sono messi efficacemente all'opera.
L'ago della bilancia erano i militari. Ieri sera l'hanno fatto
pendere a favore della democrazia e contro Yoon Suk-yeol. Il quale è
stato poi costretto ad accettare il voto, unanime, del Parlamento, e
ritirare la legge marziale.
Yoon Suk-yeol era alle strette. Eletto nel maggio del 2022, era
stato travolto da un'ondata di scandali centrati sulla First Lady
Kim Keon Hee, costretto a scusarsi pubblicamente sulla televisione
nazionale, perseguito da richieste di impeachment. Lo scorso aprile,
l'opposizione guidata dal Partito Democratico aveva stravinto le
elezioni legislative, lasciandolo senza appoggio in Parlamento. Yoon
Suk-yeol era, ed oggi è ancora di più, un Presidente senza futuro.
La dichiarazione di legge marziale, giustificata con la necessità di
salvare la nazione da fantomatiche «forze contro lo Stato», senza
alcuna prova o documentazione, era la mossa della disperazione. Non
ci ha creduto nessuno neppure il suo partito, il conservatore e
anti-Corea del Nord, Partito del Potere Popolare. Molti, anche gente
comune, hanno temuto che la legge marziale all'interno esponesse
Seul ad aggressioni o iniziative destabilizzanti nordcoreane.
Questo rischio era certamente nella mente dei militari. I carri
armati servono al 38mo parallelo, non intorno al Parlamento. La loro
indecisione era evidente fin dall'inizio. Obbedivano solo a metà
mettendo forse qualche blindato per la strada senza alcuna massiccia
mobilitazione necessaria a fini di intimidazione. Ieri sera non ce
n'è stata traccia. Nessuno ha impedito alla gente di scendere in
piazza a protestare contro la legge marziale. Qualche contingente
militare ha cercato di entrare in Parlamento; quando gli è stato
detto che non erano i benvenuti si sono allontanati in buon ordine.
Per qualche ora, la legge marziale è rimasta sospesa fra Presidente
che l'aveva dichiarata e Parlamento che l'aveva respinta. Poi Yoon
Suk-yeol ha dovuto fare il passo indietro. Che potrebbe costargli la
messa sotto accusa per reati contro lo Stato. Del resto, era già a
rischio di impeachment che voleva aggirare con la legge marziale.
La dichiarazione aveva colto tutti di sorpresa. Yoon Suk-yeol aveva
deciso da solo - nella completa ignoranza del governo - e si è
trovato ancor più isolato nella fase decisiva dei colpi di Stato:
esecuzione e imposizione. Dichiararli da una posizione come quella
presidenziale è relativamente facile. Ma non basta. Per attuarli ci
vuole la forza, e l'uso della forza. Una volta dichiarata la legge
marziale Yoon Suk-yeol si era messo nelle mani dei militari. I
quali, in queste situazioni si trovano di fronte a un dilemma,
obbedire al Capo dello Stato per rispetto della gerarchia o restare
fedeli alla Costituzione sulla quale hanno giurato. Ma negli Stati
democratici, come la Corea del Sud, come l'Italia, la fedeltà dei
militari alla Costituzione è un pilastro istituzionale formidabile.
I colpi di Stato nelle democrazie del Dopoguerra sono divenuti
rarissimi se non inesistenti. Era diverso ai tempi in cui Curzio
Malaparte scriveva la Tecnica del colpo di Stato. Ma era il 1931 ed
è passata molta acqua sotto i ponti.
Il tentativo di Yoon Suk-yeol rientra nella categoria dei colpi di
Stato mancati (e provvidenzialmente quasi incruenti) dei quali gli
esempi non mancano. Per chi scrive, che era a Mosca in quei giorni,
il paradigma resta il putsch contro Michail Gorba?ëv dell'agosto del
1991 - i carri armati erano per le strade ma non sapevano perché o
per cosa fare. Il golpe militare turco contro Recep Tayyip Erdo?an
naufragò nella folla scesa in piazza per sostenerlo - bastò un suo
appello dallo schermo di un telefonino. E non dimentichiamo
l'assalto al Campidoglio americano del 6 gennaio 2021 col quale l'ex
e futuro Presidente degli Stati Uniti voleva ribaltare il risultato
delle elezioni.
Tempi duri per chi vuole sovvertire la democrazia con colpi di mano.
Ma tempi duri anche per la democrazia. Pericolo scampato per la
Corea del Sud. Ma il rischio c'è stato, come ci fu il 6 gennaio del
2021. Il solo fatto che il Presidente sudcoreano abbia pensato di
proteggere i propri interessi personali sotto il manto della
sicurezza nazionale segna la vulnerabilità dei nostri sistemi a un
virus in circolazione. Oggi le democrazie in generale tirano un
sospiro di sollievo. Gli autocrati che circondano Seul non avrebbero
chiesto niente di meglio che vedere il ritorno, 50 anni dopo, di un
regime autoritario a Seul. Possiamo immaginare la reazione sardonica
di Vladimir Putin o il dileggio di Kim Jong-un, sottintendo
«smettetela di sbandierare i vostri valori: siete come noi». Invece
no. Grazie Corea del Sud. —
Manovre navali, jet e missili ipersonici Putin risponde allo smacco
in Siria
Missili ipersonici sparati nel Mediterraneo orientale: il ministero
della Difesa russo ha annunciato che le navi della marina militare
di Mosca hanno svolto «tiri di esercitazione» al largo della Siria,
colpendo tutti i bersagli prefissati. Il repertorio del missili
utilizzati è identico a quelli lanciati da tre anni sulle città
dell'Ucraina: un paio di Zirkon ipersonici sparati dalle fregate "Admiral
Gorshkov" e "Admiral Golovko", un missile di crociera Kalibr tirato
dal sommergibile "Novorossiysk", Kalibr dal sommergibile e un
"lancio da combattimento" di un Oniks dal complesso di difesa
costiera "Bastion". Il comunicato sulle esercitazioni giunge
improvviso e minaccioso, nello stile caratteristico della
comunicazione del Cremlino nelle ultime settimane, che si svolge
tutta a colpi di missili. Un tono scelto da Vladimir Putin, che da
due settimane praticamente in tutte le sue apparizioni in pubblico
parla del missile balistico Oreshnik, che ha già lanciato su Dnipro
e che minaccia di tirare contro Kyiv «lasciando solo polvere»
nell'epicentro della deflagrazione.
I missili lanciati al largo della Siria sembrano recare lo stesso
messaggio di avvertimento. Il problema è che le fregate e il
sommergibile che hanno svolto le esercitazioni missilistiche nel
Mediterraneo sono le stesse che il 1 dicembre avrebbero lasciato il
porto siriano di Tartus. L'avanzata dei ribelli siriani è ancora
lontana, ma se procede con lo stesso ritmo potrebbe tagliare
l'accesso alla base della flotta russa sulla costa, e a quella
dell'aviazione a Hmeymim, ancora più vicina ad Aleppo. Le
rilevazioni satellitari mostrano che il comando russo ha preferito
mettere al sicuro le sue navi – tre fregate, un sommergibile e due
petroliere - e ha ordinato loro di salpare da Tartus, con la scusa
delle esercitazioni a nascondere quella che è una preoccupazione
crescente del Cremlino: perdere le posizioni in Siria e vedere
cadere il regime di Bashar al-Assad.
Il dittatore siriano è stato avvistato nei giorni scorsi a Mosca, e
non ci sono per ora conferme ufficiali del suo rientro a Damasco.
Fonti vicine ai servizi segreti ucraini riferiscono intanto di una
improvvisa sostituzione del comandante del contingente russo in
Siria, affidato ad Aleksandr Chaiko, il generale famoso per la
fallimentare "presa di Kyiv" nella primavera del 2022. Gli "inviati
di guerra" russi si lamentano nei loro blog che soldati di Mosca
sarebbero stati gli unici ad aver tentato di fermare l'avanzata dei
ribelli su Aleppo, con l'esercito di Assad che non ha quasi opposto
resistenza. Il problema è che il contingente russo non è più quello
del 2015, con quel che resta dei reparti Wagner, e l'aviazione da
Hmeymim ad attaccare i ribelli. Le risorse del Cremlino non sono più
infinite: i reparti scelti che avevano fatto la differenza in Siria
sono impegnati nel Donbass, e riaprire due fronti in questo momento
non è facile, visti anche i costi enormi della guerra in Ucraina che
cominciano a farsi sentire sul rublo e sui cartellini dei prezzi
russi.
Il destino di Assad è ora in mano alla Russia e all'Iran, e se
Teheran ha fatto sapere di essere pronta a mandare le proprie
truppe, Putin per ora sembra più incline alla prudenza. La
telefonata di ieri con Recep Tayyip Erdogan, raccontata dall'ufficio
stampa del Cremlino in termini abbastanza pacifici come la
«necessità di consolidare la cooperazione nel formato bilaterale»,
sembrerebbe far pensare a un tentativo di negoziare, anche nel
cosiddetto "formato di Astana", tra Russia, Iran e Turchia. Per
Teheran infatti la perdita dell'alleato siriano sarebbe un colpo
pesantissimo anche ai fini della logistica in Libano, per Putin la
Siria era più una partita contro gli Usa: il potenziale della base
di Tartus era comunque ridotto, e le navi russe potrebbero riparare
in Libia sotto la protezione del generale Haftar. Erdogan è un
amico-nemico cruciale per i commerci e le strategie della Russia,
gli ayatollah sono alleati più recenti, ma fondamentali soprattutto
per gli aiuti militari con i loro droni lanciati sull'Ucraina. Ma la
testa di Assad potrebbe diventare anche una carta da giocare in un
eventuale contropartita con l'amministrazione Trump. Resta da capire
se il Cremlino opterà per un pragmatismo calcolatore, o preferirà la
lealtà alla sua "asse del Male".
nove persone ai domiciliari
Pressioni e favori in Trentino-Alto Adige Chiesto l'arresto del
magnate Benko
Pressioni, favori e denaro in cambio di concessioni, appalti,
autorizzazioni o servizi. Un intreccio tra imprenditoria e politica
realizzato da una presunta associazione in grado di condizionare le
scelte degli amministratori locali. È un terremoto giudiziario
quello che si è abbattuto sul Trentino-Alto Adige. Ai domiciliari
sono finite nove persone per associazione a delinquere con
l'utilizzo del metodo mafioso. Per gli investigatori «il
comportamento predatorio dell'associazione viene riconosciuto dai
sodali e dai terzi e rispettato, in nome di una sorta di immunità».
Chiesto l'arresto del magnate austriaco Renè Benko che si è
presentato alla polizia di Innsbruck ma resta libero. Lui è
considerato uno dei promotori della presunta associazione. Tra gli
indagati l'ex sindaco di Dro ed ex senatore Vittorio Fravezzi. Ai
domiciliari la sindaca di Riva del Garda Cristina Santi (Lega).
03.12.24
L'armata di Yaky :
La gravissima crisi dell'auto europea costringe il governo a
rivedere i suoi piani per il settore. Dopo aver azzerato il fondo di
sostegno pluriennale per via dei tagli alla spesa nella prossima
Finanziaria - in tutto 4,6 miliardi - ora si sta valutando il
ripristino nel 2025 di parte di quelle risorse. Non si tratterà però
di incentivi all'acquisto come in passato, bensì di «sostegno alla
filiera», dice il ministro delle Imprese Adolfo Urso. «Stiamo
ipotizzando di intervenire con contratti di sviluppo e accordi di
innovazione», e dunque a favore di tutte le aziende della
componentistica. L'entità del sostegno verrà formalizzato al tavolo
che si riunirà al ministero il 17 dicembre. «Cercheremo di
avvicinarci il più possibile ai 750 milioni inizialmente previsti
dai vecchi programmi», puntualizza al telefono il ministro, ed è
probabile che per via delle ristrettezze di bilancio il governo
cercherà di fare uso anzitutto di fondi europei. La decisione segue
di pochi giorni le dimissioni improvvise dell'amministratore
delegato di Stellantis Carlos Tavares, travolto dalle conseguenze
dello tsunami che sta colpendo molte case automobilistiche europee,
fgra cui la tedesca Volkswagen.
Per il governo è un passaggio delicato: da un lato c'è da evitare il
peggio a decine di migliaia di lavoratori, dall'altra non dare
l'impressione di un trattamento preferenziale a un settore
storicamente sussidiato, e non solo in Italia. Le ragioni della
crisi sono molte, e già approfondite su questo giornale: la crescita
esponenziale del mercato cinese, la difficoltà delle famiglie a
potersi permettere auto nuove, i cambiamenti delle abitudini che
spingono i più giovani - soprattutto nelle città - a utilizzare
sempre meno mezzi privati. E poi - su questo punta il dito la
maggioranza - c'è la decisione della Commissione europea di
introdurre una direttiva che dal 2035 vieta di commercializzare auto
a combustione. L'anno scorso il governo Meloni votò contro quella
direttiva, e insiste nel dire che andrebbe modificata. Diceva ieri
la premier: «Lavoreremo per far sì che la transizione ecologica
torni a camminare di pari passo con la sostenibilità economica e
sociale, non possiamo inseguire la decarbonizzazione al prezzo della
desertificazione economica, e in un deserto non c'è niente di verde.
L'Italia chiede di rivedere norme che rischiano di mettere in
ginocchio l'industria europea dell'auto e di riaffermare il
principio della neutralità tecnologica». La risposta del nuovo
commissario competente - la spagnola Teresa Ribera - non lascia però
spazio a ripensamenti: il rinvio della scadenza del 2035 «non è
un'ipotesi che la Commissione europea sta prendendo in
considerazione», anzi, «nessuno sta prendendo in considerazione». La
vicenda della crisi di Stellantis sta assumendo contorni molto
politici. Maggioranza e opposizione insieme insistono perché il
presidente del gruppo (ed editore di questo giornale, ndr) John
Elkann riferisca in Parlamento. Ieri glielo hanno chiesto fra gli
altri i presidenti leghisti della Camera Lorenzo Fontana e della
commissione Attività produttive Alberto Gusmeroli. Elkann ha fatto
sapere che non è ancora il momento: vuole attendere prima la
convocazione del tavolo al ministero di Urso e l'incontro che molto
probabilmente si dovrà svolgere subito dopo a Palazzo Chigi. Urso
dice di aver ricevuto rassicurazioni da John Elkann sul fatto che
«il tavolo del 17 con le parti sociali possa esaminare un piano per
l'Italia chiaro». Per il momento l'unica reazione ufficiale di
Stellantis - in cerca di un nuovo amministratore delegato
all'altezza della situazione - è per smentire le voci secondo le
quali Tavares sarà liquidato con una buonuscita da cento milioni di
euro. «Stime molto imprecise e lontanissime dalla realtà».
Stellantis «non divulga i dettagli delle dimissioni dei propri
dipendenti, dirigenti compresi, se non nei casi previsti dalla legge
nel rispetto della privacy, mentre è tenuta a rendere nota la
retribuzione dei propri amministratori delegati». Secondo i dati
diffusi l'anno scorso, Tavares ha ricevuto 13,5 milioni di euro, a
cui però si sono aggiunti incentivi di risultato per un totale di
quasi 23,5 milioni. Il manager portoghese l'anno scorso è stato il
meglio pagato fra quelli di aziende quotate in Italia, due milioni
in più del numero uno di Saes Getters Massimo Della Porta e della
coppia più famosa della moda, Miuccia Prada e Patrizio Bertelli.
FALSO ED INCREBILE :
l'intervista
L'esperto
Alberto Brambilla
"Basta dare i soldi del Tfr all'Inps Bisogna incentivare i fondi
pensione"
PAOLO BARONI
roma
«Basta Tfr all'Inps, bisogna finirla. E' una vergogna, è solo una
tassa implicita sulle piccole imprese, che praticamente non possono
utilizzare queste risorse e che anzichè finanziare l'economia reale
finiscono solo nella spesa corrente dell'Inps». Il presidente di
Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla, autore della legge quadro
del 2005 , ovviamente è favorevole ad introdurre il silenzio assenso
per favorire il trasferimento del Tfr ai fondi pensione. «E' una
norma che all'epoca avevo previsto io - spiega in questa intervista
– ma per incentivare la previdenza integrativa non basta questo
intervento. Bisognerebbe anche rivedere il regime fiscale, perché
noi siamo l'unico paese in Europa che tassa i fondi tutti gli anni e
non solo al momento del riscatto».
Presidente, perché da noi nonostante siano passati diversi anni
dalla loro introduzione i fondi integrativi stentano a decollare?
«Perché la politica ha sempre fatto la guerra alla previdenza
complementare a partire dal primo decreto adottato nel 1993 e poi
con gli interventi successivi. E' stata prima introdotta una imposta
preliminare del 15% su tutti i versamenti, poi negli anni seguenti
ci sono state le misure che hanno peggiorato la situazione. Ad
esempio Visco nel 2000 non solo ha eliminato le polizze agevolate ma
ha anche aumentato la tassazione finale. Nel 2006 poi è arrivato il
governo Prodi che ha cancellato il fondo di garanzia per le piccole
e le microimprese e diviso le platee tra chi ha più di 50 dipendenti
e chi ne ha meno. Il risultato di tutto questo è che ora abbiamo il
rapporto tra patrimonio dei fondi pensione e prodotto interno lordo
che arriva a malapena al 10%, mentre la media europea supera il 75%
Insomma siamo ad un abisso».
Cosa ha fatto più danni secondo lei?
«Il solo fatto di avere tolto il fondo di garanzia ha creato uno
sconquasso: ha portato via a più del 52% dei lavoratori dipendenti
la possibilità di aderire alla previdenza complementare. Questo
perché le aziende sotto i 19 dipendenti, con questo sistema bancario
italiano totalmente sballato e poco attento alle esigenze delle pmi,
il Tfr vogliono tenerselo stretto. Tant'é che il tasso di adesione
alla previdenza complementare tra le imprese medie e medio grandi va
tra l'80 ed il 90% dei dipendenti, quello dei 7,5 milioni di
dipendenti delle aziende sotto i 19 dipendenti si ferma invece al
6%».
Perchè le imprese si comportano così?
«Perché per i datori di lavoro il Tfr fa parte del circolante. E
perché se hanno solo 5-6 dipendenti, se sono artigiani, commercianti
o piccoli imprenditori agricoli le grandi banche non se li filano
proprio».
Quindi come valuta l'ipotesi di un nuovo semestre di
silenzio-assenso?
«E' un meccanismo che sostengo da sempre, per la verità l'ho
inventato io scrivendo la legge 252. Peccato che sia stato previsto
una solo volta, nel 2007, e neanche per sei mesi ma solo per
quattro. Però ha comunque prodotto buoni risultati visto che abbiamo
più che raddoppiato il numero degli iscritti ai fondi».
Oggi però c'è chi frena sull'emendamento alla legge di bilancio
presentato da Fdi...
«In primis il ministero dell'Economia con la Ragioneria e poi lo
stesso presidente dell'Inps che sostengono che se appena il 10% dei
7 milioni di lavoratori che stanno nelle aziende con più di 50
dipendenti decidesse di spostare il suo Tfr il fondo tesoreria
l'Inps avrebbe minori entrate».
E' un dato di fatto.
«La mia idea è che il fondo Inps vada cancellato. E' una porcheria,
perché quei soldi sono dell'economia reale, sono delle imprese.
Nella vostra intervista il presidente Fava, in sostanza, ha però
detto che ha bisogno di quei soldi. Ma ci rendiamo conto? Se io
fossi un giovane, sapendo una cosa del genere, non verserei più
nemmeno un euro all'Inps. Fa il paio col ministro dell'Economia
Giorgetti quando afferma che "con questa demografia non c'è nessun
sistema pensionistico che tenga". Ma dove siamo? Questi si rendono
conto di quello che dicono, che messaggio danno ai giovani?».
Domanda retorica: la scelta della previdenza integrativa è
inevitabile?
«Non solo è inevitabile ma va rafforzata e sistemata. Perché i
nostri fondi pensione sono gli unici in Europa ad essere tassati
annualmente al 20% e non al momento del riscatto. Di contro però poi
ci sono i Pir 4.0 introdotti dal ministro Padoan sui cui rendimenti,
sino a un milione e mezzo di euro, non è previsto che ci si paghi
mai un'imposta. Però mentre il fondo pensione è tutelato della
Costituzione non mi pare che lo stesso sia previsto per i Pir».
Quindi per rafforzare la previdenza integrativa cosa bisognerebbe
fare?
«Certamente occorre prevedere un nuovo semestre di silenzio-assenso,
ma prima si dovrebbe ripristinare il fondo di garanzia per le micro
e piccole imprese, e poi bisognerebbe modificare la tassazione,
perché i fondi pensione non sono certo investimenti speculativi ed
andrebbero trattati esattamente come i Pir 4.0».
Ma ad un lavoratore conviene puntare sui fondi pensione: i
rendimenti sono migliori di quelli garantiti dal Tfr?
«Certamente. Nel decennio, nonostante la sciagura del 2022, i fondi
pensione hanno reso molti di più».
ll secondogenito del presidente ha un passato di droga e alcol, dopo
la morte del fratello Beau
L'uomo dalle mille vite, scivolato nel vizio tra interessi in
Ucraina e accuse di evasione
dal corrispondente da washington
Hunter Biden a 54 anni ha già vissuto molte vite; sopravvissuto ad
appena due anni in un incidente stradale in cui morirono la mamma e
la sorella; giovane studente a Georgetown finito nel tunnel di droga
e alcol; uomo d'affari ancorato alle amicizie del padre capace di
fondare e disfare società di consulenza; giovane dalla vita
dissoluta che ha dissipato migliaia di dollari in lussi, eccessi,
svaghi strip club e donne. L'uomo al centro di scandali politici per
via di un computer Apple dimenticato in un centro di riparazioni e
finito nelle mani dei reporter del New York Post che vi hanno
scoperto oltre che ombre e debolezze umane, anche i giri di affari e
la rete di contatti di Hunter con il business internazionale e gli
interessi in Ucraina. Materiale succulento per i conservatori che
attorno a questo laptop hanno costruito il castello di accuse sugli
affari torbidi – da dimostrare – della famiglia Biden e aperto
un'indagine al Congresso pronta forse a ripartire.
Sposato due volte, tre compagne, cinque figli di cui una
riconosciuta da nonno Joe solo pochi mesi fa. Ma senza Beau, il
ragazzo dal bell'avvenire stroncato nel 2015 da un tumore al
cervello, Hunter e i suoi tormenti non di capirebbero. Fu Beau nel
2001 a portarlo agli alcolisti anonimi e a sorreggerlo. La morte del
fratello – con il quale condivideva il miracolo dell'esserci salvato
nell'incidente stradale del 1972 – è stata il detonatore della
discesa verso gli abissi. È nel 2015, quando il padre rinuncia a
correre per la Casa Bianca sull'onda della morte del figlio, che
Hunter rivive i demoni: comincia a drogarsi, a bere, nel 2017
acquista un'arma falsificando i documenti. La troverà la compagna
che è l'ex moglie di Beau e la getterà via. Trovata in un cassonetto
da un homeless è l'inizio dei suoi guai con la giustizia. Sono gli
anni in cui le dichiarazioni dei redditi diventano piene di falle,
in cui la figlia Naomi – lo rivelano i messaggi sms letti nell'aula
di un tribunale del Delaware in giugno e che mettono a nudo la
famiglia Biden – non riesce a contattarlo perché Hunter è assente,
assuefatto a cocaina e alcol. Il cammino delle redenzione comincia
nel 2019, «sono cinque anni che è sobrio», ha scritto Joe Biden nel
comunicato che annuncia la concessione della grazia. Per lui, padre,
è abbastanza per andare oltre, voltare pagina e pulire il passato.
Altro capitolo della vita. In questi anni alla Casa Bianca spesso
Hunter è stato al fianco del padre. Suscitando polemiche e
battutacce. Come quando il Secret Service trovò della cocaina in una
zona del campus, «l'ha dimenticata Hunter», i titoli sui tabloid di
destra e sui social senza il minimo appiglio alla realtà. alb. sim.
—
02.12.24
Manifestanti ancora in piazza non solo a Tbilisi. Il premier:
"Escluso un nuovo voto , la presidente lasci il palazzo". Kallas da
Kiev: "L'Ue al fianco del popolo"
Si allarga la protesta europeista in Georgia Il Cremlino: "Come
l'Ucraina, finirà male"
Monica perosino
Un'altra notte di cariche indiscriminate, gas lacrimogeni, cannoni
ad acqua, spray urticanti, proiettili di gomma, calci in faccia,
arresti arbitrari, nasi rotti. Più la repressione delle forze di
polizia si fa violenta, maggiore è la partecipazione dei georgiani
alla protesta pro-europeista che per il quarto giorno consecutivo si
è presa le strade della capitale Tbilisi e ora si allarga a macchia
d'olio in tutto il Paese caucasico. Kutaisi, Rustavi, Batumi,
Zugdidi, Poti, perfino la piccola Khashuri, nel mezzo delle
bellissime montagne georgiane, si sono unite alla protesta di massa
della capitale, in fiamme da quando il governo ha annunciato il
"rinvio" del percorso di adesione all'Ue, dopo un'evoluzione
illiberale in chiave filorussa e una vittoria alle elezioni del 26
ottobre su cui pesano prove di irregolarità e solidi indizi di
brogli su vasta scala.
Ormai è chiaro che i manifestanti non hanno nessuna intenzione di
farsi intimorire da chi li vorrebbe riportare tra le braccia della
Russia e lontano dall'Europa, lo cantano ormai senza sosta in quello
che è diventato una sorta di inno delle manifestazioni: «Fino alla
fine». Mentre i vigili del fuoco "si ammutinano" e svuotano le
autopompe che servono a rifornire i cannoni ad acqua, le strade si
riempiono di khinkali passati di mano in mano e pane appena sfornato
per chi occupa le strade, gli ambasciatori continuano a dimettersi
uno dietro l'altro in segno di protesta (ieri la diplomatica a
Vilnius, con la motivazione «La Georgia è Europa»!) e la gran parte
dei dipendenti pubblici del Paese si ferma denunciando «l'uso
sproporzionato della forza contro manifestanti pacifici».
La tensione è altissima fuori e dentro i palazzi del potere, con
l'ennesima sfida lanciata contro la presidente filo-Ue Salomé
Zourabichvili, che aveva escluso di dimettersi fino a nuove
elezioni: «La presidente il 29 dicembre dovrà lasciare la sua
residenza e consegnare l'edificio al presidente legittimamente
eletto» ha detto invece ieri il premier Irakli Kobakhidze,
escludendo un ritorno alle urne. Una sorta di avviso di sfratto da
palazzo Orbeliani che suona come una minaccia. La scelta del nuovo
presidente della Repubblica - che per la prima volta non sarà eletto
dal popolo ma da un collegio dominato dal partito al governo Sogno
geogiano - è prevista il 14 dicembre e l'insediamento del nuovo capo
dello Stato è fissato per il 29, ma fino ad allora in Georgia può
succedere di tutto. Le opposizioni hanno boicottato il nuovo
parlamento, la presidente si è rifiutata di inaugurarlo e ora Sogno
Georgiano siede in un aula tutta per sé e ha scelto l'ex calciatore
Mikheil Kavelashvili come candidato alla massima carica dello Stato.
Dopo i timidi segnali e le tiepide condanne, l'Europa sembra essere
però entrata in partita: «Inaccettabile la violenza che la polizia
ha esercitato contro manifestanti pacifici», ha dichiarato la nuova
Alta rappresentante della politica estera dell'Unione Kaja Kallas,
entrata simbolicamente in carica sul suolo ucraino, mentre era in
viaggio verso Kyiv per testimoniare vicinanza e garantire sostegno:
«L'Unione Europea è al fianco del popolo georgiano nella scelta del
suo futuro». Kallas ha parlato di diverse opzioni allo studio contro
il governo, dalle «sanzioni» a un intervento sul «regime dei
visiti». «Al fianco del popolo georgiano e della sua scelta per un
futuro europeo» in contrapposizione alle decisioni del governo si è
schierata anche Ursula Von der Leyen: «La porta dell'Ue resta
aperta». Sulla situazione in Georgia sono fissati gli occhi dei
blocchi opposti. Non poteva mancare il vicepresidente del Consiglio
di sicurezza russo Dmitri Medvedev che ieri ha lanciato allusioni
che suonano più come minacce: «Ci sono tutti i presupposti per far
ripiombare la Georgia nell'abisso della guerra civile. In breve, i
vicini stanno rapidamente seguendo il percorso ucraino verso
l'abisso. Di solito questo finisce molto male».
il caso
Fbi
La presa
dell'
"
Ha detto Alberto Simoni
corrispondente da Washington
Kash Patel, 44 anni, origini indiane, cresciuto nel Queens sarà – se
confermato dal Senato – il prossimo direttore del Federal Bureau of
Investigation. La nomina non giunge inattesa, ma a Washington è
lunga la lista di coloro che hanno sperato sino all'ultimo che Trump
non mantenesse la promessa della campagna elettorale di elevare
questo ex procuratore federale a capo dell'Fbi.
Le credenziali di Patel vanno dalla «incompetenza» per gestire il
Bureau sino alla visione che questo debba essere completamente
trasformato e asservito all'agenda del presidente.
Un ex collaboratore ha detto alla Nbc protetto dall'anonimato poiché
teme la vendetta trumpiana, che la scelta di Patel è «ridicola» e
che Kash «è la persona meno qualificata per ricoprire l'incarico».
Durante la prima Amministrazione Trump occupò posizioni di rilievo
al Consiglio per la Sicurezza nazionale e anche al Pentagono. Ha
lavorato dal 2017, per il deputato Devis Nunes contribuendo a
smontare le accuse sul ruolo della Russia a favore di Trump nel voto
del 2016. Quelle che Trump chiama «le bufale russe».
Oltre ad aver guidato l'offensiva mediatica e giudiziaria nel caso
interferenze alle elezioni del 2016, ha girato il Paese in lungo e
in largo promuovendo la tesi delle elezioni truccate nel 2020 e
beccandosi da una corte del Colorado, dove aveva deposto su un caso
legato al 6 gennaio, l'etichetta di «testimone non attendibile»; ha
definito le incriminazioni contro il tycoon degli ultimi anni – e,
in particolare, la condanna per il caso Stormy Daniels – un circo
incostituzionale».
Tutte medaglie sul petto nella visione Maga e trumpiana per Kash
che, finita l'esperienza alla Casa Bianca, ha lanciato
un'organizzazione, "Fight with Kash" con la quale finanzia cause per
diffamazione. La società è diventata un brand, dietro il logo "K$H"
c'è un merchandising abbondante di calzini, t-shirt, tazze firmate.
Tutto serve, disse in febbraio parlando alla Conferenza dei
conservatori vicino a Washington (Cpac) per «reclutare soldati» per
vincere in novembre. Ora passa all'incasso.
Questo è il curriculum con cui Kash – che da giovane sognava di fare
il dottore prima di laurearsi in legge – arriva all'Fbi. E da questo
deriva il programma di «radicale trasformazione». Al "Shawn Ryan
Show" disse a inizio anno. «Prenderei i 7 mila impiegati che
lavorano nel palazzo e li manderei in giro per l'America a dare la
caccia ai criminali». Vorrebbe svuotare il palazzo che si affaccia
su Pennsylvania Avenue e «trasformarlo in un museo del deep state».
Qualche mese, dopo parlando con il sodale Steve Bannon, esordì:
bisogna scovare e fermare i cospiratori non solo nel governo ma
anche nel mondo dell'informazione. I cospiratori altro non sono –
nella visione di Patel – coloro che hanno mentito agli americani e
hanno aiutato Biden a «truccare le elezioni del 2020».
Patel ha già sfiorato la guida dell'Fbi. Era il 2020 e Donald Trump
voleva sbarazzarsi di Chris Wray – l'attuale direttore da lui stesso
nominato nel 2017 al posto di Comey, quest'ultimo reo di aver
rifiutato durante una cena privata alla Casa Bianca cui era stato
invitato dal presidente di giurare lealtà al tycoon anziché alla
Costituzione.
Nel corso di una riunione Trump sollevò il nome di Patel. William
Barr – che era l'Attorney General e che ha raccontato questo
aneddoto nel suo libro One Damn Thing after another – si oppose con
tutte le sue forze. Alla fine, la candidatura Patel finì nel
dimenticatoio. Gina Haspel invece, che guidava la Cia, minacciò di
dimettersi se Trump avesse mandato Patel a farle da vice. Anche in
questo caso i propositi finirono in nulla.
I democratici lo aspettano al varco, Chris Coons senatore del
Delaware, ha avvertito: «Dimostri di privilegiare la sicurezza
nazionale all'agenda della vendetta di Trump». Il pallottoliere è
già in funziona, i repubblicani hanno tre seggi di vantaggio, ma ci
sono tanti malumori per le scelte sulla Giustizia operate da Trump.
A partire da Matt Gaetz, poi ritiratosi dalla corsa ad Attorney
General a causa di scandali sessuali e di un cammino in commissione
Giustizia che sarebbe finito quasi certamente nel burrone della
bocciatura. E nemmeno la corsa di Patel sarà facile.
Il Consigliere per la Sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan,
ha detto nei talk show della domenica che l'Fbi deve restare immune,
isolato, dalla politica. Questo ha fatto Biden rispettando il
mandato decennale del capo dell'Fbi. Dieci anni non sono un numero a
caso, è un lasso di tempo studiato per garantire l'indipendenza del
direttore dagli 8 anni al massimo di durata di una Presidenza.
Per Trump, collezionista di teste del Bureau, evidentemente la
regola non vale
Donald sceglie Boulos : è consigliere per il mondo arabo. Charles
Kushner ambasciatore a Parigi
Il miliardario libanese e il padre di Jared I suoceri delle figlie
per la politica estera
corrispondente da washington Dall'America First al "Family First" il passo è breve.
L'Amministrazione di Donald Trump si arricchisce di membri della
famiglia dopo che il tycoon sabato ha nominato Charles Kushner,
padre di Jared il marito di Ivanka Trump, nuovo ambasciatore in
Francia.
Ieri, il presidente-eletto ha pescato nuovamente nel giro ristretto
dei famigliari (di sangue o acquisiti) e ha annunciato che Massad
Boulos sarà consigliere senior per il mondo arabo e il Medio
Oriente. Boulos è un facoltoso imprenditore libanese e padre di
Michael, il quale nel 2022 ha sposato Tiffany, la figlia che Donald
ebbe da Marla Maples. Conservatore e repubblicano da tempo, Massad
ha avuto un ruolo chiave nella campagna elettorale di Trump ed è
stato uno dei negoziatori con la comunità araba d'America.
Ha compiuto diversi viaggi in Michigan nella zona di Detroit dove ha
intessuto relazioni con i leader arabi locali, da un anno in rotta
con la leadership democratica per il sostegno a Israele nel
conflitto di Gaza.
Trump lo ha definito un «asset» in riferimento non solo alle
elezioni vinte ma anche per il futuro, poiché «è un negoziatore e un
incrollabile sostenitore della pace in Medio Oriente».
Personaggio dal passato più controverso è invece l'altro consuocero,
Charles. Nel 2006 scontò due anni di prigione federale a Montgomery
per una serie di reati finanziari, fra cui violazione della legge
sui contributi elettorali ed evasione fiscale. Nel suo curriculum,
anche il tentativo di adescare il cognato – che doveva deporre al
processo – tramite una prostituta con lo scopo di inviare poi alla
di lui moglie un video compromettente. Aveva fatto installare,
infatti, delle telecamere in una stanza di albergo dove una
prostituta aveva attirato il cognato. Il procuratore che indagò era
Chris Christie, rivale di Trump alle primarie del 2016 e anche nel
2024.
Nel 2020 Trump gli ha garantito il perdono presidenziale.
Immobiliarista, Charles ha fondato nel 1986 la "Kushner Company"
dove lavora il figlio Jared. La sua nomina ad ambasciatore, a
differenza di quella di Boulos che ha un incarico di consigliere,
dovrà essere ratificata dal Senato. Alb.Sim. —
01.12.24
La presidente pro-Ue: "Non lascio fino a un nuovo voto "
Georgia, roghi e barricate al Parlamento Non sono bastate le botte, le cariche, gli arresti di massa,
le decine di feriti, i cannoni ad acqua, gli inseguimenti dieci
contro uno degli sgherri delle forze speciali in borghese. Migliaia
di persone sono tornate in piazza a Tbilisi ieri sera, per il terzo
giorno consecutivo, determinate a protestare contro il governo
apertamente filorusso che ha deciso di interrompere la strada di
ingresso della Georgia nella Ue. Gli studenti, la società civile può
contare soltanto su se stessa di fronte a un'Europa lontana che
riesce solo a esprimere una condanna contro elezioni da ripetere
perchè falsate da brogli. L'unica figura istituzionale rimasta dalla
parte delle barricate è la presidente europeista Salome
Zurabishvilihi, che dopo aver cercato di annullare i risultati del
voto tramite la Corte costituzionale, ha annunciato che non lascerà
l'incarico finché «non ci saranno nuove elezioni», dando voce alla
rottura con il governo che intende nominare il suo successore il 14
dicembre. Con lei anche una sequela di ambasciatori, dalla Lituania
all'Italia, agli Usa, e 160 diplomatici georgiani che ieri si sono
dimessi in segno di protesta contro il governo, seguiti anche dal
viceministro degli Esteri. Intanto, a Tbilisi, folle di manifestanti
hanno eretto barricate per resistere all'ennesimo assalto delle
forze dell'ordine, mentre dalle stanze del parlamento si vedevano le
prime fiamme.
Il gran ritorno dell'eterno Minniti A Palazzo Chigi per il piano
Mattei Breve premessa. Da tempo quel personaggione di Marco Minniti,
che attualmente è presidente della fondazione Med-Or, va spiegando
che, in questo mondo così confuso e interconnesso, sempre più
Caoslandia, l'interesse nazionale si tutela soprattutto fuori dai
confini nazionali. In particolare nel Mediterraneo allargato, dove
l'Europa si gioca un pezzo del suo futuro su dossier strategici. Ed
è lì che l'Italia, per vocazione e collocazione, può agire un ruolo
da apripista: da Gaza all'Africa, secondo teatro della guerra
asimmetrica di Putin. Tanto per intenderci, due giorni fa Ciad e
Senegal hanno interrotto qualunque rapporto di collaborazione
militare con la Francia. È la conferma di ciò che disse Macron: «Françafrique
è finita per sempre». Insomma, il tema è come costruire
un'alternativa all'egemonia economica cinese e all'infiltrazione
militare russa, molto pervasiva in tutte le ex colonie francesi del
Centrafrica, con rilevanti conseguenze, a proposito di dossier
strategici, in materia di energia, immigrazione, sicurezza.
Fine della premessa. Ora le notizie. La prima è la trasformazione
operativa di Med-Or, da Fondazione di Leonardo a Italian Foundation,
processo annunciato lo scorso luglio alla presenza del
sottosegretario Alfredo Mantovano. Ora: Leonardo mantiene la
maggioranza assoluta, ma sono entrati come soci tutte le grandi
aziende di Stato, da Eni a Enel, a Cdp, Fincantieri, Ferrovie,
Poste, Snam, Terna, con la possibilità di adesione anche per aziende
private. La seconda è che, nei prossimi giorni, si riunirà a palazzo
Chigi il "comitato strategico" della nuova Fondazione con i
rappresentanti delle suddette aziende e i capi di gabinetto dei
ministeri coinvolti: Esteri, Interno, Difesa, Imprese e Made in
Italy, Università e Ricerca, Agricoltura, Ambiente, Economia. Al
tavolo anche il consigliere diplomatico di Giorgia Meloni e i capi
di gabinetto della premier e di Alfredo Mantovano. Che presiederà
l'incontro. Inciso: la prima riunione del comitato (solo di Med-Or
allora) si svolse ai tempi di Mario Draghi nel 2021.
Finora il "piano Mattei" è stato una specie di Godot. Le due notizie
raccontano della creazione di una sorta di "cabina di regia
pensante". Un nuovo strumento, a servizio del sistema Paese,
preposto al "soft power" con l'obiettivo di potenziare, in chiave
strategica, la cooperazione e governare la competizione nell'ambito
della sfida globale. Perché, in una fase in cui la geopolitica è
tutto, pensare di sviluppare business internazionale senza mettere
in comune capacità di influire è velleitario.
Soft power: la traccia di cosa sia ce la fornisce proprio l'elenco
delle ultime iniziative e dei seminari di studi di Med-Or,
certamente focalizzate sul Mediterraneo, ma di cui fa parte anche
l'attenzione al Sud del mondo, come la collaborazione col centro di
studi strategici indiano o il memorandum con la Repubblica popolare
del Vietnam. Quella organizzata da Coldiretti con Claudio Descalzi,
di cui è noto il ruolo centrale nel Mediterraneo, e Federico
Vecchioni, ad di Bonifiche Ferraresi, ambasciatore agricolo in
Africa sul tema delle terre coltivabili. Quella sull'impatto dei
cambiamenti climatici nel Mediterraneo e in Africa, in
collaborazione con la Nato. È l'esito di un bando Nato vinto da
Med-Or come capofila di una cordata col ministero degli Esteri della
Giordania, paese arabo moderato, e il nostro Istituto di Geofisica e
vulcanologia. A proposito di interconnessioni, recentemente è
diventata vicesegretario Nato la macedone Radmila Šekerinska,
esponente dell'international board della fondazione. E poi, altra
attività, la formazione di quindici giovani diplomatici somali, che
assisteranno il loro presidente ora che la Somalia entra nel
consiglio di sicurezza dell'Onu. Quindi la cultura e alta formazione
come strumento di dialogo e di integrazione. Uno degli obiettivi
della nuova Fondazione sarà anche il Sud America, dove già Enel
svolge un ruolo importante. Sembra un "fuori teatro", in realtà è un
pezzo fondamentale del Global South del Mondo, visto come è stato
accolto di Xi al G20 in Brasile.
Dunque: regia di Mantovano, benedizione di Giorgia Meloni. Sulla
carta suona come una ripresa in grande stile del Piano Mattei. Qui
però c'è anche l'elemento sapido politicamente. Questa roba, sul
tema dell'immigrazione, rappresenta esattamente l'opposto
dell'"aiutiamoli a casa loro", slogan di cui è infarcita la
discussione pubblica: l'idea che l'Africa sia un luogo ostile da cui
proteggersi, condita di pregiudizio anti-islamico. Lo slogan, di
questa iniziativa, potrebbe essere "aiutiamoci a casa nostra,
occupandoci del loro destino". E, sempre in chiave migranti,
rappresenta anche l'opposto dell'Albania: è la differenza tra la
logica emergenziale del Paese terzo – che non funziona ma tiene
salvo il racconto cattivista-populista – e l'approccio strutturale
al fenomeno, l'Africa appunto.
Conoscendo le abitudini della casa, probabilmente resterà
l'atteggiamento bifronte caro alla premier: l'Albania e l'Africa,
Fazzolari e Mantovano. Attenzione, però. L'anello al naso gli
africani se lo sono tolto da tempo. Suscitare aspettative per poi
riempire di soldi Edi Rama crea sfiducia. E infatti sono
ricominciati gli sbarchi a Lampedusa, segno che qualcuno in Africa
ha riaperto i rubinetti. Chissà se, a proposito di Cina, a palazzo
Chigi è giunta l'eco dell'antico insegnamento di Sun Tzu: «Una
strategia senza tattica è la via più lunga per arrivare alla
vittoria. Una tattica senza strategia è il rumore di fondo della
sconfitta». —
Renzi attacca: "Miseria umana". Il Pd: "Episodio sconcertante".
Silenzio dai vertici del Movimento
Pinerolo, i 5 stelle accusati di antisemitismo Diventa un caso il no
alla cittadinanza a Segre roma
Dal votare contro la cittadinanza onoraria a Liliana Segre a
sentirsi accusare di antisemitismo il passo è stato brevissimo. I 5
stelle di Pinerolo, in provincia di Torino, dove sono maggioranza in
Consiglio comunale e hanno il loro sindaco, sono finiti nella
classica bufera politica, che ha rapidamente assunto dimensioni
nazionali. Tutti contro il Movimento, dal Pd a Fratelli d'Italia,
passando per Italia Viva, da cui arrivano i commenti più velenosi.
Matteo Renzi interviene personalmente per condividere sui social il
suo «profondo imbarazzo» per la «miseria umana» di chi si è
«rifiutato di riconoscere la grandezza di Liliana Segre». La
capogruppo del Pd nel Consiglio regionale del Piemonte, Gianna
Pentenero, parla di un «episodio sconcertante e sconfortante»,
perché «ancora una volta assistiamo alla confusione tra la Shoah e
la tragedia in corso a Gaza, un pericoloso cortocircuito alimentato
ora da ignoranza ora da vero antisemitismo – spiega –. Ci auguriamo
che non sia questo il caso della maggioranza che guida il Comune di
Pinerolo». Da destra va all'attacco il capogruppo di FdI al Senato,
Lucio Malan, che si dice «allibito» per una «brutta pagina e una
pessima figura di livello nazionale».
Dal quartier generale romano del Movimento 5 stelle si sceglie di
non dare eccessiva enfasi alla vicenda. Nessun commento da Giuseppe
Conte, né da Chiara Appendino, vicepresidente M5s ed ex sindaca di
Torino, donna di punta in quel territorio. La replica è affidata a
un semplice deputato come Antonino Iaria, già assessore nella giunta
Appendino: «Esprimo la mia più ferma condanna per il tentativo di
strumentalizzazione della senatrice Liliana Segre da parte di un
consigliere di destra del Comune di Pinerolo – scrive in una nota –.
È inaccettabile che la sua figura, simbolo di memoria e giustizia,
venga utilizzata per finalità divisive e contro la causa
palestinese». Questa è la posizione ufficiale dei pentastellati, già
illustrata dal sindaco di Pinerolo, Luca Salvai, che è tornato a
spiegare il motivo dello stop alla proposta: «La cittadinanza
onoraria deve unire una comunità, non può essere utilizzata per
creare divisioni. La mozione è stata bocciata perché presentata in
modo strumentale legandola al conflitto israelo-palestinese in
corso». Nessuna ragione ideologica, quindi, men che meno dal sapore
razzista: «Tacciare il M5s di Pinerolo o l'amministrazione tutta di
antisemitismo è una fesseria», taglia corto Salvai.
Parole che non bastano a placare critiche e accuse, con i renziani,
come detto, in prima linea. «Ora si fa più chiaro il fumoso concetto
di "progressismo indipendente", ironizza sui social il capogruppo di
IV al Senato Enrico Borghi, convinto che i fatti di Pinerolo
«dimostrino sul campo il senso delle parole e la fatuità del
trasformismo tattico pronto all'uso». E la collega Raffaella Paita
ci mette il carico, sostenendo che «un Consiglio comunale dove si
esprimono opinioni razziste e contrarie alla Costituzione dovrebbe
essere quanto meno sottoposto all'attenzione del Viminale». nic. car.
—
ESCLUSIONE COSTITUZIONE DI PARTE
CIVILE , COME AZIONISTA ATLANTIA, NEL PROCESSO A CARICO DI CASTELLUCCI
PER IL CROLLO DEL PONTE MORANDI
Diritti degli azionisti
La Direttiva
2007/36/EC stabilisce diritti minimi per gli azionisti delle societa'
quotate in Unione Europea. Tale Direttiva stabilisce all'Articolo 9 il
diritto degli azionisti a porre domande connesse ai punti all'ordine del
giorno dell'assemblea e a ricevere risposte dalle societa' ai quesiti
posti.
Considerando le
difficolta' che spesso si incontrano nel proporre domande e nel ricevere
risposte in tempo utile, in particolare per quanto riguarda gli
azionisti individuali impossibilitati a partecipare alla assemblea, e
considerando che talvolta vi e' poca chiarezza sulle modalita' da
seguire per porre domande alle societa',
Ritiene la
Commissione:
che il diritto
degli azionisti a formulare domande e ricevere risposte sia
adeguatamente garantito all'interno dell'Unione Europea?
che la
possibilita' di porre domande e ottenere risposte solo nel caso
l'azionista sia fisicamente presente nell'assemblea sia compatibile con
la Direttiva 2007/36/EC?
In che modo la Commissione ritiene che le societa' quotate debbano
definire e comunicare le modalita' per porre domande da parte degli
azionisti, in modo da assicurare che tale diritto sia rispettato
appieno? Sergio Cofferati
IL MIO LIBRO "L'USO
DELLA TABELLA MB nei CASI DI PIANI INDUSTRIALI: FIAT,
TELECOMITALIA ED ALTRI..." che doveva essere pubblicato da
LIBRAMI-NOVARA nel 2004, e' ora disponibile liberamente
Tweet to @marcobava
In data 3103.14 nel corso dell'assemblea Fiat il presidente J.Elkann
mi fa fatto allontanare dalla stessa dalla DIGOS impedendomi il voto
eccone la prova:
Sentenze
1)
IL 21.12.12 alle ore 09.00 nel TRIBUNALE TORINO
aula 80 C'E' STATA LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE PER LA
QUERELA DELLA FIAT, PER QUANTO DETTO nell'ASSEMBLEA
FIAT 2008 .UN TENTATIVO DI IMBAVAGLIARMI, AL FINE DI VEDERE COME
DIFENDO I MIEI DIRITTI E DI TUTTI GLI AZIONISTI DI MINORANZA
NELLE ASSEMBLEE .
Mb
il 24.11.14 alle ore
1200 si tenuto al TRIBUNALE DI TORINO aula 50 ingresso 19 l'udienza
finale del mio processo d'appello in seguito alla querela di Fiat per
aver detto il 27.03.2008 all'assemblea FIAT che ritengo "Marchionne
un'illusionista temerario e spavaldo" e che "la sicurezza Fiat e'
responsabile della morte di Edoardo Agnelli per omessa vigilanza". In 1°
grado ero stato assolto anche in 2° e nuovamente sia FIAT che PG hanno
impugnato per ricorso in Cassazione che mi ha negato la libertà di
opinione con una sentenza del 14.09.15.
SOTTO POTETE TROVARE LA
DOCUMENTAZIONE
2) il 21
FEBBRAIO 2013 GS-GABETTI sono stati condannati per
agiotaggio informativo.
SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULL'ERRORE DEL TRIBUNALE DI TORINO
NELL'ASSOLVERE GABETTI E GRANDE STEVENS
Come parti civili si erano costituite la Consob e due piccoli
azionisti, tra cuiMarco Bava,
noto per il suo attivismo in molte assemblee. "Non so...
SU INTERNET IL LIBRO DI GIGI MONCALVO SULL'OMICIDIO DI
EDOARDO AGNELLI
Edoardo, un Agnelli da dimenticare
Marco Bernardini non ha le prove del suicidio io ho molte prove
dell'omicidio che sono state illustrate in 5 libri di cui l'ultimo e'
l'ultimo di Puppo :
Sarà operativa dal 9
gennaio la nuova piattaforma per la risoluzione alternativa delle
controversie online messa in campo dalla Commissione europea. Gli
organismi di risoluzione alternativa delle controversie (Adr) notificati
dagli Stati membri potranno accreditarsi immediatamente, mentre
consumatori e professionisti potranno accedere alla piattaforma a
partire dal 15 febbraio 2016, all'indirizzo
Torino 1864, la prima stage di Stato. La strage di Torino del 1864
attraverso i libri. articolo di Tullio Fazzolari
...
Nei prossimi mesi, in vista del 3 febbraio, c’è da aspettarsi che
verranno ricordati i 160 anni del trasferimento da Torino a Firenze
della
capitale del regno d’Italia.
E anche se fu un fatto transitorio durato appena sei anni resta comunque
una ricorrenza importante per lo sviluppo di Firenze.
Poco o nulla, invece, s’è detto in questi giorni del centosessantesimo
anniversario di quella che è stata definita “la prima strage di Stato”.
Il 21 settembre 1864, appena si seppe che alla loro città veniva tolto
il ruolo di capitale del regno, i torinesi manifestarono il proprio
malcontento.
I carabinieri reagirono subito sparando e la conseguenza furono due
giornate di sangue con più di 50 morti e almeno 150 feriti.
Pochi libri raccontano i tragici eventi di Torino.
Tra questi vanno sicuramente segnalati “La strage impunita.
Torino 1864” di Valerio Monti (Savej, 151 pagine, 15 euro) pubblicato
nel 2014 e il più recente “Torino 1864.
La prima strage senza colpevoli dell’Italia unita” di Enzo Ciconte
(Interlinea, 200 pagine, 14 euro).
Altre pagine da non perdere vanno cercate con un po’ di pazienza nei
volumi dedicati alla storia del capoluogo piemontese.
Per esempio “Torino” a cura di Valerio Castronovo edito da Laterza.
Oppure l’importante saggio di Umberto Levra “Dalla città
“decapitalizzata” alla città del Novecento” pubblicato nel settimo
volume della
“Storia di Torino” di Einaudi.
Tutte le ricostruzioni confermano che la strage del 1864 fu uno degli
eventi più vergognosi dello Stato unitario.
Tanto per cominciare il trasferimento della capitale era stato imposto
nella cosiddetta convenzione di settembre dalla Francia di Napoleone
III.
La scelta di Firenze (dopo aver scartato l’ipotesi di Napoli) doveva
essere il segnale che l’Italia rinunciava a fare di Roma la propria
capitale.
L’accordo non piacque al re Vittorio Emanuele II che dovette subirlo
obtorto collo.
Ma soprattutto non piacque ai torinesi per molte ragioni tra cui anche
l’obbligo di trasferirsi per i dipendenti statali.
La protesta del 21 settembre fu inizialmente pacifica e per molti
aspetti patriottica.
Si gridavano invettive contro il governo Minghetti succube dei francesi
e s’inneggiava a Garibaldi.
Lo slogan ricorrente era “Roma o Torino” a dimostrare che la perdita
della capitale poteva essere accettata se si fosse realizzata l’unità
nazionale.
La violenta reazione dei carabinieri provocò la sommossa del giorno
successivo.
E di nuovo i carabinieri aprirono il fuoco in maniera scomposta
uccidendo persino alcuni soldati che stavano arrivando di rinforzo.
Nessuno verrà punito.
I 58 carabinieri che la magistratura militare aveva rinviato a processo
vennero tutti assolti.
L’inchiesta parlamentare non ebbe conseguenze.
E per chiudere tutto arrivò un’amnistia.
Restano una lapide in piazza San Carlo a ricordo delle vittime e i segni
indelebili dei proiettili sotto il monumento a Emanuele Filiberto.
PERCHÉ
NO AL MINISTRO NUCLEARISTA PICHETTO DI UN GOVERNO IN CADUTA
LIBERA :
IL NUCLEARE RAPPRESENTA I DINOSAURI SOSTENUTI DA CHI
VUOLE GUADAGNARE FACILMENTE CON IL PASSATO.
I numeri dell’Industria italiana delle rinnovabili
Il risultato? Il rapporto
IREX 2024 mostra come il comparto italiano delle rinnovabili non
abbia fermato la crescita, nonostante una serie di difficoltà
oggettive, dal peso dell’inflazione ai rincari dei materiali
passando per le tante complessità autorizzative. Al punto che
vengono riportate 1.180
iniziative progettuali (in aumento del 23% sul 2022,)
per una potenza totale cumulata di 50,9
GW e un valore aggregato di 80,1 miliardi di euro. In
termini di investimenti in progetto si tratta di quasi il doppio
del 2022. E per il 96% si tratta di progetti destinati
all’Italia.
La parte del leone la fa
l’agrivoltaico con
368 iniziative del valore aggregato di 14 miliardi e una potenza
pianificata cumulata di ben 15,8 GW. Il fotovoltaico tradizionale
rimane in testa per numero di operazioni ma potenza e
investimenti pianificati si attestano sotto all’agri-fv:
12,6 GW e 10,4 miliardi di euro. L’eolico
a terra con 254 progetti per 14,GW di potenza
totale cumulata, tocca un valore di 19,2 miliardi di euro. Più
bassi ovviamente i numeri dell’eolico offshore che tuttavia si fa
finalmente notare con 12 operazioni per 8,4 GW e 28,1 miliardi
di euro. Gli investimenti complessivi per i sistemi
di accumulo passano da 3,2 a 8,2 miliardi.
“L’Irex Annual Report 2024mostra un settore italiano delle
rinnovabili che ha continuato a crescere nonostante le sfide
economiche globali”, ha spiegato l’amministratore delegato Alessandro Marangoni, a
capo del team
di ricerca.
“Tra gli elementi caratterizzanti […] lo sviluppo dell’eolico
offshore che, sulla carta, è la tecnologia emergente nel 2023 e
il crescente interesse per gli accumuli, con l’affacciarsi di
molti player e progetti”.
Marangoni pone l’accento
anche sulla riduzione
della taglia media degli impianti rinnovabili, scesa
dagli 48 MW del 2022 a 44 MW nel 2023. Contestualmente il
rapporto evidenzia l’aumento delle operazioni inferiori a 10 MW,
il cui peso sale dal 16% al 30% del totale. Sul fronte specifico
dei sistemi di accumulo il 99% degli impianti è inferiore ai 20
kW, di cui la maggior parte sotto i 10 kW (91%).
Il costo livellato
dell’energia
Il rapporto IREX 2024
mostra per il
2023 un sensibile ridimensionamento dei prezzi elettrici in
Europa. La media si attesta a 96,1 euro il MWh (meno
54% sul 2022) ma il Belpaese si contraddistingue come al solito
con uno dei valori più elevati: 127,2 euro il MWh.
Sul fronte degli LCOE,
ossia del costo
medio per unità di elettricità generata, il documento
sottolinea un sensibile aumento dei valori
per le fonti rinnovabili. Il LCOE dell’eolico offshore
varia tra 82,1 euro il MWh del Mare del Nord e 121,1 euro il MWh
del Mediterraneo; nel fotovoltaico il valore medio dell’LCOE
degli impianti commerciali si attesta a 107,4 euro il MWh (+9,8%
sul 2022), mentre gli impianti di taglia industriale presentano
un costo medio di 77 euro il MWh (+10,6% sul 2022).
Il report offre anche
qualche previsione
di scenario per il 2024 “con
i prezzi delle materie prime per la costruzione degli impianti
eolici che vedranno variazioni differenziate: in aumento
alluminio e rame, in calo i materiali ferrosi, stabile il
cemento per le fondazioni. Gli effetti saranno una discesa del
LCOE più contenuta per l’onshore (nulla o fino al 5%) e più
marcata per l’offshore (-10%/-15%). Per il fotovoltaico le
pressioni sulla componentistica dovrebbero portare a ulteriori
ribassi, con il costo dei moduli in calo del 10-15%”.
NON SI RISPETTA VOLONTA' DEGLI ITALIANI ESPRESSA 2 VOLTE.
IL FUTURO E' LA RETE ELETTRICA DELLE RINNOVABILI CON LA
PRODUZIONE DI H2 NEI PICCHI , UTILIZZATO NELLE CARENZE.
4.L’Italia sta investendo 135 mln in R&D su piccoli
reattori modulari e nucleare 4G
La narrativa che
circonda la
“rinascita” del nucleare dipinge i piccoli
reattori modulari di ultima generazione come la
soluzione a tutti i problemi dei vecchi reattori. Gli Small
Modular Reactors (SMR) sarebbero meno costosi e sarebbe
possibile costruirli in poco tempo. Candidati ideali, quindi,
per un
ruolo almeno da comprimario nella transizione energetica, a
fianco delle rinnovabili. E sui quali bisogna investire subito
per avere una flotta di SMR adeguata già nel 2030.
La realtà è completamente
diversa: i
loro costi lievitano e i ritardi nei tempi di realizzazione si
accumulano come per le vecchie centrali nucleari,
sostiene un
rapporto dell’Institute for Energy Economics and Financial
Analysis (IEEFA) che ha analizzato tutti i progetti di SMR in
cantiere.
Vecchi/nuovi problemi
per i piccoli reattori modulari
La base di partenza è
ristretta: sono solo 4 gli SMR operativi o in costruzione oggi
in tutto il mondo. A fronte di circa 80 diversi concetti di
piccoli reattori modulari a diverse fasi di maturità. Oltre ai
dati sui 4 mini-reattori nucleari, l’IEEFA si è basata anche
sulle previsioni sui costi fornite da alcuni dei principali
sviluppatori di questi progetti negli Stati Uniti.
“I risultati dell’analisi
mostrano che poco è cambiato rispetto al nostro lavoro
precedente. Gli SMR sono ancora troppo costosi, troppo lenti da
costruire e troppo rischiosi per svolgere un ruolo significativo
nella transizione dai combustibili fossili nei prossimi 10-15
anni”,
sintetizza il rapporto.
Per i
3 piccoli reattori modulari operativi (2 in Russia e 1 in Cina) e
per l’unico
altro SMR in costruzione (in Argentina), le spese
effettive di costruzione sono state “notevolmente
sottostimate”. Per i reattori russi l’aumento supera il
300%, ma i dati risalgono al 2015 e probabilmente l’incremento
reale è maggiore. Un aumento analogo è quello registrato per
l’SMR cinese. Per il mini-reattore argentino va anche peggio:
rispetto alle stime iniziali del 2013, i costi previsti erano
lievitati del 600% nel 2021. Per altri SMR solo proposti i costi
sono più che raddoppiati, come nel caso dei mini-reattori di
NuScale. Incrementi che avvengono prima ancora che i progetti
ottengano licenze e via libera formale.
Sui tempi, i lunghi
ritardi nella costruzione “sono
stati la norma, non l’eccezione”, sostiene l’IEEFA. Per i 4
SMR al centro dell’analisi le tempistiche sono regolarmente
almeno triplicate, passando dai 3-4 anni preventivati ai 12-13
anni effettivi. Tutti ritardi non troppo distanti da quelli
riscontrati anche dai reattori di più recente generazione, come
gli EPR di Okiluoto e Flamanville (dai 4-5 anni preventivati a
16-18 effettivi). Parte della retorica sui supposti tempi
ridotti di realizzazione fa leva sulla modularità degli SMR. Ma
l’approccio modulare è stato impiegato anche in altri reattori
precedenti, sottolinea il rapporto, e senza gli attesi benefici
sulle tempistiche.
A marzo conclusa la 1° fase di
lavori per preparare il campo al ritorno del nucleare in Italia
(Rinnovabili.it) – A
marzo la Piattaforma
nazionale per il nucleare sostenibile ha finito “la
prima fase di lavori” e si appresta a formulare una “strategia
nazionale” che entrerà nel PNIEC e prepara la strada al ritorno
del nucleare in Italia. Lo ha
comunicato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza
Energetica (MASE) Gilberto Pichetto durante il question time al
Senato dell’11 aprile.
La Piattaforma sta quindi
rispettando la tabella di marcia annunciata
lo scorso settembre, che prevedeva una ricognizione del panorama
del nucleare a livello nazionale e internazionale. Un primo giro
di orizzonte su cui costruire una “via italiana” all’atomo.
“Nelle tre fasi
successive si procederà con l’elaborazione di una road map e la
definizione di azioni con le relative risorse per incentivare la
possibile ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare in Italia
attraverso le nuove tecnologie nucleari caratterizzate da
elevati standard di sicurezza e sostenibilità”,
ha specificato Pichetto.
In realtà il governo ha
già iniziato a stanziare risorse per il nucleare in Italia.
All’atomo sono stati destinati lo scorso novembre 135 mln euro, il
25% del totale disponibile sotto il capitolo Mission Innovation.
Destinati ad attività di ricerca e sperimentazione sui piccoli
reattori modulari di terza e quarta generazione nel breve-medio
periodo.
I prossimi passi per il
ritorno del nucleare in Italia
Secondo i piani, la
Piattaforma dovrebbe produrre entro aprile un documento che
tracci la strada da seguire, che saranno poi tradotte entro giugno in linee guida ben
definite che individuano azioni, risorse, investimenti e
tempistiche per riaprire la porta all’atomo.
Questa strategia
nazionale “darà
un contributo che sarà contemplato anche nell’aggiornamento del
Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) e per
raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione”, ha
aggiunto il titolare del MASE rispondendo a un’interrogazione
del senatore Zanettin (FI).
Sarà elaborata tenendo conto dei contributi forniti dalle
indagini conoscitive delle commissioni Ambiente di Camera e
Senato e dall’industria nazionale legata alla filiera
dell’atomo.
“La filiera industriale
italiana è già fortemente impegnata a livello internazionale sia
nel campo della fissione che in quello della fusione, in
particolare nella produzione di componentistica richiesta da
centrali nucleari estere, reattori sperimentali e centri di
ricerca. Il loro coinvolgimento risulta fondamentale per far sì
che tutta la filiera che gravita intorno al nucleare sia pronta
nel momento in cui il quadro regolatorio nazionale consentirà la
ripresa di quelle che possono essere le attività e le relative
autorizzazioni”,
ha sottolineato Pichetto.
5.Sono
passati undici anni dal referendum indetto per chiedere il
parere degli italiani su un eventuale ritorno al nucleare; era
il mese di giugno del 2011, tre mesi dopo il disastro di
Fukushima. E sono passati ben 35 anni dal precedente referendum
sullo stesso tema delle centrali nucleari, avvenuto nel 1987,
ossia un anno dopo la tragedia di Chernobyl. In entrambi i casi
gli italiani si espressero in maggioranza contro lo sviluppo del
nucleare civile nel nostro Paese.
Undici anni non sono
tanti, ma sono evidentemente sufficienti per rimuovere dalla
coscienza nazionale gli eventi del passato perché oggi in Italia
assistiamo a una sorta di revival del nucleare; si sta, infatti,
diffondendo molto materiale propagandistico, approfittando dei
comodissimi e ubiquitari social media che permettono con grande
facilità di far circolare idee, giuste o sbagliate che siano.
In particolare, nel
settembre 2022 è apparso su YouTube un video a cartoni animati
di circa 15 minuti dal titolo “Il nucleare: i dubbi più grossi”,
realizzato da un giovane produttore indipendente. Grazie
all’indiscussa abilità del video maker e a una narrazione tutta
giocata su un registro sardonico e sarcastico, il video ha
raccolto in poco tempo oltre un milione di visite e una pletora
di commenti generalmente entusiasti tra il pubblico, composto in
maggioranza da giovani e giovanissimi.
La trascrizione integrale
del parlato a supporto del video occupa ben sei pagine in
formato Word e spazia su numerosissimi temi: dal funzionamento
delle centrali nucleari alla loro sicurezza, dagli incidenti a
questi impianti agli effetti generati dall’esplosione di una
bomba atomica, dalla sicurezza energetica di una nazione alle
caratteristiche delle fonti rinnovabili e a quelle
dell’industria estrattiva dell’uranio, giusto per citarne
alcuni. L’autore dichiara apertamente di propendere da sempre
per il nucleare e di essersi avvalso di consulenti chiaramente
orientati in questo senso.
Per dare una prima idea
di come sia impostato il video, diciamo subito che racconta i
due gravissimi incidenti sopra citati, Chernobyl e
Fukushima, fornendo diverse spiegazioni sulle cause che li hanno
provocati, ma dimentica del tutto il primo incidente nucleare
grave (grado 5 su scala di 7), che avvenne negli Usa nel 1979
alla centrale di Three Mile Island, con fusione parziale del
nocciolo e rilascio di radiazioni nell’ambiente.
L’incidente americano
diede impeto al movimento antinucleare globale che, per esempio,
in Italia si oppose per anni, senza successo, alla costruzione
delle centrali, per poi arrivare alla vittoria con il referendum
del 1987. Il movimento si riaccese a causa dei progetti
nuclearisti di Berlusconi e Scajola (al governo tra il 2001 e il
2006) e, in particolare, con la decisione di creare in un
giacimento di salgemma nel territorio di Scanzano Jonico il
deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (2003). Le
manifestazioni contrarie durarono 15 giorni e la decisione venne
ritirata anche su insistenza dei politici lucani. Tutte cose che
il video non racconta affatto.
All’inizio del video si
sente dire che è “molto
facile” costruire e capire come funziona una centrale
nucleare. Questo è il primo messaggio sbagliato perché
l’industria del nucleare non è affatto “molto facile”, anzi è
terribilmente difficile. Siccome si tratta di impianti
intrinsecamente pericolosi e molto complessi, durante la
progettazione, nei controlli preventivi, nella costruzione e
nell’esercizio, vengono esaminati tutti i possibili tipi di
incidenti e vengono previste un’infinità di contromisure per
prevenirli; salvo, poi, dover rifare tutto il ragionamento ogni
volta che si verifica un incidente “imprevisto” (cosa che
successe, ad esempio, dopo Three Mile Island). Questa
complessità aumenta moltissimo tempi e costi, tanto da veder
saltare sempre i budget di previsione e allungare, anche di
decenni, le attivazioni operative degli impianti.
Inoltre, la “semplice”
gestione delle centrali non è affatto banale. Ad esempio, dei 56
reattori francesi, nel corso del 2022 30 sono rimasti fermi: 18
perché sottoposti ad interventi di manutenzione programmata e 12
per problemi di “corrosione da stress”; per 16 di loro le
autorità francesi hanno deciso di prolungare il funzionamento
oltre i tempi della quarta revisione periodica dei reattori da
900 MW di Électricité de France (EDF), decisione molto
discutibile considerato che questi impianti sono stati
progettati per 40 anni di attività.
Negli ultimi anni in
Francia si sono verificati importanti problemi in ben quattro
centrali: a Civaux, a Cattenom, a Chooz e infine, solo qualche
giorno fa, a Penly, con rischio classificato al livello 2,
appena sotto ciò che si definisce “incidente grave”, e tale da
indurre le autorità a fermare il reattore.
La débâcle del nucleare
francese ha portato la produzione delle centrali al livello più
basso degli ultimi 30 anni. A risentirne sono stati anche i
conti di EDF che ha chiuso il bilancio 2022 con una perdita di
17,9 miliardi di euro e ciò nonostante il fatturato sia
cresciuto del 70% rispetto all’anno precedente.
Il Governo francese, dal
canto suo, sul finire dello scorso anno ha lanciato la
nazionalizzazione della multiutility con un esborso stimato in
9,7 miliardi di euro; oggi EDF è per il 96% di proprietà dello
Stato e diverrà interamente pubblica nel volgere di qualche
settimana.
Per non parlare, poi,
della dismissione degli impianti nucleari che è motivo di
insostenibilità economica per i soggetti gestori e fonte di
forte preoccupazione per le autorità e i territori che ospitano
gli impianti.
Il video è interamente
costellato di sapienti inesattezze. Per esempio, si lascia
intendere che il maremoto del 2011 in Giappone fosse
imprevedibilmente eccezionale e, quindi, “i
danni conseguenti a Fukushima sostanzialmente inevitabili”.
Non è assolutamente così. Viene, infatti, volutamente ignorato
il fatto che la prima centrale nucleare costiera raggiunta dal
maremoto non fu quella di Fukushima, bensì quella di Okagawa,
dove l’impianto, costruito da un’altra azienda senza badare a
spese, resistette sia al terremoto che allo tsunami, diventando
addirittura rifugio per gli sfollati [1].
Se i proprietari della
centrale di Fukushima non avessero risparmiato sulle protezioni
anti-maremoto e i controlli pubblici giapponesi avessero
funzionato bene, il disastro non sarebbe avvenuto. Questo, che
sembra essere un argomento in favore del nucleare, pone in
verità un problema generale sul nucleare “privato” e sui
controlli “pubblici” ed è il motivo per cui le poche centrali
nucleari in costruzione in Europa sono tipicamente affidate ad
aziende statali con costi impressionanti che gravano solo sulle
casse pubbliche. Per esempio, la centrale nucleare francese di
Flamanville, dopo il fallimento del costruttore Areva, è ora in
mano a EDF che sta realizzando anche la grossa centrale inglese
di Hinkley Point C, insieme al colosso statale nucleare cinese
CNG, con fortissime polemiche sia sull’opportunità politica, sia
sui costi, sia sull’impatto ambientale.
Il nucleare civile, per
quante precauzioni si prendano, non è a prova di inetto o di
avido: basta un singolo malintenzionato o sbadato nella lunga
catena di progettazione, controllo e gestione degli impianti e
del combustibile per mettere a repentaglio la sicurezza
generale. Questo naturalmente è vero anche per altre grandi
imprese energetiche, come ha dimostrato il disastro del Vajont
(1963), che di fatto, conducendo a migliaia di morti, fermò per
sempre la corsa al grande idroelettrico sulle nostre montagne.
Venendo a punti
specifici, abbiamo rilevato nel video un numero notevole di
errori, imprecisioni, notizie distorte e dati poco attendibili.
Di seguito una breve selezione.
Seguendo la successione
cronologica, la prima riguarda il nocciolo che “non esploderà mai; al massimo si
scalda, si dilata e fonde” e ben si connette con l’altro
travisamento “una centrale non è una bomba e
non può esplodere come una bomba”. I fatti dimostrano
esattamente il contrario: il 10 aprile 2003 nella centrale di
Paks in Ungheria fu scongiurato il pericolo di un’esplosione
nucleare grazie ad un pronto e non semplice intervento di
raffreddamento di 30 barre di combustibile del nucleo del
reattore. Dunque, se per un verso non è possibile escludere a
priori il rischio di esplosione del nocciolo, dall’altro occorre
riaffermare – cosa che l’autore del video si guarda bene dal
fare – che l’autodistruzione del reattore è in sé il maggiore
dei pericoli e che può essere innescato, come accadde a
Fukushima, anche da eventi di “ordinaria amministrazione” quali,
ad esempio, la distruzione dell’impianto refrigerante e/o la
mancata alimentazione delle pompe.
Una centrale nucleare, in
caso di incidenti, anche se non esplode è, comunque, una bomba i
cui effetti biologici (ad es., sindrome acuta da radiazioni e
aumento dell’incidenza del cancro), psicologici e sociali sono
estremamente gravi e duraturi, così come dimostrato da studi
condotti sia in Italia (vedi il caso della Centrale del
Garigliano) che all’estero [2].
Inoltre, il rassicurante
messaggio contenuto nel video “ci preoccupiamo di poche scorie
stoccate in barili a prova di bomba che in 70 anni di attività
di un paese occupano un solo capannone”, è fuorviante
perché si limita a considerare l’aspetto quantitativo, senza
toccare i risvolti più critici.
Da un punto di vista del
tutto generale, le scorie, tante o poche che siano, sono un
problema non risolto che lasciamo sulle spalle delle prossime
generazioni; come è stato giustamente sottolineato in un
articolo uscito su Chemical&Engineening News del 5 maggio 2008
“it is at best irresponsible, at worst a crime, to leave the
waste to be addressed by generations not yet born.”.
Ad esempio, per quanto
riguarda l’Italia, trascorsi oltre 30 anni dalla chiusura degli
impianti, la questione delle scorie è tutt’altro che risolta. In
Germania la penetrazione di una soluzione salina nelle caverne
sotterranee del deposito di Asse, dove dal 1967 al 1978 furono
portati 125.787 container di scorie radioattive (per il 90%
provenienti da centrali nucleari), ne ha compromesso la tenuta
stagna.
Parimenti critica risulta
la situazione delle scorie in Francia: ad Aube, dei due centri
di stoccaggio che ospitano il 90% dei residui radioattivi
prodotti ogni anno in Francia, uno si sta avvicinando alla
saturazione e per alcuni rifiuti non c’è ancora una soluzione.
Inoltre, una recente inchiesta della rete televisiva Artè ha
svelato che la Francia ha stoccato in Siberia presso il
complesso atomico di Tomsk-7 e in modo totalmente abusivo (a
cielo aperto) il 13% delle sue scorie radioattive.
Inoltre, non viene
toccato il problema della dismissione di una centrale nucleare
che di scorie ne lascia tante e di difficilissima gestione; il
sito che ha ospitato una centrale porta indelebili i suoi segni:
enormi silos, in cui vengono “tombate” le scorie e le parti
dell’impianto, che per ragioni di sicurezza non possono essere
toccati per tempi lunghissimi e di cui, ancora una volta, si
dovranno occupare le future generazioni.
Sempre nel video si
minimizzano gli “effetti
di un attacco militare” agli impianti, materializzatosi
nell’agosto scorso a Zaporizhzhia e in settembre a
Pivdennoukrainsk, in Ucraina.
In generale, gli impianti
nucleari non sono progettati in funzione di un possibile danno
derivante da un attacco militare perché, con una visione
assolutamente miope, si considera quale unica fonte di pericolo
il danneggiamento delle strutture che contengono il reattore. È,
invece, facile dimostrare che per provocare un disastro, ad
esempio simile a quello di Fukushima, sarebbe sufficiente
indirizzare l’attacco militare al sistema di raffreddamento
delle vasche che permettono di controllare la temperatura dei
reattori.
Per il caso di
Zaporizhzhia, l’Istituto Affari Internazionali ha formulato lo
“Scenario Fukushima”, richiamando l’attenzione sulleconseguenze
dell’interruzione della refrigerazione del nocciolo e delle
piscine del materiale spento: esplosioni di idrogeno, incendi
locali, esplosioni di vapore acqueo, rottura delle barre di
combustibile fino alla fusione del nocciolo nel corium e
penetrazione del contenitore, con rilascio di materiale
radioattivo.
Inoltre, qualora fosse
bombardata l’area di stoccaggio a secco del combustibile
nucleare esaurito, le strutture di contenimento del combustibile
potrebbero danneggiarsi liberando isotopi radioattivi che
andrebbero a contaminare le zone circostanti l’impianto,
rendendo necessarie contromisure di sanità pubblica per la
popolazione locale.
Il direttore generale
dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), Rafael
Grossi, a proposito dei ripetuti attacchi missilistici alla
centrale ha dichiarato: “Ogni volta è come se tirassimo i dadi.
E se permettiamo che questo continui, un giorno la nostra
fortuna si esaurirà”.
Nel video si tace,
ovviamente, sulla “connessione
tra usi civili ed usi militari” del nucleare; è, invece,
noto che i cicli del combustibile e della fissione nelle
applicazioni pacifiche e non pacifiche funzionano spesso in
parallelo; tecnologie e conoscenze sono spesso adatte ai due
usi, soprattutto negli stati con regimi autocratici. Il caso
tipico è quello dell’Iran, con il suo programma militare
clandestino svolto in parallelo a quello civile, dove la AIEA ha
rilevato particelle di uranio arricchito all’83,7 per cento, non
lontano dalla soglia del 90 per cento necessaria per la
produzione di un ordigno.
E, comunque, anche in
assenza di programmi militari clandestini, la catena del
nucleare a uso civile ben si presta ad essere utilizzata per
applicazioni militari: questo vale per gli impianti di
arricchimento dell’isotopo fissile dell’uranio (U-235), per i
reattori di ricerca e commerciali, per gli impianti e la
tecnologia di ritrattamento e, infine, per i siti provvisori di
stoccaggio del plutonio, dell’uranio e di altri materiali
fissili.
Affermare poi che “Il
nucleare fa paura perché ci appare ancora misterioso, per questo
ci ricordiamo di quei 2 grossi incidenti successi in 70 anni di
attività” è puro negazionismo; in realtà negli ultimi 50
anni si contano numerosi incidenti, tra i quali almeno 5 gravi:
oltre a Chernobyl (1986) e Fukushima (2011), si devono
aggiungere quello già citato all’impianto di Three Mile Island
(1979) e quelli alle centrali nucleari di Kyshtym (1957) e di
Windscale Piles (sempre 1957). Fra l’altro, è molto probabile
che non tutti gli incidenti nucleari siano stati dichiarati in
quanto legati a sviluppo di programmi militari clandestini.
Inoltre, il nucleare “fa
paura” non perché sia oggetto opaco e misterioso come si dice
nel video, ma proprio perché vi è consapevolezza dei rischi
associati all’opzione nucleare. Ad esempio e giustamente,
l’Italia, pur non avendo centrali funzionanti sul suo
territorio, data la presenza di 13 impianti a meno di 200
chilometri dai suoi confini si è dotata di un Piano Nazionale
per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari; tra gli
obiettivi del Piano figurano la definizione e l’attuazione di
“…misure per la tutela della salute pubblica e delle produzioni,
con particolare riguardo alle misure protettive e alle strategie
di protezione dei cittadini, nonché i controlli delle filiere
produttive e le restrizioni alla commercializzazione di prodotti
agroalimentari”.
Sui “costi del nucleare” la
narrazione proposta nel video falsifica la realtà, ignorando la
conclusione a cui si perviene dopo aver analizzato le stime
dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA): il nucleare non
costerà poco e sarà in grado di reggersi unicamente in virtù di
un robusto sostegno finanziario di fonte governativa. Non
potrebbe essere altrimenti considerati gli ingenti costi di
realizzazione degli impianti, su cui incide il peso degli oneri
finanziari dovuti ai lunghi tempi di costruzione, stimati
ottimisticamente dalla IEA in 10 anni nel Regno Unito, 9 in
India e negli Usa, e 6 in Cina.
Non solo le vecchie ma
anche le nuove centrali non risultano competitive sia rispetto
ai costi che ai tempi di costruzione: Flamanville 3 in Francia
avrebbe dovuto avere un costo di 5 miliardi di euro lievitati a
13,2, secondo Electricité de France, e a 19 per la Corte dei
conti francese; la costruzione avviata nel 2007 si sarebbe
dovuta concludere dopo molti ritardi nel 2022, ma secondo Alain
Morvan, direttore del progetto, l’impianto verrà caricato con il
combustibile solo nel primo trimestre del 2024. La Finlandia ha
invece terminato la costruzione di Olkiluoto con un ritardo di
12 anni rispetto ai tempi pianificati e con costi triplicati.
La sequela di
mistificazioni contenute nel video si alimenta anche del
capitolo relativo “all’impronta
carbonica” delle centrali in rapporto all’energia prodotta,
che l’autore, non senza audacia e con tanto di grafico,
proverebbe essere inferiore rispetto a quella delle fonti
rinnovabili.
La quantità di CO2 emessa dal nucleare deve essere calcolata tenendo
conto di tutte le fasi del ciclo di vita degli impianti –
dall’estrazione dell’uranio fino alla dismissione delle centrali
– senza tralasciare le emissioni legate al trasporto e allo
stoccaggio delle scorie radioattive.
Ciò premesso, secondo i
dati forniti dall’Agenzia per l’ambiente tedesca, il valore
delle emissioni generate dal nucleare risulta elevato: oltre il
triplo del fotovoltaico (33 g/kWh), circa 13 volte quello delle
centrali eoliche (tra i 9 e i 7 g/kWh) e quasi 30 volte quello
degli impianti idroelettrici (4 g/kWh).
Inoltre, secondo lo
studio “Differences
in carbon emissions reduction between countries pursuing
renewable electricity versus nuclear power”, pubblicato
il 5 ottobre del 2020 sulla rivista Nature Energy, le energie
rinnovabili sono fino a 7 voltepiù efficaci nel ridurre le
emissioni di carbonio rispetto all’energia nucleare. su Unsplash
L’ostracismo nei
confronti delle rinnovabili trova riscontro in un altro
passaggio del video in cui si afferma che “Questa
filiera, in rapporto all’energia prodotta, genera un
inquinamento e un’emissione di CO2 che supera
pure quella del nucleare, facendoci poi dipendere da stati come
la Cina”.
Delle emissioni di CO2 si è già detto. Quanto alla debolezza della filiera
nazionale ed europea relativa alle rinnovabili e alla
conseguente dipendenza dalla Cina, il nodo è e resta tutto
politico. Nel suo report “Solar PV Global Supply Chain”
pubblicato a giugno di quest’anno, la IEA afferma che “… Le
nazioni possono migliorare la resilienza investendo per
diversificare la produzione e le importazioni”.
Per quanto concerne
l’Italia, il PNRR destina risorse alla
realizzazione/modernizzazione di impianti per la produzione di
moduli fotovoltaici nei siti di Modugno (pannelli flessibili) e
Catania, dove ENEL punta a raggiungere l’obiettivo di produrre
3000 MW di pannelli al 2024.
In merito alla dipendenza
dalla Cina, le attuali tecniche consentono di riciclare fino al
88-90% del modulo fotovoltaico, generando circa 17-18 kg di
materie prime seconde per ogni pannello. Ragion per cui è
importante investire su nuove tecnologie che consentano di
accrescere la percentuale di riciclo dei moduli, il conseguente
recupero di silicio da utilizzare per nuove produzioni, nel
rispetto dei dettami dell’economia circolare, e, quindi, di
diminuire la dipendenza dai paesi esteri.
Non altrettanto può dirsi
del combustibile che alimenta i reattori, presente in soli
cinque paesi al mondo, tra cui anche la Russia, con le sue
486.000 tonnellate, pari all’8% delle riserve mondiali, e il
Kazakistan, con 906.800 tonnellate, pari al 15% delle riserve
mondiali, e primo produttore al mondo, ma teatro di dure
repressioni del dissenso interno.
Altro punto dolens del
video è quello della presunta “assenza di infiltrazioni mafiose e
malavitose” in un settore a così alta specializzazione.
L’accertato “zampino” della yakuza, la temibile mafia
giapponese, nella gestione della decontaminazione di Fukushima,
e alcuni cablogrammi di Wikileaks che chiariscono il ruolo delle
cosche nella gestione dei traffici illeciti di rifiuti nucleari
in transito dal Porto di Gioia Tauro, smentiscono la fantasiosa
narrazione dell’autore.
Al capitolo “mafia
atomica” appartengono anche alcune delle pagine più oscure e
dolorose del nostro paese: l’esecuzione, avvenuta a Mogadiscio
il 20 marzo del 1994, della giornalista Ilaria Alpi, rea di aver
indagato su un traffico internazionale di armi e rifiuti tossici
radioattivi, e la morte, avvenuta in circostanze misteriose,
dell’ufficiale della Marina Militare, Natale De Grazia, in
servizio presso la Capitaneria di porto di Reggio Calabria e
impegnato in una delicata indagine sull’affondamento delle navi
dei veleni nei mari della Calabria.
La denigrazione delle
rinnovabili prosegue associando
allosviluppo
delle rinnovabili l’incremento del consumo di suolo e
richiamando l’avversione
delle comunità locali nei confronti di “pannelli
fotovoltaici e pale eoliche”.
Anche in questo caso la
smentita viene dai “freddi numeri”: secondo un recente studio
condotto in Italia [3] nel 2020, l’energia solare potrebbe
alimentare l’Italia senza utilizzare ulteriore suolo.
Per raggiungere gli
obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima
(PNIEC), rivisti alla luce del Green Deal U.E., si prevede che
entro il 2030 il fotovoltaico debba fornire almeno 100 TWh di
energia elettrica, 4 volte in più rispetto al 2020. Ipotizzando
che questa energia venga generata da impianti solari a terra, si
occuperebbe un’area di poco superiore ai 1.000 km2,
grosso modo pari alla superficie della provincia di Pistoia e
corrispondenti a circa il 5% del consumo di suolo in Italia,
contro una quota del 40% ricoperta da strade e circa del 30%
occupata dagli edifici.
Esistono tuttavia diverse
alternative per ridurre ulteriormente il consumo di suolo: ad
esempio, attraverso il revamping e il repowering degli impianti
esistenti, utilizzando moduli più efficienti (passando
dall’attuale 21-22% al 30% entro il 2030, si potrebbero produrre
300 TWh, doppiando abbondantemente il target del Green Deal) e,
anche, con soluzioni riguardanti l’integrazione del fotovoltaico
sui tetti degli edifici o l’uso del fotovoltaico galleggiante
sull’acqua.
Quanto all’atteggiamento
delle amministrazioni e delle comunità locali nei confronti
dell’eolico, è dimostrato che giocano un ruolo a favore della
realizzazione dei progetti fattori quali una buona
pianificazione, il concreto coinvolgimento dei territori,
un’informazione preventiva, tempestiva e trasparente, il
rispetto delle norme che regolano i permessi, il grado di
integrazione dei progetti con il tessuto economico-sociale
locale, ecc. (si veda, ad esempio, il caso dell’impianto eolico
in località Tocco da Casauria, 3,2 MW, anno 2006).
Di contro, sappiamo per
certo che in Italia il culmine dell’opposizione pubblica a piani
energetici è stato raggiunto solamente in occasione delle due
consultazioni referendarie sullo sviluppo del nucleare civile.
La prima consultazione, nel 1987, si articolò su tre quesiti: il
numero dei votanti fu pari al 65,1% degli aventi diritto e per
tutti e tre i quesiti la maggioranza dei votanti di espresse
contro l’opzione nucleare. Stessa sorte toccò al nucleare nel
2011: il numero dei votanti fu il 54,79% degli aventi diritto e
il 94,5% dei votanti si espresse per la seconda volta contro lo
sviluppo del nucleare in Italia, a dispetto di quanti, politici
e non, avevano fino ad allora sostenuto e continuavano ad avere
un atteggiamento neutrale nei confronti di quel settore.
Per giustificare la
necessità di installare impianti nucleari il video continua la
sua crociata contro le rinnovabili accusando
queste fonti di una variabilità intrinseca con la
conseguente impossibilità di stabilizzare il sistema elettrico.
In realtà sono sempre più diffusi e facilmente reperibili studi
tecnico-scientifici che mostrano come sia possibile sviluppare
un sistema elettrico basato sul 100% di rinnovabili, senza
utilizzare fonti fossili e senza costruire nuove centrali
nucleari [4]. Un tale obiettivo è realizzabile anche in Italia;
ad esempio, l’amministratore delegato di Terna, Stefano
Donnarumma, intervistato da diverse testate giornalistiche (vedi
Il Messaggero del 5/10/22), non ha mostrato perplessità per
l’imponente crescita delle rinnovabili sul sistema elettrico da
lui amministrato e Francesco Starace, ingegnere nucleare a capo
di Enel Spa, ha dichiarato la sua totale contrarietà a un nuovo
programma nucleare italiano basato sulle tecnologie oggi
disponibili (vedi intervista a Open del 13/1/22).
Nonostante la recente
propaganda distorta e dannosa, i numeri parlano chiaro: in tutto
il mondo le rinnovabili sono in crescita esplosiva, mentre il
nucleare è sostanzialmente residuale o in fase calante. Allora,
i nostri giovani dovrebbero guardare responsabilmente al loro
futuro affidandosi non a un divertente cartone animato, ma a
seri dati scientifici.
di Enrico Gagliano, Vittorio
Marletto, Margherita Venturi – Energia
per l’Italia
Riferimenti
[1] Andrew
Leatherbarrow, Melting
Sun: The History of Nuclear Power in Japan and the Disaster at
Fukushima Daiichi, Nielsen, 2022.
[2]
“Special Report: Counting the dead”, Nature, 440,
982, 2006 (doi.org/10.1038/440982a); J.-C. Nénot, “Radiation
accidents over the last 60 years”, Journal
of Radiological Protection, 29, 301, 2009
(doi.10.1088/0952-4746/29/3/R01).
L’aggiornamento del PNIEC
dovrà essere consegnato a Bruxelles a giugno 2024
Il nuovo Piano
Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) potrebbe
contenere il primo accenno concreto all’impiego dell’energia
nucleare. Non per il medio termine, ovviamente, quanto
piuttosto per lo sforzo di decarbonizzazione al 2050. A
rivelarlo è il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza
energetica Gilberto Pichetto Fratin un giorno
prima del Vertice
G7 di Torino.
Il numero uno del MASE ha
da sempre sostenuto la validità dell’energia dell’atomo come
strumento di decarbonizzazione energetica, nonostante le chiare
difficoltà di riuscire ad inserire una simile fonte nel contesto
nazionale. Ecco perché nel 2023 il dicastero ha istituito
la Piattaforma Nazionale per un
Nucleare Sostenibile (PNNS). Il network, coordinato dal
MASE con il supporto di Enea e RSE, ha l’obiettivo di definire
in tempi certi un percorso finalizzato alla possibile ripresa
dell’utilizzo dell’energia nucleare in Italia e alla crescita
della filiera industriale nazionale (già attiva nel comparto).
Lo scenario nucleare nel PNIEC italiano
Il passaggio nel PNIEC
italiano appare come una mossa, per alcuni versi, abbastanza
prevedibile. Il Piano deve essere consegnato entro giugno 2024
alla Commissione europea nella sua versione ufficiale,
integrando in teoria tutte le richieste avanzate da Bruxelles
rispetto alla bozza 2023.
A partire da nuovi dettagli su come il Belpaese intenda
raggiungere gli obiettivi climatici ed energetici 2030. Con
particolare attenzione alle azioni di riduzione delle emissioni.Secondo
quanto riporta l’esecutivo UE, infatti, “il piano fornisce proiezioni di
emissioni che dimostrano che con le politiche e le misure
aggiuntive proposte nel progetto di PNEC aggiornato, l’Italia
non è sulla buona strada per raggiungere il suo obiettivo
nazionale di gas serra di -43,7% nel 2030 rispetto ai livelli
del 2005. Secondo le proiezioni dell’Italia, il target sarebbe
inferiore di 6,7-8,7 punti percentuali”.
Il possibile scenario
“nucleare” su cui sta lavorando la PNNS riguarda però il lungo
termine, ossia le politiche dal 230 alla metà del secolo. Spiega
il ministro Pichetto “L’aggiornamento
del PNIEC, da trasmettere alla Commissione europea entro giugno
2024, riporterà anche analisi di scenario contenente una
possibile quota di energia prodotta da fonte nucleare nel
periodo 2030-2050. Tale quota sarà ricavata dai dati, basandosi
su valutazioni comparative rispetto al mix energetico attuale.
Tali analisi sono tutt’ora in corso di studio da parte di uno
specifico Gruppo di lavoro della Piattaforma”.
Si studiano nuove proposte normative e di governance
Ma per portare il nucleare
in Italia e inserire l’atomo nel mix elettrico nazionale
servirà anche mettere
mano a norme, regolamenti e incentivi per non parlare
delle politiche di governance. E al momento l’Italia fatica
anche a realizzare il deposito nazionale dei rifiuti
radioattivi.
Come muoversi su questo
fronte? Il Ministro ha rivelato di aver dato mandato al
giurista Giovanni
Guzzetta, di costituire un gruppo di alto livello per
ridisegnare l’ambito legislativo del sistema regolatore italiano
“per accogliere un eventuale
programma di ripresa della produzione nucleare in Italia“,
con la definizione, inoltre, di “un quadro normativo specifico per
l’energia da fusione”.
Atto Camera
Mozione 1-00295
presentato da
SQUERI Luca
testo presentato
Mercoledì 12 giugno 2024
modificato
Mercoledì 26 giugno 2024, seduta n. 314
La Camera,
premesso che:
1) nel gennaio 2020 l'Italia ha inviato alla Commissione europea
la versione definitiva del Piano nazionale integrato per
l'energia e il clima 2021-2030 (Pniec), adottato in attuazione
del Regolamento 2018/1999/UE, al termine di un percorso di
consultazione pubblica ed elaborazione avviato nel dicembre
2018. Tra i principali obiettivi: una percentuale di energia da
fonti energetiche rinnovabili (FER) nei consumi finali lordi di
energia pari al 30 per cento, la riduzione dei «gas serra»,
rispetto al 2005, per tutti i settori non ETS del 33 per cento,
il phase out del carbone dalla generazione elettrica al 2025;
2) nel dicembre 2019, la Commissione europea ha presentato la
comunicazione strategica sul Green Deal europeo volta a
conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Tale
traguardo, approvato il 12 dicembre 2019 dal Consiglio europeo,
è stato successivamente sancito dalla legge europea sul clima
(regolamento 2021/1119/UE), che ha introdotto l'obiettivo, da
conseguire entro il 2030, di ridurre le emissioni di almeno il
55 per cento rispetto ai livelli del 1990;
3) il 14 luglio 2021, la Commissione europea ha presentato un
pacchetto di proposte legislative, denominato Fit for 55 (Pronti
per il 55 per cento), volte a rivedere la normativa dell'Ue in
materia di riduzione delle emissioni climalteranti, per
consentire il raggiungimento di questo nuovo più ambizioso
obiettivo al 2030;
4) il 18 maggio 2022 la Commissione europea ha presentato il
Piano REPowerEU (COM(2022) 230 final) con l'obiettivo di ridurre
la dipendenza dell'UE dai combustibili fossili russi accelerando
la transizione e costruendo un sistema energetico più
resiliente. Con il regolamento (UE) 2023/435 del 27 febbraio
2023, è stato consentito agli Stati membri di inserire appositi
capitoli REPowerEU nei Piani per la ripresa e la resilienza
(PNRR). Il 7 agosto 2023 il Governo italiano ha presentato alla
Commissione europea le conseguenti modifiche al Piano nazionale
ripresa resilienza, accolte dalla Commissione europea,
(COM(2023) 765 Def) il 24 novembre 2023 e dal Consiglio europeo
l'8 dicembre 2023;
5) il 4 agosto 2022 è entrato in vigore, con decorrenza 1°
gennaio 2023, il regolamento delegato 2022/1214 della
Commissione Ue, che include gas e nucleare dalla lista degli
investimenti considerati sostenibili dal punto di vista
ambientale (cosiddetta tassonomia verde). Dal 1° gennaio 2023 è
possibile investire in nuove centrali nucleari realizzate con le
«migliori tecnologie disponibili» e fra gli investimenti
sostenibili le attività di ricerca e sviluppo per le nuove
tecnologie è stato inserito il nucleare di quarta generazione.
Quanto al gas, le centrali con permesso di costruzione
rilasciato entro il 2030, dovranno sostituire vecchi impianti a
combustibili fossili con altri più efficienti del 55 per cento
dal punto di vista delle emissioni ed essere programmate per
passare, dal 2035, a gas rinnovabile;
6) il 16 maggio 2023 è entrato in vigore il Regolamento (UE)
2023/857 (cosiddetto Regolamento Effort Sharing-ESR) che ha
fissato un obiettivo per l'Italia ancor più ambizioso,
prevedendo che le emissioni di gas a effetto serra degli Stati
membri al 2030 rispetto ai livelli nazionali del 2005
determinate in conformità dell'articolo 4, paragrafo 3 del
regolamento stesso (trasporti, residenziale, terziario,
industria non ricadente nel settore ETS, i rifiuti,
l'agricoltura) si riducano entro il 2030 del 43,7 per cento
rispetto ai livelli del 2005;
7) questo complesso di impegni detta l'inquadramento del
percorso di decarbonizzazione del Paese. Ai sensi dell'articolo
14 del regolamento (UE) 2018/1999, la proposta di aggiornamento
del Piano nazionale integrato energia e clima, allineata ai
nuovi obiettivi, deve essere trasmessa alla Commissione europea
entro il 30 giugno 2023, mentre la versione finale del documento
deve essere trasmessa entro giugno 2024, sviluppandosi nelle
cinque dimensioni dell'Unione dell'energia: decarbonizzazione
(riduzione delle emissioni e energie rinnovabili); efficienza
energetica; sicurezza energetica; mercato interno dell'energia;
ricerca, innovazione e competitività;
8) in coerenza con gli obiettivi sopraindicati il Ministero
dell'ambiente ha predisposto nell'estate 2023 un documento di
aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima
2019, in linea con i nuovi obiettivi, prevedendo per il 2030 la
conseguente riduzione dell'emissione di gas serra, una quota del
40 per cento di energia proveniente da fonti rinnovabili nei
consumi finali lordi di energia (e del 65 per cento nel settore
elettrico);
9) un aumento dell'efficienza energetica che porta i consumi
finali 2030 a 100 Mtep e quelli primari dai 145 Mtep del 2021 ai
122 del 2030; l'abbattimento, rispetto al 2005 del 62 per cento
delle emissioni ETS e del 35-37 per cento delle emissioni ESR,
la promozione della produzione industriale a basse emissioni di
carbonio, nonché una maggiore elettrificazione nel mix
energetico;
10) la proposta di aggiornamento Piano nazionale integrato
energia e clima 2023 prevede che per rispettare la traiettoria
emissiva del periodo 2021-2030, rispetto ai livelli del 2005,
sarà necessario avviare da subito una significativa riduzione
delle emissioni pari a oltre il 30 per cento rispetto ai livelli
del 2021, da conseguirsi prevalentemente nei settori trasporti e
civile (residenziale e terziario);
11) nel percorso di decarbonizzazione, in tutti i settori,
l'efficienza energetica rappresenta il driver principale, in
coerenza del principio Energy Efficiency First (efficienza
energetica al primo posto);
12) per quanto riguarda la produzione elettrica da fonte
rinnovabile (FER-E) in termini di potenza installata si prevede
di aumentare, rispetto all'installato di fine 2021, da 11.290 a
28.140 MW quelle eolica, da 22.594 a 79.921 MW quella solare,
mentre restano sostanzialmente stabili le potenze installate nei
settori dell'idroelettrico e della geotermia. In calo la
produzione da bioenergie. In termini di produzione annua si
prevede di incrementare l'eolico da 20 a 64 TWh, il solare da 25
a 99 TWh, mentre si prevede una sostanziale stabilità per
l'idroelettrico (da 48,5 a 47 TWh) e un calo per le bioenergie
da 19 a 10 TWh) (pagine 77 e 78 del Piano nazionale integrato
energia e clima 2023);
13) per quanto riguarda il settore delle rinnovabili termiche
(FER-C), le misure dovranno essere coordinate con l'efficienza
energetica, in particolare per gli edifici. È previsto l'obbligo
di integrazione delle rinnovabili termiche negli edifici, la
riforma del meccanismo delle detrazioni fiscali, l'obbligo di
fornitura di calore rinnovabile per vendite di calore sopra i
500 tep, unitamente all'incentivazione della produzione di
energia rinnovabile termica di grande taglia con sistemi
competitivi. Nel settore termico, oltre a una forte spinta
all'elettrificazione dei consumi data dall'ampia diffusione
delle pompe di calore nel settore civile, penetreranno sempre
più i gas rinnovabili (biometano, bioGPL e DME rinnovabile) e
idrogeno (in particolare in ambito industriale);
14) l'ammontare degli investimenti diretti stimati necessari per
raggiungere gli obiettivi del Piano nazionale integrato energia
e clima al 2030 è stimato dal Ministero dell'ambiente e della
sicurezza energetica in 830,3 miliardi di euro, tra il 2023 e il
2030 dei quali 524,9 miliardi a carico del settore dei trasporti
(solo veicoli) 134,2 miliardi nel settore dell'edilizia
residenziale, 43 miliardi nel terziario, 37,2 per le reti del
sistema elettrico, 69,4 nelle FER-E (di cui 36 miliardi nel
fotovoltaico e 24 nell'eolico) e 6,3 miliardi per i sistemi di
accumulo (batterie e pompaggi). In calo invece gli investimenti
in idroelettrico e bioenergie (pagine 411-412 del Piano
nazionale integrato energia e clima 2023);
15) a fronte di questa dimensione epocale di investimenti le
risorse disponibili, tra le misure di finanza sostenibile
individuate dal Piano nazionale integrato energia e clima 2023 e
le risorse rese disponibili nei vari fondi europei, appaiono del
tutto esigue e sottostimate, ove si consideri che la Commissione
UE prevede, nelle linee guida per l'aggiornamento del Piano
nazionale integrato energia e clima, la necessità di valutare
gli impatti sociali ed economici delle misure di transizione, da
accompagnare con politiche che impediscano l'acuirsi delle
differenze sociali, favoriscano la ricollocazione dei lavoratori
e contrastino i fenomeni di povertà energetica. A tale scopo le
risorse del Fondo sociale per il clima (86,7 miliardi di euro di
cui il 75 per cento finanziato con i proventi ETS e il 25 per
cento con risorse proprie degli Stati), sembrano essere esigue
rispetto agli impatti delle diverse politiche pubbliche messe in
campo. Il solo costo della direttiva Case green è stato stimato
a livello europeo in 275 miliardi di euro l'anno dal 2024 al
2030;
16) è necessario sottolineare che il raggiungimento degli
obiettivi, ambiziosi, previsti dal Piano nazionale integrato
energia e clima non può prescindere dal sostegno di tutte le
fonti rinnovabili e, quindi, da una libertà in merito alle
scelte tecnologiche. Come chiarito dalla direttiva (UE)
2018/2001, le biomasse, la geotermia, l'energia idraulica e i
biogas, appartengono al novero delle fonti rinnovabili, questo
anche nell'ottica di preservare ed accompagnare verso una
graduale transizione anche il sistema produttivo principale del
nostro paese caratterizzato da imprese di medio-piccole
dimensioni;
17) va da sé, inoltre, anche la necessità di avanzare in sede
europea una proposta volta al riconoscimento degli incentivi a
impianti la cui componentistica e tecnologia sia in gran parte
costruita nell'Unione europea anche per incentivare gli
investimenti in Europa e concorrere alle logiche di filiera
industriale che gioverebbe al sistema Italia;
18) inoltre, è opportuno valorizzare quanto introdotto nel 2023
dall'Unione europea attraverso il Critical Raw material act
quale strumento utile a implementare strumenti di ricerca,
estrazione di terre rare e altre materie prime critiche e
strategiche, riciclo delle stesse e avvio di processi
industriali e tecnologici per la surroga di tali elementi. Ad
oggi il settore mondiale delle batterie sta conoscendo
un'evoluzione esponenziale con un fortissimo calo dei prezzi e
l'introduzione di nuove tecnologie di sostituzione o
complementari. Proprio su questo fronte vi sono prospettive
interessanti per la tecnologia agli «ioni-sodio» e le batterie
termiche dove l'industria italiana può rivestire un ruolo da
assoluta protagonista per la presenza di importanti progetti in
tale settore;
19) per quanto riguarda le biomasse, la superficie boscata
italiana si è triplicata dal 1951, raggiungendo 12 milioni di
ettari, sui 30,1 milioni totali del Paese, ma si utilizza come
fonte rinnovabile solo il 18 per cento dell'accrescimento, che
corrisponde a 7,90 Mtep, e l'Italia è il primo importatore
europeo di materia prima legnosa. Germania, Francia e Spagna
prevedono al 2030 di produrre il 68 per cento dell'energia
termica da biomassa. Se si utilizzasse il 67 per cento
dell'accrescimento (media europea) se ne otterrebbero 30 Mtep,
che coprirebbero il 70 per cento dei consumi termici da fonte
fossile. La gestione sostenibile delle foreste, unitamente alla
previsione di politiche per la mitigazione degli incendi,
migliora la capacità di assorbimento del carbonio. In Austria la
capacità di assorbimento della CO2 è triplicata rispetto
all'Italia che dispone di una insolazione molto superiore e ha
grande disponibilità di acqua;
20) per la geotermia, risorsa rinnovabile (calore della terra) e
programmabile, è attribuito (dati RSE-GSE) un elevato potenziale
geotermico presente nel 60 per cento del territorio italiano.
L'Italia con oltre 30 impianti geotermoelettrici, attivi nel
settore elettrico, per una potenza di 817 MW ed una produzione
nel 2022 di 5.837 GWh, pari al 6 per cento circa della
produzione elettrica da FER e al 2 per cento circa della
produzione elettrica complessiva nazionale, si pone da molti
anni al primo posto dei Paesi dell'Unione Europea in termini di
capacità installata. La risorsa geotermica ai fini energetici è
significativamente utilizzata nel Paese anche nel settore
termico sia attraverso impianti di teleriscaldamento, sia
mediante impianti di sfruttamento diretto del calore geotermico,
che in impianti di sfruttamento del calore geotermico tramite
pompa di calore. La geotermia, oltre ad essere una delle
principali fonti rinnovabili per riscaldamento, raffreddamento e
per la produzione programmabile di energia elettrica, risulta il
mezzo più sostenibile per estrarre litio e altre materie prime
critiche dai fluidi geotermici;
21) per quanto riguarda l'energia idraulica secondo i dati
contenuti nel Registro italiano dighe, le grandi dighe (volume
d'invaso maggiore di 1.000.000 metri cubi, altezza maggiore di
15 metri) sono in totale 532. Di queste 497 sono ancora in
attività e sono date in concessione soprattutto per la
produzione di energia idroelettrica (306) dighe cui seguono gli
usi irriguo potabile e industriale. La capacità d'invaso è di
circa 14 chilometri cubi. Con interventi di manutenzione degli
invasi e di ammodernamento delle turbine secondo alcuni studi si
potrebbe avere un incremento di produzione di 25 TWh annui al
2030 (circa il 40 per cento in più). In Italia piovono
annualmente circa 300 miliardi di metri cubi d'acqua, dei quali
viene trattenuto solo l'11 per cento, mentre l'obiettivo
raggiungibile è del 40 per cento. L'acqua è centrale per puntare
all'autosufficienza alimentare e aumentare la resa produttiva
per ettaro;
22) nel settore del biogas l'Italia è leader in Europa con 1.600
impianti attivi, 1,7 miliardi di metri cubi di biometano (biogas
depurato da CO2) prodotti e 12 mila occupati. La produzione di
biogas si avvale oggi di tecnologie all'avanguardia, quali la
digestione anaerobica dalla quale deriva un digestato
considerato efficace fertilizzante. La produzione di biogas ha
effetti a cascata sulla filiera agroalimentare, perché oltre
all'energia e alla fertilizzazione, favorisce l'uso efficiente
dell'acqua, accompagna tecniche di produzione basate sul
precision farming e l'innovazione nella meccanica agraria, ma
soprattutto accresce la competitività degli allevamenti
preservando il futuro di una filiera fondamentale per il made in
Italy. Oggi si trasforma in biogas il 15 per cento dei reflui
zootecnici che possono arrivare entro il 2030 a una percentuale
del 65 per cento con una produzione di 6,5 miliardi di metri
cubi e la creazione di altri 25 mila posti di lavoro. Nel Piano
nazionale ripresa resilienza la Missione 2 nella Componente C1
«Economia circolare e agricoltura sostenibile» è previsto lo
sviluppo del biometano di origine agricola o da Forsu (frazione
organica dei rifiuti urbani) (1,92 miliardi di euro) da
destinare al greening della rete gas, pari a circa 2,3-2,5
miliardi metri cubi, per rispondere alla domanda crescente di
decarbonizzazione sia del settore dell'industria, soprattutto
quella Hard To Abate che non può essere elettrificata, e sia del
settore trasporti, in forma liquida (bioGNL) o gassosa in
aggiunta al biometano, l'Italia è fortemente impegnata nello
sviluppo delle produzioni di bioGPL e di altri gas rinnovabili
(es. DME);
23) è necessario, infine, tener conto delle evidenze
geopolitiche internazionali: la Cina è attualmente superpotenza
nel settore delle energie rinnovabili, acquisendo in sostanza
una leadership tecnologica, industriale, commerciale nell'eolico
e nel fotovoltaico, nella supply chain della mobilità elettrica
(delle terre rare, dalle materie prime alle batterie). Grazie ai
massicci investimenti effettuati nelle rinnovabili, l'industria
cinese è quasi monopolista nella produzione mondiale di pannelli
solari e delle turbine eoliche, con una quota superiore ai due
terzi. Se non adeguatamente sorretto da una industria europea,
il mantra della transizione energetica al dopo-fossili
affermatosi nei Paesi occidentali, rischia di trasformarsi in
una dipendenza eccessiva dalle forniture cinesi e di mettere a
repentaglio importanti catene di valore della meccanica europea;
24) viceversa, nelle tecnologie relative ai settori delle
turbine (idrauliche e non), dello sfruttamento delle biomasse,
della geotermia, della produzione di biogas l'Italia è
all'avanguardia o comunque svolge un ruolo da protagonista.
Quanto all'efficienza energetica il sistema produttivo del
nostro Paese presenta valori d'intensità energetica primaria
(definita dal rapporto tra il consumo interno lordo di energia e
il prodotto interno lordo) inferiori alla media dei Paesi
dell'Unione europea;
25) con riferimento infine all'energia nucleare, la Camera il 9
maggio 2023 ha approvato la mozione 1-00083, nella quale si
impegna il Governo a valutare l'opportunità di inserire nel mix
energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e
pulita per la produzione di energia e ad adottare iniziative
volte ad includere la produzione di energia atomica all'interno
della politica energetica europea, riaffermando in quella sede
una posizione volta a mantenere nella tassonomia degli
investimenti verdi la messa in esercizio di centrali nucleari
realizzate con le migliori tecnologie disponibili;
26) in ambito nucleare, si ricorda che l'Italia possiede il
secondo settore industriale europeo, sia in termini di
competenze che di capacità, avendo sempre mantenuto attività nel
settore, a livello EU e internazionale. Inoltre, l'Italia forma
circa il 10 per cento degli ingegneri nucleari europei. I
ricercatori italiani e alcune infrastrutture sperimentali sono
ben conosciuti e apprezzati nel mondo. Grazie a queste
caratteristiche, l'Italia è oggetto di particolare attenzione,
in particolare dalla Francia ed ultimamente dagli Stati Uniti,
per la costituzione di una supply chain nucleare europea,
finalizzata a realizzare: lo sviluppo delle nuove tecnologie; la
formazione delle risorse umane; la realizzazione di nuove
politiche energetiche che integrino in maniera sinergica fonti
rinnovabili e nucleare;
27) nel nuovo quadro regolatorio europeo, l'Italia può quindi
giocare un ruolo da protagonista, partecipando sia allo sviluppo
sia alla realizzazione delle nuove tecnologie nucleari in
programmazione nei Paesi EU, seguendo le storiche orme dei «due
Enrico»: Fermi, inventore dell'energia nucleare nel 1942, e
Mattei, il primo a realizzare una centrale nucleare in Italia, a
Latina, nel 1960;
28) nella definizione della strategia energetica nucleare del
nostro Paese, occorre considerare la definizione di partnership
con gli altri Stati europei impegnati sul tema, anche al fine di
incrementare il know how e le capacità industriali. In tale
percorso sarebbe opportuno valutare la definizione di
un'autorità indipendente di sicurezza nucleare nazionale con
un'adeguata dotazione organica;
29) in linea con le raccomandazioni dell'Agenzia internazionale
per l'energia atomica, appare necessario individuare altresì una
Nuclear energy programme implementing organization (Nepio) con
il compito di valutare lo stato delle infrastrutture di base
necessarie per avviare un programma nucleare nazionale e fornire
al Governo le indicazioni necessarie per il loro completo
sviluppo e operatività. Tale Nepio dovrebbe anche avere il
compito di coinvolgere e coordinare tutti i soggetti pubblici e
privati interessati, al fine di uno sviluppo organico e coerente
di tutte le infrastrutture di base,
impegna il Governo:
1) in relazione all'adozione della versione definitiva del Piano
nazionale integrato energia e clima ad adottare iniziative
volte:
a) a prevedere, per quanto di competenza, opportune forme di
rendicontazione al Parlamento circa lo stato di avanzamento del
Piano nazionale integrato energia e clima;
b) a rafforzare nell'ambito del Piano nazionale integrato
energia e clima, sulla base del principio della neutralità
tecnologica, l'apporto di tutte le fonti rinnovabili o
sostenibili con bassa emissione di CO2, sia termiche che non,
tenendo conto della necessità di valorizzare la filiera
produttiva nazionale, al contempo ottimizzando il rapporto
costi/benefici per il sistema Paese, valutando il differente
grado di programmabilità e garantendo il positivo apporto in
termini di miglioramento della qualità dell'aria;
c) nel settore civile, a prevedere riforme delle misure in
vigore a supporto della riqualificazione edilizia, che
garantiscono una maggiore efficacia e un impiego più efficiente
delle risorse pubbliche;
d) nel settore trasporti, a rafforzare le misure volte a
favorire lo shift modale delle persone e delle merci verso
modalità più efficienti e decarbonizzate, quali il trasporto
pubblico e ferroviario, e, contemporaneamente, a supportare lo
sviluppo delle produzioni dei biocarburanti e delle altre fonti
rinnovabili;
e) nel settore industriale, a prevedere lo sviluppo di diverse
opzioni tecnologiche per la decarbonizzazione dei settori hard
to abate quali l'efficienza energetica, l'idrogeno, il biometano
e la Carbon capture and storage (Ccs), con un approccio
integrato che non escluda nessuna di queste opzioni, ma che allo
stesso tempo promuova e faciliti l'accesso a quelle più efficaci
per ciascun ambito;
f) a prevedere nel Piano un approfondimento riguardo la
valutazione sugli effetti dell'eventuale adozione,
nell'orizzonte temporale successivo al 2030 e traguardando gli
obiettivi 2050, di tecnologie di generazione energetica basate
sulla fonte nucleare, quali a titolo esemplificativo i reattori
nucleari di piccole dimensioni (Smr), i piccoli reattori
nucleari avanzati (Amr), i microreattori e le macchine a
fusione;
2) al fine di conseguire in modo efficace i target del Piano
nazionale integrato energia e clima al 2030, ad adottare
iniziative di competenza volte a:
a) anche in ambito europeo, a individuare le risorse e gli
strumenti di programmazione economica necessari ad attuare il
Piano nazionale integrato energia e clima 2023-2030, valutando
non solo ex ante, ma anche in itinere l'impatto economico,
finanziario, sociale nonché sul sistema produttivo delle misure
poste in essere per il raggiungimento dei target;
b) a proseguire i tavoli di approfondimento già avviati sul
settore civile, dei trasporti e sulle tematiche
socio-economiche, per un efficace attuazione delle politiche
previste dal Piano nazionale integrato energia e clima e per il
monitoraggio della sostenibilità sociale, con particolare
riferimento alla sostenibilità degli oneri per la
riqualificazione energetica degli edifici residenziali e alle
risorse necessarie per la formazione dei lavoratori nei settori
che saranno maggiormente coinvolti dalla transizione energetica;
c) ad adottare meccanismi di incentivazione, con ottimale
rapporto costi/benefici, a sostegno dello sviluppo delle
rinnovabili (elettriche, termiche e nei trasporti) e degli
interventi di efficientamento energetico, con particolare
attenzione a progetti integrati ed ai progetti di
decarbonizzazione di impianti industriali;
d) a sfruttare tutto il ventaglio delle tecnologie termiche,
tenendo conto delle specificità nazionali, proseguendo altresì
nel processo di efficientamento nella produzione di energia
termica e di riduzione costante dei livelli emissivi;
e) a semplificare i processi autorizzativi in ambito geotermico
e delineare una strategia nazionale di massimizzazione dello
sfruttamento di tale risorsa;
f) ad avviare un processo di efficace manutenzione degli invasi
e di ammodernamento delle turbine degli impianti idroelettrici,
al fine di massimizzarne la producibilità;
g) in ambito europeo per il superamento degli ostacoli che
impediscono il rapido avvio degli investimenti per
l'ammodernamento e il potenziamento delle infrastrutture
idroelettriche, in considerazione degli evidenti benefici, anche
in termini di stabilità della rete, derivanti dalla
programmabilità della produzione di energia idroelettrica e
della necessità, a fronte della estremizzazione degli eventi
climatici, di incrementare lo stoccaggio della risorsa «acqua»;
h) a proporre soluzioni anche in sede di Unione europea,
finalizzate ad eliminare le distorsioni di prezzo tra i diversi
Stati dell'Unione che vanno a discapito della nostra
competitività industriale;
i) a realizzare la transizione verso una mobilità sostenibile
che tenga in dovuta considerazione la necessità di intervenire
anche su settori quali l'aviazione e il marittimo, ove la
decarbonizzazione può essere meno supportata
dall'elettrificazione dei consumi;
l) a continuare l'incentivazione della produzione di biometano
utilizzando tutto il potenziale disponibile di feedstocks,
valorizzando il settore agricolo ed agro-industriale nazionale
oltre che quello della Forsu, attraverso nuovi sistemi di
incentivi per il periodo post 2026 che, tenendo conto dei tempi
di autorizzazione e realizzazione degli impianti, arrivino oltre
il 2030, per rispondere alla domanda crescente di
decarbonizzazione del settore dell'industria che non può essere
elettrificata, e sia del settore trasporti, in forma liquida
(bioGNL) o gassosa, nonché ad implementare misure di sostegno
allo sviluppo delle produzioni di gas rinnovabili liquefatti
(bioGPL e DME) a sostegno della decarbonizzazione del settore
industriale e di quello dei trasporti;
m) a completare il quadro normativo relativo alla Carbon capture
and storage (Ccs), per poter avviare le iniziative progettuali,
a partire da quelle nell'area dell'Alto Adriatico, individuando
la governance della filiera, la regolazione tecnico economica
delle attività di trasporto e stoccaggio, dei sistemi di
supporto e degli strumenti di garanzia;
n) a limitare la dipendenza tecnologica da Paesi posti al di
fuori dell'Unione europea;
o) a risolvere il problema della saturazione virtuale della rete
elettrica di trasmissione e garantire un efficace meccanismo di
gestione delle richieste di connessione, attraverso la
commisurazione del costo della connessione non solo alla
capacità impegnata ma anche alla durata dell'impegno e,
contemporaneamente, mediante la determinazione della decadenza
delle richieste di connessioni non supportate da ragionevoli
aspettative di conferma e attivazione;
p) anche nella prospettiva dell'aggiornamento del Pniec, a
valutare la possibilità di istituire, nel rispetto delle
normative internazionali ed europee e compatibilmente con le
esigenze di finanza pubblica, un'apposita autorità
amministrativa indipendente di regolamentazione competente in
materia di autorizzazione tecnica, certificazione,
realizzazione, gestione e dismissione degli impianti nucleari,
di sicurezza nucleare e di radioprotezione con le funzioni e i
compiti di Autorità nazionale per la regolamentazione tecnica e
le istruttorie connesse ai processi autorizzativi, le
valutazioni tecniche, il controllo, anche ispettivo, e la
vigilanza degli impianti, nonché a valutare l'opportunità di
incrementare programmi di finanziamento per la ricerca e il
potenziamento dell'industria nazionale nel settore nucleare,
nell'ottica di renderla più competitiva rispetto agli attori
internazionali, creando le migliori condizioni per lo sviluppo
di una filiera italiana;
q) a valutare l'opportunità della creazione, in linea con le
raccomandazioni dell'Agenzia internazionale per l'energia
atomica, di una Agenzia con il compito di valutare lo stato
delle infrastrutture di base necessarie per avviare un programma
nucleare nazionale e fornire al Governo le indicazioni
necessarie per il loro completo sviluppo e operatività.
(1-00295) (Testo modificato nel corso della seduta) «Squeri,
Mattia, Zinzi, Cavo, Cortelazzo, Zucconi, Barabotti, Alessandro
Colucci, Battistoni, Benvenuti Gostoli, Bof, Semenzato, Casasco,
Foti, Montemagni, Mazzetti, Iaia, Pizzimenti, Polidori, Lampis,
Milani, Fabrizio Rossi, Rotelli, Rachele Silvestri».
Nel cuore del Verbano-Cusio-Ossola, in
Piemonte, c’è un piccolo paese di poco più di 200 abitanti, in
cui il sole non brilla da novembre a febbraio.
Stiamo parlando di Viganella, il piccolo paese
immerso nella Valle Antrona che, però, non è rimasto in
penombra e, grazie all’impegno del suo ex sindaco, ha ritrovato la luce
con una soluzione ingegnosa.
Viganella e lo “Specchio del Sole”
Gli abitanti del piccolo borgo di Viganella hanno saputo adattarsi
agli 83 giorni di buio, che ogni anno caratterizzano
l’inverno del paese, da novembre a febbraio.
Viganella, infatti, si trova in una posizione particolare, proprio
in mezzo ad alcune montagne che impediscono al sole di
raggiungerlo durante i mesi invernali.
La penombra è però finita nel 2006, quando
l’allora sindaco del paese, Franco Midali, con la
collaborazione dell’amico architetto Giacomo
Bonzani, ha inaugurato il cosiddetto “Specchio del Sole”.
Si tratta di uno specchiogigante
– 8 metri di larghezza per 5 di altezza – situato in una posizione
strategica su una montagna vicina, che riflette i raggi del sole
sul paese.
Tramite un sistema di motori elettrici comandati da computer, lo
specchio viene ruotato in modo da catturare i raggi solari e
rifletterli sul paese, creando così un’illuminazione
artificiale durante i mesi invernali.
Nella notte viene riposizionato in modo che il mattino seguente
possa ripartire dalla posizione prestabilita e fare il proprio lavoro
durante l’arco della giornata.
Sei ore di sole assicurate ogni giorno fino al 2
di febbraio, data in cui il sole torna a illuminare il piccolo borgo,
evento festeggiato in grande dagli abitanti di Viganella.
Cosa vedere a
Viganella: curiosità
Lo specchio gigante di Viganella non è la sola
attrazione di questa curiosa località: posto a 1000 metri sopra il mare
e a ridosso del confine svizzero, Viganella è la meta perfetta
per gli amanti delle escursioni alpine.
Proprio dal centro di Viganella, nei pressi della
chiesa seicentesca dedicata alla natività di Maria Vergine, parte un
sentiero che porta alle tracce ancora esistenti delle miniere di
ferro di Ogaggia.
Un altro consiglio? Percorrete il sentiero che da
Viganella conduce all’Alpe Cavallo, passando attraverso diversi
alpeggi, tra foreste e ruscelli di montagna.
Le telecomunicazioni sono un asset strategico per la crescita e lo
sviluppo sostenibile del Paese. La disponibilità di una infrastruttura
di telecomunicazioni performante è determinante ai fini della
competitività. È dunque essenziale essere informati su quello che sta
accadendo nel settore anche per capire in che direzione sta andando il
Paese.
Ecco una lista delle fonti più affidabili.
Mimit: il ministero per le Imprese e Made in Italy è diviso in sezioni.
La sezione “Comunicazioni” è organizzata in due sotto-sezioni: una
dedicata alla banda ultralarga dove è possibile accedere al catasto
delle infrastrutture e al portale bandaultralarga.italia.it dove è
possibile monitorare lo stato dei lavori. L’altra sezione è dedicata a
Internet con tutte le info relative all’Internet governance, la
sicurezza informatica, le autorizzazioni ai provider e la normativa
sull’accessibilità. Nella sezione Media disponibili gli ultimi annunci e
azioni del ministero per accelerare sulla diffusione della connettività
in Italia.
Infratel: la società di Invitalia è impegnata in interventi di
infrastrutturazione del Paese, per il superamento del digital divide e
l’abilitazione alla diffusione di servizi di connettività avanzati. Si
può accedere alla Data Room, lo spazio online progettato per condividere
i dati che sono alla base degli interventi di infrastrutturazione
digitale su tutto il territorio nazionale. Inoltre è presente il link al
portale del piano nazionale banda ultralarga per monitorare lo stato dei
lavori e aanche quello del progetto “Wifi Italia”.
Corecom: i Comitati regionali per le comunicazioni sono gli organi
funzionali di Agcom sul territorio. Sui portali regionali attività,
stato dell’arte sulla diffusione delle reti e ricerche.
FONTI ISTITUZIONALI EUROPEE E INTERNAZIONALI
Dg Connect: è la direzione della Commissione europea per le Reti di
comunicazione dove è possibile trovare tutto il programma di lavoro
della Commissione, i piani strategici e di gestione e infine le
relazioni annuali delle attività con i risultati e risorse utilizzate
dalla direzione anno per anno.
Etsi: lo European Telecommunications Standards Institute è un organismo
internazionale, indipendente e senza fini di lucro, responsabile della
definizione e dell’emissione di standard nel campo delle Tlc in Europa.
Tutti gli standard sono disponibili online.
Itu: l’International Communication Union è l’agenzia Onu per le
telecomunicazioni. Il portale istituzionale elenca e approfondisce le
azioni strategiche che l’ente sta mettendo in campo per ridurre il
digital divide in tutto il mondo e una serie di interviste ad esperti e
membri dell’Agenzia stessa sulle strategie da adottare per un mondo più
connesso.
LE ASSOCIAZIONI ITALIANE
Asstel: l’associazione che raccoglie le grandi telco italiane a
disposizione notizie sulle attività, le legislazioni di riferimento del
settore e lo stato dell’arte sul mondo del lavoro e sulle relazioni
industriali.
Aiip: l’associazione italiana internet provider raccoglie le telco medie
e piccole. Sul portale è possibile accedere ai contenuti sulle attività
dell’organizzazione e degli associati e sul ruolo delle Pmi del settore
per uno sviluppo sostenibile del settore.
Assoprovider: l’associazione rappresenta gli internet service provider.
Online sul portale una serie di contenuti su attività, legislazione e
strategie.
Quadrato della Radio: raccoglie manager, esperti e ricercatori che
“studiano” l’evoluzione delle Tlc in Italia e nel mondo. Sul sito
disponibili tutte le attività e le ricerche.
LE ASSOCIAZIONI INTERNAZIONALI
Etno: l’European Telecommunications Network Operators’ Association
raccoglie le telco europee. Il sito fornisce aggiornamenti sulle ultime
notizie e comunicati stampa relativi alle attività di Etno e
all’industria delle telecomunicazioni in generale nonché una serie di
documenti, rapporti e pubblicazioni su argomenti chiave per l’industria
delle telecomunicazioni.
Ecta: la European Competitive Telecommunications Association raccoglie
gli operatori alternativi, compresi gli Mnvo. Su sito le informazioni
sull’associazione, comprese le posizioni e le advocacy rispetto ai temi
che riguardano gli operatori concorrenti in Europa. Disponibili anche
report, analisi e informazioni sulle tendenze del settore.
Ftth Council Europe: è un’organizzazione senza scopo di lucro che
rappresenta gli operatori di rete a banda larga in fibra ottica in
Europa. Sul portale sono disponibili informazioni sui vantaggi della
tecnologia Ftth, report e analisi sugli impatti economici e sociali
della fibra su economia e società e risorse tecniche e informative per
aiutare le telco nella pianificazione e nella realizzazione di reti
Ftth.
Gsma: la Global System for Mobile Communications Association, è
un’organizzazione internazionale che rappresenta gli operatori di Tlc
mobili di tutto il mondo. Disponibili notizie e aggiornamenti sulle
ultime tendenze, innovazioni e sviluppi nel settore delle
telecomunicazioni mobili e anche analisi e studi di mercato. Online
anche risorse e best practice per gli operatori di telefonia mobile,
come linee guida operative, documenti tecnici, standard e regolamenti.
TESTATE E PORTALI ONLINE
CorCom: testata del Gruppo Digital360, è il più importante quotidiano
online italiano che si occupa di tematiche inerenti le Tlc. Sono
disponibili news, approfondimenti e interviste ai protagonisti del
settore che raccontano come sta evolvendo il mondo delle Tlc e l’impatto
su economia e società. Ogni giorno è inviata una newsletter con le
notizie più rilevanti.
Techflix360: è il nuovo centro di risorse del Gruppo Digital360. Un vero
e proprio “knowledge hub” sull’innovazione digitale e le
telecomunicazioni che consente di approfondire gli argomenti di
interesse attraverso white paper, webcast, eBook, infografiche, webinar.
Telecompaper: fornisce notizie, analisi, rapporti di settore e servizi
di consulenza per le industrie delle telecomunicazioni, dei media e
della tecnologia. Telecompaper monitora costantemente l’evoluzione del
settore, raccogliendo informazioni da diverse fonti e fornendo
aggiornamenti sulle tendenze, gli sviluppi e le innovazioni nel campo
delle telecomunicazioni.
Total Telecom: il sito offre notizie, approfondimenti e interviste a
protagonisti del settore delle Tlc europeo e internazionale. Disponibili
anche podcast e webinar.
Mobile World Live: è una piattaforma online che fornisce notizie,
analisi e informazioni sul settore delle telecomunicazioni e della
tecnologia mobile. È gestita dalla Gsma e offre una copertura
dettagliata degli eventi e delle novità dell’industria, tra cui le
ultime tendenze, gli sviluppi tecnologici, le partnership commerciali e
le iniziative di innovazione nel campo delle comunicazioni mobili.
Fierce Telecom: il sito online fornisce aggiornamenti sulle ultime
tendenze, sviluppi e innovazioni nell’industria delle telecomunicazioni.
Fierce Telecom copre una vasta gamma di argomenti, tra cui reti di
comunicazione, servizi di connettività, infrastrutture, tecnologie
emergenti, regolamentazione e molto altro.
l’H2 e’ una riserva di energia non e’ un vettore energetico visto che il
suo rapporto energetico e’ di 2 a 1? Per cui la produzione corretta di
H2 da stoccaggio e’ a km0 .
Vettore energetico significa trasportare l’energia come il gas la
trasporta dai giacimenti nei gas dotti.
H2 e’ una riserva di energia che viene prodotta e conservata in un luogo
definito in funzione dell’uso che se ne puo’ fare in una centrale
elettrica in termini di tempo oppure per l’auto in termini di spazio per
viaggiare . L’H2 e’ un trasporto mediato dell’elettricita’.
Alla base dell’H2 ci sono l’elettricità’ da fonte rinnovabile e l’acqua.
Si produce l’H2 perché dove c’e’ bisogno di energia non si può portare
con un filo elettrico. Per cui l’H2 e’ una riserva di energia che viene
prodotta e posizionata dove e quando serve. Per cui a H2 e non ha senso
produrre H2 con elettricità rinnovabile per poi tornare a produrre
elettricità. A questo punto ha molto più senso produrre elettricità,
prendere un filo elettrico e portare l’elettricità’ dove e quando serve.
Ci sono dei casi in cui l’elettricità’ non può essere portata con un
filo, come per l’autotrazione e quindi si usa l’H2 come riserva di
elettricità da usare in movimento senza un filo o una batteria. Quindi
con l’elettricità’ e l’acqua si produce l’H2 , che poi si libera
rilasciando elettricità con uno spostamento d’acqua dal luogo di
produzione dell’H2 a quello di utilizzo. In una centrale elettrica dove
l’H2 viene prodotto per costituire una riserva, quando l’H2 si
riutilizza anche l’acqua viene recuperata . Sia per l’autotrazione sia
per le centrali elettriche la produzione ottimale e’ a KM0 . Cioe’ il
distributore e la produzione di energia elettrica. Ecco perche’ non ha
senso H2MED.
PROGETTO ITH2 per;
1) un progetto nazionale integrato energia-clima PNIEC
2) PRODUZIONE DELLA TOYOTA PRIUS H2 A TORINO
Premessa: La produzione dell’H2 e’ quella di una infrastruttura che
produca energia rinnovabile con fotovoltaico che non consumi territorio
e con boe marine per produrre H2 a KM0 con idrogenatori.
OBIETTIVO : H2 KM0 e’ l’obiettivo finale in quanto il rapporto energico
fra la produzione ed il risultato e’ di 2 a 1. Significa che per
produrre 1 di H2 con idrogenatore occorre utilizzare 2 energia
elettrica. Per cui non hanno senso gli idrogenodotti per trasportare H2,
in quanto ha una convenienza produrre H2 dove viene utilizzato. Ecco
perche’ ha piu’ senso trasportare l’elettricità con elettrodotti, da
fonte rinnovabile per produrre H2 dove quando serve.
A COSA PUO’ SERVIRE L’H2 ?: 2 possono essere gli utilizzi dell’H2
1) Autotrazione
2) Produzione di energia elettrica quando le energie rinnovabili non
sono disponibili.
PROGETTI DI SVILUPPO: Sviluppando rapidamente una rete dell’H2 per
autotrazione attraverso la GDO ed AUTOGRILL si possono realizzare
pensiline fotovoltaiche per produrre energia elettrica per l’H2.
Con una base distributiva dell’H2 si creano le premesse ed un modello
europeo per la domanda di H2 e delle auto ad H2 per cui si può arrivare
a produrre negli stabilimenti Pininfarina la futura top dell’H2 : TOYOTA
PRIUS H2.
Disponibile il primo indice del prezzo dell’idrogeno verde prodotto
nella penisola iberica (che parte a 5,85 euro a kg)
Dicembre 17, 2024 redazione MIBGAS
MIBGAS – l’operatore del sistema del gas di Spagna e Portogallo – ha
lanciato oggi MIBGAS IBHYX, il primo indice del prezzo dell’idrogeno
rinnovabile prodotto nella penisola iberica, che ‘apre’ con 5,85 euro a
kg (o 148,36 euro a MWh) e che verrà aggiornato ogni settimana sul sito
www.greenenergy.mibgas.es.
L’indice MIBGAS IBHYX riflette – spiega lo stesso MIBGAS in una nota –
il costo di produzione dell’idrogeno rinnovabile, ovvero il prezzo
minimo al quale un produttore è disposto a vendere per raggiungere la
redditività prevista. In altre parole, il livello di prezzo richiesto
dall’offerta per idrogeno rinnovabile prodotto nella penisola iberica
con una configurazione di elettrolisi ‘tipo’ e classificabile come RFNBO
(Renewable Fuel of Non Biological Origin) in base ai criteri stabiliti
dall’Unione Europea.
Lanciato questo indice che riproduce in sostanza la richiesta economica
dei produttori di H2 green, MIBGAS inizierà ora a lavorare per
determinare il ‘prezzo di domanda’, ovvero il prezzo che gli off-taker
sono disposti a pagare per acquistare idrogeno rinnovabile. La
differenza tra i due valori indicherà il livello di liquidità di questo
nascente mercato.
Proprio per favorire lo sviluppo di un mercato dell’idrogeno, e degli
altri gas rinnovabili, nella penisola iberica, all’inizio dell’anno
MIBGAS aveva creato un gruppo di lavoro finalizzato a definire i
parametri su cui basare il calcolo di un indice del prezzo di questo
vettore energetico prodotto in Spagna e Portogallo, coinvolgendo tutti
gli attori della value chain come produttori, distributori, off-taker,
trasportatori, ma anche studiosi e rappresentanti degli enti pubblici e
delle autorità coinvolte.
Par arrivare alla definizione del MIBGAS IBHYX è stato studiato un
modello base di impianto di produzione di idrogeno rinnovabile da
elettrolisi, ma sono state anche considerate numerose variabili
riguardanti gli aspetti finanziari e il costo dell’energia rinnovabile
(sia quella prodotta da impianti dedicati sia quella prelevata dalla
rete).
BENITO MUSSOLINI
: PERDENTE
L’8 settembre 1943 a Modena
La sera dell’8 settembre 1943 il generale Matteo Negro presidia il
Palazzo ducale di Modena. I militari presenti sono troppo pochi per
tentare una difesa. Diversi sono impegnati nel campo estivo alle Piane
di Mocogno, agli ordini del colonnello Giovanni Duca.
Negro, tutt’altro che ostile ai
nazisti, decide di consegnarsi alle forze occupanti. In città
cerca di resistere soltanto un reparto del 6° reggimento di artiglieria,
che punta alcuni pezzi contro i nazisti. Poco dopo, tuttavia, il comando
ordina di desistere e la Wehrmacht trova via libera.
Il mattino del 9 settembre i modenesi si risvegliano sotto l’occupazione
nazista. La situazione è molto confusa, ma il cronista Adamo Pedrazzi
non teme che si scatenino particolari violenze. La città sembra ordinata
e piuttosto pronta ad abituarsi alla nuova situazione. Le cose sono però
molto diverse là dove la fame si fa sentire.
In vari luoghi della provincia i civili prendono d’assalto ammassi e
salumifici per evitare che le scorte finiscano nelle mani dei militari.
I più disperati cercano di accaparrarsi quel cibo che è sempre più raro.
Da qualche parte la foga è tale da generare veri e propri pericoli. A
Castelnuovo Rangone i nazisti intervengono con le armi mentre tante
persone cercano di portare via qualcosa dal salumificio Villani.
Passano alcuni giorni e la situazione diventa più chiara. I nazisti non
sembrano voler infierire con la violenza, ma
i fascisti della Repubblica sociale
italiana si mostrano subito determinati ad affermare la propria
autorità. Pretendono che le famiglie restituiscono il cibo prelevato
dagli ammassi e gli oggetti abbandonati dai militari in fuga. Non
vogliono che nessuno sgarri. Pur di evitare il tradimento del patto con
la Germania nazista, sono disposti a scatenare una guerra civile.
TUTTO QUELLO CHE
GAIA TORTORA NON VUOLE VEDERE E SAPERE :
Dott.Alberto Donzelli Conferenza 21/03/2024 Hotel "Il Chiostro" Verbania
Intra
STRAGI DI
STATO PER SPECULAZIONE INTERNAZIONALE DA VACCINI
«Qual è
l’incidenza assoluta di ictus ischemico e attacco ischemico transitorio
dopo una vaccinazione bivalente COVID-19?».
A questa domanda hanno cercato di rispondere in uno studio pubblicato su
MedRxiv i ricercatori del Kaiser Permanente Katie Sharff, Thomas K
Tandy, Paul F Lewis ed Eric S Johnson che hanno rilevato ben 100mila
casi di ictus ischemico tra pazienti americani over 65 del Nord-Ovest
vaccinati con i sieri genici mRNA Pfizer o Moderna.
L’ischemia cerebrale è una condizione in cui il cervello non riceve
abbastanza sangue da soddisfare i suoi bisogni metabolici. La
conseguente carenza di ossigeno può portare alla morte del tessuto
cerebrale, e di conseguenza all’ictus ischemico. E’ pertanto una
patologia che mette in correlazione due note reazioni avverse dei sieri
genici Covid mRNA o mDNA: le patologie cardiovascolari e quelle
neurocerebrali, vergognosamente occultate dalla Pfizer nei suoi trial
clinici.
«Abbiamo condotto uno studio di coorte retrospettivo su
pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari o superiore a 18
anni che sono stati vaccinati con la formulazione Pfizer o Moderna del
vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e il 1 marzo 2023. I
pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se fossero iscritti al
KP al momento della vaccinazione e durante il periodo di follow-up di 21
giorni. Abbiamo replicato la metodologia di analisi del ciclo rapido
Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato
possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla
vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella
posizione primaria che in qualsiasi posizione».
E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata “Rischio
di ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19
in un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic
Stroke after COVID-19 Bivalent Booster Vaccination in an Integrated
Health System)”.
«Abbiamo aspettato 90
giorni dalla fine del follow-up (21 marzo 2023) per l’accumulo completo
dei dati non KP prima di analizzare i dati per tenere conto del ritardo
nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurativo al di
fuori dell’ospedale – proseguono i ricercatori di Kaiser Permanente –
Due medici hanno giudicato possibili casi rivedendo le note cliniche
nella cartella clinica elettronica. Le analisi sono state stratificate
per età pari o superiore a 65 anni per consentire confronti con i VSD
che hanno riferito alla riunione dell’Advisory Committee on Immunization
Practices (ACIP) l’incidenza di ictus ischemico o TIA (incidenza
riportata da VSD; 24,6 casi di ictus ischemico o TIA per 100.000
pazienti vaccinato)».
I risultati
dello studio sono stati sconcertanti ed hanno confermato anche la
ricerca tedesca che per prima aveva segnalato la pericolosità dei
booster bivalenti che erano stati testati solo sui topi ma, nonostante
ciò, furono raccomandati dal Dipartimento della Salute USA e dal
Ministero della Salute italiano anche per i bambini.
«L’incidenza di ictus ischemico o TIA è stata di 34,3 per 100.000 (IC al
95%, da 17,7 a 59,9) nei pazienti di età pari o superiore a 65 anni che
hanno ricevuto il vaccino bivalente Pfizer, sulla base di un codice
diagnostico nella posizione primaria del pronto soccorso o dell’ospedale
scarico. L’incidenza è aumentata a 45,7 per 100.000 (IC 95% da 26,1 a
74,2) quando abbiamo ampliato la ricerca a una diagnosi in qualsiasi
posizione e non ci siamo pronunciati per la conferma. Tuttavia, la
maggior parte di queste diagnosi aggiuntive di ictus apparente o TIA
erano diagnosi di falsi positivi basate sul giudizio dei medici. La
stima dell’incidenza basata sulla posizione primaria concordava
strettamente con la stima dell’incidenza basata su qualsiasi posizione e
giudizio medico: 37,1 su 100.000 (IC 95% da 19,8 a 63,5). Il 79% dei
casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali non di
proprietà del sistema di consegna integrato».
«Abbiamo identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus
ischemico per 100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni
vaccinati con il vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati
dal VSD. Il 79% dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in
ospedali che non sono di proprietà del sistema di consegna integrato e
un ritardo nell’elaborazione delle richieste di risarcimento
assicurative esterne all’ospedale è stato probabilmente responsabile
della discrepanza nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. Il
giudizio medico di tutti i casi in questo studio ha consentito stime
accurate dell’incidenza assoluta dell’ictus per 100.000 destinatari del
vaccino ed è utile nel calcolo del beneficio netto per le
raccomandazioni politiche e il processo decisionale condiviso».
«Poiché i
vaccini COVID-19 caricano il corpo con il codice genetico per la
proteina trombogenica e letale Wuhan Spike, coloro che prendono un
vaccino sono vulnerabili a una catastrofe se vengono infettati da
SARS-CoV-2 dopo aver recentemente preso uno dei vaccini» il famoso
cardiologo americano Peter McCullough ha commentato così lo studio del
professor Fadi Nahab dei Dipartimenti di Neurologia e Pediatria della
Emory University a cui avevamo dedicato ampio risalto.
«Nahab e
colleghi di Emory hanno analizzato un database statale di destinatari
del vaccino COVID-19. Circa 5 milioni di georgiani adulti hanno ricevuto
almeno un vaccino COVID-19 tra dicembre 2020 e marzo 2022: il 54% ha
ricevuto BNT162b2, il 41% ha ricevuto mRNA-1273 e il 5% ha ricevuto
Ad26.COV2.S. Quelli con concomitante infezione da COVID-19 entro 21
giorni dalla vaccinazione avevano un aumentato rischio di ictus
ischemico (OR = 8,00, 95% CI: 4,18, 15,31) ed emorragico (OR = 5,23, 95%
CI: 1,11, 24,64)» scrive McCullough nel suo Substack citando l’abstract
dello studio.
«Questa
analisi mostra uno dei tanti grandi pericoli presenti nello sviluppo e
nel lancio rapidi di un vaccino senza una sicurezza e un monitoraggio
dei dati sufficienti. L’ictus è un risultato devastante e sembra che un
gran numero di casi debilitanti avrebbe potuto essere evitato se i
vaccini COVID-19 fossero stati ritirati dal mercato nel gennaio 2021 per
eccesso di mortalità. I pazienti in questo studio sarebbero stati
risparmiati da ictus e disabilità» aggiunge il cardiologo americano
rilevando l’importanza dello studio.
Verissimo! Ma quanti ictus avrebbero potuto essere evitati se lo studio
fosse stato revisionato e pubblicato mesi fa sia sulla prestigiosa
rivista che poi su PUBMED, la libreria scientifica dell’Istituto
Nazionale della Salute americano (NIH) che l’ha ripreso?
Il 13 novembre, mi sono
unito alla deputata statunitense Marjorie Taylor Greene e a sette suoi
colleghi repubblicani della Camera, in un'audizione intitolata Injuries
Caused by COVID-19 Vaccines, che ha esplorato i potenziali
collegamenti tra la vaccinazione COVID-19 e gli eventi avversi tra cui
miocardite, pericardite e coaguli di sangue. , danni neurologici,
arresto cardiaco, aborti spontanei, problemi di fertilità e altro
ancora. Il gruppo ha ascoltato le testimonianze sugli eventi avversi dei
vaccini da parte degli esperti medici Dr. Robert Malone e Dr. Kimberly
Biss e ha anche ascoltato l'avvocato Thomas Renz che rappresentava gli
informatori del Dipartimento della Difesa (DOD) che hanno rivelato
aumenti di diagnosi mediche tra i membri del servizio registrati in un
DOD Banca dati. Scopri di più in questo comunicato
stampa .
Il British Medical Journal ha
accusato la Food and Drug Administration, l’ente americano regolatore
dei farmaci, di aver occultato il risultato di un grande studio di
farmacovigilanza attiva, quindi non basato solo su segnalazioni
individuali e gratuite a database (EudraVigilance gestita da EMA
nell’Unione Europea e VAERS da CDC negli Stati Uniti), si è invece
concentrato anche sul follow-up di alcuni vaccinati.
La ricerca statistica denominata “Sorveglianza della sicurezza del
vaccino COVID-19 tra le persone anziane di età pari o superiore a 65
anni” è stata finalmente rilasciata dalla FDA e pubblicata il 1°
dicembre 2022 dalla rivista specializzata Journal of Vaccine and
Elsevier di Science Direct.
Il primo firmatario è Hui-Lee
Wong, Direttrice associata per l’innovazione e lo sviluppo dell’Ufficio
di biostatistica ed epidemiologia, Centro per la valutazione biologica
della Food and Drug Administration statunitense, Silver Spring, MD, USA.
Lo studio si concentra sui dati relativi a 30.712.101 persone anziane.
DOPO I
VACCINI 15 INCIDENTI DI BUS PER MALORI DEI CONDUCENTI
Piazzola sul Brenta (PD), Marzo 2022, “Malore dopo l’incidente a
Piazzola sul Brenta, grave un autista di bus. Il conducente 44enne ha
tamponato un autocarro. Dopo la telefonata a BusItalia si è accasciato
sul volante perdendo i sensi”;
Cesena, Dicembre 2022, “Cesena, malore mentre guida l’autobus: 9 auto
danneggiate”;
Trento, Aprile 2023, “Paura a Trento, l’autista ha un malore e il bus
esce di strada: il mezzo resta in bilico sul muretto del giardino di una
casa”;
La Spezia, Maggio 2022, “Malore improvviso per l’autista dello
scuolabus, mezzo fa un volo di venti metri”, Catania, Ottobre 2022,
“Catania: autista si sente male, bus si schianta”;
Limone Piemonte, Marzo 2023, “maestra interviene per malore autista”;
Sandrà di Castelnuovo del Garda (VR), “Verona, l’autista ha un malore:
il bus degli studenti esce di strada e finisce in un vigneto”
(conducente di soli 26 anni);
Alessandria, Aprile 2022, “Autista di pullman muore alla guida per un
malore”;
Settingiano (CZ), Luglio 2023, “Accosta ai primi sintomi: autista salva
passeggeri bus prima di morire di infarto”;
Venezia, Ottobre 2022, “Malore improvviso prima di prelevare una
scolaresca: Oscar Bonazza muore a 63 anni;
Roma, Dicembre 2022, “Roma, bus con 41 bimbi a bordo finisce fuori
strada per malore autista”;
Cittadella (PD), Gennaio 2023, “Autista di scuolabus muore alla guida
per un malore e centra un pullman a Cittadella. Il conducente aveva
appena lasciato gli alunni a scuola”;
Genova, Luglio 2023, “Autobus sbanda e colpisce le auto in sosta per un
malore dell’autista. L’autista è stato accompagnato al Pronto soccorso
un condizioni di media gravità”;
Cagliari, Maggio 2023, “Malore improvviso, l’autista perde il controllo
del bus, esce di strada e abbatte due semafori: strage sfiorata”;
Piacenza, Aprile 2023, “Autobus di linea contro un albero dopo il malore
dell’autista”… Il più curioso, guardacaso, è poi questo;
L’Aquila, Luglio 2023, “Troppo caldo a bordo del bus, autista
dell’Azienda mobilità aquilana (Ama) viene colpito da un malore”.
27.11.23
Su 326 autopsie di vaccinati
morti «un totale di 240 decessi (73,9%) sono stati giudicati in modo
indipendente come direttamente dovuti o a cui ha contribuito in modo
significativo la vaccinazione COVID-19».
A scriverlo nero su bianco è una ricerca pubblicata in pre-print (ovvero
ancora in attesa di revisione paritaria che potrebbe arrivare tra un
mese o tra due anni) dal sito Zenodo che non può essere ritenuta una
piattaforma poco affidabile in quanto è gestito dal CERN per OpenAIRE.
Zenodo è un archivio open access
per le pubblicazioni e i dati da parte dei ricercatori. Il suo nome
deriva da Zenodotos di Ephesos, il primo Direttore della grande
biblioteca di Alessandria che ha messo le basi per la costruzione della
biblioteconomia.
L’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, comunemente conosciuta
con la sigla CERN, è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle
particelle, posto al confine tra la Francia e la Svizzera, alla
periferia ovest della città di Ginevra, nel comune di Meyrin. La
convenzione che lo istituiva fu firmata il 29 settembre 1954 da 12 stati
membri mentre oggi ne fanno parte 23 più alcuni osservatori, compresi
stati extraeuropei.
OpenAIRE è un partenariato senza scopo di lucro di 50 organizzazioni,
fondato nel 2018 come entità giuridica greca, OpenAIRE A.M.K.E, per
garantire un’infrastruttura di comunicazione accademica aperta e
permanente a sostegno della ricerca europea.
Lo studio è stato presentato dal
laureato in science (BS) Nicolas Hulscher presso il Dipartimento di
Epidemiologia dell’Università del Michigan lo scorso venerdì 17 novembre
2023 durante una “poster session”. In ambito accademico l’esposizione di
un “poster”, in un congresso o una conferenza con un focus accademico o
professionale, è la presentazione di informazioni di ricerca sotto forma
di poster cartaceo che i partecipanti alla conferenza possono
visualizzare.
Il giovane Hulsher è stato accreditato con un progetto approvato
denominato “Systematic Review of Autopsy Findings in Deaths after
COVID-19 Vaccination – Revisione sistematica dei risultati dell’autopsia
nei decessi dopo la vaccinazione COVID-19” in cui ha potuto fregiarsi di
mentor senior di fama mondiale soprattutto nell’ambito delle inchieste
sui danni da sieri genici mRNA o mDNA.
McCullough, che ha dato risalto
all’evento sul suo substack, è il noto cardiologo americano che per
primo ha denunciato i pericoli di miocarditi letali, confermati dagli
studi FDA, CDC e infine anche dall’EMA, mentre Makis è l’oncologo
canadese che ha scoperto il fenomeno del turbo-cancro.
Nei mesi scorsi lo studio era stato pubblicato anche dalla nota rivista
britannica The Lancet che però lo aveva ritirato dopo 24 ore perché
aveva scatenato – giustamente – una bufera sui media, sui social e di
conseguenza nella comunità scientifica internazionale.
presentazione ufficiale presso
l’Università de Michigan e dalla pubblicazione sul sito Zenodo gestito
dal CERN.
D’altronde soltanto una volontà paranoica di censura potrebbe oscurarlo
essendo basato su una semplice analisi di documenti pubblicati sul più
importante archivio medico del mondo: la libreria PUBMED gestita
dall’NIH, ovvero l’Istituto Nazionale per la Salute del Governo USA.
«Il rapido sviluppo e l’ampia diffusione dei vaccini contro il COVID-19,
combinati con un elevato numero di segnalazioni di eventi avversi, hanno
portato a preoccupazioni sui possibili meccanismi di danno, tra cui la
distribuzione sistemica delle nanoparticelle lipidiche (LNP) e
dell’mRNA, il danno tissutale associato alle proteine spike, la trombogenicità, disfunzione del sistema immunitario e cancerogenicità. Lo scopo di
questa revisione sistematica è indagare i possibili collegamenti causali
tra la somministrazione del vaccino COVID-19 e la morte utilizzando
autopsie e analisi post mortem».
Si legge nell’Abstract della
ricerca che fa riferimento a problematiche già certificate separatamente
da altre decine di studi come quello del biochimico italiano
Gabriele Segalla sulle nanoforme e sugli eccipienti tossici del siero
genico Comirnaty di Pfizer-Biontech autorizzato dall’European Medicines
Agency nonostante non potesse “non sapere della tossicità delle
inoculazioni”.
«Abbiamo cercato tutti i rapporti autoptici e necroscopici pubblicati
relativi alla vaccinazione COVID-19 fino al 18 maggio 2023 – riferiscono
Hulsher et al. – Inizialmente abbiamo identificato 678 studi e, dopo lo
screening dei nostri criteri di inclusione, abbiamo incluso 44 documenti
che contenevano 325 casi di autopsia e un caso di necroscopia. Tre
medici hanno esaminato in modo indipendente tutti i decessi e hanno
determinato se la vaccinazione contro il COVID-19 fosse la causa diretta
o avesse contribuito in modo significativo alla morte».
«Il sistema di organi più
implicato nella morte associata al vaccino COVID-19 è stato il sistema
cardiovascolare (53%), seguito dal sistema ematologico (17%), dal
sistema respiratorio (8%) e da sistemi multipli di organi (7%). In 21
casi sono stati colpiti tre o più apparati. Il tempo medio dalla
vaccinazione alla morte è stato di 14,3 giorni. La maggior parte dei
decessi si è verificata entro una settimana dall’ultima somministrazione
del vaccino. Un totale di 240 decessi (73,9%) sono stati giudicati in
modo indipendente come direttamente dovuti o a cui ha contribuito in
modo significativo la vaccinazione COVID-19» si legge nello studio
consultabile su Zenodo (link a fondo pagina).
Ecco quindi le considerazioni finali dei ricercatori scientifici e
medici:
«La coerenza osservata tra i casi in questa revisione con eventi avversi
noti del vaccino COVID-19, i loro meccanismi e il relativo eccesso di
morte, insieme alla conferma dell’autopsia e alla decisione della morte
guidata dal medico, suggerisce che esiste un’alta probabilità di un
nesso causale tra COVID-19 vaccini e morte nella maggior parte dei casi.
Sono necessarie ulteriori indagini urgenti allo scopo di chiarire i
nostri risultati».
«Il sistema di organi più
implicato nella morte associata al vaccino COVID-19 è stato il sistema
cardiovascolare (53%), seguito dal sistema ematologico (17%), dal
sistema respiratorio (8%) e da sistemi multipli di organi (7%). In 21
casi sono stati colpiti tre o più apparati. Il tempo medio dalla
vaccinazione alla morte è stato di 14,3 giorni. La maggior parte dei
decessi si è verificata entro una settimana dall’ultima somministrazione
del vaccino. Un totale di 240 decessi (73,9%) sono stati giudicati in
modo indipendente come direttamente dovuti o a cui ha contribuito in
modo significativo la vaccinazione COVID-19» si legge nello studio
consultabile su Zenodo (link a fondo pagina).
Ecco quindi le considerazioni finali dei ricercatori scientifici e
medici:
«La coerenza osservata tra i casi in questa revisione con eventi avversi
noti del vaccino COVID-19, i loro meccanismi e il relativo eccesso di
morte, insieme alla conferma dell’autopsia e alla decisione della morte
guidata dal medico, suggerisce che esiste un’alta probabilità di un
nesso causale tra COVID-19 vaccini e morte nella maggior parte dei casi.
Sono necessarie ulteriori indagini urgenti allo scopo di chiarire i
nostri risultati».
La ricerca pubblicata sul sito Zenodo gestito dal CERN – link al fondo
dell’articolo tra le fonti
Brevetto Moderna ammette i
problemi di tumori nel DNA da laboratorio
Bre
Leggiamo infatti nel brevetto dell’agosto 2019 sui vaccini
mRNA contro il virus parainfluenzale umano 3 (HPIV-3) quanto segue:
“L’iniezione diretta di DNA geneticamente modificato (ad esempio
DNA plasmidico nudo) in un ospite vivente fa sì che un piccolo numero
delle sue cellule producano direttamente un antigene, determinando una
risposta immunologica protettiva. Da questa tecnica, tuttavia, derivano
potenziali problemi, inclusa la possibilità di mutagenesi inserzionale,
che potrebbe portare all’attivazione di oncogeni o all’inibizione di
geni oncosoppressori”.
La soppressione del gene che contrasta lo sviluppo dei tumori
è proprio quel meccanismo che molti oncologi ritengono sia responsabile
delle forme anomale di turbo-cancro rilevate tra le persone vaccinate
coi sieri genici mRNA Covid
21.10.23
Giovedì Health Canada ha
confermato la presenza di contaminazione del DNA nei vaccini Pfizer
COVID-19 e ha anche confermato che Pfizer non ha rivelato la
contaminazione all’autorità sanitaria pubblica. La contaminazione del
DNA include il promotore e potenziatore Simian Virus 40 (SV40) che
Pfizer non aveva precedentemente rivelato e che secondo alcuni esperti
rappresenta un rischio di cancro a causa della potenziale integrazione
con il genoma umano.
Health Canada, l’autorità sanitaria pubblica del paese, ha dichiarato a
The Epoch Times che mentre Pfizer ha fornito le sequenze complete di DNA
del plasmide nel suo vaccino al momento della presentazione iniziale, il
produttore del vaccino “non ha identificato specificamente la sequenza
SV40”.
“Health Canada si aspetta che gli sponsor identifichino qualsiasi
sequenza di DNA biologicamente funzionale all’interno di un plasmide
(come un potenziatore SV40) al momento della presentazione”, ha
affermato.
L’ammissione di Health Canada è arrivata dopo che due scienziati, Kevin
McKernan e Phillip J. Buckhaults, Ph.D., hanno scoperto la presenza di
DNA plasmidico batterico nei vaccini mRNA COVID-19 a livelli
potenzialmente 18-70 volte superiori ai limiti stabiliti dagli Stati
Uniti. Food and Drug Administration (FDA) e Agenzia europea per i
medicinali. L’immunologo virale Dr. Byram Bridle dell’Università di
Guelph in Canada, commentando l’ammissione di Health Canada ha scritto
sul suo Substack: “Questa è un’ammissione di proporzioni epiche”.
Bridle ha anche scritto:
“Bisogna chiedersi perché la Pfizer non abbia voluto rivelare la
presenza di una sequenza di DNA biologicamente funzionale a un ente
regolatore sanitario. Alla Pfizer è stato richiesto di rivelare alle
agenzie di regolamentazione sanitaria tutte le sequenze bioattive nel
DNA plasmidico batterico utilizzato per produrre le loro
iniezioni.Bridle ha osservato che sono trascorsi “818 giorni in totale”
da quando l’Università di Guelph gli ha vietato di accedere al suo
ufficio e al suo laboratorio per aver tentato di condurre ricerche
simili, mentre altri ricercatori “sono stati al centro di attacchi da
parte di molti cosiddetti ‘esperti di disinformazione’, ” anche se
nessuno “è stato in grado di confutare le proprie scoperte”.
L’immunologa, biologa e biochimica Jessica Rose, Ph.D., ha dichiarato a
The Defender: “DNA residuo è stato trovato nei prodotti Pfizer e Moderna
– e soprattutto Pfizer -, in fiale più vecchie e più nuove, incluso il
monovalente per adulti XBB.1.5 [ vaccino].”
Rose ha affermato che ciò indica che tale contaminazione “è un problema
continuo”.
In osservazioni separate fatte mercoledì al programma “Good Morning CHD”
di CHD.TV, Rose ha detto che McKernan “ha anche esaminato il vaccino
Janssen [Johnson & Johnson] e ha scoperto DNA residuo a livelli molto
alti”. “Il DNA plasmidico viene utilizzato nella produzione di
vaccini mRNA e dovrebbe essere rimosso a un livello inferiore a una
soglia stabilita dalle agenzie di regolamentazione sanitaria prima che
il prodotto finale venga rilasciato per la distribuzione”, ha riferito
The Epoch Times.
La scoperta di McKernan ha reso “possibile per Health Canada confermare
la presenza del potenziatore sulla base della sequenza di DNA plasmidico
presentata da Pfizer rispetto alla sequenza del potenziatore SV40
pubblicata”, ha affermato Health Canada.
L’SV40 è spesso utilizzato nella
terapia genica per la sua capacità unica di trasportare geni alle
cellule bersaglio.
Nel processo di produzione del vaccino, l’SV40 “viene utilizzato come
potenziatore per guidare la trascrizione genetica”, ha scritto The Epoch
Times. McKernan il mese scorso “ha avvertito che la presenza di plasmidi
di DNA nei vaccini significa che potrebbero potenzialmente integrarsi
nel genoma umano”.
Descrivendo la ricerca di McKernan come “ineccepibile”, Kirsch ha
scritto sul suo Substack: “Il DNA dura per sempre e, se si integra nel
tuo genoma, produrrai il suo prodotto per sempre”.
“Ciò può far sì che la cellula
appena programmata si riproduca e produca mRNA con le risultanti
proteine spike per un tempo sconosciuto, potenzialmente per sempre e persino per la
generazione successiva”.
23.09.23
L'Asl To5
l'aveva sospesa nel periodo Covid perché non vaccinata bloccando la
retribuzione, ora dovrà restituire stipendi e interessi Il tribunale dà ragione alla
dipendente No Vax
massimiliano rambaldi
L'Asl To 5 l'aveva sospesa dal suo lavoro d'ufficio nel periodo Covid,
perché si era rifiutata di vaccinarsi interrompendole anche il pagamento
dello stipendio. Una volta rientrata, alla fine delle restrizioni
previste, la donna aveva fatto causa all'azienda sanitaria nonostante in
quel periodo ci fossero delle direttive ben chiare sull'obbligo
vaccinale. Dieci giorni fa la decisione, per certi versi inaspettata,
del tribunale del lavoro di Torino: con la sentenza 1552 i giudici hanno
infatti accolto il ricorso della dipendente, accertando e dichiarando
«l'illegittimità della sospensione dal servizio – si legge nel documento
pubblicato dall'azienda sanitaria di Chieri – condannando quindi l'Asl
To 5 a corrispondere alla dipendente il trattamento retributivo
richiesto, oltre agli interessi, rivalutazione e compensazione delle
spese di lite». In sostanza, secondo quel giudice, l'Asl non poteva
sospendere la donna dal posto di lavoro e men che meno negarle lo
stipendio. E ora, nell'immediato, dovrà pagarle tutto, interessi
compresi nonché le spese legali. Questo perché, nonostante l'azienda
sanitaria abbia già deciso di ricorrere in appello contro tale sentenza:
«in ragione della provvisoria esecutività della stessa – spiegano dalla
direzione nella medesima documentazione - pur non essendo passata in
giudicato, l'Asl è tenuta all'ottemperanza». Gli importi dovuti e i
giorni di sospensione della dipendente non sono stati resi noti.
La dipendente in questione lavora in ambito amministrativo e non è a
contatto con pazienti di un ospedale specifico. Ricordiamo tutti, però,
che il governo si era dimostrato estremamente rigoroso contro chi non
voleva ricevere il vaccino. In assenza di motivazioni valide (l'unica
accettata era una certificata grave patologia pregressa) la persona no
vax non poteva più esercitare la propria professione e, qualora fosse
stato possibile, doveva essere destinata a mansioni alternative. In caso
di impossibilità a spostamenti, sarebbe scattata l'immediata sospensione
non retribuita che poteva terminare solo una volta effettuata la
vaccinazione. Altrimenti il divieto di andare al lavoro sarebbe
continuato fino al completamento della campagna vaccinale. In sostanza
quello che è capitato nel caso in questione. La dipendente aveva però
deciso di intraprendere le vie legali perché pretendeva di essere
regolarmente pagata e di lavorare ugualmente, anche senza aver seguito
il percorso anti Covid. Presentando a sua difesa documentazioni che il
giudice del lavoro, a quanto pare, ha ritenuto valide. «La decisione e
la linea interpretativa del tribunale del lavoro non può essere
condivisa – spiegano dall'azienda sanitaria -, in quanto non è coerente
con il dispositivo contenuto nel decreto legge 172 del 2021, anche alla
luce del diverso orientamento espresso sul punto dalla Corte d'Appello
di Torino, sezione lavoro». Immediata quindi la decisione di ricorrere
in appello, affidando la questione ai legali di fiducia.
—
22.09.23
Testimonianza coraggiosa
del dottor Phillip Buckhaults dell'Università della Carolina del Sud.
I “vaccini” Covid non sono
stati adeguatamente testati e i loro danni non sono stati adeguatamente
indagati. La FDA e il CDC devono ammettere i propri fallimenti normativi
ed essere onesti con il pubblico.
La Ricerca delle Università
Australiane basata su 253 Studi Internazionali
L’hanno pubblicata gli scienziati autraliani Peter I Parry dell’Unità
clinica di ricerca sulla salute dei bambini, Facoltà di Medicina,
Università del Queensland, South Brisbane, Australia, Astrid
Lefringhausen, Robyn Cosford e Julian Gillespie, Children’s Health
Defense (Capitolo Australia), Huskisson, Conny Turni, Ricerca
microbiologica, QAAFI (Queensland Alliance for Agriculture and Food
Innovation), Università del Queensland, St. Lucia, Christopher J. Neil,
Dipartimento di Medicina, Università di Melbourne, Melbourne, e Nicholas
J. Hudson, Scuola di Agricoltura e Scienze Alimentari, Università del
Queensland, Brisbane.
E’ un colossale lavoro di
letteratura scientifica basato su ben 253 studi nei quali vengono citati
i più significativi sulla tossicità della proteina Spike e dei vaccini
che la innesca nell’organismo attraverso i vettori mRNA. Vengono infatti
menzionati lavori sulle malattie autoimmuni della biofisica Stephanie
Seneff, scienziata del prestigioso MIT (Massachusetts Institute of
Technology) di Cambridge, del cardiologo americano Peter McCullough
(fonte 29 nello studio linkato a fondo pagina), quelli sui rischi di
tumori dell’oncologo britannico Angus Dalgleish (fonti 230-231), quelli
dell’esperto di genomica Kevin McKernan sulla replicazione cellulare dei
plasmidi di Dna Spike nel corpo umano (fonte 91), quelli della chimica
americana Alana F. Ogatache fu tra le prime a denunciare la pericolosità
dei sieri genici mRNA Moderna (fonte 52), ed ovviamente non poteva
mancare lo strepitoso e rivoluzionario del biochimico italiano Gabriele
Segalla sulle nanoparticelle tossiche del vaccino Comirnaty di
Pfizer-Biontech (fonte 61).
“Spikeopatia”: la proteina Spike
del COVID-19 è patogena, sia dall’mRNA del virus che da quello del
vaccino.
di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine (link allo studio
completo a fondo pagina)
La pandemia di COVID-19 ha causato molte malattie, molti decessi e
profondi disagi alla società. La produzione di vaccini “sicuri ed
efficaci” era un obiettivo chiave per la salute pubblica. Purtroppo,
tassi elevati senza precedenti di eventi avversi hanno messo in ombra i
benefici. Questa revisione narrativa in due parti presenta prove dei
danni diffusi dei nuovi vaccini anti-COVID-19 mRNA e adenovettoriali ed
è innovativa nel tentativo di fornire una panoramica approfondita dei
danni derivanti dalla nuova tecnologia nei vaccini che si basavano sulla
produzione di cellule umane di un antigene estraneo che presenta
evidenza di patogenicità.
Questo primo articolo esplora i
dati sottoposti a revisione paritaria in contrasto con la narrativa
“sicura ed efficace” collegata a queste nuove tecnologie. La
patogenicità delle proteine spike,
denominata “spikeopatia”, derivante dal virus SARS-CoV-2 o prodotta dai codici genetici del vaccino, simile a un
“virus sintetico”, è sempre più compresa in termini di biologia
molecolare e fisiopatologia.
La trasfezione farmacocinetica attraverso tessuti corporei distanti dal
sito di iniezione mediante nanoparticelle lipidiche o trasportatori di
vettori virali significa che la “spikeopatia” può colpire molti organi.
Le proprietà infiammatorie delle nanoparticelle utilizzate per
trasportare l’mRNA; N1-metilpseudouridina impiegata per prolungare la
funzione dell’mRNA sintetico; l’ampia biodistribuzione dei codici mRNA e
DNA e le proteine spike
tradotte, e l’autoimmunità attraverso la
produzione umana di proteine estranee, contribuiscono agli effetti
dannosi.
Questo articolo esamina gli
effetti autoimmuni, cardiovascolari, neurologici, potenziali oncologici
e le prove autoptiche per la spikeeopatia. Con le numerose tecnologie
terapeutiche basate sui geni pianificate, una rivalutazione è necessaria
e tempestiva.
Discussione
Abbiamo iniziato questo articolo citando la risposta dell’ente
regolatore sanitario australiano, il TGA, alla domanda di un senatore
australiano sui rischi dei vaccini genetici che inducono le cellule
umane a produrre la proteina spike SARS-CoV-2. La risposta è stata che
la proteina Spike non era un agente patogeno. Abbiamo presentato prove
significative che la proteina spike è patogena. Ciò vale quando fa parte
del virus, quando è libero ma di origine virale e quando è prodotto nei
ribosomi dall’mRNA dei vaccini COVID-19 mRNA e adenovettoreDNA. I
meccanismi fisiopatologici d’azione della proteina spike continuano ad
essere chiariti.
Abbiamo stabilito che la
proteina spike provoca danni legandosi al recettore ACE-2 e quindi
sottoregolando il recettore, danneggiando le cellule endoteliali
vascolari. La proteina spike ha un dominio legante simile alla tossina,
che si lega a α7 nAChR nel sistema nervoso centrale e nel sistema
immunitario, interferendo così con le funzioni di nAChR, come la
funzione di ridurre l’infiammazione e le citochine proinfiammatorie,
come IL-6. Il collegamento con le malattie neurodegenerative avviene
anche attraverso la capacità della proteina “spike” di interagire con le
proteine che formano l’amiloide leganti l’eparina, avviando
l’aggregazione delle proteine cerebrali.
La persistenza della proteina spike causa un’infiammazione persistente
(infiammazione cronica), che potenzialmente alla fine sposta il sistema
immunitario verso la tolleranza immunitaria (IgG4). Un effetto
particolare per le donne e la gravidanza è il legame della proteina
Spike al recettore alfa degli estrogeni, che interferisce con il
messaggio degli estrogeni.
La proteina Spike è citotossica
all’interno delle cellule attraverso l’interazione con i geni
soppressori del cancro e causando danni mitocondriali. Le proteine
spike
espresse sulla superficie delle
cellule portano alla risposta autoimmune citopatica.
La proteina spike libera si lega all’ACE-2 su altre cellule di organi e
sangue. Nel sangue la proteina Spike induce le piastrine a rilasciare
fattori di coagulazione, a secernere fattori infiammatori e a formare
aggregati leucociti-piastrine. La proteina spike lega il fibrinogeno,
inducendo la formazione di coaguli di sangue.
Esiste anche un’omologia
problematica tra la proteina spike e le proteine chiave nel sistema
immunitario adattativo che portano all’autoimmunità se vaccinati con
l’mRNA che produce la proteina spike.
I fattori farmacocinetici contribuiscono alla fisiopatologia. Come
accennato, lo studio sulla biodistribuzione di Pfizer (dove il 75% delle
molecole trasportatrici di nanoparticelle lipidiche ha lasciato il
deltoide per tutti gli organi entro 48 ore) per il PMDA giapponese era
noto alla TGA australiana prima dell’autorizzazione provvisoria dei
vaccini mRNA COVID-19 per l’Australia popolazione [5]. Poiché causano la
replicazione della proteina Spike in molti organi, i vaccini basati sui
geni agiscono come virus sintetici.
Il trasportatore di nanoparticelle lipidiche dell’mRNA e il PEG
associato che rende il complesso mRNA-LNP più stabile e resistente alla
degradazione, hanno i propri effetti tossici; le nanoparticelle
lipidiche principalmente attraverso effetti proinfiammatori e il PEG
mediante anafilassi in individui sensibili.
Röltgen et al. [53] hanno
scoperto che l’mRNA stabilizzato con N1-metilpseudouridina nei vaccini
COVID-19 produce proteine spike
per almeno 60 giorni. Altre ricerche citate sulla retroposizione del codice genetico [249] suggeriscono la possibilità
che tale produzione di una proteina patogena estranea possa
potenzialmente durare tutta la vita o addirittura transgenerazionale.
Un ampio corpo di ricerche emergenti mostra che la stessa proteina
spike, in particolare la subunità S1, è patogena e causa infiammazione e
altre patologie osservate nel COVID-19 acuto grave, probabilmente nel
COVID-19 lungo, e nelle lesioni da vaccino mRNA e adenovettoriDNA
COVID-19 . La parola “spikeopatia” è stata coniata dal ricercatore
francese Henrion-Caude [98] in una conferenza e dati gli effetti
patologici vari e sostanziali della proteina spike SARS-CoV-2,
suggeriamo che l’uso del termine avrà un valore euristico.
La piccopatia esercita i suoi
effetti, come riassunto da Cosentino e Marino [86] attraverso
l’aggregazione piastrinica, la trombosi e l’infiammazione correlate al
legame dell’ACE-2; interruzione delle glicoproteine transmembrana
CD147 che interferiscono con la
funzione cardiaca dei periciti e degli eritrociti; legandosi a TLR2 e
TLR4 innescando cascate infiammatorie; legandosi all’ER alfa
probabilmente responsabile delle irregolarità mestruali e dell’aumento
del rischio di cancro attraverso le interazioni con p53BP1 e BRCA1.
Altre ricerche mostrano ulteriori effetti spikeo-patologici attraverso
la produzione di citochine infiammatorie indotte da ACE-2, la
fosforilazione di MEK e la downregulation di eNOS, compromettendo la
funzione delle cellule endoteliali.
Effetti particolarmente nuovi della proteina spike comportano lo
squilibrio del sistema colinergico nicotinico attraverso l’inibizione di
α7 nAChR, portando a vie biochimiche antinfiammatorie alterate in molte
cellule e sistemi di organi, nonché a un alterato tono vagale
parasimpatico.
Le lesioni provocate dal vaccino mRNA e adenovettoriale del COVID-19 si
sovrappongono alla grave malattia acuta da COVID-19 e al COVID lungo, ma
sono più varie, data la più ampia biodistribuzione e la produzione
prolungata della proteina spike.
La miopericardite è riconosciuta
ma spesso è stata minimizzata come lieve e rara, tuttavia l’evidenza di
una miopericardite subclinica correlata al vaccino COVID-19
relativamente comune [113,115] e l’evidenza autoptica [246,247,248]
suggeriscono un ruolo nelle morti improvvise in persone relativamente
giovani e in forma [116,117 ]. Le proteine spike
hanno anche meccanismi per aumentare la
trombosi attraverso l’infiammazione correlata all’ACE-2, il disturbo del
sistema dell’angiotensina [119], il legame diretto con i recettori ACE-2
sulle piastrine [1], l’interruzione dell’antitrombina [122], ritardando
la fibrinolisi [123] (prestampa) e riducendo la repulsione
elettrostatica degli eritrociti che porta all’emoagglutinazione [124].
Le malattie autoimmuni di nuova insorgenza dopo la vaccinazione COVID-19
potrebbero riguardare l’omologia della proteina spike e, nella malattia
virale che include altre proteine SARS-CoV-2, con le proteine umane
[5,138].
Il complesso mRNA-LNP attraversa
la BBB e i disturbi neurologici sono altamente segnalati nei database di
farmacovigilanza a seguito dei vaccini COVID-19. Numerosi meccanismi di
spikepatia vengono chiariti come disturbi sottostanti che coinvolgono:
permeabilità del BBB [128]; danno mitocondriale [168]; disregolazione
dei periciti vascolari cerebrali [169]; Neuroinfiammazione mediata da
TLR4 [170]; morte delle cellule dell’ippocampo [171]; disregolazione
delle cascate del complemento e della coagulazione e dei neutrofili che
causano coagulopatie [173] (prestampa); neuroinfiammazione e
demielinizzazione tramite disregolazione microgliale [174,177,180];
aumento dell’espressione di α-Syn coinvolta nella malattia
neurodegenerativa [175]; livelli elevati di chemochina 11 del motivo CC
associati all’invecchiamento e alla successiva perdita di cellule
neurali e mielina; legandosi al recettore nicotinico dell’acetilcolina
α7 (nAChR), aumentando i livelli di IL-1b e TNFα nel cervello causando
elevati livelli di infiammazione [172,177]; la subunità S1 è
amiloidogenica [185]; disautonomia [96], mediante danno neuronale
diretto o meccanismi immunomediati indiretti, ad esempio inibizione di
α7 nAChR; anosmia causata sia dal vaccino che dalla malattia [44],
anch’essa prodromica alla malattia di Parkinson.
Inoltre, gli autoanticorpi nel
dominio C-terminale globulare possono causare la malattia di Creutzfeldt
Jakob (CJD) [218], miR-146a è alterato in associazione con COVID-19
[222] e associato sia a infezioni virali che a malattie da prioni nel
cervello, e È stato dimostrato che S1 induce senescenza nelle cellule
trasfettate.
La quantità di possibili meccanismi di danno mediato dai picchi nel
cervello è pari nella vita reale alla prevalenza di effetti avversi
neurologici e neurodegenerativi e richiede urgentemente ulteriori
ricerche.
Il cancro, anche se non è stato dimostrato con certezza che sia causato
dai vaccini, sembra seguire da vicino la vaccinazione e abbiamo
esaminato le possibili cause sotto forma di interazioni delle proteine
spike
con fattori di trascrizione e geni soppressori del cancro.
Il vaccino doveva proteggere le
persone di età superiore ai 60 anni con il maggior rischio di mortalità
da COVID-19 [10], tuttavia un’analisi del rischio condotta da Dopp e
Seneff (2022) [250] ha mostrato che la probabilità di morire a causa
dell’iniezione è solo 0,13 % inferiore al rischio di morte per infezione
nelle persone di età superiore a 80 anni.
Inoltre, l’invecchiamento naturale è accompagnato da cambiamenti nel
sistema immunitario che compromettono la capacità di rispondere
efficacemente ai nuovi antigeni. Similmente alle risposte ai virus
stratificate per età, ciò significa che i vaccini diventano meno
efficaci nell’indurre l’immunità negli anziani, con conseguente ridotta
capacità di combattere nuove infezioni [251].
La vaccinazione con mRNA
COVID-19 a due dosi ha conferito una risposta immunitaria adattativa
limitata tra i topi anziani, rendendoli suscettibili all’infezione da
SARS-CoV-2 [252]. Secondo uno studio di Vo et al., (2022) [253], il
rischio di malattie gravi tra i veterani statunitensi dopo la
vaccinazione è rimasto associato all’età. Questo rischio di infezioni
intercorrenti era anche maggiore se erano presenti condizioni di
immunocompromissione.
Infine, abbiamo esaminato le migliori serie di casi di autopsia
attualmente disponibili, eseguite in Germania, che stabiliscono le
connessioni tra spikeopatia e fallimenti multipli di organi, neuropatie
e morte.
Conclusioni
In questa revisione narrativa, abbiamo stabilito il ruolo della proteina
spike SARS-CoV-2, in particolare della subunità S1, come patogena. Ora è
anche evidente che le proteine spike
ampiamente biodistribuite,
prodotte dai codici genetici dell’mRNA e del DNA adenovettoriale,
inducono un’ampia varietà di malattie. I meccanismi fisiopatologici e
biochimici sottostanti sono in fase di chiarimento.
I trasportatori di
nanoparticelle lipidiche per i vaccini mRNA e Novavax hanno anche
proprietà proinfiammatorie patologiche. L’intera premessa dei vaccini
basati sui geni che producono antigeni estranei nei tessuti umani è irta
di rischi per disturbi autoimmuni e infiammatori, soprattutto quando la
distribuzione non è altamente localizzata.
Le implicazioni cliniche che seguono sono che i medici in tutti i campi
della medicina devono essere consapevoli delle varie possibili
presentazioni della malattia correlata al vaccino COVID-19, sia acuta
che cronica, e del peggioramento delle condizioni preesistenti.
Sosteniamo
inoltre la sospensione dei vaccini COVID-19 basati sui geni e delle
matrici portatrici di nanoparticelle lipidiche e di altri vaccini basati
sulla tecnologia mRNA o DNA vettoriale virale. Una strada più sicura è
quella di utilizzare vaccini con proteine ricombinanti ben testate,
tecnologie virali attenuate o inattivate, di cui ora ce ne sono molti
per la vaccinazione contro la SARS-CoV-2.
di
Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine
BIOMEDICINE – ‘Spikeopathy’: COVID-19 Spike Protein Is Pathogenic, from
Both Virus and Vaccine mRNA
14.09.23
Fondata nel 1945, Kaiser
Permanente è riconosciuta come uno dei principali fornitori di
assistenza sanitaria e piani sanitari senza scopo di lucro d’America.
Attualmente opera in 8 stati (California del Nord, California del Sud,
Colorado, Georgia, Hawaii, Virginia, Oregon, Washington) e nel Distretto
di Columbia.
«La cura dei membri e dei pazienti si concentra sulla loro salute
totale. I medici, gli specialisti e i team di operatori sanitari di
Permanente Medical Group guidano tutte le cure. I nostri team medici
possono avvalersi di tecnologie e strumenti leader del settore per la
promozione della salute, la prevenzione delle malattie, l’erogazione
delle cure e la gestione delle malattie croniche» spiega
l’organizzazione medica.
«Abbiamo condotto uno studio di
coorte retrospettivo su pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di
età pari o superiore a 18 anni che sono stati vaccinati con la
formulazione Pfizer o Moderna del vaccino bivalente COVID19 tra il 1
settembre 2022 e il 1 marzo 2023. I pazienti sono stati inclusi nello
studio studiare se fossero iscritti al KP al momento della vaccinazione
e durante il periodo di follow-up di 21 giorni. Abbiamo replicato la
metodologia di analisi del ciclo rapido Vaccine Safety Datalink (VSD) e
cercato possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi
alla vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella
posizione primaria che in qualsiasi posizione».
E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata “Rischio di
ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19 in
un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke after COVID-19
Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health System)”.«Abbiamo
identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus ischemico per
100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni vaccinati con il
vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati dal VSD. Il 79%
dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali che non
sono di proprietà del sistema di consegna integrato e un ritardo
nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurative esterne
all’ospedale è stato probabilmente responsabile della discrepanza
nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. ».
18.08.23
Il procuratore generale del
Texas Ken Paxton ha cercato di fare luce sulla sicurezza dei vaccini
Covid e sugli esperimenti americani Gain of Function (GOF) per il
potenziamento dei virus SARS in laboratorio, condotti dal virologo
Anthony Fauci tra gli USA (University of North Carolina) e il Wuhan
Institute of Virology, ma è stato subito colpito da un impeachment (per
altre ragioni politiche) che ha bloccato la sua inchiesta.
Ora quattro famiglie americane delle vittime Covid hanno presentato una
formale denuncia per quelle pericolosissime ricerche prendendo di mira
il famigerato zoologo di origini britanniche Peter Daszak, presidente
della società EcoHealthAlliance di New York che fu finanziata dalla Bill
& Melinda Gates Foundation e soprattutto dall’Istituto Nazionale
Allergie e Malattie Infettive diretto da Fauci (fino al dicembre 2022)
per i progetti di costruzione di coronavirus chimerici del ceppo SARS
chimerici nel centro virologico cinese.
l dottor Zhou Yusen
misteriosamente morto tre mesi dopo aver brevettato un vaccino contro il
Covid-19 nel febbraio 2020 che, secondo gli investigatori americani,
sarebbe morto misteriosamente proprio cadendo dal tetto del WIV di
Wuhan.
Nel giugno 1998 durante il
vertice sino-americano in Cina il presidente Bill Clinton siglò una
“Convenzione sulla armi biologiche” con il presidente cinese Jiang
Zemin,
Nell’aprile 2004 la Commissione
Europea presieduta dall’italiano Romano Prodi e composta anche dal
commissario Mario Monti diede il primo finanziamento di quasi 2milioni
di euro al Wuhan Institute of Virology grazie al quale la direttrice del
Centro di Malattie Infettive Shi Zengli, soprannominata bat-woman per i
suoi esperimenti sui coronavirus dei pipistrelli cinesi a ferro di
cavallo, creò il primo virus chimerico ricombinante potenziando un ceppo
di SARS con plasmidi infettati dal virus HIV.
16.08.23
l’instabilità del sistema
colloidale di nanomateriali lipidici (e il conseguente maggior rischio
tossicologico) della prima versione di Comirnaty sia sostanzialmente
dovuta alla presenza, in quella formulazione, di fattori
destabilizzanti, quali, appunto, i composti inorganici elettrolitici in
eccesso, costituiti principalmente dai componenti del tampone pH PBS
utilizzato da Pfizer-BioNTech».
Evidenzia il dottor Segalla illustrando le differenti caratteristiche
della stabilizzazione del farmaco concorrente Spikevax di Moderna.
«A questo proposito, però, quanto riportato nel brevetto della stessa
BioNTech (co- titolare, insieme a Pfizer, del vaccino Comirnaty) US
10,485,884 B2 RNA Formulation for Immunoterapy [Formulazioni a RNA per
immunoterapia] del 26 novembre 2019, risulta ancor più esplicito al
riguardo della “elevata tossicità” attribuita a “liposomi e lipoplexes”
caricati positivamente».
«Ciò si riferisce a formulazioni a base di RNA incapsulato in
nanoparticelle lipidiche cationiche – del tipo cioè di quelle usate nel
Comirnaty – e denominate, in questo contesto, “lipoplexes”. Nella
descrizione del brevetto, si spiega, fra l’altro, come le nanoparticelle
cationiche contenenti RNA si formino soprattutto grazie a determinati
rapporti di massa/carica tra i lipidi cationici (+) e le componenti
anioniche (-) dell’ RNA, e come tali rapporti giochino un ruolo
fondamentale anche per quanto riguarda il passaggio delle nanoparticelle
contenenti RNA attraverso la membrana cellulare e il conseguente
trasferimento dell’RNA all’interno della cellula (trasfezione) per
modificarne le caratteristiche funzionali:
Con una minore carica positiva in eccesso, l’efficacia della trasfezione
scende drasticamente, andando praticamente a zero. Sfortunatamente,
però, per liposomi e lipoplexes [nanoparticelle lipidiche] caricati
positivamente è stata segnalata un’elevata tossicità, che può essere un
problema per l’applicazione di tali preparati come prodotti
farmaceutici. [corsivi aggiunti] (Figura 26)».
«Le ragioni per cui i tamponi pH del tipo PBS non vanno assolutamente
bene in preparati a base di nanoparticelle cationiche inglobanti RNA
sono spiegate molto chiaramente nella sezione del brevetto intitolata
“Effects of Buffers/ Ions on Particle Sizes and PI of RNA Lipoplexes”
[Effetti dei tamponi / composti ionici sulle dimensioni e Indice di
polidispersione delle nanoparticelle lipidiche contenenti RNA] del
suddetto brevetto di BioNTech US 10,485,884 B2, 44 (47-50), 45 (4-6), 45
(31- 33)».
In condizioni fisiologiche (cioè a pH 7,4; 2,2 mM Ca++), è imperativo
assicurarsi che ci sia un rapporto di carica prevalentemente negativa, a
causa dell’ instabilità delle nanoparticelle lipidiche neutre o caricate
positivamente. [corsivi aggiunti] (Figura 27)
«In altre parole, sulla base di quanto scientificamente documentato e
riportato in un brevetto della stessa BioNTech, in aggiunta a quanto già
descritto riguardo alla pericolosità intrinseca delle nanoparticelle
lipidiche caricate positivamente, apprendiamo che un sistema colloidale
di nanoparticelle lipidiche cationiche inglobanti mRNA.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione un tampone ionico come
il PBS, al fine di prevenire fenomeni di aggregazione, agglomerazione,
flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte le conseguenze
di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione composti ionici (come
ad es. cloruro di sodio), al fine di prevenire fenomeni di aggregazione,
agglomerazione, flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte
le conseguenze di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe essere iniettato per via intramuscolare, a causa della sua
instabilità quando viene a trovarsi nelle condizioni fisiologiche del
distretto extracellulare (pH 7,4; 2,2 mM Ca++).
«Tutte e tre queste rigorose raccomandazioni, riportate nel succitato
brevetto di BioNTech del 2019, sono spudoratamente disattese, o
ignorate, nel 2020, sia da Pfizer-BioNTech sia dagli enti certificatori,
sia nel merito della formulazione (ionico/ elettrolitico) sia in quello
della destinazione d’uso (inoculazione intramuscolare) del preparato
Comirnaty» rimarca il biochimico italiano segnalando che tali
«criticità» sono «in palese contrasto con le specifiche e pertinenti
raccomandazioni asserite dalla stessa BioNTech nel suo sopramenzionato
brevetto US 10,485,884 B2»
14.08.23
«Per i suesposti motivi, questo
giudicante ritiene non legittima e non conforme ai Principi Generali
dell’Ordinamento e della Costituzione la normativa in materia di obbligo
vaccinale, che pertanto va disapplicata. Con riguardo alle spese di
giudizio sussistono giustificati motivi per compensarle, attesa la
“particolarità” della materia trattata».
L’anonimo italiano over 50 che ha fatto ricorso al Giudice di Pace di
Santa Maria Capua a Vetere contro l’imposizione della vaccinazione Covid
e la conseguente multa da 100 euro emanata dall’Agenzia delle Entrate
per conto del Ministero della Salute dovrà pagare solo una ventina di
euro. Ovvero la metà dell’ammontare delle spese giudiziarie per ricorsi
inferiori a 1.100 euro.
Non è il primo e non sarà
l’ultimo pronunciamento giudiziario che contesta l’obbligatorietà dei
sieri genici sperimentali. Il caso più famoso è ovviamente quello della
giudice Susanna Zanda del Tribunale Civile di Firenze che, avendo osato
anche segnalare i decessi per presunte reazioni avverse ai vaccini alla
Procura della Repubblica di Roma, è finita nel fuoco incrociato della
Procura Generale della Corte di Cassazione che ha aperto un procedimento
disciplinare nei suoi confronti subito dopo le esternazioni politiche
del Ministro della Giustizia Carlo Nordio.
«Ebbene, al di là delle pronunce
del Consiglio d’Europa che ha avuto occasione di occuparsi della
tematica della vaccinazione Covid (con la Risoluzione 2361 del 2021) e
di decisioni, invece, contrarie, a parere di questo giudice, appaiono
decisive le circostanze, ormai conclamate, che il non vaccinato — a
prescindere dalle decisioni relative all’età — non ha determinato alcun
rischio maggiore per la salute pubblica rispetto ai soggetti vaccinati
provvisti di green pass, perché l’idoneità dei vaccini (quale strumento
di prevenzione del contagio), non solo non è pari o vicina al 100 % ma
si è di fatto rivelata prossima allo zero (Trib. Napoli marzo 2023)
«Il Tribunale del Lavoro di
Catania, con la decisione del 14.03.2022, ribadisce che “sebbene non si
ignori che l’impianto del D.D. 44/2021 sia ispirato alla finalità “di
tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza
nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, co. 1,
D.L. 44/2021), nell’ambito di una situazione emergenziale e del tutto
straordinaria, le conseguenze che esso implica nella sfera del
dipendente non vaccinato — e che si sono irrigidite a seguito delle
modifiche apportate all’originaria formulazione del decreto – appaiono
tuttavia eccessivamente sproporzionate e sbilanciate, nell’ottica della
necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti,
tra cui, tra i primi, la dignità della persona, bene protetto da co. 2,
36,41 Cost. plurime previsioni della Carta: artt. 2, 3»
«Sebbene la legge possa
prevedere l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari, sono
rarissimi, ed ancorati a precisi presupposti, ì casi in cui
l’ordinamento consente la possibilità di eseguirli contro la volontà
della persona (ad es., è il caso del TSO), valendo da sempre il
principio che gli accertamenti ed i trattamenti obbligatori debbano
essere ‘accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e
la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”…»
«E ciò a conferma della
consapevolezza del legislatore che l’obbligo al trattamento sanitario
costituisce pur sempre un’eccezione rispetto al principio, di cui è
espressione l’art. 32 Cost., della libera determinazione dell’individuo
in materia sanitaria».
In virtù di questi motivi ha accolto «il ricorso annullando il
provvedimento opposto» dall’avvocato Alessandra De Rosa contro l’avviso
di addebito di 100 euro al suo assistito.
08.08.23
Un manager della Pfizer in
Oceania ha ammesso che agli impiegati australiani dell’azienda
farmaceutica di New York sono somministrati dati lotti di vaccini
differenti da quelli distribuiti al pubblico.
Lo ha dichiarato durante un’Audizione davanti al Senato Australiano che,
a differenza dei politici dell’Unione Europea foraggiati dalle ONG di
Bill Gates, ha già avviato un’inchiesta formale per indagare sulla
natura dei sieri genici acquistati, sull’occultamento dei dati dei
trials clinici e sui danni causati ai vaccinati.
L’ammissione è arrivata durante
una rigorosa sessione di interrogatorio mercoledì, in cui il direttore
medico nazionale di Pfizer Australia, il dott. Krishan Thiru, e il capo
delle scienze normative, il dott. Brian Hewitt, hanno parlato davanti al
“Comitato per la legislazione sull’istruzione e l’occupazione” del
Senato australiano sui vaccini sperimentali contro il COVID-19, aggiunge
Gateway Pundit
23.07.23
I vaccini Covid contengono
proporzioni considerevoli di residui di DNA in grado di integrarsi
permanentemente nel genoma umano, causando malattie croniche e tumori.
Questo potrebbe anche spiegare l’eccesso di mortalità osservato
dall’inizio delle campagne di vaccinazione.
L’ex banchiere svizzero Pascal
Najadi e' l’autore di una denuncia penale per abuso di potere contro il
presidente della Confederazione Alain Berset è vaccinato tre volte e
altrettante volte si è costituito contro le autorità sanitarie da quando
un’analisi del suo sangue gli ha rivelato che il suo organismo continua
a produrre la proteina spike del vaccino più di 18 mesi dopo la sua
ultima iniezione Pfizer/BioNTech.
Contattato, l’interessato ci ha fornito i risultati del laboratorio
oltre ad una lettera del Prof. Sucharid Bhakdi confermando che “i
risultati del test indicano chiaramente che il signor Najadi soffre di
effetti irreparabili a lungo termine causati dal prodotto di mRNA
iniettato fabbricato da PfizerBiontech.
L’ex banchiere aveva consultato
l’Ufficio federale della sanità pubblica in Svizzera su questo
argomento. Quest’ultimo non è stato in grado di dargli risposte,
sostenendo che non poteva commentare un singolo caso. Pascal Najadi ne
aveva dedotto che l’ufficio in realtà non controllava nulla riguardo a
queste nuove tecnologie vaccinali.
La persistenza della presenza della proteina spike rilevata a Najadi e
altri iniettati rimane ufficialmente inspiegabile ed è ben oltre i 14
giorni comunicati quando sono state lanciate le campagne di vaccinazione
contro il Covid.
Tutti conoscono il DNA,
rappresentato da una doppia elica e contenente il nostro codice
genetico. L’RNA è costituito solo da un singolo filamento. La cellula lo
produce secondo necessità leggendo parte del DNA che servirà poi come
specifiche per la produzione di una proteina.
Una dose di “vaccino” Covid a RNA messaggero contiene miliardi di
filamenti di RNA messaggero, che innescheranno la produzione di
altrettante proteine spike
del virus SARS-CoV-2 nelle cellule che
raggiungono. Queste proteine spike
attiveranno una risposta del
sistema immunitario.
a proteina avanzata è stata
anche presentata come sostanza innocua durante le campagne di
vaccinazione quando è nota per essere tossica per l’organismo umano e
causare la maggior parte delle complicanze del Covid, comprese le
reazioni infiammatorie e allergiche.
Per comunicare, i batteri si
scambiano importanti “messaggi” genetici con l’aiuto dei cosiddetti
plasmidi. Ad esempio, se un batterio trova un nuovo meccanismo che
aumenta la sua resistenza agli antibiotici, incapsula questa
informazione in plasmidi, che verranno prodotti e ‘diffusi’ ad altri
batteri.
Il processo di produzione dei filamenti di RNA dei vaccini Covid
richiede appunto di passare attraverso la manipolazione genetica dei
batteri mediante plasmidi, nei quali sarà stata precedentemente
introdotta la sequenza di DNA corrispondente alla proteina spike di
SARS-CoV-2.
Il plasmide viene propagato nei
batteri e utilizzato come stampo per la produzione di massa di RNA
messaggero che sarà in grado di innescare la produzione di proteine
spike
nelle cellule vaccinate. Il DNA
deve poi essere rimosso e l’RNA messaggero viene poi miscelato con i
lipidi per produrre nanoparticelle in grado di portare l’mRNA nelle
nostre cellule
Nell’ambito dell’autorizzazione
all’immissione in commercio del vaccino Pfizer, l’Agenzia europea per i
medicinali (Ema) si è quindi dovuta accontentare di consultare i dati
forniti dal produttore. EMA ha espresso sorpresa al produttore per il
fatto che il prodotto finale non fosse stato sequenziato geneticamente
per garantire che contenesse solo RNA messaggero e nessun DNA o altri
residui, apprende lo scienziato tedesco Florian Schilling in una
presentazione
Pfizer ha risposto di aver
rinunciato volontariamente al sequenziamento, ammettendo che non era
certo ottimale, ma che era giustificato per ridurre i costi. Anche altri
produttori hanno rinunciato a questo sequenziamento genetico come parte
della loro garanzia di qualità.
Tra le tecniche alternative di valutazione del prodotto utilizzate da
Pfizer c’è l’elettroforesi, che conta gli elementi presenti in una
soluzione in base alla loro dimensione.
Nei documenti forniti da Pfizer
alla WEA, l’RNA messaggero della proteina spike del vaccino è
rappresentato da un alto picco centrale. L’anomalia sono le “pendenze”
su entrambi i lati del picco, che rappresentano misteriosi “oggetti”
genetici che non corrispondono alle dimensioni dell’RNA messaggero e non
dovrebbero essere presenti in una soluzione purificata.
Anche l’EMA aveva voluto saperne di più e aveva richiesto i dati grezzi
a Pfizer. Il produttore aveva accettato di fornirli ma ad oggi non sono
ancora stati consegnati.
Un gruppo di ricercatori,
preoccupato in particolare per le conseguenze delle iniezioni di Covid
sui giovani, ha deciso all’inizio del 2023 di prendere in mano la
situazione e mettere in sequenza lotti di “vaccini” di Pfizer e Moderna.
Il loro intero approccio è spiegato in dettaglio in un primo articolo e
nel suo supplemento scritto da Kevin McKernan, biologo molecolare,
specialista in manipolazione genetica e sequenziamento, che ha
partecipato all’analisi.
Le loro scoperte sono di natura
inquietante:
Quantità di DNA anormalmente elevata – La presenza di plasmidi
contenenti DNA proteico spike è stata confermata in proporzioni notevoli
per i “vaccini” di Pfizer e Moderna: tra il 20 e il 35%, ben oltre i
limiti di contaminazione fissati dall’EMA (0,033%) . Una singola dose
contiene quindi diversi miliardi di questi plasmidi che servivano per
produrre l’RNA messaggero e che poi avrebbero dovuto essere eliminati.
Queste informazioni sono già prova della non conformità di questi
prodotti alle normative vigenti.
Accelerazione della resistenza agli antibiotici – Fatto preoccupante, il
DNA di questi plasmidi contiene geni che li rendono resistenti a due
antibiotici: neomicina e kanamicina. L’introduzione di miliardi di geni
di resistenza agli antibiotici in plasmidi altamente replicabili,
consentendo la selezione di batteri resistenti a questi trattamenti nel
microbioma, dovrebbe sollevare preoccupazioni sull’accelerazione della
resistenza agli antibiotici su scala globale. Alcuni esperti stimavano
già prima della crisi del Covid che entro il 2050 non avremmo più avuto
antibiotici efficaci.
Elevato fattore di errore di copia – Gli scienziati affermano che la
presenza di un nucleotide chiamato pseudouridina è molto preoccupante
poiché è noto che ha un tasso di errore di copia di uno su 4000
nucleotidi, ovvero tra 5 e 8,5 milioni di possibili errori di copia per
dose di vaccino. E nessuno può dire a cosa corrispondano questi errori
poiché sono imprevedibili.
Integrazione permanente e transgenerazionale: i plasmidi vaccinali
possono raggiungere un batterio o una cellula umana. Quest’ultimo caso è
considerato problematico perché è possibile che il filamento di DNA
contenuto nel plasmide sia permanentemente integrato nel codice genetico
della cellula umana, permettendole in qualsiasi momento di produrre
autonomamente la proteina spike del vaccino, per tutta la vita. Con ogni
probabilità, questo è ciò che sta accadendo ai clienti di Pascal Najadi
e Me Ulbrich in Germania. L’insegnante. Bhakdi ha ricordato a questo
proposito che ogni divisione cellulare è un’opportunità per questo DNA
importato di modificare il genoma dell’ospite. Se questa integrazione
avviene in una cellula staminale, ovulo o spermatozoo, la modificazione
genetica verrà trasmessa alle generazioni successive.
Questo è grave perché oggi la
scienza non offre uno strumento per rimuovere un gene. Più
incomprensibilmente, il DNA del plasmide utilizzato da Pfizer contiene
una sequenza (SV 40) che gli permette di essere trasferito nel nucleo
anche quando la cellula non si sta dividendo e quindi di influenzare le
cellule. La sua presenza è comunque inutile per la produzione di RNA
messaggero nei batteri. Questa sequenza è assente dai plasmidi
utilizzati da Moderna.
l vaccino Covid di Johnson &
Johnson presenta un rischio di integrazione ancora maggiore perché si
basa su un virus a DNA e utilizza un promotore molto più potente dell’SV
40, chiamato CMV. Ciò comporta un rischio molto più elevato di
oncogenesi e continua produzione di proteine spike
rispetto agli RNA messaggeri, afferma
Marc Wathelet, biologo molecolare e specialista di coronavirus che
abbiamo consultato (vedi intervista alla fine dell’articolo).
Poiché il DNA della proteina spike del plasmide prende di mira le
cellule dei mammiferi, ci sono pochissime possibilità che si integri
permanentemente nel genoma di un batterio intestinale. Non riuscendo a
diventare fabbriche proteiche avanzate, questi batteri – che non sono
cellule umane – potrebbero invece moltiplicare i plasmidi del vaccino e
contribuire così ad aumentare il rischio di contaminazione con cellule
umane, chiamato “bactofezione” o “trasfezione”.
Marc Wathelet conferma che se
“il rischio di contaminazione dei batteri nel microbioma rimane basso,
sono i rischi di infiammazione e soprattutto di tumori legati alla
contaminazione delle cellule del corpo delle persone vaccinate da parte
del DNA che sono più preoccupanti”.
L’esperto sottolinea che è “impossibile quantificare questo rischio”.
Trova “un aumento di alcuni tumori, ma non è chiaro se sia dovuto a DNA,
mRNA, un indebolimento del sistema immunitario, lipidi nelle
nanoparticelle o una combinazione di questi fattori
21.07.23
Come risulta, la proteina spike
e l’mRNA non sono gli unici rischi di queste iniezioni. Il team di
McKernan ha anche scoperto i promotori del virus della simmia 40 (SV40)
che, da decenni, sono sospettati di provocare il cancro negli esseri
umani, compresi mesoteliomi, linfomi e tumori del cervello e delle
ossa.3 I risultati4,5,6,7 sono stati pubblicati su OSF Preprints
all’inizio di aprile 2023. Come spiegato nell’abstract:8
“Sono stati utilizzati diversi metodi per valutare la composizione degli
acidi nucleici di quattro fiale scadute dei vaccini mRNA bivalenti
Moderna e Pfizer. Sono stati valutati due flaconi di ciascun fornitore…
Molteplici test supportano una contaminazione da DNA che supera i
requisiti dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) di 330ng/mg e della
FDA [Food and Drug Administration] di 10ng/dose…
Come riportato in una recensione
del libro di Lancet “The Virus and the Vaccine: The True Story of a
Cancer-Causing Monkey Virus, Contaminated Polio Vaccine and the Millions
of Americans Exposed”:13
“Nel 1960, gli scienziati e i produttori di vaccini sapevano che i reni
delle scimmie erano fogne di virus scimmieschi. Tale contaminazione
spesso rovinava le colture, comprese quelle di una ricercatrice del NIH
di nome Bernice Eddy, che lavorava sulla sicurezza dei vaccini… La sua
scoperta… minacciava uno dei più importanti programmi di salute pubblica
degli Stati Uniti…”.
Eddy cercò di informare i
colleghi, ma fu imbavagliata e privata dei suoi compiti di
regolamentazione dei vaccini e del suo laboratorio… [Due] ricercatori
della Merck, Ben Sweet e Maurice Hilleman, identificarono presto il
virus del rhesus, poi chiamato SV40, l’agente cancerogeno che era
sfuggito a Eddy.
“Nel 1963, le autorità statunitensi decisero di passare alle scimmie
verdi africane, che non sono ospiti naturali dell’SV40, per produrre il
vaccino antipolio. A metà degli anni ’70, dopo studi epidemiologici
limitati, le autorità conclusero che, sebbene l’SV40 causasse il cancro
nei criceti, non sembrava farlo nelle persone.
“Arriviamo agli anni ’90: Michele Carbone, allora all’NIH [National
Institutes of Health], stava lavorando sul modo in cui l’SV40 induce i
tumori negli animali. Uno di questi era il mesotelioma, un raro tumore
della pleura che nelle persone si pensa sia causato principalmente
dall’amianto. L’ortodossia riteneva che l’SV40 non causasse tumori
nell’uomo.
“Incoraggiato da un articolo del
1992 del NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato
‘impronte’ di DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha
analizzato biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National
Cancer Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di
esse, il virus della scimmia era attivo e produceva proteine.
“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH
rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola
University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del
tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature
Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti
hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.
“Incoraggiato da un articolo del
1992 del NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato
‘impronte’ di DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha
analizzato biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National
Cancer Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di
esse, il virus della scimmia era attivo e produceva proteine.
“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH
rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola
University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del
tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature
Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti
hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.
Torniamo alle scoperte di
McKernan, che oltre al video in evidenza sono discusse anche nel podcast
di Daniel Horowitz qui sopra. In breve, il suo team ha scoperto livelli
elevati di plasmidi di DNA a doppio filamento, compresi i promotori SV40
(sequenza di DNA essenziale per l’espressione genica) che sono noti per
innescare lo sviluppo del cancro quando incontrano un oncogene (un gene
che ha il potenziale di causare il cancro).
Il livello di contaminazione varia a seconda della piattaforma
utilizzata per la misurazione, ma indipendentemente dal metodo
utilizzato, il livello di contaminazione del DNA è significativamente
superiore ai limiti normativi sia in Europa che negli Stati Uniti,
afferma McKernan. Il livello più alto di contaminazione del DNA
riscontrato è stato del 30%, un dato piuttosto sorprendente.
Come spiegato da McKernan, quando si utilizza un tipico test PCR, si
viene considerati positivi se il test rileva il virus SARS-CoV-2
utilizzando una soglia di ciclo (CT) di circa 40. In confronto, la
contaminazione del DNA viene rilevata con TC inferiori a 20. Ciò
significa che la contaminazione è di un milione di milioni di unità.
Ciò significa che la
contaminazione è un milione di volte superiore alla quantità di virus
che si dovrebbe avere per risultare positivi al test COVID-19. “Quindi,
c’è un’enorme differenza per quanto riguarda la quantità di materiale
presente”, afferma McKernan.
Nel suo articolo su Substack14 , McKernan sottolinea anche che chi
sostiene che il DNA a doppio filamento e l’RNA virale siano una falsa
equivalenza, perché l’RNA virale è in grado di replicarsi, si sbaglia.
“La maggior parte dell’sgRNA che state rilevando in un tampone nasale
nel vostro naso NON È ADEGUATO ALLA REPLICAZIONE, come dimostrato da
Jaafar et al.15 È solo un frammento di RNA che dovrebbe avere una
longevità inferiore nelle vostre cellule rispetto ai frammenti
contaminanti di dsDNA”, scrive.
Se si sequenzia il DNA, si
scopre che corrisponde a quello che sembra essere un vettore di
espressione usato per produrre l’RNA… Ogni volta che vediamo una
contaminazione del DNA, come quella dei plasmidi, finire in un prodotto
iniettabile, la prima cosa a cui si pensa è se sia presente
l’endotossina dell’E. coli (Escherichia coli, ndr), perché crea
anafilassi per chi viene iniettato.
Mentre i deceduti non vaccinati
sono stati soltanto 304 e quelli vaccinati con ciclo incompleto (senza
seconda dose) 25. Il periodo preso in considerazione dalla tabella ISS è
quello che va dal 29 aprile al 29 maggio 2022.
«Numerosi studi riportano
l’insorgenza di reazioni autoimmuni a seguito della vaccinazione contro
il COVID-19 (Gadi et al., 2021; Watad et al., 2021; Bril et al., 2021;
Portoghese et al., 2021; Ghielmetti et al., 2021; Vuille – Lessard et
al., 2021; Chamling et al., 2021; Clayton-Chubb et al., 2021; Minocha et
al., 2021; Elrashdy et al., 2021; Garrido et al., 2021; Chen et al.,
2022; Fatima et al., 2022; Mahroum et al., 2022; Finsterer, 2022; Garg &
Paliwal, 2022; Kaulen et al., 2022; Kwon & Kim, 2022; Ruggeri,
Giovanellla & Campennì, 2022). I dati istopatologici forniscono una
prova indiscutibile che dimostra che i vaccini genetici presentano una
distribuzione fuori bersaglio, provocando la sintesi della proteina
spike e innescando così reazioni infiammatorie autoimmuni, anche in
tessuti terminali differenziati».
Furono proprio gli esami
patologici del medico tedesco Morz a rilevare l’anomala persistenza nel
corpo umano della proteina Spike di cui un altro studio americano
asseverato dalla virologa Jessica Rose spiegò la proliferazione
attraverso i plasmidi di RNA.
«In generale, i potenziali rischi dei vaccini genetici che inducono le
cellule umane a diventare bersagli per l’attacco autoimmune non possono
essere valutati completamente, senza conoscere l’esatta distribuzione e
cinetica di LNP e mRNA, nonché la produzione e la farmacocinetica della
proteina spike».
Lo studio sottoscritto anche da
Donzelli e Bellavite poi conclude:
«Poiché il corpo umano non è un sistema strettamente compartimentato,
questo è motivo di seria preoccupazione per ogni vaccino genetico
attuale o futuro che induca le cellule umane a sintetizzare antigeni non
self. Infatti, per i tessuti terminalmente differenziati, la perdita di
cellule determina un danno irreversibile con prognosi potenzialmente
fatale. In conclusione, alla luce delle innegabili prove di
distribuzione fuori bersaglio, la somministrazione di vaccini genetici
contro COVID-19 dovrebbe essere interrotta fino a quando non saranno
eseguiti accurati studi di farmacocinetica, farmacodinamica e
genotossicità, oppure dovrebbero essere somministrati solo in
circostanze quando i benefici superano di gran lunga i rischi».
L’invito a indagare sui danni da sieri genici e a fermarne
l’inoculazione è giunto anche da una ricercatrice dell’Istituto
Superiore della Sanità e dalla sentenza del Tribunale di Firenze che ha
inviato gli atti alla Procura della Repubblica di Roma per un’accurata
inchiesta.
di Peter McCullough – pubblicato
in origine sul suo Substack
Mi viene spesso chiesto: perché tante persone che hanno assunto il
vaccino COVID-19 stanno apparentemente bene, mentre altre subiscono
danni al cuore, ictus, coaguli di sangue e finiscono per essere invalide
o morte? Da molti mesi si sospetta che ci possano essere variazioni nei
lotti o nelle partite di vaccino che potrebbero spiegare in parte queste
osservazioni. In altre parole, non tutti ricevono la stessa dose di
mRNA.
In base all’autorizzazione all’uso in emergenza, le aziende produttrici
di vaccini e i loro subappaltatori non effettuano alcuna ispezione delle
fiale finali riempite e finite. Si tratta di una situazione senza
precedenti per un prodotto di largo uso di qualsiasi tipo.
È possibile che le
nanoparticelle lipidiche si aggreghino in sospensione e quindi alcuni
lotti potrebbero contenere più mRNA di altri. Allo stesso modo, poiché
le dimensioni dei lotti sono variate nel tempo, è possibile che i
contaminanti del processo di produzione si concentrino in alcuni lotti
più piccoli rispetto a quelli più grandi.
Infine, il trasporto, la conservazione e l’uso del prodotto possono
essere fattori che denaturano l’mRNA, tra cui il riscaldamento, l’aria
iniettata nelle fiale e gli aghi multipli immersi nella sospensione.
Il problema della contaminazione è emerso quando il Giappone ha
restituito milioni di dosi e sono stati riscontrati detriti visibili sul
fondo delle fiale. Inoltre, poiché i contactor di biodifesa utilizzano
sfere metalliche, è possibile che i lotti iniziali più piccoli avessero
detriti magnetici che spiegavano il “magnetismo” nel braccio in cui
veniva somministrata l’iniezione, come riportato all’inizio della
campagna vaccinale.
Un rapporto di Schmeling e
collaboratori sul vaccino Pfizer BNT162b2 mRNA COVID-19 ha rilevato che
il 71% degli eventi avversi gravi proveniva dal 4,2% delle dosi (lotti
ad alto rischio), mentre <1% di questi eventi proveniva dal 32,1% delle
dosi (lotti a basso rischio). La variazione spiegata per i lotti ad alto
e moderato rischio è stata rispettivamente del 78 e dell’89%. Pertanto,
più dosi sono state somministrate da quelle fiale, maggiore è stato il
numero di effetti collaterali segnalati. Ciò significa che la maggior
parte del rischio risiede nell’iniezione e non nella persona che l’ha
ricevuta.
Si tratta di risultati di
importanza cruciale. Essi implicano che la debacle del vaccino COVID-19
è effettivamente un problema di prodotto e non è dovuta alla
suscettibilità del paziente nella maggior parte delle circostanze.
Inoltre, la mancanza di ispezioni ha portato a un disastro di sicurezza.
Alcuni sfortunati pazienti ricevono una quantità eccessiva di mRNA, di
contaminanti o di entrambi e sono quindi esposti a iniezioni dannose e,
in alcuni casi, letali.
IN ITALIA
Il trait d’union tra questa
nuova ricerca sponsorizzata dalla Commissione Europea e Rappuoli è
proprio la Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) che ha creato un park
science accentratore di aziende operanti in campo sanitario medico,
diagnostico e farmaceutico.
TOSCANA LIFE SCIENCES NEL BIOTECNOPOLO DI SIENA
TLS è anche deputata a diventare uno dei pilastri del progetto del
Biotecnopolo di Siena, in fase di realizzazione nell’ex caserma in Viale
Cavour, che riceverà una cospicua dotazione finanziaria dal Piano
Nazionale Ripresa e Resilienza (PNNR) così suddivisa: 9 milioni di euro
per il 2022, 12 milioni per il 2023 e 16 milioni per il 2024. Ma la
fetta più grossa spetta proprio all’hub antipandemico (Centro Nazionale
Antipandemico – CNAP), che riceverà 340 milioni di euro da qui al 2026.
Una somma ingente in considerazione che le finalità sono praticamente
analoghe a quelle del Fondazione Centro Nazionale di Ricerca “Sviluppo
di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA” che vede come capofila
l’Università di Padova e come partner altri atenei italiani ma,
soprattutto, le Big Pharma dei vaccini Pfizer, Biontech e AstraZeneca.
Dal canto suo la Fondazione
Toscana Life Sciences (TLS) fin dall’agosto 2022 aveva subito accolto
«con estremo favore la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (GU) della
Repubblica Italiana dello Statuto della Fondazione Biotecnopolo, che
avrà sede legale e operativa a Siena. Un passo molto atteso che include
la partecipazione della Fondazione Toscana Life Sciences in qualità di
“nuovo fondatore” attraverso la stipula di un atto convenzionale entro
sessanta giorni dall’adozione dello Statuto stesso. Sono soci fondatori
il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute,
il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dello Sviluppo
Economico, cui si aggiungerà la Fondazione TLS come “nuovo fondatore”
Esaote (che ha sede a Genova ma
una filiale a Firenze) e TLS, nella primavera 2021, si trovarono insieme
a un vertice convocato dalla Regione Toscana per costruire un
eco-sistema per un vaccino anti Covid-19 made in Tuscany. All’incontro
presero parte, oltre agli assessori Simone Bezzini (Sanità) e Leonardo
Marras (Attività produttive), i rappresentanti del Gruppo farmaceutico
Menarini, di Kedrion, Eli Lilly, Molteni Farmaceutici, Diesse
Diagnostica, Aboca, Abiogen, e di Gsk Vaccines.
Ora il Biotecnopolo di Siena e Toscana Life Sciences si assumeranno
l’onere di portare avanti questo obiettivo puntando sulla figura di
Rappuoli.
La Fondazione Toscana Life
Sciences è il soggetto operativo che coordina e gestisce le attività del
Distretto Toscano Scienze della Vita, il cluster regionale che aggrega
tutti i soggetti pubblici e privati che operano nei settori delle
biotecnologie, del farmaceutico, dei dispositivi medici, della
nutraceutica, della cosmeceutica e dell’Ict applicato alle life
sciences.
E’ nata nel 2011 per iniziativa della Regione Toscana allora governata
dal presidente Alberto Monaci, bancario e ex deputato della Democrazia
Cristiana e poi del Partito Democratico, ed oggi rappresenta un
ecosistema dell’innovazione che raggruppa oltre 32 Centri Ricerca e 14
Enti di Ricerca, incluse le Università toscane (Firenze, Pisa, Siena);
le Scuole Superiori (Scuole di Alta Formazione Sant’Anna e Normale di
Pisa e Istituto di Alti Studi Imt di Lucca); gli Istituti del CNR. Sono
affiliate al Distretto oltre 200 aziende del settore pharma, medical
devices, biotech, ICT for health, nutraceutica, servizi correlati, per
oltre 6 miliardi di fatturato.
Tra queste spicca il nome della
bio-farmaceutica Kedrion della famiglia Marcucci dell’ex senatore del PD
Andrea Marcucci (non riconfermato alle elezioni del 2022) che attirò
l’attenzione dei media per l’interessamento a gestire a livello
industriale (con una società Israeliana del Gruppo della Big Pharma
americana Moderna finanziata da Gates) le cure del Covid-19 col plasma
del medico Giuseppe De Donno, primario di Pneumologia dell’ospedale Poma
di Mantova, morto suicida in circostanze misteriose dopo che la
sperimentazione fu sottratta dal governo al suo centro di ricerca e
assegnata a quello di Pisa.
19.10.24
Un gruppo di scienziati
argentini ha identificato 55 elementi chimici – non elencati nei
foglietti illustrativi – nei vaccini COVID-19 di Pfizer, Moderna,
AstraZeneca, CanSino, Sinopharm e Sputnik V, secondo uno studio
pubblicato la scorsa settimana sull’International Journal of Vaccine
Theory, Practice, and Research.
Gli elementi chimici includono 11 metalli pesanti – come cromo,
arsenico, nichel, alluminio, cobalto e rame – che gli scienziati
considerano tossici sistemici noti per essere cancerogeni e indurre
danni agli organi, anche a bassi livelli di esposizione.
I campioni contenevano anche 11
dei 15 lantanidi, o elementi delle terre rare, che sono metalli più
pesanti e argentei spesso utilizzati nella produzione. Questi elementi
chimici, che comprendono lantanio, cerio e gadolinio, sono meno noti al
grande pubblico rispetto ai metalli pesanti, ma hanno dimostrato di
essere altamente tossici.
“Il rilevamento di più elementi tossici non dichiarati, tra cui metalli
pesanti e lantanidi, nei vaccini COVID-19 solleva una duplice e
molteplice preoccupazione per la salute umana”, ha dichiarato a The
Defender James Lyons-Weiler, Ph.D., membro del comitato editoriale della
rivista e non coinvolto nella ricerca. “Singolarmente, queste sostanze
chimiche sono note per causare danni neurologici, cardiovascolari e
immunologici”.
Per lo studio argentino, i
ricercatori miravano a corroborare le precedenti scoperte di elementi
non dichiarati e a rilevare e misurare eventuali elementi non
identificati in quegli studi.
Hanno analizzato 13 fiale di diversi lotti di sei marche di vaccini
COVID-19 presso un laboratorio dell’Università Nazionale di Córdoba.
Hanno utilizzato una tecnica analitica altamente sensibile – la
spettrometria di massa al plasma accoppiato induttivamente – che
consente di misurare gli elementi a livelli di traccia nei fluidi
biologici.
I ricercatori hanno analizzato almeno due fiale di ogni vaccino, ad
eccezione di CanSino, un vaccino vettoriale virale prodotto in Cina, per
il quale hanno analizzato solo una fiala.
Il loro documento include un lungo elenco di componenti del vaccino
COVID-19 dichiarati dai produttori. I componenti variano a seconda del
produttore del vaccino. I ricercatori hanno ottenuto gli elenchi
attraverso richieste di informazioni pubbliche.
Ad eccezione di Sputnik V e
Sinopharm, i produttori non dichiarano le quantità degli eccipienti
nominati nei loro vaccini, cosa che i ricercatori hanno segnalato come
una “omissione molto grave a livello normativo”.
I vaccini spesso includono eccipienti – additivi utilizzati come
conservanti, coadiuvanti, stabilizzatori o per altri scopi. Secondo i
Centers for Disease Control and Prevention (CDC), le sostanze utilizzate
nella produzione di un vaccino, ma non elencate nel contenuto del
prodotto finale, devono essere riportate nel foglietto illustrativo.
L’elenco degli eccipienti è importante, sostengono i ricercatori, perché
gli eccipienti possono includere allergeni e altri “pericoli nascosti”
per i destinatari dei vaccini.
OpenVAERS riferisce che il CDC ha reso le informazioni sugli eccipienti
dei vaccini disponibili al pubblico “quasi impossibili da trovare”.
OpenVAERS offre un elenco completo degli eccipienti dei vaccini per tipo
e per vaccino.
Tuttavia, il sito OpenVAERS rileva anche che test indipendenti sulle
fiale di vaccino hanno trovato “contaminanti che vanno ben oltre quelli
resi pubblici dai produttori”, come identificato in questo studio.
Le tre fiale Pfizer contenevano
rispettivamente 19, 16 e 21-23 elementi non dichiarati. Le fiale Moderna
contenevano 21 e tra 16-29 elementi non dichiarati.
Tutti i metalli pesanti rilevati
sono collegati a effetti tossici sulla salute umana, scrivono i
ricercatori. Sebbene i metalli si presentassero con frequenze diverse,
molti erano presenti in più campioni. “Ci sono elementi chimici non
dichiarati in comune, come boro, calcio, titanio, alluminio, arsenico,
nichel, cromo, rame, gallio, stronzio, niobio, molibdeno, bario e afnio
in tutte le marche” di vaccini COVID-19, hanno scritto i ricercatori.
Altri elementi, come il cromo e
l’arsenico, che aumentano il rischio di gravi tumori e malattie della
pelle, erano presenti come elementi non dichiarati rispettivamente nel
100% e nell’82% dei campioni. I ricercatori hanno anche trovato il
lantanide cerio, che può danneggiare il fegato e causare embolie
polmonari, nel 76% dei campioni.
Questi elementi chimici sono solo alcuni esempi dei 62 elementi chimici
non dichiarati identificati da questo studio e da studi precedenti messi
insieme, scrivono i ricercatori. Essi hanno concluso che, data la
“diversità e la notevole presenza in tutte le marche, insieme alle
caratteristiche peculiari degli elementi trovati”, è improbabile che i
risultati siano dovuti a contaminazione o adulterazione accidentale.
INOLTRE il lavoro, pubblicato il
18 luglio 2024 sul’International Journal of Vaccine Theory, Practice,
and Research (IJVTPR con sede a Dallas, USA), conferma per l’ennesima
volta la presenza di grafene nei sieri genici mRNA e ne certifica la
presenza non solo in Pfizer ma pure nel prodotto farmacologico di
Moderna, come peraltro già testimoniato dagli specifici brevetti della
Big Pharma di Cambrdige (Massachusetts) .
Lo studio è stato condotto dalla
dottoressa Young Mi Lee, medica specializzanda in Ostetricia e
Ginecologia dell’Hanna Women’s Clinic di Jeju (Repubblica di Corea) che
si occupa anche di ricerche sulla fertilità e ha prestato particolare
attenzione anche sulla pericolosità di tali terapie geniche sul liquido
seminale maschile.
E dal ricercatore Daniel Broudy, docente di Linguistica dell’Okinawa
Christian University (Giappone) ma esperto anche nell’ambito
elettromagnetico che gospa News aveva già citato in realzione agli studi
sulle segnali Bluetooth riscontrati da un esperimento nei vaccinati.
A lui è toccato il compito di curare la redazione del testo finale ed
analizzare le immagini e i dati raccolti dalla scienziata medica in una
lunga e meticolosa analisi biochimica condotta con uno stereomicroscopio
(specializzato per l’esame di campioni tridimensionali e dinamici )
potenziato da una camera di conteggio Makler (specializzata anche nel
conteggio degli spermatozoi in spazi limitati per la valutazione della
fertilità maschile).
«Questo rapporto sui nostri
risultati è stato aiutato dalla ricerca indipendente di un gruppo noto
come Korea Veritas Doctors (KoVeDoc) con il quale abbiamo condiviso gli
iniettabili prodotti da Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Novavax».
Come si spiega nel paragrafo Materiali e metodi: «Nello studio sono
stati utilizzati cinquantaquattro campioni: 50 fiale iniettabili residue
(43 Pfizer, 7 Moderna) acquisite immediatamente dopo il loro utilizzo
nella campagna di vaccinazione contro il COVID-19 e 4 fiale iniettabili
nuove non aperte (2 Pfizer, 1 AstraZeneca, 1 Novavax)».
riportiamo integralmente
l’Abstract della ricerca intitolata: “Autoassemblaggio in tempo reale di
costruzioni artificiali visibili allo stereomicroscopio in campioni
incubati di prodotti mRNA principalmente da Pfizer e Moderna: uno studio
longitudinale completo– Real-Time Self-Assembly of Stereomicroscopically
Visible Artificial Constructionsin Incubated Specimens of mRNA Products
Mainly from Pfizer and Moderna: A Comprehensive Longitudinal Study”.
«Le lesioni osservabili in tempo reale a livello cellulare nei
destinatari degli iniettabili COVID-19 “sicuri ed efficaci” sono
documentate qui per la prima volta con la presentazione di una
descrizione completa e un’analisi dei fenomeni osservati. La
somministrazione globale di questi prodotti, spesso obbligatori, dalla
fine del 2020 ha innescato una serie di studi di ricerca indipendenti
sulle terapie geniche iniettabili con RNA modificato, in particolare
quelle prodotte da Pfizer e Moderna. Le analisi qui riportate consistono
in una precisa “scienza da banco” di laboratorio che mira a comprendere
perché si sono verificati sempre più gravi infortuni debilitanti e
prolungati (e molti decessi) senza alcun effetto protettivo misurabile
da parte dei prodotti commercializzati in modo aggressivo. Il contenuto
degli iniettabili COVID-19 è stato esaminato allo stereomicroscopio con
un ingrandimento fino a 400X. I campioni accuratamente conservati sono
stati coltivati in una gamma di terreni distinti per osservare le
relazioni di causa-effetto immediate e a lungo termine tra le sostanze
iniettabili e le cellule viventi in condizioni attentamente
controllate».
«Da tale ricerca si possono
trarre ragionevoli deduzioni sugli infortuni osservati in tutto il mondo
che si sono verificati da quando le sostanze iniettabili sono state
inoculate su miliardi di individui. Oltre alla tossicità cellulare, i
nostri risultati rivelano numerose entità artificiali autoassemblanti
visibili, nell’ordine di 3~4 x 106 per millilitro di iniettabile, che
vanno da circa 1 a 100μm, o più, di molte forme diverse. C’erano
entità animate simili a vermi, dischi, catene, spirali, tubi, strutture
ad angolo retto contenenti altre entità artificiali al loro interno e
così via. Tutti questi sono estremamente al di là di qualsiasi livello
previsto e accettabile di contaminazione degli iniettabili COVID-19 e
gli studi di incubazione hanno rivelato il progressivo autoassemblaggio
di molte strutture artefatte. Con il passare del tempo durante
l’incubazione, semplici strutture uni e bidimensionali nell’arco di due
o tre settimane sono diventate più complesse nella forma e nelle
dimensioni sviluppandosi in entità stereoscopicamente visibili in tre
dimensioni. Assomigliavano a filamenti, nastri e nastri di nanotubi di
carbonio, alcuni apparivano come membrane trasparenti, sottili e piatte,
e altri come spirali tridimensionali e catene di perline. Alcuni di
questi sembravano apparire e poi scomparire nel tempo. Le nostre
osservazioni suggeriscono la presenza di qualche tipo di nanotecnologia
negli iniettabili COVID-19».
«Sulla scia del programma di
vaccinazione di massa, già nel marzo 2021 e nei mesi successivi, si
sono verificati aumenti significativi di decessi in eccesso per cause
“sconosciute” e gravi sequele: coaguli di sangue, emorragie
inspiegabili, danni (e guasti) a più organi), picchi improvvisi
(cardiotossine) nelle malattie cardiache, tumori del sangue tra cui
leucemia e linfoma, una serie di altri tumori “turbo”, aborti spontanei,
disturbi neurologici e autoimmuni, per citarne alcuni, sono comparsi nei
pazienti (Nyström e Hammarström, 2022; Santiago & Oller, 2023 Perez et
al., 2023»
«Degno di nota è stato il
comportamento di ciascun tipo di cellule del sangue, che si mobilitano
come in una battaglia in prima linea contro ciascuno degli iniettabili:
globuli rossi contro Pfizer e AstraZeneca, globuli bianchi contro
Moderna e piastrine contro Novavax. Nonostante il comportamento
osservato, questi fenomeni specifici delle sostanze iniettabili
potrebbero essere correlati alla loro caratteristica fisiopatologia
diretta del sangue: stasi del flusso sanguigno e conseguente ipossiemia
(affaticamento) dovuta al modello Rouleaux, soppressione immunitaria
dovuta a danno dei globuli bianchi e formazione di coaguli di sangue
(trombosi) o tendenza al sanguinamento da danno o aggregazione
piastrinica».«Nell’analisi dei coaguli di sangue di persone vaccinate,
sono state trovate alcune strutture filamentose attaccate a coaguli
bianchi torbidi omogenei brunastri estratti dallo strato intermedio del
sedimento di sangue intero. Quando si trovano in prossimità di un campo
elettromagnetico, i filamenti potrebbero innescare la formazione di un
coagulo e, quindi, disturbare il libero flusso sanguigno o linfatico.
Date le loro dimensioni microscopiche e l’ampia distribuzione in tutto
il corpo, se questi materiali estranei interagiscono con fonti di
energia interne o esterne, come afferma la letteratura, potrebbero
allungarsi, allargarsi e fungere da misteriose modalità di morbilità
ed eventuale mortalità».
Scrivono Young MI Lee e Daniel Broudy tanto da sentirsi poi legittimati
a fare delle ipotesi assai inquietanti che partono da quanto affermato
(mai poi rimosso dopo l’inizio della produzione dei vaccini Covid) dal
sito di Moderna sull’uso della «tecnologia mRNA è spesso
commercializzata in termini di software come una sorta di sistema
operativo o piattaforma tecnologica».
«La ricerca nell’ingegneria dei
nanomateriali mostra che i robot magnetici bioibridi (Magnobot basati su
microalghe) potrebbero essere prodotti e azionati in tutto il corpo da
una varietà di fattori scatenanti: energia elettromagnetica, variazione
dell’intervallo di pH, manipolazione dei livelli di glucosio e
variazione degli spettri luminosi con l’obiettivo di colpire determinati
tessuti (Li et al., 2023). Le osservazioni durante i nostri studi di
incubazione suggeriscono la presenza di magnobot, soprattutto nel
campione Pfizer».
NO AL NUCLEARE ,
SULL'H2-FOTOVOLTAICO NON SI SPECULA
IL
RAZIONAMENTO ENERGETICO NON RISOLTO CON LE RINNOVABILI PUO' ESSERE
USATO PER GIUSTIFICARE IL NUCLEARE CHE UCCIDE VEDI
RUSSIA E GIAPPONE.
CON LA
SCUSA DEL NUCLEARE SI PUO' FAR PAGARE 10 QUELLO CHE VALE 1
MENTRE LA
FRANCIA INVESTE PER SANARE LO SFASCIO DEL NUCLEARE L'ITALIA CI VUOLE
ENTRARE ?
GLI
INCIDENTI NUCLEARI IN RUSSIA E GIAPPONE NON CI HANNO INSEGNATTO
NULLA ? NE VOGLIAMO UNO ANCHE IN ITALIA ?
LA CHIMERA MANGIA-SOLDI DELLA FUSIONE NUCLEARE
QUANTE RINNOVABILI SI POSSONO FARE ? IL CNR SPENDE PIU' PER IL FINTO
NUCLEARE CHE PER LA BANCA DEL SEME AGRICOLO.
IL FUTURO H2 CHE NON SI VUOLE VEDERE
E' ASSURDO CONTINUARE A PENSARE DI GESTIRE A COSTI BASSI
ECONOMICAMENTE VANTAGGIOSI LA FUSIONE NUCLEARE QUANDO ESISTONO ENERGIE
RINNOVABILI MOLTO più CONTROLLABILI ED EFFICIENTI A COSTI più BASSI,
COME DIMOSTRA IL :
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_3131
IL DOPPIO SACRILEGIO DELLA
BESTEMMIA
RICETTA LIEVITO
MADRE
RICAMBIO POLITICO BLOCCATO
L'Ucraina in
fiamme - Documentario di Igor Lopatonok Oliver Stone 2016 (sottotitoli
italiano)
"Abbiamo
creato un archivio online per documentare i crimini di guerra della
Russia". Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro
Kuleba. "Le prove raccolte delle atrocità commesse dall'esercito russo
in Ucraina garantiranno che questi criminali di guerra non sfuggano alla
giustizia", aggiunge, con il link al sito in inglese
Cosa c’entra il climate change con
l’incidente al ghiacciaio della Marmolada?
Temperature di 10°C a 3.300
metri di altezza da giorni, anomalie termiche pronunciate da maggio.
Sono questi i fattori alla base del crollo del seracco che ha travolto
due cordate di alpinisti domenica 3 luglio sotto Punta Penia
Il ghiacciaio della Marmolada si
sta ritirando di 6 metri l’anno
(Rinnovabili.it) – Almeno 10
morti, 9 feriti e un disperso. È il bilancio provvisorio dell’incidente
che
ha coinvolto il 3 luglio due cordate di alpinisti nella zona di
Punta Rocca, proprio sotto il ghiacciaio della Marmolada.
Una parte del ghiacciaio è collassata per le temperature elevate,
scivolando rapidamente a valle in una enorme valanga di ghiaccio, pietre
e acqua fusa.
La dinamica dell’incidente
Verso le 14 del 3 luglio ha
ceduto un seracco del ghiacciaio della Marmolada, la
vetta più alta delle Dolomiti, tra Punta Rocca e Punta Penia a oltre
3000 metri di quota. La scarica che si è creata è stata imponente,
alta 60 metri con un fronte largo circa 200, e ha
investito un tratto della via normale per la cima di Punta Penia
precipitando a 300 km/h.
Ogni ghiacciaio ha dei seracchi,
blocchi di ghiaccio che assomigliano a dei pinnacoli e si formano con il
movimento del corpo glaciale. Scorrendo verso il basso, il ghiacciaio
incontra delle variazioni nella pendenza della montagna. Queste
deformano il ghiacciaio e provocano la formazione di crepacci, che a
loro volta danno luogo a delle “torri” di ghiaccio, i seracchi.
Queste formazioni, seppur normali, sono per loro natura instabili.
Tendono a cadere a valle, ricompattandosi con il resto del corpo
glaciale, ed è difficile prevedere quando esattamente un evento del
genere si può verificare.
Il climate change sul ghiacciaio
della Marmolada
Il distacco del seracco dal
ghiacciaio della Marmolada, con ogni probabilità, è stato facilitato e
reso più rovinoso dal cambiamento climatico. Negli ultimi giorni, anche sulle cime di quel settore delle Dolomiti
il termometro è salito regolarmente a 10°C. Ma è da
maggio che si registrano
anomalie termiche molto pronunciate.
Anomalie che investono
tutto l’arco alpino.
Sulla cima del monte Sonnblick, in Austria, 100 km più a nord-est, uno
degli osservatori con le serie storiche più lunghe e affidabili della
regione alpina ieri segnalava il quasi completo scioglimento del manto
nevoso. Un dato che illustra molto bene quanto l’estate del 2022 sia
eccezionale: lì la neve non si era mai sciolta prima del 13 agosto
(capitò nel 1963 e nel caldissimo 2003).
Che legame c’è tra il crollo del
seracco e le
temperature elevate? Secondo la società meteorologica
alpino-adriatica, “il ghiacciaio si è destabilizzato alla base a
causa della grande disponibilità di acqua di fusione
dopo settimane di temperature estremamente elevate e superiori alla
media”. Il caldo ha accelerato lo scioglimento del ghiacciaio:
“la lubrificazione dell’acqua alla base (o negli interstrati) e
l’aumento della pressione nei crepacci pieni d’acqua sono probabilmente
le cause principali di questo evento catastrofico”.
Normalmente, il ghiaccio sciolto – acqua di fusione – penetra fra gli
strati di ghiaccio o direttamente sul fondo del ghiacciaio, incuneandosi
tra massa glaciale e rocce sottostanti, per sgorgare poi al fondo della
lingua glaciale. Questo processo “lubrifica” il ghiacciaio,
accelerandone lo scivolamento, ma può anche creare delle “sacche” piene
d’acqua che non trova uno sfogo e preme sul resto del ghiacciaio.
Come tutti gli altri ghiacciai
alpini, anche il ghiacciaio della Marmolada è in veloce ritirata a causa
del riscaldamento globale. L’ultima campagna di rilevazioni, condotta
dal Comitato Glaciologico Italiano e da Arpa Veneto lo scorso agosto, ha
segnalato un ritiro di 6 metri in appena 1 anno, mentre la
perdita complessiva di volume raggiunge il 90% in 100 anni.
Il cambiamento climatico corre
più veloce sulle Alpi che nel resto del pianeta, facendo delle
terre alte uno dei settori più vulnerabili. Un aumento della
temperatura globale di 1,5 gradi si traduce in un innalzamento, sulle
montagne italiane, di 1,8 gradi (con un margine d’errore di ±0,72°C).
Superare i 2 gradi a livello globale significa invece Alpi 2,51°C più calde (±0,73°C). Ma durante i mesi
estivi, l’aumento di temperatura è ancora più pronunciato e può
arrivare, rispettivamente, a 2,09°C ±1,24°C e a 2,81°C ±1,23°C.
«Il 22 maggio 1988 il
sommergibile Nautile esplora il Mar Tirreno alla ricerca del Dc9 Itavia.
Alle 11,58 le telecamere inquadrano una forma particolare. Uno dei due
operatori dell’Ifremer scandisce in francese la parola “misil”. Alle
13,53 s’intravede un’altra classica forma di missile. Le ricerche della
società di Tolone vengono sospese tre giorni dopo. L’ingegner Jean Roux,
dirigente della sezione recuperi dell’Ifremer, subisce uno stop
inspiegabile dall’ingegner Massimo Blasi, capo della commissione dei
periti del Tribunale di Roma» si legge ancora nell’articolo.
«I due missili non vengono raccolti neppure durante la seconda
operazione di recupero affidata a una società inglese. Forse, perché la
Stella di Davide è intoccabile? – si domanda Lannes – Trascorrono tre
anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di visionare i
nastri dell’operazione Ifremer. Secondo un primo tentativo di
identificazione di tratta di un “Matra R 530 di fabbricazione francese”
e di uno “Shafrir israeliano”. I dati tecnici parlano chiaro. Quel Matra
è “lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri con ingombro alare
di 110, pesa 110 chilogrammi: è munito di una testata a frammentazione e
può colpire il bersaglio a 3 km di distanza con la guida a raggi
infrarossi e a 15 km con la guida radar semiattiva”. L’altro missile è
“lungo 2,5 metri, 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa
93 kg e ha una gittata di 5 km”. Entrambi i missili erano in dotazione
ai caccia di Israele, in particolare: Mirage III, Kfir, F4, A4, F15,
F16. Uno di quei missili è stato lanciato contro il Dc9».
Lannes ha aggiunto particolari
agghiaccianti. «Qualche anno fa – accompagnato alla Procura della
Repubblica di Roma da due poliziotti della scorta della Polizia di Stato
– ho riferito, o meglio verbalizzato ai magistrati Amelio e Monteleone
quanto avevo scoperto indagando per dieci anni sulla strage di Ustica.
Ed ho indicato loro alcuni testimoni (ex militari) mai interrogati
dall’autorità giudiziaria. Uno di essi (un ex ufficiale della Marina
Militare) ha dichiarato che il 27 giugno 1980 era in corso un’imponente
esercitazione aeronavale della NATO nel Mar Tirreno. E che l’unità su
cui era imbarcato, la Vittorio Veneto non ha prestato alcun soccorso,
pur essendo vicina al luogo di impatto del velivolo civile, ma ricevette
l’ordine di far rientro a La Spezia. Due di questi ex militari, già
appartenenti all’Aeronautica Militare sono stati minacciati, ed uno di
essi ha subito addirittura un trattamento sanitario obbligatorio messo
in atto dall’Arma Azzurra».
IL VERO
OBBIETTIVO DELLA MAFIA ESSERE LEGITTIMATA A TRATTARE ALLA PARI CON LO
STATO.
QUESTO LA
HA FATTO LO GIURISPRUDENZA DELLA TRATTATIVA STATO MAFIA CHE HA
LEGITTIMATO DI FATTO LA MAFIA A TRATTARE ALLA PARI CON LO STATO.
LA RESPONSABILITA' DEI SERVIZI
SEGRETI NELLA MORTE DI FALCONE E BORSELLINO , E PALESE.
I SERVIZI SEGRETI DIPENDONO
DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO
Dichiarazione di Giuliano AMATO
«Stragi del '92 con matrice oscura. Giusto l'intervento di Pisanu» -
INTERVISTA
(02 luglio 2010) - fonte: Corriere della Sera - Giovanni Bianconi -
inserita il 02 luglio 2010 da 31
«Certo che il nostro è uno strano Paese», esordisce
Giuliano Amato, presidente del
Consiglio nel 1992 insanguinato dalle stragi di mafia, e dunque
testimone diretto di quella drammatica stagione rievocata nella
relazione del presidente della commissione parlamentare antimafia
Giuseppe Pisanu.
Perché, presidente?
«Perché quando un personaggio di primissimo rango come Giulio Andreotti
esce indenne da un lungo processo si dice che questo capita se si
confonde la responsabilità penale con quella politica, mentre quando un
presidente dell`Antimafia come Pisanu si sforza di cercare
responsabilità politiche laddove non ne sono state individuate di penali
gli si risponde che bisogna lasciar lavorare i giudici. Ma allora che
bisogna fare?».
Secondo lei?
«Secondo me il lavoro di Pisanu è legittimo e prezioso, perché può
aiutare la politica a cercare delle chiavi di lettura che non possono
sempre venire dalla magistratura. E a trovare finalmente il giusto modo
di affrontare la questione mafiosa. Provando a capire che cosa è
accaduto in passato si può affrontare meglio anche il presente».
Il passato, in questo caso, sono le stragi del 1992 e 1993. Lei divenne
capo del governo dopo la morte di Giovanni Falcone e prima di quella di
Borsellino. Ha avuto la sensazione di «qualcosa di simile a una
trattativa», come dice Pisanu?
«Sinceramente no. L`ho detto anche ai procuratori di Caltanissetta
quando mi hanno interrogato.
Io in quelle settimane ero molto impegnato ad affrontare l`emergenza
economico-finanziaria, dovevamo fare una manovra da 30.000 miliardi di
lire per il`92 e impostare quella del `93. La strage di via D`Amelio ci
colse nel pieno dei vertici economici internazionali.
Ricordo però che dopo quel drammatico avvenimento ebbi quasi un ordine
da Martelli, quello di far approvare subito il decreto-legge sul carcere
duro per i mafiosi varato dopo l`eccidio di Capaci. Andai di sera dal
presidente del Senato Spadolini, ed ottenni una calendarizzazione ad
horas del provvedimento».
Dei contatti tra alcuni ufficiali del Ros dei carabinieri e l`ex sindaco
mafioso di Palermo Ciancimino lei sapeva qualcosa, all`epoca?
«No, però voglio dire una cosa. Che ci sia stato un certo lavorio di
qualche apparato a livello inferiore è possibile, ma pensare che dei
contatti poco chiari potessero avere una sponda in Nicola Mancino che
era stato appena nominato ministro dell`Interno è un ipotesi che
considero offensiva, in primo luogo per lo stesso Mancino. Sulle ragioni
della sua nomina è Arnaldo Forlani che può fare chiarezza».
Perché?
«Perché la Dc di cui allora era segretario decise, o fu spinta a
decidere, che bisognava tagliare Gava dal governo. Ma a Gava bisognava
comunque trovare una via d`uscita onorevole, individuata nella
presidenza del gruppo al Senato che era di Mancino».
L`ex presidente del Consiglio Ciampi ha ripetuto che dopo le stragi del
'93 lui, da Palazzo Chigi, ebbe timore di un colpo di Stato. Lei pensò
qualcosa di simile, nello stesso posto, dopo le bombe del '92?
«No, ma del resto non ebbi timori di quel genere nemmeno dopo le stragi
degli anni Settanta. All`indomani di via D`Amelio non ebbi allarmi
particolari dal ministro dell`Interno, né dal capo della polizia Parisi
o da quelli dei servizi segreti. Parisi lo trovai ai funerali di
Borsellino, dove io e il presidente Scalfaro subimmo quasi
un`aggressione e avemmo difficoltà ad entrare in chiesa.
Ma attribuimmo l`episodio alla rabbia contro lo Stato che non era
riuscito ad evitare quella morte. Il problema che ancora oggi resta
insoluto è la vera matrice di quelle stragi».
Che intende dire?
«Che per la mafia furono un pessimo affare. Non solo quella di via
D`Amelio, dopo la quale Martelli applicò immediatamente il regime di
carcere duro a centinaia di boss, ma anche quella di Capaci. Certo,
Falcone era un nemico, ma in quel momento un`impresa economico-criminale
come Cosa Nostra avrebbe avuto tutto l`interesse a stare lontana dai
riflettori, anziché accenderli con quella manifestazione di violenza.
Quali interessi vitali dell`organizzazione mafiosa stava mettendo in
pericolo, Falcone?
La spiegazione che volevano eliminare un magistrato integerrimo, come
lui o come Borsellino, è troppo semplice. In ogni caso potevano
ucciderlo con modalità meno eclatanti, come hanno fatto in altre
occasioni. Invece vollero colpire lui e insieme lo Stato, imponendo una
devastante dimostrazione di potere».
Chi può esserci allora, oltre a Cosa nostra, dietro gli attentati che
per la mafia furono controproducenti?
«Purtroppo non lo sappiamo, ma è questa la domanda-chiave a cui dovremmo
trovare la risposta. Perché vede, per le stragi degli anni Settanta si
sono trovate molte spiegazioni; compresa quella che sosteneva il
prefetto Parisi, il quale immaginava un ruolo dei servizi segreti
israeliani per punire la politica estera italiana sul versante
palestinese. E per le stragi del 1993 io trovo abbastanza convincente la
tesi di una ritorsione per il carcere duro affibbiato a tanti boss e
soprattutto al loro capo, Riina, arrestato all`inizio dell`anno. Per
quelle del`92, invece, non riesco a immaginare motivazioni mafiose
sufficienti a superare le ripercussioni negative. E questo conferma
l`ipotesi di qualche condizionamento esterno rispetto ai vertici di Cosa
nostra.
Perciò ha ragione Pisanu a interrogarsi e chiedere di fare luce».
Anche laddove i magistrati non riescono ad arrivare?
«Ma certo. Noi siamo arrivati al limite del giuridicamente accettabile
con il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che io
condivido ma che faccio fatica a spiegare all`estero.
Al di là di quel reato, però, non ci sono solo i boy scout; possono
esistere rapporti pericolosi, magari meno diretti o meno importanti, ma
pur sempre rapporti. E di questi dovrebbe occuparsi la politica, prima
dei magistrati».
Infatti Andreotti e Cossiga, agli
ordini di Henry Kissinger, se ne interessarono con Delle
Chiaie che rappresentava un estremismo di destra che teneva rapporti con
la mafia di Rejna , secondo Lo Cicero.
PERCHE' IL PRESIDENTE
BIDEN NON GRAZIA ASSANGE dimostrando di essere migliore dei suoi
predecessori ?
FATTI NO BLA
BLA BLA DELLA STAMPA PER CONDIZIONARE LA VITA DELLE PERSONE CHE
NON PENSANO PRIMA DI AGIRE
LE NON RISPOSTE DI
DRAGHI E CINGOLANI DOCUMENTATE DA REPORT
QUALE E' LA VERITA' SUI MANDANTI DELLA
MORTE DI FALCONE E BORSELLINO ?
Era il 23 maggio del 1992 quando
Giovanni Falcone guidava la Fiat Croma della sua scorta che lo
accompagnava dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo.
Assieme a lui c’erano la moglie Francesca Morvillo, e l’autista Giuseppe
Costanza che quel giorno sedeva dietro.
Nel corteo delle auto che accompagnano il magistrato palermitano c’erano
anche altre due auto, la Fiat Croma marrone sulla quale viaggiavano gli
agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, e la Fiat Croma
azzurra sulla quale erano presenti gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare
Cervello e Angelo Corbo.
Alle 17:57 circa, secondo la ricostruzione della versione ufficiale,
viene azionato da Giovanni Brusca il telecomando della bomba posta sotto
il viadotto autostradale nel quale passava il giudice Falcone.
La prima auto, quella degli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo viene
sbalzata in un campo di ulivi che si trovava vicino alla carreggiata.
Muoiono tutti sul colpo.
L’auto di Falcone e di sua moglie Francesca viene investita da una
pioggia di detriti e l’impatto tremendo scaglia entrambi contro il
parabrezza della macchina.
In quel momento sono ancora vivi, ma le ferite riportate sono molto
gravi ed entrambi moriranno nelle ore successive all’ospedale.
L’autista Giuseppe Costanza sopravvive miracolosamente alla strage ed è
ancora oggi vivo.
Mai in Italia la mafia era riuscita ad eseguire una operazione così
clamorosa e così ben congegnata tale da far pensare ad un coinvolgimento
di apparati terroristici e militari che andavano ben oltre le capacità
di Cosa Nostra.
Capaci è una strage unica probabilmente anche a livello internazionale.
Fu fatta saltare un’autostrada con 200 kg di esplosivo da cava. Appare
impossibile pensare che furono soltanto uomini come Giovanni Brusca o
piuttosto Totò Riina soprannominato Totò U Curtu potessero realizzare
qualcosa del genere.
Impossibile anche che nessuno si sia accorto di come nei giorni
precedenti sia stata portata una quantità considerevole di esplosivo
sotto l’autostrada senza che nessuno notasse nulla.
È alquanto probabile che gli attentatori abbiano utilizzato dei mezzi
pesanti per trasportare il tritolo e il T4 utilizzati per preparare
l’ordigno.
Il via vai di mezzi deve essere stato frequente ed è difficile pensare
che questo passaggio non sia stato notato da nessuno nelle aree
circostanti.
Così come è impossibile che gli attentatori sapessero l’ora esatta in
cui Falcone sarebbe sbarcato a Palermo senza avere una qualche fonte
dall’interno che li informasse dei movimenti e degli spostamenti del
magistrato.
Capaci per tutte le sue caratteristiche quindi è un evento che appare
del tutto inattuabile senza il coinvolgimento di elementi infedeli
presenti nelle istituzioni che diedero agli attentatori le informazioni
necessarie per eseguire la strage.
Senza i primi, è impossibile sapere chi sono i veri mandanti occulti
dell’eccidio che è costato la vita a 5 persone e che sconvolse l’Italia.
E per poter comprendere quali siano questi mandanti occulti è necessario
guardare a cosa stava lavorando Falcone nelle sue ultime settimane di
vita.
Senza posare lo sguardo su questo intervallo temporale, non possiamo
comprendere nulla di quello che accadde in quei tragici giorni.
La stampa nostrana sono trent’anni che ci offre una ricostruzione
edulcorata e distorta della strage di Capaci.
Ci vengono mostrate a ripetizione le immagini di Giovanni Brusca. Ci è
stato detto tutto sulla teoria strampalata che vedrebbe Silvio
Berlusconi tra i mandanti occulti dell’attentato, teoria che pare aver
trovato una certa fortuna tra gli allievi liberali montanelliani, quali
Peter Gomez e Marco Travaglio.
Non ci viene detto nulla però su ciò che stava facendo davvero Giovanni
Falcone prima di morire.
L’indagine di Falcone sui fondi neri del PCI
All’epoca dei fatti, Falcone era direttore generale degli affari penali,
incarico che aveva ricevuto dall’allora ministro della Giustizia,
Claudio Martelli.
Nei mesi prima di Capaci, Falcone riceve una vera e propria richiesta di
aiuto da parte di Francesco Cossiga, presidente della Repubblica.
Cossiga chiede a Falcone di fare luce sulla marea di fondi neri che
erano piovuti da Mosca dal dopoguerra in poi nelle casse dell’ex partito
comunista italiano.
Si parla di somme da capogiro pari a 989 miliardi di lire che sono
transitati dalle casse del PCUS, il partito comunista dell’Unione
Sovietica, a quelle del PCI.
La politica del PCUS era quella di finanziare e coordinare le attività
dei partiti comunisti fratelli per diffondere ed espandere ovunque
l’influenza del pensiero marxista e leninista e dell’URSS che si
dichiarava custode di quella ideologia.
Questa storia è raccontata dettagliatamente in un avvincente libro
intitolato "Il viaggio di Falcone a Mosca" firmato da Francesco Bigazzi
e da Valentin Stepankov, il procuratore russo che stava collaborando con
Falcone prima di essere ucciso.
Il sistema di finanziamento del PCUS era piuttosto complesso e spesso si
rischia di perdersi in un fitto dedalo di passaggi e sottopassaggi nei
quali è spesso difficile comprendere dove siano finiti effettivamente i
fondi.
I finanziamenti erano erogati dal partito comunista sovietico agli altri
suoi satelliti nel mondo e di questo c’è traccia nelle carte esaminate
da Stepankov.
Ricevevano fondi il partito comunista francese e persino il partito
comunista americano rappresentato da Gus Hall che a Mosca assicurava
tutto il suo impegno contro l’imperialismo americano portato avanti da
Ronald Reagan.
Il partito comunista italiano era però quello che riceveva la quantità
di fondi più ingenti perché questo era il partito comunista più forte
d’Occidente ed era necessario nell’ottica di Mosca assicurargli un
costante sostegno per tenera aperta la possibilità di spostare l’Italia
dall’orbita del patto Atlantico a quella del patto di Varsavia.
Una eventualità che se fosse mai avvenuta avrebbe provocato non solo la
probabile fine della stessa NATO ma anche un probabile conflitto tra
Washington e Mosca che si contendevano un Paese fondamentale, allora
come oggi, per gli equilibri dell’Europa e del mondo.
Ed è in questa ottica che va vista la strategia della tensione ispirata
e attuata da ambienti atlantici per impedire che Roma si avvicinasse
troppo a Mosca.
Nell’ottica di questa strategia era necessario colpire la popolazione
civile attraverso gruppi terroristici, ad esempio le Brigate Rosse,
infiltrati da ambienti dell’intelligence americana per eseguire azioni
clamorose, su tutte il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
Il sangue versato dall’Italia nel dopoguerra per volontà del cosiddetto
stato profondo di Washington è stato versato per impedire all’Italia di
intraprendere un cammino politico che avrebbe potuto allontanarla troppo
dalla sfera di dominio Euro-Atlantica non tanto per approdare in quella
sovietica, ma piuttosto, secondo la visione di Moro, nel campo dei Paesi
non allineati né con un blocco né con l’altro.
Nel 1992 questo mondo era già crollato e non esisteva più la cosiddetta
minaccia sovietica. A Mosca regnava il caos. Una epoca era finita e
l’URSS era crollata non per via della sua struttura elefantiaca, come
pretende di far credere una certa vulgata atlantista, ma semplicemente
perché si era deciso di demolirla dall’interno.
La perestrojka, termine russo che sta per ristrutturazione, di cui l’ex
segretario del PCUS, Gorbachev, fu un convinto sostenitore fu ciò che
preparò il terreno alla caduta del blocco sovietico.
Gorbachev era ed è un personaggio molto vicino agli ambienti del
globalismo che contano e fu uno dei primi sovietici ad essere elogiato e
sostenuto dal gruppo Bilderberg che nel 1987 guarda con vivo interesse e
ammirazione alla sua apertura al mondo Occidentale.
Al Bilderberg c’è il gotha della società mondiale in ogni sua
derivazione politica, economica, finanziaria e ovviamente mediatica
senza la quale sarebbe stato impossibile perseguire i piani di questa
struttura paragovernativa internazionale.
Uno dei membri di spicco di questo club, David Rockefeller, ringraziò
calorosamente alcuni anni dopo gli esponenti della stampa mondiale,
soprattutto quella anglosassone, per aver taciuto le attività di questa
società segreta che senza il silenzio dei media non sarebbe mai riuscita
a portare avanti indisturbata i suoi piani.
Nella visione di questi ambienti, l’URSS, di cui, sia chiaro, non si ha
nostalgia, era comunque diventata ingombrante e doveva essere rimossa.
Il segretario del partito comunista, Gorbachev, attraverso le sue
“riforme” ebbe un ruolo del tutto fondamentale nell’ambito del
raggiungimento di questo obbiettivo.
I signori del Bilderberg avevano deciso che gli anni 90 avrebbero dovuto
essere gli anni della globalizzazione e della concentrazione di un
potere mai visto nelle mani della NATO che per poter avvenire doveva
passare dall’eliminazione del blocco opposto, quello dell’Unione
Sovietica.
Il crollo dell’URSS ebbe un impatto devastante sulla società
post-sovietica russa. Moltissimi dirigenti, 1746, si tolsero la vita. Un
numero di morti per suicidio che non trova probabilmente emuli nella
storia politica recente di nessun Paese.
Alcuni suicidi furono piuttosto anomali e si pensò che alcuni influenti
notabili di Mosca in realtà siano stati suicidati per non far trapelare
le verità scomode che sapevano riguardano ai finanziamenti del partito.
A Mosca era iniziato il grande saccheggio e le svendite di tutto quello
che era il patrimonio pubblico dello Stato.
L’URSS era uscita dall’era della proprietà collettivizzata per entrare
in quella del neoliberismo più feroce e selvaggio così come avvenne per
gli altri Paesi dell’Europa Orientale che furono messi all’asta e
comprati da corporation angloamericane.
Il procuratore russo Stepankov voleva far luce sulla enorme quantità di
soldi che era uscita dalle casse del partito. Voleva capire dove fosse
finito tutto questo denaro e come esso fosse stato speso.
Per fare questo, chiese assistenza all’Italia e il presidente Cossiga
girò questa richiesta di aiuto all’allora direttore generale degli
affari penali, Giovanni Falcone.
Falcone accettò con entusiasmo e ricevette a Roma nel suo ufficio il
procuratore Stepankov per avviare quella collaborazione, inedita dal
secondo dopoguerra in poi, tra l’Italia e la neonata federazione russa.
Al loro primo incontro, Falcone e Stepankov si piacciono subito.
Entrambi si riconoscono una integrità e una determinazione
indispensabili per degli inquirenti determinati a comprendere cosa fosse
accaduto con quella enorme quantità di denaro che aveva lasciato Mosca
per finire in Italia.
I fondi venivano stanziati in dollari e poi convertiti in lire ma per
poter completare questo passaggio era necessaria l’assistenza di
un’altra parte, che Falcone riteneva essere la mafia che in questo caso
avrebbe agito in stretto contatto con l’ex PCI.
I legami tra PCI e mafia non sono stati nemmeno sfiorati dai media
mainstream italiani. La sinistra progressista si è attribuita una sorta
di primato morale nella lotta alla mafia quando questa storia e questa
indagine rivelano invece una sua profonda contiguità con il fenomeno
mafioso.
L’indagine di Falcone rischiava di mandare a monte il piano di Mani
Pulite
Giovanni Falcone era determinato a fare luce su questi legami, ma non
fece in tempo. Una volta iniziata la sua collaborazione con Stepankov la
sua vita fu stroncata brutalmente nella strage di Capaci.
Era in programma un viaggio del magistrato nei primi giorni di giugno a
Mosca per continuare la collaborazione con Stepankov.
Il giudice si stava avvicinando ad una verità scabrosa che avrebbe
potuto travolgere l’allora PDS che aveva abbandonato la falce e martello
del partito comunista due anni prima nella svolta della Bolognina
inaugurata da Achille Occhetto.
Il PCI si stava tramutando in una versione del partito democratico
liberal progressista molto simile a quella del partito democratico
americano.
Il processo di conversione era già iniziato anni prima quando a
Washington iniziò a recarsi sempre più spesso Giorgio Napolitano che
divenne un interlocutore privilegiato degli ambienti che contano negli
Stati Uniti, soprattutto quelli sionisti e atlantisti.
A Washington avevano già deciso probabilmente in quegli anni che doveva
essere il nuovo partito post-comunista a trascinare l’Italia nel girone
infernale della globalizzazione.
Il 1992 fu molto di più che l’anno della caccia alle streghe
giudiziaria. Il 1992 fu una operazione internazionale decisa nei circoli
del potere anglo-sionista che aveva deciso di liberarsi di una classe
politica che, seppur con tutti i suoi limiti, aveva saputo in diverse
occasioni contenere l’atlantismo esasperato e aveva saputo esercitare la
sua sovranità come accaduto a Sigonella nel 1984 e come accaduto anche
con l’omicidio di Aldo Moro, che pagò con la vita la decisione di voler
rendere indipendente l’Italia dall’influenza di questi centri di potere
transnazionali.
Il copione era quindi già scritto. Il pool di Mani Pulite agì come un
cecchino. Tutti i partiti vennero travolti dalle inchieste giudiziarie e
tutti finirono sotto la gogna mediatica della pioggia di avvisi di
garanzia che in quel clima da linciaggio popolare equivalevano ad una
condanna anticipata.
Il PSI di Craxi fu distrutto così come la DC di Andreotti. Tutti vennero
colpiti ma le inchieste lasciarono, “casualmente”, intatto il PDS.
Eppure era abbastanza nota la corruzione delle cosiddette cooperative
rosse, così come era nota la corruttela che c’era nel partito comunista
italiano che riceveva fondi da una potenza straniera, allora nemica, e
poi li riciclava attraverso la probabile assistenza di organizzazioni
mafiose.
Questa era l’ipotesi investigativa alla quale stava lavorando Giovanni
Falcone e questa era la stessa ipotesi che subito dopo raccolse Paolo
Borsellino, suo fraterno amico e magistrato ucciso soltanto 55 giorni
dopo a via d’Amelio.
Mai la mafia era giunta a tanto, e non era giunta a tanto perché non era
nelle sue possibilità. C’è un unico filo rosso che lega queste due
stragi e questo filo rosso porta fuori dai confini nazionali.
Porta direttamente in quei centri di potere che avevano deciso che tutta
la ricchezza dell’industria pubblica italiana fosse smantellata per
essere portata in dote alla finanza anglosionista.
Questi stessi centri di potere globali avevano deciso anche che dovesse
essere il nuovo PDS a proseguire lo smantellamento dell’economia
italiana attraverso la sua adesione alla moneta unica.
E fu effettivamente così, salvo la parentesi berlusconiana del 94. Il
PDS portò l’Italia sul patibolo dell’euro e di Maastricht e privò della
sovranità monetaria il Paese agganciandola alla palla al piede della
moneta unica, arma della finanza internazionale.
E fu il turbare di questi equilibri che portò alla prematura morte dei
magistrati Falcone e Borsellino. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
avevano messo le mani sui fili dell’alta tensione. Quelli di un potere
così forte che fa impallidire la mafia.
I due brillanti giudici sapevano che il fenomeno mafioso non poteva
essere compreso se non si guardava al piano superiore, che era quello
costituito dalla massoneria e dal potere finanziario.
Cosa Nostra e le altre organizzazioni sono solamente della manovalanza
di un potere senza volto molto più potente.
È questa la verità che non viene raccontata agli italiani che ogni anno
quando si celebrano queste stragi vengono sommersi da un fiume di
retorica o da una scadente cinematografia di regime che mai sfiora la
verità su quanto accaduto in quegli anni e mai sfiora il vero potere che
eseguì il colpo di Stato del 1992 e che insanguinò l’Italia nello stesso
anno.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due figure che vanno ricordate
non solo per il loro eroismo, ma per la loro ferma volontà e
determinazione nel fare il loro mestiere, anche se questo voleva dire
pagare con la propria vita.
Lo fecero fino in fondo sapendo di sfidare un potere enormemente più
forte di loro. Sapevano che in gioco c’erano equilibri internazionali e
destini decisi da uomini seduti nei consigli di amministrazione di
banche e corporation che erano i veri registi della mafia.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vanno ricordati perché sono due eroi
italiani che si sono opposti a ciò che il Nuovo Ordine Mondiale aveva
deciso per l’Italia e pur di farlo non hanno esitato a sacrificare la
loro vita.
Oggi, trent’anni dopo, sembra che stiano per chiudersi i conti con
quanto accaduto nel 1992 e l’Italia sembra più vicina all’avvio di una
nuova fase della sua storia, una nella quale potrebbe esserci la seria
possibilità di avere una sovranità e una indipendenza come non la si è
avuta dal 1945 in poi.
Autovelox mobili:
la multa non è valida se non sono segnalati
multe autovelox
La Cassazione ha confermato che anche gli autovelox posti sulle
pattuglie delle varie forze dell’ordine devono essere adeguatamente
segnalati.
Autovelox mobili: la multa non è valida se non sono segnalati
AUTOVELOX MOBILI - Subire una multa per eccesso di velocità non è
certamente piacevole, soprattutto perché questo comporta la necessità di
dover mettere mano al portafoglio per una spesa imprevista. Ci sono però
delle situazioni in cui la sanzione può essere ritenuta non valida e
quindi annullata, come indicata da una recente sentenza emessa dalla
Corte di Cassazione. Che ha così chiarito i dubbi su cosa può accadere
nel caso in cui l’autovelox presente in un tratto di strada non sia
opportunamente segnalato: l’obbligo è valido anche per gli autovelox
mobili montati sulle auto della polizia.
UNA LUNGA TRAFILA LEGALE - La vicenda trae origine da un’automobilista
di Feltre (Belluno) aveva subito sei anni fa una multa per eccesso di
velocità dopo essere stato sorpreso a 85 km/h in un tratto di strada in
cui il limite era invece di 70 m/h. Una pattuglia della polizia presente
sul posto dotata di autovelox Scout Speed aveva provveduto a
sanzionarlo. L’uomo era però convinto di avere subito un’ingiustizia e
aveva così deciso di fare ricorso. Alla fine, nonostante la trafila sia
stata particolarmente lunga, è stato proprio il conducente a vincere
fino ad arrivare alla sentenza della Cassazione emessa pochi giorni fa.
LA SENTENZA - Nella quale si legge: "In attuazione del generale obbligo
di preventiva e ben visibile segnalazione, contempla la possibilità di
installare sulle autovetture dotate del dispositivo Scout Speed messaggi
luminosi contenenti l'iscrizione “controllo velocità” o “rilevamento
della velocità”, visibili sia frontalmente che da tergo. Molteplici
possibilità di impiego e segnalazione sono correlate alle
caratteristiche della postazione, fissa o mobile, sicché non può dedursi
alcuna interferenza negativa che possa giustificare, avuto riguardo alle
caratteristiche tecniche della strumentazione impiegata nella postazione
di controllo mobile, l'esonero dall'obbligo della preventiva
segnalazione".
per non fare diventare l'ITALIA
un'hotspot europeo dell'immigrazione in quanto bisogna resistere come
italiani nel nostro paese dando agli immigrati un messaggio forte e
chiaro : ogni paese puo' svilupparsi basta impegnarsi per farlo con le
risorse disponibili e l'intelligenza , che significa adattamento nel
superare le difficolta'.
Inventarsi un lavoro invece che fare
l'elemosina.
Quanti miracoli ha fatto Maometto
rispetto a Gesu' ?
1) esame
d'italiano e storia italiana per gli immigrati
2) lavori
socialmente utili
3) pulizia
e cucina autonoma
3 gennaio 1917, Suor Lucia nel Terzo segreto di Fatima: Il sangue dei
martiri cristiani non smetterà mai di sgorgare per irrigare la terra e
far germogliare il seme del Vangelo. Scrive suor Lucia: “Dopo le
due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra
Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano
sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero
incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore
che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo
indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza,
Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “Qualcosa
di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano
davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento
che fosse il Santo Padre”. Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e
religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una
grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la
corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande
città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di
dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel
suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi
della grande croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli
spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo
morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi e
religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e
posizioni. Sotto i due bracci della croce c’erano due Angeli ognuno con
un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il
sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a
Dio”.interpretazione del
Terzo segreto di Fatima era già stata offerta dalla stessa Suor Lucia in
una lettera a Papa Wojtyla del 12 maggio 1982. In essa dice: «La
terza parte del segreto si riferisce alle parole di Nostra Signora: “Se
no [si ascolteranno le mie richieste la Russia] spargerà i suoi errori
per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni
saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie
nazioni saranno distrutte” (13-VII-1917). La terza parte del segreto è
una rivelazione simbolica, che si riferisce a questa parte del
Messaggio, condizionato dal fatto se accettiamo o no ciò che il
Messaggio stesso ci chiede: “Se accetteranno le mie richieste, la Russia
si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il
mondo, etc.”. Dal momento che non abbiamo tenuto conto di questo appello
del Messaggio, verifichiamo che esso si è compiuto, la Russia ha invaso
il mondo con i suoi errori. E se non constatiamo ancora la consumazione
completa del finale di questa profezia, vediamo che vi siamo incamminati
a poco a poco a larghi passi. Se non rinunciamo al cammino di peccato,
di odio, di vendetta, di ingiustizia violando i diritti della persona
umana, di immoralità e di violenza, etc. E non diciamo che è Dio che
così ci castiga; al contrario sono gli uomini che da se stessi si
preparano il castigo. Dio premurosamente ci avverte e chiama al buon
cammino, rispettando la libertà che ci ha dato; perciò gli uomini sono
responsabili».
Le storie degli immigrati occupanti che cercano di farsi mantenere
insieme alle loro famiglie , non lavoro come gli immigrati italiani
all'estero:
1) Mi trovavo all'opedale per prenotare una visita delicata ,
mentre stato parlando con l'infermiera, una donna mi disse di sbrigarmi
: era di colore.
2) Mi trovavo in C,vittorio ang V.CARLO ALBERTO a Torino, stavo dando
dei soldi ad un bianco che suonava una fisarmonica accanto ai suoi
pacchi, arriva un nero in bici e me li chiede
3) Ero su un bus turistico e' salito un nero ha spostato la roba che
occupava i primi posti e si e' messo lui
4) Ero in un team di startup che doveva fare proposte a TIM usando
strumenti della stessa la minoranza mussulmana ha imposto di prima
vedere gli strumenti e poi fare le proposte: molto innovativo !
5) FINO A QUANDO I MUSSULMANI NON ACCETTANO LA PARITA' UOMO DONNA ,
ANCHE SE LO SCRIVE IL CORANO E' SBAGLIATO. E' INACCETTABILE QUESTO
PRINCIPIO CHE CI PORTA INDIETRO.
6) perche' lITALIA deve accogliere tutti ? anche gli alberghi possono
rifiutare clienti .
7) Immigrazione ed economia sono interconnesse in quanto spostano pil
fuori dal paese.
8) Gli extracomunitari ti entrano in casa senza chiedere permesso. Non
solo desiderano la roba d altri ma la prendono.
Forse il primo insegnamento sarebbe il rispetto della liberta' altrui.
09.01.19
Tutti i nulllafacenti immigrati
Boeri dice che ne abbiamo bisogno : per cosa ? per mantenerli ?
04.02.17l
L'ISIS secondo me sta facendo delle
prove di attentato con l'obiettivo del Vaticano con un attacco
simultaneo da terra con la tecnica dei camion e dal cielo con aerei come
a NY l'11.09.11.
Riforma sostenuta da una
maggioranza trasversale: «Non razzismo, ma realismo» Case Atc agli
immigrati La Regione Piemonte cambia le regole Gli attuali criteri per
le assegnazioni penalizzano gli italiani .
Screening pagato dalla Regione e
affidato alle Molinette Nel Centro di Settimo esami contro la Tbc
“Controlli da marzo” Tra i profughi in arrivo aumentano i casi di
scabbia In sei mesi sono state curate un migliaio di persone.
Il Piemonte è la quarta regione
italiana per numero di richiedenti asilo. E gli arrivi sono destinati ad
aumentare. L’assessora Cerutti: “Un sistema che da emergenza si sta
trasformando in strutturale”. Coinvolgere maggiormente i Comuni.In
Piemonte ci sono 14.080 migranti e il flusso non accenna ad arrestarsi:
nel primo mese del 2017 sono già sbarcati in Italia 9.425 richiedenti
asilo, in confronto ai 6030 dello scorso anno e ai 3.813 del 2015.
Insomma, serve un piano. A illustrarlo è l’assessora all’Immigrazione
della Regione Monica Cerutti, che spiega come la rete di accoglienza in
questi anni sia radicalmente cambiata, trasformando il sistema «da
emergenziale a strutturale».
La Regione punta su formazione e
compensazioni mentre aumentano i riconoscimenti In Piemonte 14 mila
migranti Solo 1200 nella rete dei Comuni A Una minoranza inserita in
progetti di accoglienza gestiti dagli enti locali umentano i
riconoscimenti delle commissioni prefettizie, meno rigide rispetto al
passato prossimo: la tendenza si è invertita, le domande accolte sono il
60% rispetto al 40% dei rigetti. Non aumenta, invece, la disponibilità a
progetti di accoglienza e di integrazione da parte dei Comuni. Stando ai
dati aggiornati forniti dalla Regione, si rileva che rispetto ai 14 mila
migranti oggi presenti in Piemonte quelli inseriti nel sistema Sprar -
gestito direttamente dai Comuni - non superano i 1.200. Il resto lo
troviamo nelle strutture temporanee sotto controllo dalle Prefetture.
Per rendere l’idea, nella nostra regione i Comuni sono 1.2016. La
trincea dei Comuni Un bilancio che impensierisce la Regione, alle prese
con resistenze più o meno velate da parte degli enti locali: il
termometro di un malumore, o semplicemente di indifferenza, che impone
un lavoro capillare di convincimento. «Di accompagnamento, di
compensazione e prima ancora di informazione contro la disinformazione e
certe strumentalizzazioni politiche», - ha precisato l’assessora Monica
Cerutti riepilogando le azioni previste nel piano per regionale per
l’immigrazione. A stretto giro di posta è arrivata la risposta della
Lega Nord nella persona del consigliere regionale Alessandro Benvenuto:
«Non esistono paure da disinnescare ma necessità da soddisfare sia in
termini di sicurezza e controllo del territorio, sia dal punto di vista
degli investimenti. Il Piemonte ha di per sé ben poche risorse, che
andrebbero utilizzate per creare lavoro e risolvere i problemi che
attanagliano i piemontesi, prima di essere adoperate per far fare un
salto di qualità all’accoglienza». Progetti di accoglienza Tre i
progetti in campo: «Vesta» (ha come obiettivo il miglioramento dei
servizi pubblici che si relazionano con i cittadini di Paesi terzi),
“Petrarca” (si occupa di realizzare un piano regionale per la formazione
civico linguistica), “Piemonte contro le discriminazioni” (percorsi di
formazione e di inclusione volti a prevenire le discriminazioni).
Inoltre la Regione ha attivato con il Viminale un progetto per favorire
lo sviluppo delle economie locali sostenendo politiche pubbliche rivolte
ai giovani ivoriani e senegalesi. Più riconoscimenti Come si premetteva,
aumentano i riconoscimenti: 297 le domande accolte dalla Commissione di
Torino nel periodo ottobre-dicembre 2016 (status di rifugiato,
protezione sussidiaria e umanitaria); 210 i rigetti. In tutto i
convocati erano mille: gli altri o attendono o non si sono presentati. I
tempi della valutazione, invece, restano lunghi: un paio di anni,
considerando anche i ricorsi. Sul fronte dell’assistenza sanitaria e
della prevenzione, si pensa di replicare nel Centro di Castel D’Annone,
in provincia di Asti, lo screening contro la tubercolosi che dal marzo
sarà attivato al Centro Fenoglio di Settimo con il concorso di Regione,
Croce Rossa e Centro di Radiologia Mobile delle Molinette.
INTANTO :«Non sono ipotizzabili
anticipazioni di risorse» per l’asilo che Spina 3 attende dal 2009. La
lunga attesa aveva fatto protestare molti residenti e c’era chi già
stava perdendo le speranze. Ma in Circoscrizione 4, in risposta a
un’interpellanza del consigliere della Lega Carlo Morando, il Comune ha
messo nero su bianco che i fondi dei privati per permettere la
costruzione dell’asilo non ci sono. Quella di via Verolengo resta una
promessa non rispettata. Con la crisi immobiliare, la società Cinque
Cerchi ha rinunciato a costruire una parte dei palazzi e gli oneri di
urbanizzazione versati, spiegò mesi fa l’ex assessore Lorusso, erano
andati per la costruzione del tunnel di corso Mortara. Ad ottobre c’è
stata una nuova riunione. L’esito è stata la fumata nera da parte dei
privati. «Sarà necessario che la progettazione e la realizzazione
dell’opera vengano curate direttamente dalla Città di Torino», scrive il
Comune nella sua risposta. Senza specificare come e dove verranno
reperiti i fondi necessari, né quando si partirà.
20 gen
2011 -L'immigrazione"circolare"
è quella in cui i migranti, dopo un certo periodo di lavoro all'estero,
tornano nei loro Paesi d'origine. Un sistema più ...
Tutto è iniziato quando è stato
chiuso il bar. I 60 stranieri che erano a bordo del traghetto Tirrenia
diretto a Napoli volevano continuare a bere. L’obiettivo era sbronzarsi
e far scoppiare il caos sulla nave. Lo hanno fatto ugualmente,
trasformando il viaggio in un incubo anche per gli altri 200 passeggeri.
In mezzo al mare, nel cuore della notte, è successo di tutto: litigi,
urla, botte, un tentativo di assalto al bancone chiuso, molestie ai
danni di alcuni viaggiatori e persino un’incursione tra le cuccette. La
situazione è tornata alla calma soltanto all’alba, poco prima
dell’ormeggio, quando i protagonisti di questa interminabile notte brava
hanno visto che sulle banchine del porto di Napoli erano già schierate
le pattuglie della polizia. Nella nave Janas partita da Cagliari lunedì
sera dalla Sardegna era stato imbarcato un gruppo di nordafricani che
nei giorni scorsi aveva ricevuto il decreto di espulsione. Una trentina
di persone, alle quali si sono aggiunti anche altri immigrati
nordafricani. E così a bordo è scoppiato il caos. Il personale di bordo
ha provato a riportare la calma ma la situazione è subito degenerata.
Per ore la nave è stata in balia dei sessanta scatenati. All’arrivo a
Napoli, il traghetto è stato bloccato dagli agenti della Questura di
Napoli che per tutta la giornata sono rimasti a bordo per identificare
gli stranieri che hanno scatenato il caos in mezzo al mare e per
ricostruire bene l’episodio. «Il viaggio del gruppo è stato effettuato
secondo le procedure previste dalla legge, implementate dalle autorità
di sicurezza di Cagliari – si limita a spiegare la Tirrenia - La
compagnia, come sempre in questi casi, ha destinato ai passeggeri
stranieri un’area della nave, a garanzia della sicurezza dei passeggeri,
non essendo il gruppo accompagnato dalle forze di polizia.
Contrariamente a quanto avvenuto in passato, il gruppo ha creato
problemi a bordo per tensioni al suo interno che poi si sono ripercosse
sui passeggeri». A bordo del traghetto gli agenti della questura di
Napoli hanno lavorato per quasi 12 ore e hanno acquisito anche le
telecamere della videosorveglianza della nave. Nel frattempo sono
scoppiate le polemiche. «I protagonisti di questo caos non sono da
scambiare con i profughi richiedenti asilo - commenta il segretario del
Sap di Cagliari, Luca Agati - La verità è che con gli sbarchi dal Nord
Africa, a cui stiamo assistendo anche in questi giorni, arrivano poco di
buono, giovani convinti di poter fare cio’ che vogliono una volta
ottenuto il foglio di espulsione, che di fatto è un lasciapassare che
garantisce loro la libertà di delinquere in Italia. Cosa deve accadere
per far comprendere che va trovata una soluzione definitiva alla
questione delle espulsioni?» In ostaggio per ore Per ore la nave è
stata in balia dei sessanta scatenati, che hanno trasformato il viaggio
in un incubo per gli altri 200 passeggeri 21.02.17
Istituto comprensivo Regio Parco La
crisi spegne la musica in classe Le famiglie non pagano la retta da 10
euro al mese: a rischio il progetto lanciato da Abbado, mentre la
Regione Piemonte finanzia un progetto per insegnare ai bambini italiani
la lingua degli immigrati non viceversa.
Qui Foggia Gli sfollati di una
palazzina crollata nel 1999 vivono in container di appena 24 mq Qui
Messina Nei rioni Fondo Fucile e Camaro San Paolo le baracche aumentano
di anno in anno Donne e bambini Nei rioni nati dopo il sisma le case
sono coperte da tetti precari, spesso di Eternit Qui Lamezia Terme Oltre
400 calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica a cielo
aperto Qui Brescia Nelle casette di San Polino le decine di
famiglie abitano prefabbricati fatiscenti Da Brescia a Foggia, da
Lamezia a Messina. Oltre 50 mila italiani vivono in abitazioni di
fortuna. Tra amianto, topi e rassegnazione Caterina ha 64 anni e tenacia
da vendere. Con gli occhi liquidi guarda il tetto di amianto sopra la
sua testa: «Sono stata operata due volte di tumore, è colpa di questo
maledetto Eternit». Indossa una vestaglia a righe bianche e blu. «Vivo
qui da vent’anni. D’estate si soffoca, d’inverno si gela, piove in casa
e l’umidità bagna i vestiti nei cassetti. Il dottore mi ha detto di
andare via. Ma dove?». In fondo alla strada abita Concetta, che tra topi
e lamiere trova la forza di sorridere: «A ogni campagna elettorale i
politici ci promettono case popolari, ma una volta eletti si dimenticano
di noi. Sono certa che morirò senza aver realizzato il mio sogno: un
balcone dove stendere la biancheria». Antonio invece no, lui non ride.
Digrigna i denti rimasti: «Gli altri li ho persi per colpa della rabbia.
In due anni qui sono diventato brutto, mi vergogno». Slum, favela,
bidonville: Paese che vai, emarginazione che trovi. Un essere umano su
sei, nel mondo, vive in una baraccopoli. In Italia sono almeno 53 mila
le persone che, secondo l’Istat, abitano nei cosiddetti «alloggi di
altro tipo», diversi dalle case. Cantine, roulotte, automobili e
soprattutto baracche. Le storie di questi cittadini invisibili (e
italianissimi) sono raccontate nel documentario «Baraccopolis» di Sergio
Ramazzotti e Andrea Monzani, prodotto da Parallelozero, in onda domenica
sera alle 21,15 su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale».
Le baraccopoli sono non luoghi popolati da un’umanità sconfitta e spesso
rassegnata. Donne, uomini, bambini, anziani. Vittime della crisi
economica o di circostanze avverse. Vivono in stamberghe all’interno di
moderni ghetti al confine con quella parte di città degna di questo
nome. Di là dal muro la civiltà. Da questo lato fango, calcinacci,
muffa, immondizia, fogne a cielo aperto. A Messina le abitazioni di
fortuna risalgono ad oltre un secolo fa, quando il terremoto del 1908
rase al suolo la città. Qui l’emergenza è diventata quotidianità. Fondo
Fucile, Giostra, Camaro San Paolo. Eccoli i rioni del girone infernale
dei diseredati. Legambiente ha censito più di 3 mila baracche e
altrettante famiglie. I topi, invece, sono ben di più. A Lamezia Terme
oltre 400 calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica. Tra
loro c’è Cosimo, che vorrebbe andare via: «Non per me, ma per mio
figlio, ha subìto un trapianto di fegato». A Foggia gli sfollati di una
palazzina crollata nel 1999 vivono nei container di 24 mq. Andrea abita
invece nelle casette di San Polino a Brescia, dove un prefabbricato
fatiscente è diventato la sua dimora forzata: «Facevo
l’autotrasportatore. Dopo due ictus ho perso patente e lavoro. I miei
figli non sanno che abito qui. Non mi è rimasto nulla, nemmeno la
dignità». Sognando un balcone «Il mio sogno? È un balcone dove stendere
la biancheria», dice la signora Caterina nIl documentario «Baraccopolis»
di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani, prodotto da Parallelozero, andrà
in onda domani sera alle 21.15 su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il
racconto del reale». Su Sky Atlantic Il documentario 3 domande a Sergio
Ramazzotti registra e fotografo “Così ho immortalato la vita dentro
quelle catapecchie” Chi sono gli abitanti delle baraccopoli? «Sono
cittadini italiani, spesso finiti lì per caso. Magari dopo aver perso il
lavoro o aver divorziato». Quali sono i tratti comuni? «Chi finisce in
una baracca attraversa fasi simili a quelle dei malati di cancro. Prima
lo stupore, poi la rabbia, il tentativo di scendere a patti con la
realtà, la depressione, infine la rassegnazione». Cosa ci insegnano
queste persone? «È destabilizzante raccontare donne e uomini caduti in
disgrazia con tanta rapidità. Sono individui come noi. La verità è che
può succedere a chiunque». Baraccopolid’Italia
01.03.17
GLI ITALIANI AIUTANO più FACILMENTE
GLI EXTRACOMUNITARI RISPETTO AGLI ITALIANI.
La Commissione
europea, tre anni dopo aver condannato quattro tra le più grandi banche
europee per aver truccato il tasso di interesse che incide sui mutui di
milioni di cittadini europei, ha finalmente tolto il segreto al testo
della sentenza. E quel documento di trenta pagine potrebbe valere, solo
per gli italiani che hanno un mutuo sulle spalle, ben 16 miliardi di
euro di rimborsi da chiedere alle banche.
La storia parte
con la scoperta di un'intesa restrittiva della concorrenza, ovvero un
cartello, tra le principali banche europee. Lo scopo, secondo
l'Antitrust europeo, era di manipolare a proprio vantaggio il corso
dell'Euribor, il tasso di interesse che funge da riferimento per un
mercato di prodotti finanziari che vale 400mila miliardi di euro. Tra
questi ci sono i mutui di 2,5 milioni di italiani, per un controvalore
complessivo stimabile in oltre 200 miliardi. L'Euribor viene calcolato
giorno per giorno con un sondaggio telefonico tra 44 grandi banche
europee, che comunicano che tasso di interesse applicano in quel momento
per i prestiti tra banche. Il risultato del sondaggio viene comunicato
all'agenzia Thomson Reuters che poi comunica il valore dell'Euribor agli
operatori e al pubblico. L'Antitrust ha scoperto che alcune grandi
banche, tra il 2005 e il 2008, si erano messe d'accordo per falsare i
valori comunicati e manipolare il valore del tasso secondo la propria
convenienza. «Alcune volte, -recita la sentenza che il Giornale ha
potuto visionare- certi trader (omissis...) comunicavano e/o ricevevano
preferenze per un settaggio a valore costante, basso o alto di certi
valori Euribor. Queste preferenze andavano a dipendere dalle proprie
posizioni commerciali ed esposizioni»
Il risultato
ovviamente si è riflettuto sui mutui degli ignari cittadini di tutta
Europa, che però finora avevano le unghie spuntate. Un avvocato di
Sassari, Andrea Sorgentone, legato all'associazione Sos Utenti, ha
subissato la Commissione di ricorsi per farsi consegnare il testo della
sentenza dell'Antitrust che condanna Deutsche Bank, Société Genéralé,
Rbs e Barclay's a pagare in totale una multa di oltre un miliardo di
euro.
La Ue ha sempre
rifiutato adducendo problemi di riservatezza delle banche, ma alla fine
l'avvocato ha ottenuto una copia della sentenza, seppur in parte
«censurata». E ora il conto potrebbe salire. E non solo per quelle
direttamente coinvolte, perché il tasso alterato veniva applicato ai
mutui variabili da tutte le banche, anche le italiane, che ora
potrebbero dover pagare il conto dei trucchi di tedesche, francesi e
inglesi. Sorgentone si dice convinto di poter ottenere i risarcimenti:
«Secondo le stime più attendibili -dice- i mutuatari italiani hanno
pagato interessi per 30 miliardi, di cui 16 indebitamente. La sentenza
europea è vincolante per i giudici italiani. Ora devono solo
quantificare gli interessi che vanno restituiti in ogni rapporto mutuo,
leasing, apertura di credito a tasso variabile che ha avuto corso dal 1
settembre 2005 al 31 marzo 2009».
27.01.17
Come creare un meeting su
Zoom? In un
periodo in cui è richiesto dalla società il distanziamento sociale,
la nota app per le videoconferenze diventa uno strumento importante
per molte aziende e privati. Se partecipare a un meeting è un
processo estremamente semplice, che non richiede neppure la
registrazione al servizio, discorso diverso vale per gli utenti che
desiderano creare un meeting su Zoom.
Ecco dunque una semplice guida per semplificare
la vita a coloro che hanno intenzione di approcciare alla
piattaforma senza confondersi le idee.
Come si crea un meeting su Zoom
Dopo aver
scaricato e installato Zoom, e aver effettuato la registrazione,
si dovrà dunque effettuare l’accesso premendo Sign In
(è possibile loggare direttamente con il proprio account Google o
Facebook, comunque). A questo punto, bisogna procedere in questo
modo:
Fare tap su New Meeting
(pulsante arancione)
Scegliere se avviare il meeting con la
fotocamera accesa o spenta, tramite il toggle Video On
Premere Start a Meeting
A questo punto è stata creata la
videoconferenza, ma affinché venga avviata è necessario invitare i
partecipanti. Per proseguire sarà necessario quindi:
Fare tap su Participants
(nella parte in basso dello schermo)
Premere su Invite
Scegliere il mezzo attraverso cui
inviare il link di partecipazione ai mittenti (tramite e-mail o
messaggio, per esempio)
Una volta invitati gli utenti, chi ha creato
il meeting avrà la possibilità di fare tap su ognuno di essi per
utilizzare diverse funzioni: per esempio si potranno silenziare,
piuttosto che chiedergli di attivare la fotocamera, eccetera.
Facendo tap sul pulsante Chats
(in basso a sinistra dello schermo), inoltre, si potranno inviare
messaggi di testo a tutti i partecipanti o solo a uno di essi. Una
volta terminata la videoconferenza, la si potrà chiudere facendo tap
sulla scritta rossa End in alto a destra: si potrà
in ultimo scegliere se lasciare il meeting (Leave Meeting),
permettendo agli altri di continuare a interagire, o se scollegare
tutti (End Meeting).
Windows File Recovery
recupera i file cancellati per sbaglio
È la prima app di questo tipo
realizzata direttamente da Microsoft.
A tutti - beh, a quanti non hanno un
backup efficiente - sarà capitato di cancellare per errore un file,
non solo mettendolo nel Cestino, ma facendolo sparire apparentemente per
sempre.
Recuperare i
file cancellati ha tante più possibilità di riuscire quanto meno la
zona occupata da quei file è stata sovrascritta, ed è un lavoro per
software specializzati.
Fino a oggi, l'unica possibilità per i sistemi
Windows era scegliere programmi di terze parti. Ora Microsoft ha
rilasciato una piccola
utility che si occupa proprio del recupero dei file.
Si tratta di un programma privo di
interfaccia grafica: per adoperarlo bisogna quindi superare la
diffidenza per la linea di comando che alberga in molti utenti di
Windows.
L'utility ha tre modalità base di funzionamento.
Default, suggerita per i drive
Ntfs, si rivolge alla Master File Table (MFT) per individuare i
segmenti dei file. Segment fa a meno della MFT e si basa invece
sul rilevamento dei segmenti (che contengono informazioni come il nome,
la data, il tipo di file e via di seguito). Signature, infine, si
basa sul tipo di file: non avendo a disposizione altre informazioni,
cerca tutti i file di quel tipo (Microsoft consiglia questo sistema per
le unità esterne come chiavette Usb e schede SD).
Windows File Recovery è in grado di tentare il
recupero da diversi filesystem - quali Ntfs,
exFat e ReFS - e per apprendere il suo utilizzo Microsoft ha messo a
disposizione una
pagina d'aiuto (in inglese) sul sito ufficiale.
Qui sotto, alcune schermate di Windows File
Recovery.
Non si può dire che Windows 10 sia un
sistema operativo essenziale: ogni nuova installazione porta con sé,
insieme al sistema vero e proprio, tutta una serie di applicazioni che
per la maggior parte degli utenti si rivelano inutili, se non
fastidiose, senza contare le aggiunte dei singoli produttori di Pc.
Rimuoverle a mano una a una è un compito
tedioso, ma esiste una piccola applicazione che facilita l'intera
operazione:
Bloatbox.
Nata come estensione per
Spydish, app utile per gestire le informazioni condivise con
Microsoft da
Windows 10 e più in generale le impostazioni del sistema che
coinvolgono la privacy, è poi diventata un software a sé.
Il motivo è un po' la medesima
ragione di vita di Bloatbox: non rendere
Spydish troppo "grasso" (bloated), ossia ricco di funzioni
che, per quanto utili, vadano a incidere sulla possibilità di avere
un'applicazione compatta, efficiente e facile da usare.
Bloatbox si scarica da GitHub sotto forma di
archivio.zip da estrarre sul Pc. Una volta compiuta questa
operazione non resta altro da fare che cliccare due volte sul file
Bloatbox.exe per avviare l'app.
La
finestra principale mostra sulla sinistra una colonna in cui è
presente la lista di tutte le app installate in Windows, tra cui anche
quelle che normalmente non si possono disinstallare - come il Meteo,
Microsoft News e via di seguito - e quelle installate dal produttore del
computer.
Ciò che occorre fare è selezionare quelle app
che si intende rimuovere e, quando si è soddisfatti, premere il
pulsante, che le aggiungerà alla colonna di destra, dove si
trovano tutte le app condannate alla cancellazione.
A questo punto si può premere il pulsante
Uninstall, posto nella parte inferiore della
colonna centrale, e il processo di disinstallazione inizierà.
L'ultima versione al momento in cui scriviamo
mostra anche, nella colonna di destra di un pratico link per effettuare
una "pulizia
generale" di una nuova installazione di Windows 10, identificato
dalla dicitura Start fresh if your Windows 10 is loaded with bloat....
Cliccandolo, verranno aggiunte all'elenco di
eliminazione tutte le app preinstallate e considerate
bloatware. Chiaramente l'elenco
può essere personalizzato a piacere rimuovendo da esso le app che si
intende tenere tramite il pulsante Remove selected.
Il sito che installa tutte le
app essenziali per Windows 10
Bastano pochi clic per ottenere
un Pc perfettamente attrezzato, senza dover scaricare ogni singolo
software.
Reinstallare il sistema operativo è solo il primo passo, dopo un
incidente al Pc che abbia causato la necessità di ripartire da capo, tra
quelli necessari per arrivare a riavere un computer perfettamente
configurato e utilizzabile.
A quel punto inizia infatti il processo di configurazione e di
installazione di tutte quelle grandi e piccole applicazioni che svolgono
i vari compiti ai quali il computer è dedicato. Si tratta di
un'operazione che può essere lunga e tediosa e che sarebbe bello poter
automatizzare.
Una delle alternative migliori da tempo esistente è Ninite, sito che
permette di selezionare le app preferite e si occupa di scaricarle e
installarle in autonomia.
Da quando però Microsoft ha lanciato un proprio gestore di pacchetti
(Winget) sono spuntate delle alternative che a esso si appoggiano e,
dato che funziona da linea di comando, dette alternative si occupano di
fornire un'interfaccia grafica.
Una delle più interessanti è Winstall, che semplifica l'installazione
delle app dai repository messi a disposizione da Microsoft.
Winstall è una Progressive Web Application (Pwa), ossia un sito da
visitare con il proprio browser e che permette di scegliere le app da
installare sul computer; in questo senso, dal punto di vista dell'uso è
molto simile al già citato Ninite.
Diverso è però il funzionamento: se Ninite scarica i singoli installer
dei vari programmi, Winstall si appoggia a Winget, che quindi deve
essere preventivamente installato sul Pc.
Inoltre offre una propria funzionalità specifica, che il suo
sviluppatore ha battezzato Featured Pack.
Si tratta di gruppi di applicazioni unite da un tema o una funzionalità
comune (browser, strumenti di sviluppo, software per i giochi) che si
possono selezionare tutte insieme; Winstall si occupa quindi di generare
il codice da copiare nel Prompt dei Comandi per avviare l'installazione.
In alternativa si può scaricare un file .bat da eseguire, che si occupa
di invocare Winget per portare a termine il compito.
I Featured Pack sono infine personalizzabili: gli utenti sono invitati a
creare il proprio e a condividerlo.
Leggi l'articolo originale su ZEUS News -
https://www.zeusnews.it/n.php?c=28369
Cos’è e a cosa serve la pasta madre
La pasta madre è un lievito naturale che permette di preparare un ottimo
pane, ma anche pizze e focacce. Conosciuta anche come pasta acida, la
pasta madre è un impasto che può essere realizzato in diversi modi. Ad
esempio, la pasta madre si può ottenere prelevando un impasto del pane
da conservare grazie ai “rinfreschi”, oppure preparando un semplice
impasto di acqua e farina da lasciare a contatto con l’aria, così che si
arricchisca dei lieviti responsabili dei processi fermentativi che
consentono la lievitazione di pane e altri prodotti da forno.
Gli impasti preparati con la pasta madre hanno generalmente bisogno di
lievitare per diverse ore, ma il risultato ripaga dell’attesa: pane,
pizze e focacce risulteranno infatti più gonfi, più digeribili,
conservabili più a lungo e con un sapore decisamente migliore.
La pasta madre, inoltre, accresce il valore nutrizionale del pane e di
altri prodotti da forno. Negli impasti preparati con la pasta madre
diverse importanti sostanze rimangono intatte e, grazie alla
composizione chimica della pasta madre, il nostro organismo riesce ad
assimilare meglio i sali minerali presenti nelle farine.
I lieviti della pasta madre, poi, favoriscono la crescita di batteri
buoni nell’intestino, favorendo un buon equilibrio del microbiota e
migliorando così la digestione. È importante anche notare che il pane
preparato con lievito naturale possiede un indice glicemico inferiore
rispetto al pane realizzato con altri lieviti. Questo significa che
quando i carboidrati presenti nel pane vengono assimilati sotto forma di
glucosio, questo si riversa più lentamente nel flusso sanguigno,
evitando picchi glicemici.
Oltre a conferire al pane proprietà organolettiche e nutrizionali
migliori, la pasta madre presenta altri vantaggi. Grazie ai rinfreschi,
si può infatti avere a disposizione questo straordinario lievito
naturale a lungo; in più, la pasta madre può essere preparata con vari
tipi di farine, anche senza glutine.
La dieta senza glutine è l’unica terapia per le persone celiache e per
chi presenta sensibilità verso le proteine del frumento e in altri
cereali come orzo e farro. Inoltre, ridurre il consumo di glutine può
migliorare alcuni disturbi intestinali ed è consigliato anche a chi
vuole seguire un regime alimentare antinfiammatorio.
ATTENZIONE MOLTO
IMPORTANTE PER LA TUA SALUTE :
La tecnologia di riferimento
per le Cellule Tumorali Circolanti